giovedì 15 novembre 2018

IL MISSILE "ALFA" E IL PROGRAMMA NUCLEARE ITALIANO



Il programma Alfa lanciato negli anni settanta dall'Italia, verteva su di un Medium-Range Ballistic Missile prodotto dall'Aeritalia e simile al Polaris A-3. Con una gittata di oltre 1.600 km, poteva potenzialmente colpire tutti i paesi del blocco orientale con una singola testata nucleare dal peso di 1 tonnellata.

Il 28 novembre 1957 i governi francese, italiano e tedesco firmarono un accordo segreto per dotarsi di un deterrente nucleare comune. Tale accordo fu rigettato dal presidente francese Charles de Gaulle dopo la sua elezione, in quanto egli decise di dotare la Francia di un proprio arsenale nucleare indipendente. Nei primi anni sessanta del XX secolo l'Italia si trovò circondata da nazioni che stavano perseguendo la costruzione di armi nucleari. La Jugoslavia e Romania avevano iniziato a sviluppare indipendentemente proprie armi atomiche, e collaboravano nella progettazione e nello sviluppo del nuovo cacciabombardiere Soko-IAR J-22 Orao destinato al loro utilizzo. Anche il governo della neutrale Svizzera aveva deciso, in data 23 dicembre 1958, di dotare le proprie forze armate di armi nucleari.

Nel 1957 la Marina Militare aveva iniziato i lavori di trasformazione dell'incrociatore leggero Giuseppe Garibaldi  in nave lanciamissili. Durante i lavori di trasformazione eseguiti presso l'Arsenale di La Spezia venne deciso di installare, in una apposita tuga poppiera, quattro pozzi di lancio per missili balistici Polaris A-3  dotati di testata nucleare. Tale installazione di armi nucleari su nave di superficie rientrava in un concetto operativo NATO di nuova ideazione. L'incrociatore lanciamissili Garibaldi rientrò in squadra nel corso del 1961, iniziando le prove di collaudo dei pozzi cui seguirono lanci di collaudo di simulacri inerti e di simulacri autopropulsi, sia con nave ferma che in navigazione. Il primo lancio di un simulacro di missile balistico fu eseguito il 31 agosto 1963 nel golfo di La Spezia. Anche se le prove eseguite diedero tutte esito positivo, i missili non vennero mai forniti dal governo americano, poiché motivi politici ne impedirono la prevista cessione. Il 5 gennaio 1963 il governo americano, in base agli accordi successivi alla crisi di Cuba raggiunti con l'Unione Sovietica, decise di ritirare i missili balistici a medio raggio PGM-19 Jupiter dal territorio italiano e turco. Tale decisione venne successivamente approvata dal governo italiano, e la 36ª Aerobrigata Interdizione Strategica fu disattivata il 1 aprile 1963, per essere sciolta ufficialmente il 21 giugno dello stesso anno. In alternativa al PGM-19 Jupiter il governo italiano decise di sviluppare un proprio programma nucleare.

Nel dicembre 1964 il generale Paolo Moci chiese l'autorizzazione all'allora Capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Aldo Rossi, per avviare la realizzazione di un deterrente nucleare nazionale.[14] Il generale Rossi diede la sua autorizzazione di massima, raccomandando che su tale iniziativa fosse mantenuto il più rigoroso segreto. Il generale Moci ebbe numerosi colloqui con il massimo esperto missilistico italiano dell'epoca, il professor Luigi Broglio, che aveva lanciato numerosi satelliti dalla base equatoriale di Mombasa. Da tali colloqui scaturì, considerate le possibilità economiche della nazione, l'idea di costruire un missile con una gittata di 3 000 km, avente quindi la possibilità di colpire tutta l'Europa e l'Africa del nord, armato con una testata nucleare di 2,5 kg di plutonio. La prevista realizzazione di 100 missili avrebbe avuto un costo pari a quello della messa in linea dei nuovi cacciabombardieri Lockheed F-104G Starfighter.

In quel momento il governo statunitense stava dando un'alta priorità alla non proliferazione nucleare, e spingeva per arrivare alla firma di un trattato internazionale. L'Unione Sovietica fece dell'eliminazione della Multilateral Force nucleare NATO una delle condizioni preliminari alla sua adesione al trattato di non proliferazione nucleare, che fu firmato il 1 luglio 1968 da USA, Regno Unito e Unione Sovietica. Né la Svizzera, né i paesi dei Balcani, né l'Italia lo ratificarono immediatamente. Il governo svizzero aderì al trattato nel 1969, mentre quelli jugoslavo e rumeno lo ratificarono entro il marzo 1970. I servizi di intelligence occidentali indicarono che, anche dopo la firma del trattato, la Jugoslavia stava ancora sviluppando armi nucleari presso l'istituto di Vinca, situato nelle vicinanze di Belgrado.

In base a questi rapporti il governo italiano decise di adottare le opportune misure per lo sviluppo di un deterrente nucleare indipendente. Nel 1971 la Marina Militare iniziò lo studio, sotto l'egida del G.R.S. (Gruppo di Realizzazione Speciale Interforze) del C.T.S.D., di un missile balistico a medio raggio di produzione nazionale. Tale missile doveva essere imbarcato su sottomarini e grandi unità di superficie.

Il progetto dell'Alfa prevedeva un missile a due stadi a combustibile solido. Per l'impiego imbarcato era previsto il sistema del lancio a freddo, in cui veniva utilizzata la pressione del gas per espellere il missile dal contenitore di lancio. Il primo stadio si accendeva solamente quando il missile era completamente fuori dal contenitore di lancio.

Il primo stadio era lungo 3,845 m, pesava 6 959 kg e utilizzava 6 050 kg di combustibile solido in grani a stella a cinque punte HTPB (composto dal 12% di alluminio, 15% di legante (Binder) e il 73% di perclorato di ammonio) su licenza Rocketdyne. Il motore BPD del primo stadio disponeva di quattro ugelli in fibra di carbonio dotati di giunto cardanico e rivestiti in grafite. Il motore garantiva una spinta al decollo di circa 25 tonnellate (250.00 kN) per 57 secondi. Il secondo stadio pesava 950 kg.

Il missile pesava al lancio 10 695 kg, era lungo 6,50 m, ed era dotato di un'autonomia di circa 1 600 chilometri, che scendeva a 1 000 km con l'installazione di una testata bellica del peso di 1 000 kg. La testata comprendeva un singolo veicolo di rientro dotato di testata termonucleare della potenza di 1 megaton. Il sistema di guida inerziale era fornito dalla francese Sagem, e disponeva di una centrale Type E 38 a giroscopi flottanti.

Alla realizzazione del programma Alfa contribuirono le principali aziende aerospaziali italiane, con capofila l'Aeritalia (strutture e scudo termico), mentre la SNIA-BPD Spazio forniva il motore a razzo, la Sistel l'elettronica di bordo e la Selenia il sistema di controllo e guida da terra. Altre ditte minori incluse nel programma furono la SNIA-Viscosa Laben-Montedel (centrale di tiro), Mupes (rampa di lancio), e la Motofides/Whitehead.

Tra il dicembre 1971 e il luglio 1973 vennero effettute diverse prove su modelli in scala del propulsore presso lo stabilimento BPD Spazio di Colleferro. Il motore del primo stadio fu collaudato undici volte in prove statiche, tra il dicembre 1973 e il gennaio 1975, preso il balipedio "Cottrau" della Marina Militare, sito a La Spezia. Il primo lancio sperimentale del missile, dotato del secondo stadio inerte, avvenne dal poligono di Salto di Quirra (Sardegna) alle 17:00 dell'8 settembre 1975. Il missile raggiunse i 25 km di quota in un minuto, arrivando a 110 km prima di ricadere ad una sessantina di chilometri dal Poligono. Ulteriori due missili sperimentali furono lanciati da Salto di Quirra, il secondo il 23 ottobre 1975, mentre il terzo e ultimo avvenne il 6 aprile 1976. Tutti e tre i lanci furono coronati da successo.

Lo sviluppo del sistema d'arma Alfa, costato ormai la cifra di sei miliardi di lire, fu fermato in questa fase, quando il programma nucleare jugoslavo era ormai in fase di abbandono. Sotto la pressione degli Stati Uniti l'Italia firmò il Trattato di non proliferazione nucleare il 2 maggio 1975, mentre la Svizzera ratificò il trattato e concluse definitivamente il suo programma nucleare nel 1977. Il missile Alfa sarebbe stato in grado di trasportare una testata nucleare da una tonnellata ad una distanza di 1 600 km, sufficiente a colpire Mosca e altri obiettivi nella Russia europea con lancio dal Mare Adriatico. Il patrimonio tecnologico del programma confluì nei successivi lanciatori spaziali italiani a propellente solido, tra cui l'Advanced Scout e il progetto Vega.

Programma nucleare militare italiano

Progetti per lo sviluppo di un programma nucleare militare italiano furono elaborati da ambienti delle Forze armate italiane tra la fine degli anni 1960 e l'inizio degli anni 1970, in seguito al fallimento della proposta di istituire un programma condiviso con gli alleati della NATO, e inclusero anche la sperimentazione di un missile balistico; gli ambienti politici italiani furono tuttavia poco propensi a dare seguito a simili progetti, e nessun programma per l'assemblaggio di armi nucleari fu mai concretamente messo in atto. Ogni interesse italiano per lo sviluppo di un proprio deterrente nucleare nazionale cessò del tutto nel 1975, con l'adesione dell'Italia al Trattato di non proliferazione nucleare.

Attualmente l'Italia non produce né possiede armi nucleari ma partecipa al programma di "condivisione nucleare" della NATO.

Antefatti

Al termine del secondo conflitto mondiale l'Italia, visto il quadro geopolitico, attuò una strategia basata sul multilateralismo, principalmente tramite una stretta collaborazione con gli Stati Uniti, con l'adesione alla NATO e con una maggiore integrazione a livello europeo.

In base alla politica della condivisione nucleare, l'Italia iniziò a custodire armi nucleari statunitensi. Le prime furono l'MGR-1 Honest John e l'MGM-5 Corporal, nel 1957[4], seguiti successivamente dal MIM-14 Nike Hercules, un missile terra-aria. Tuttavia questi sistemi erano sotto il totale controllo degli USA, motivo per cui l'Italia proseguì il dialogo con le altre nazioni europee riguardo ad un programma nucleare collaborativo. Furono avviate le trattative per un deterrente nucleare congiunto con Francia e Germania, limitate però dalla volontà di Charles de Gaulle di un deterrente esclusivamente francese.

Un'ulteriore impulso fu fornito il 23 dicembre 1958 dalla decisione della Svizzera di dare inizio ad un proprio programma nucleare. Dopo diverse pressioni sugli Stati Uniti, il 26 marzo 1959 fu stipulato un accordo con il quale l'Aeronautica militare ricevette 30 missili PGM-19 Jupiter, operanti presso l'aeroporto di Gioia del Colle. I primi missili giunsero il 1º aprile 1960. Questa volta i missili furono dotati di un sistema a doppia chiave, dando al governo italiano l'illusione di avere il controllo del deterrente con conseguente aumento di influenza nella NATO. Questi nuovi missili, gestiti dalla neonata 36ª Aerobrigata, erano destinati ad essere utilizzati "per l'esecuzione dei piani e delle politiche della NATO in tempo di pace come in guerra".

Forza Multilaterale

Parallelamente alla collaborazione con gli Stati Uniti, l'Italia sperimentò la collaborazione con la Forza Multilaterale (MLF) della NATO, con l'obiettivo di sviluppare una forza nucleare europea. La MLF era un progetto promosso dagli Stati Uniti per porre sotto controllo congiunto con i paesi europei tutte le armi nucleari non controllate direttamente dai propri enti. Inoltre, per gli USA, la MLF serviva a soddisfare il desiderio delle altre nazioni di giocare un ruolo nella deterrenza nucleare, con il conseguente avvicinamento di tutti i potenziali arsenali nucleari occidentali sotto l'egida della NATO. L'Italia aveva a lungo sostenuto la cooperazione nucleare e, secondo il Ministro della difesa Paolo Emilio Taviani, il governo italiano aveva cercato di persuadere i suoi alleati "a rimuovere le ingiustificate restrizioni riguardo l'accesso alle nuove armi dei paesi NATO." Questa politica fu perseguita dalle amministrazioni Kennedy e Johnson e costituì argomento di discussione dell'accordo di Nassau, tra gli Stati Uniti e il Regno Unito, e dei negoziati per l'ingresso del Regno Unito nella Comunità Economica Europea (CEE) nel 1961.

All'interno della MLF, gli Stati Uniti proposero che vari paesi della NATO gestissero l'UGM-27 Polaris IRBM attraverso piattaforme marine, principalmente sottomarini nucleari. Tra il 1957 e il 1961, la Marina italiana dismise la Giuseppe Garibaldi, riconvertendola in incrociatore lanciamissili, equipaggiato con quattro missili Polaris. Poco tempo dopo, nel dicembre 1962, il Ministro della difesa Giulio Andreotti chiese ufficialmente assistenza agli Stati Uniti per lo sviluppo di propulsori nucleari per la flotta italiana.

Il programma autonomo italiano

In seguito al fallimento dell'ipotesi multilaterale, l'Italia cercò nuovamente di creare un proprio deterrente. L'industria nucleare italiana era ben sviluppata, con le tecnologie BWR, Magnox e PWR, nonché con il reattore di prova da 5 MW RTS-1 "Galileo Galilei" presso il CAMEN (Centro Applicazioni Militari Energia Nucleare). L'Aeronautica disponeva inoltre di un gran numero di velivoli nucleari, incluso il Lockheed F-104 Starfighter, e stava sperimentando il Panavia Tornado con testata nucleare.

Sin dal 27 marzo 1960, quando l'ammiraglio Pecori Geraldi dichiarò che una forza nucleare marina era la più resistente agli attacchi, la Marina aveva cercato di guadagnare un ruolo importante nel programma nucleare e aveva acquisito esperienza attraverso i test dei missili Polaris del settembre 1962, i quali ebbero esito positivo.

Alfa

Nel 1971 la Marina italiana diede inizio ad un ingegnoso programma di sviluppo di missili balistici, chiamato Alfa. Ufficialmente il progetto fu definito come un tentativo di sviluppo di razzi a propellente solido per scopi civili e militari. Fu progettato come razzo a due stadi e poteva essere trasportato su navi o sottomarini. I test di lancio con un mockup ebbero luogo tra il 1973 e il 1975, dal poligono di Salto di Quirra. L'Alfa era lungo 6,5 metri e aveva un diametro di 1,37 metri. Il primo stadio era lungo 3,85 metri e conteneva 6 tonnellate di combustibile solido per missili. Forniva una spinta pari a 232 kN per una durata di 57 secondi. Avrebbe potuto trasportare una testata da una tonnellata per 1600 chilometri, ponendo Mosca e la Russia nel raggio d'azione del mar Adriatico.

I costi elevati (oltre 6 miliardi di lire) e il clima politico instabile comportarono l'abbandono del progetto. In aggiunta a questi fattori il crescente rischio di un'escalation nucleare anche al di fuori dell'Europa e la pressione interna giocarono il loro ruolo nell'abbandono da parte dell'Italia del proprio programma nucleare, anche in seguito alle pressioni degli Stati Uniti, e portarono il paese a ratificare il Trattato di non proliferazione nucleare, il 2 maggio 1975.

Il patrimonio tecnologico del programma Alfa confluì nei successivi lanciatori spaziali italiani a propellente solido, tra cui il progetto Vega. In anni più recenti l'Italia, sotto l'egida dell'Agenzia spaziale europea, ha portato a termine il rientro e l'atterraggio di una capsula chiamata IXV.

Armi nucleari in Italia dopo il 1975

Anche dopo l'interruzione del proprio programma nucleare, l'Italia ha continuato ad ospitare armi nucleari. Dal 1975 il paese è stato utilizzato dagli Stati Uniti per lo schieramento del BGM-109G (missile cruise terrestre), del MGM-52 Lance (missile balistico tattico) e dei pezzi di artiglieria W33, W48 e W79. Nel 2005 l'ex presidente della repubblica Francesco Cossiga dichiarò che durante la Guerra Fredda il ruolo dell'Italia consisteva nello sganciamento di testate nucleari su Praga e Budapest, in caso di un primo attacco dei sovietici contro i paesi NATO.

Situazione attuale

Il paese fa parte del programma di condivisione nucleare della NATO e, nell'ambito di questo programma, gli Stati Uniti mantengono la custodia e il controllo assoluto delle armi nucleari presenti sul territorio italiano. Non è ben chiaro se, in caso di guerra, l'Aeronautica possa usare queste armi ma alcune fonti affermano il contrario. Al 2015, le bombe nucleari B61 mod 3 e mod 4 sono custodite in due località, 50 presso la base aerea di Aviano, e 20-40 presso la base di Ghedi. Gli F-16 Fighting Falcon facenti parte della 31ª Fighter Wing statunitense hanno sede presso la base di Aviano, mentre i Panavia Tornado del 6º Stormo Alfredo Fusco hanno sede a Ghedi.

(Web, Google, Wikipedia, Circolo del 53 etc…)



















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