mercoledì 5 dicembre 2018

I carri medi FIAT ANSALDO P40 e P43



Il P40, o P26/40, era un carro italiano da 26 tonnellate nominali e ideato a partire dal 1940. Esso era stato pensato considerando che i carri cosiddetti Medi o 'M' non avrebbero potuto a lungo essere all'altezza dei veicoli esteri, i cui esemplari medi tendevano a pesare anche oltre 20 tonnellate.




Il mezzo venne sviluppato soltanto dopo che fu decisa l'interruzione del progetto di sviluppo del carro M "sahariano" (una specie di Crusader italiano) e, secondo i progetti iniziali, doveva essere inizialmente armato con un cannone corto da 75/18, e corazzatura sistemata in modo assai simile agli 'M', ma l'analisi del T-34 di cui i tedeschi fornirono un esemplare catturato, fu una rivelazione e comportò la riprogettazione dello scafo, che venne riallestito con una struttura meglio inclinata su tutti i lati dello scafo e torretta, mentre il cannone da 75 venne portato a 34 calibri. Fu quindi montato sullo scafo un cannone 75/34 Mod.34, dotato di migliori caratteristiche anticarro.

Il veicolo aveva una tecnica abbastanza avanzata, la cui parte migliore era costituita da un motore diesel che, nella sua ultima elaborazione, aveva una potenza di ben 420 hp, al pari dei carri diesel delle altre potenze. Questo motore, progettato ex novo dalla FIAT, era però afflitto da considerevoli problemi di sviluppo che non furono mai completamente risolti.

Il treno di rotolamento era costituito da piccole ruote assemblate su carrelli con sospensioni a balestra, assai simile a quello degli 'M'. Le corazze erano inclinate (anche se moderatamente, la torretta aveva un'inclinazione di 15° frotali e 25° sui lati e il retro) anche lateralmente e posteriormente e avevano questi spessori: torretta frontale 60 mm, torretta laterale e posteriore 45 mm, scafo frontale 50 mm, scafo laterale 45 mm e posteriore 40 mm; le piastre erano tutte chiodate, riducendone di fatto l'efficacia. Inoltre anche la qualità del materiale con cui era realizzata la corazza lasciava a desiderare, visto che la produzione di acciai speciali in Italia era deficitaria (anche per la scarsità delle materie prime: molibdeno, cromo, ecc., oltre che per la scarsità di personale capace di eseguire correttamente il processo di tempra e rinvenimento) e la Regia Marina aveva ricevuto la priorità per la costruzione delle corazzate classe Vittorio Veneto.

L'armamento era derivato dal cannone campale Ansaldo da 75 mm Mod. 37, lungo 34 calibri. Le munizioni erano 63 da 75 mm e solo 600 per le due mitragliatrici Breda Mod. 38 da 8 mm, una coassiale e una contraerea.

Comparato ai veicoli coetanei, dimostrava già alla sua entrata in servizio i suoi limiti: il pezzo 75/34 era gestito dal capocarro, quando questi doveva essere la "mente" che indirizza l'equipaggio e non poteva anche puntare l'arma (difetto presente anche nel T-34, ma risolti nella versione T-34/85) ed era dotato di ottiche rudimentali e semplici; comparandolo con le precise ottiche tedesche dell'epoca TZF-4 e -5 con ingrandimento 6x, l'efficienza del cannone veniva ulteriormente abbassata dal rateo di fuoco, non elevato rispetto ai carri avversari (il modello M3 da 75 mm montato sullo M4 Sherman statunitense era semiautomatico, in grado di far fuoco ogni 5-6 secondi). Alcuni autori riportano come elemento per valutare la qualità del mezzo anche il numero di portelli e via di fuga a disposizione per l'equipaggio; mentre i carri inglesi, americani e tedeschi avevano dalle 4 alle 6-8 vie, i mezzi italiani ne difettavano ed il P40 disponeva di sole due vie. Le sue prestazioni erano peraltro inficiate dalla tecnologia superata o inaffidabile di vari componenti: la corazzatura era ancora imbullonata, la mobilità era un po' scarsa a causa delle sospensioni, che però erano adattissime a carri che non superavano i 40 km/h, mentre il motore era decisamente inaffidabile, troppo vicino all'equipaggio e ai serbatoi, con paratie scadenti, e con prese d'aria esterne non ben protette. Si noti che i tedeschi produssero il 40% dei P26/40 senza il motore, evidentemente considerato il punto più debole del progetto. Rispetto ai pari classe il P40 nasceva con delle caratteristiche che mostrano la sua scarsa tecnica e mostrano lo scarso adattamento dell'industria bellica italiana dell'epoca alle esigenze ed all'evoluzione degli strumenti militari.

La situazione peggiorò quando entrarono in servizio mezzi come i T-34/85, i Panzer V Panther e i Mk VIII Cromwell. La versione migliorata, rimasta sulla carta, venne chiamata P43, con un tonnellaggio aumentato e caratteristiche migliorate.

Ma lo sviluppo di questo ulteriore prototipo non ebbe seguito anche perché la produzione del P.40 procedeva con estremo rilento: al momento della resa italiana nel settembre 1943 solo 1 mezzo era stato assegnato ai reparti del Regio Esercito. Così esso venne requisito e usato solo dai tedeschi, che lo utilizzarono in qualche reparto corazzato, in compiti secondari.


Il mezzo venne sviluppato soltanto dopo che fu decisa l'interruzione del progetto di sviluppo del carro M "sahariano" (una specie di Crusader italiano) e, secondo i progetti iniziali, doveva essere inizialmente armato con un cannone corto da 75/18, e corazzatura sistemata in modo assai simile agli 'M', ma l'analisi del T-34 di cui i tedeschi fornirono un esemplare catturato, fu una rivelazione e comportò la riprogettazione dello scafo, che venne riallestito con una struttura meglio inclinata su tutti i lati dello scafo e torretta, mentre il cannone da 75 venne portato a 34 calibri. Fu quindi montato sullo scafo un cannone 75/34 Mod.34, dotato di migliori caratteristiche anticarro.

Il veicolo aveva una tecnica abbastanza avanzata, la cui parte migliore era costituita da un motore diesel che, nella sua ultima elaborazione, aveva una potenza di ben 420 hp, al pari dei carri diesel delle altre potenze. Questo motore, progettato ex novo dalla FIAT, era però afflitto da considerevoli problemi di sviluppo che non furono mai completamente risolti.

Il treno di rotolamento era costituito da piccole ruote assemblate su carrelli con sospensioni a balestra, assai simile a quello degli 'M'. Le corazze erano inclinate (anche se moderatamente, la torretta aveva un'inclinazione di 15° frotali e 25° sui lati e il retro) anche lateralmente e posteriormente e avevano questi spessori: torretta frontale 60 mm, torretta laterale e posteriore 45 mm, scafo frontale 50 mm, scafo laterale 45 mm e posteriore 40 mm; le piastre erano tutte chiodate, riducendone di fatto l'efficacia. Inoltre anche la qualità del materiale con cui era realizzata la corazza lasciava a desiderare, visto che la produzione di acciai speciali in Italia era deficitaria (anche per la scarsità delle materie prime: molibdeno, cromo, ecc., oltre che per la scarsità di personale capace di eseguire correttamente il processo di tempra e rinvenimento) e la Regia Marina aveva ricevuto la priorità per la costruzione delle corazzate classe Vittorio Veneto.

L'armamento era derivato dal cannone campale Ansaldo da 75 mm Mod. 37, lungo 34 calibri. Le munizioni erano 63 da 75 mm e solo 600 per le due mitragliatrici Breda Mod. 38 da 8 mm, una coassiale e una contraerea.

Comparato ai veicoli coetanei, dimostrava già alla sua entrata in servizio i suoi limiti: il pezzo 75/34 era gestito dal capocarro, quando questi doveva essere la "mente" che indirizza l'equipaggio e non poteva anche puntare l'arma (difetto presente anche nel T-34, ma risolti nella versione T-34/85) ed era dotato di ottiche rudimentali e semplici; comparandolo con le precise ottiche tedesche dell'epoca TZF-4 e -5 con ingrandimento 6x, l'efficienza del cannone veniva ulteriormente abbassata dal rateo di fuoco, non elevato rispetto ai carri avversari (il modello M3 da 75 mm montato sullo M4 Sherman statunitense era semiautomatico, in grado di far fuoco ogni 5-6 secondi). Alcuni autori riportano come elemento per valutare la qualità del mezzo anche il numero di portelli e via di fuga a disposizione per l'equipaggio; mentre i carri inglesi, americani e tedeschi avevano dalle 4 alle 6-8 vie, i mezzi italiani ne difettavano ed il P40 disponeva di sole due vie. Le sue prestazioni erano peraltro inficiate dalla tecnologia superata o inaffidabile di vari componenti: la corazzatura era ancora imbullonata, la mobilità era un po' scarsa a causa delle sospensioni, che però erano adattissime a carri che non superavano i 40 km/h, mentre il motore era decisamente inaffidabile, troppo vicino all'equipaggio e ai serbatoi, con paratie scadenti, e con prese d'aria esterne non ben protette. Si noti che i tedeschi produssero il 40% dei P26/40 senza il motore, evidentemente considerato il punto più debole del progetto. Rispetto ai pari classe il P40 nasceva con delle caratteristiche che mostrano la sua scarsa tecnica e mostrano lo scarso adattamento dell'industria bellica italiana dell'epoca alle esigenze ed all'evoluzione degli strumenti militari.

La situazione peggiorò quando entrarono in servizio mezzi come i T-34/85, i Panzer V Panther e i Mk VIII Cromwell. La versione migliorata, rimasta sulla carta, venne chiamata P43, con un tonnellaggio aumentato e caratteristiche migliorate.

Ma lo sviluppo di questo ulteriore prototipo non ebbe seguito anche perché la produzione del P.40 procedeva con estremo rilento: al momento della resa italiana nel settembre 1943 solo 1 mezzo era stato assegnato ai reparti del Regio Esercito. Così esso venne requisito e usato solo dai tedeschi, che lo utilizzarono in qualche reparto corazzato, in compiti secondari.






















Il P43 era un carro pesante italiano, rimasto allo stadio di progetto e sviluppato parallelamente al carro P26/40.
Il P43 o P30/43 venne sviluppato da FIAT ed Ansaldo contemporaneamente al P26/40, del quale doveva essere una versione più pesante. Il mezzo infatti sarebbe dovuto pesare 30 tonnellate e avrebbe montato un motore da 480 hp. Il cannone era il medesimo del P.26 - il pezzo da 75/34 mm. Tuttavia ancora in fase di progettazione venne proposto uno da 90/42 derivato dall'antiaereo da 90/53, o con il pezzo da 105/25 mm poi montato sui semoventi.
Esiste una fotografia del P43 come modello in legno (e probabilmente in scala ridotta) assieme ad altri modellini di un P40 e del P43 bis, da 30 tonnellate con cannone che sembra potesse essere una versione alleggerita del pezzo da 90/53. Nella stessa foto vi è un modellino di una versione del Panther tedesco leggermente più piccola e con cannone probabilmente da 90/53, che la parte germanica stigmatizzò come un plagio del Panzer V Panther di cui l'Italia aveva ricevuto i disegni costruttivi per la produzione su licenza. Sembra che anche questo modellino abbia ricevuto la sigla P43 bis (forse per la constatata impossibilità di arrivare in tempi brevi alla produzione del P43 bis con pezzo da 90 mm).
Questa sovrapposizione di studi può essere stata originata sia dalle notizie provenienti dal fronte russo sul nuovo modello del carro medio sovietico T-34/85 da 32 tonnellate e cannone derivato dall'antiaereo da 85 mm sia dalla disponibilità dei dati e disegni del Panther tedesco.
Secondo le varie pubblicazioni  le motorizzazioni avrebbero dovuto essere queste:
P26/40 motore diesel da 330 Hp poi sostituito in produzione da uno a benzina da 420 hp.
P30/43 o P43 motore a benzina da 420/430 hp.
P.43 bis (cannone da 90/42 mm) stesso motore da 420/430 hp.
P.35/43 o secondo P.43 bis (riduzione del Panther) da 35 tonnellate con cannone da 90/53 o 90/42 mm e motore da 470/480 HP copiato dal motore del T.34 russo, a sua volta adattamento diesel di un motore francese Hispano-Suiza.
La protezione frontale da 80/100 mm di quest'ultimo avrebbe messo il carro su un piede di parità con le macchine progettate da altre nazioni, come il carro russo Josef Stalin 2 del 1944 da 44 tonnellate (che ne aveva una da 122 mm), il Tigre I da 57 tonnellate e superiore a quella del Panther da 45 tonnellate, che era di 80 mm.
Ma si sarebbe trattato, comunque, di un carro inferiore alle controparti per molti aspetti. Soprattutto per la mancanza di un treno di rotolamento moderno, con sospensione a balestra, realmente adatte solo per i carri dal peso inferiore alle 15-20 tonnellate. Inoltre mancavano le risorse industriali per costruirlo con corazza saldata o a pezzi di fusione, e si sarebbe, verosimilmente, ripiegato su una corazza rivettata. Una soluzione obsoleta e pericolosa, che si univa ad un'altra evidente deficienza industriale italiana: la scarsa qualità degli acciai utilizzati per la corazzatura, spesso costruiti con acciai relativamente dolci.
Sarebbe poi stato, finalmente, il primo carro italiano con una torretta a 3 posti, e quindi con il capocarro in grado davvero di comandare il mezzo senza essere distratto da altri compiti, anche se con molti anni di ritardo rispetto ai carri tedeschi. Inoltre il cannone 90/53 era eccellente, ma nel 1943 non esisteva ancora un proiettile anticarro per quel cannone, che era ancora eccellente in confronto agli altri pezzi contro carro italiani, ma necessitava di un proiettile dedicato per riuscire a mettersi almeno alla pari con i carri tedeschi e britannici (rimanendo comunque inferiore ai carri sovietici d'eccellenza).
"Già dall’estate del 1940, e per tutto il corso del conflitto, l’offerta di veicoli da combattimento provenienti da Berlino si scontrò infatti con le lungaggini della burocrazia Italiana, gli interessi privati delle oligarchie industriali e le deficienze dei comandi militari. Stando agli atti ad esempio, il 5 Agosto 1941 si era ottenuta l’autorizzazione formale tedesca alla costruzione su licenza del Panzerkampfwagen III, a cui seguì analoga autorizzazione nel 1942 per il Panzerkampfwagen IV (questa sarebbe costata 30 milioni di Reichsmarks e avrebbe previsto la consegna di 3 Panzerkampfwagen IV in visione a Fiat, Ansaldo e Ministero della guerra); tentativi tutti abortiti per l’ ostruzionismo del duopolio Fiat-Ansaldo e in seguito per le crisi del Luglio e Settembre 1943.
Dell’offerta tedesca all’Italia relativa al carro Panther si parla anche nel diario del Maresciallo Cavallero: “Il 6 Dicembre 1942, il generale Von Horstig offrì la possibilità della costruzione da parte Italiana del Panther”.
Cavallero fece presente che un equivalente programma di costruzione era già in essere (quello relativo al carro “pesante” P40 da 26 tonnellate), tuttavia (anche per mere ragioni diplomatiche) accettò l’offerta.
Si decise quindi che si sarebbero attesi tre mesi per la traduzione dei disegni tecnici di
provenienza tedesca e per convenire sui macchinari che sarebbe stato necessario importare per dar inizio alla catena di produzione. Inoltre, dopo la presa in visione del P40 da parte di due tecnici tedeschi, due tecnici italiani sarebbero andati in Germania a vedere il Panther.
Successivamente Cavallero venne però informato che il carro P40 in realtà era ancora ben lungi dal vedere la luce, per cui prese nota di contattare Von Horstig per la cessione del motore Maybach per il P40 e, verosimilmente, per ribadire l’interesse Italiano per il carro Panther, quanto mai necessario visti i ritardi relativi alla costruzione del carro pesante italiano.
Anche dopo l’arrivo del Generale Ambrosio infatti le trattative continuarono. I colloqui svoltisi al Ministero della Guerra dal 13 al 24 Febbraio del 1943 sancirono che ad un anno dal ricevimento dei disegni, la Fiat-Ansaldo avrebbe iniziato la produzione del carro, con l’obiettivo di un gettito mensile dopo 18 mesi di almeno 50 Panther (con l’accordo che al superamento dei 25 carri mensili l’eccedenza sarebbe andata ai tedeschi).
Inoltre in una lettera del Comando Supremo datata 22 febbraio 1943 si ha conferma della disponibilità tedesca anche alla fornitura diretta del carro armato “Pantera” (come veniva chiamato in Italia), visto che i precedenti colloqui avevano chiarito che le industrie italiane non sarebbero state in grado di iniziarne la produzione prima del 1945. Una ipotesi prevedeva ad esempio la fornitura di Panther completi in cambio di tubi per cannoni e relativi scudi di lamiere.
A tale proposito, dalla copia della richiesta trasmessa a Roma dal generale Marras di autorizzare tecnici tedeschi a visionare i più recenti veicoli militari italiani, si venne a sapere che la cessione diretta del Panther sarebbe stata di 10 carri al mese entro il dicembre 1943 (aumentabile a 25 esemplari).
Nella stessa richiesta, risalente all’estate del 1943, Marras (addetto militare a Berlino) comunicò inoltre la richiesta di inviare in Germania i disegni del carro ferroviario “Pmx” (allora in allestimento in Italia), proprio per il trasporto del nuovo carro germanico, attraverso un apposito piano caricatore di testata.
Inoltre, al Centro Studi Motorizzazione si provvide a realizzare dei modelli di legno in scala 1 a 10 del carro Panther, da cui trarre indicazioni tecniche e che furono poi fotografati e messi a confronto con simili modelli di carri Italiani, tra cui un L35, un P40 in configurazione quasi finale ed un P43 prima versione.
In effetti in concorrenza con il Panther, adottato come ripiego di emergenza, già da tempo si stavano studiando ulteriori progetti e sviluppi del carro P40; oltre al P43 da 30 tonnellate possiamo brevemente menzionare anche il poderoso P43 bis armato con un pezzo da 90/42 ( o secondo alcuni da 105 mm) da qualcuno giudicato superiore sulla carta allo stesso Panther.
Le vicende del 25 Luglio prima e poi quelle settembrine dell’armistizio naturalmente interruppero ogni piano di cessione del Panther, insieme ai progetti relativi al suo “plagio”, ovvero al P43 bis."

(Web, Google, Wikipedia)







Il carro armato T-34


L'autore del blog in visita all'Imperial War Museum di Londra.







Fu con l’estendersi della guerra verso l’est, contro l’URSS, che avvenne la svolta decisiva nelle direttive amministrative riguardo i prototipi e i progetti di nuovi carri da approvare. L’incontro-scontro con il T-34 sovietico risultò scioccante per l’alto comando tedesco. 
Il T-34 può a ragione essere considerato il miglior (relativo, non assoluto) carro armato dell’ultima guerra mondiale se si rimane contestualizzati al periodo storico e alle esigenze operative alle quali era chiamato.
Il carro armato T-34 fu il mezzo corazzato che rappresentò la spina dorsale delle forze corazzate sovietiche nel corso della seconda guerra mondiale.
All'inizio dell'Operazione Barbarossa (l'attacco tedesco all'Unione Sovietica), le truppe della Wehrmacht lo incontrarono raramente: pure, in quelle sporadiche occasioni, riuscì a gettare i carristi germanici e i loro ufficiali in uno sconforto parossistico, prossimo quasi al panico. Heinz Guderian, l'organizzatore dei reparti corazzati tedeschi, nonché realizzatore della teoria di utilizzo programmatico dei Panzer in battaglia, di fronte alle caratteristiche innovative del mezzo, che lo rendevano superiore a ogni mezzo della Wehrmacht arrivò a suggerire che gli ingegneri tedeschi lo copiassero direttamente.

In realtà il carro russo aveva molti difetti: i suoi cingoli erano fragili, la torretta era scarsamente difesa anche contro i calibri minori delle armi anticarro, la sua trasmissione - nei primi anni del conflitto - era la più primitiva dei suoi tempi, il cannone degli ultimi modelli era così lungo che tendeva a interrarsi e quindi ad esplodere quando utilizzato.

Nonostante ciò, il T-34 iniziò a formare la componente principale delle unità corazzate sovietiche durante il 1942, quando le fabbriche che lo costruivano, evacuate in tutta fretta dall'Ucraina e dalla Russia Bianca (minacciate dall'avanzata tedesca) vennero ricostruite al sicuro dietro gli Urali, riprendendo a piena forza i loro ritmi produttivi.

Le grandissime innovazioni tecniche del T-34 (rispetto al suo predecessore BT-7) furono l'introduzione della corazza inclinata, i cingoli larghi (ben 55 cm ognuno, ovvero più di 1/6 della larghezza del carro) e il cannone a canna medio-lunga (i Panzer IV tedeschi dell'epoca avevano un cannone corto da 75mm, adatto soprattutto per il supporto alla fanteria, piuttosto che alla lotta controcarro). L'inclinazione di 60 gradi (rispetto ad un asse verticale) della corazza frontale, che misurava 45 mm, si traduceva in una resistenza equivalente a circa 90mm di acciaio posto verticalmente, giacché l'inclinazione peggiorava l'angolo penetrativo di una granata sparata orizzontalmente, un vero e proprio uovo di Colombo che consentiva anche un risparmio di acciaio di circa il 50%. I cingoli larghi (distribuendo il peso su una superficie più vasta) consentivano al mezzo di attraversare i terreni più difficili, come le plaghe nevose invernali o gli infidi pantani primaverili, che caratterizzano le pianure russe durante il disgelo (rasputica) e gli conferivano una maggiore mobilità su tutti i tipi di terreno. Il cannone da 76,2 mm era nel 1942 l'arma anticarro di maggior calibro e riusciva a perforare facilmente le corazze delle controparti tedesche (Panzer III e IV). Inoltre, il T-34 fu uno dei carri armati medi più veloci di tutta la seconda guerra mondiale, in grado di raggiungere una velocità massima di ben 55 km/h, il che lo rendeva un bersaglio più difficile da colpire durante gli scontri e gli consentiva di reagire più rapidamente alle esigenze della battaglia.
Mentre la produzione dei carri tedeschi era piuttosto lenta (la lavorazione ancora semi-artigianale dava ottimi risultati, a scapito però della velocità), la costruzione di un T-34 (totalmente aderente al principio della catena di montaggio) era veloce e semplice, essendo ogni operazione scomposta nella maniera più elementare, tanto che le fabbriche ricostruite dietro gli Urali poterono incrementare i loro organici anche attingendo alla popolazione locale, composta da contadini, donne e adolescenti troppo giovani per il servizio militare.
Il mezzo aveva un'autonomia di 465 km, notevolmente superiore a quella dei corazzati tedeschi dell'epoca.
Come contromisura al T-34, i tedeschi installarono cannoni lunghi da 50mm (da 60 calibri) sui Panzer III e 75mm lunghi (da 43 o 48 calibri) nei carri Panzer IV, e progettarono il nuovo Panzer V Panther, che riprendeva le innovazioni tecniche del T-34, ma con corazza e peso maggiore.
Il T34 venne prodotto a partire dal 1940 nella grande fabbrica di trattori di Stalingrado (STZ) e nella fabbrica di locomotive di Char'kov (KhPZ), ma dopo l'inizio dell'invasione tedesca gli impianti di Char'kov furono precipitosamente trasferiti a oriente negli Urali, e la produzione ricominciò in massa alla Uralvagonzavod di Nižnij Tagil, mentre la fabbrica di Stalingrado continuò a funzionare fino al settembre 1942 quando venne distrutta durante la fase più accanita della battaglia di Stalingrado.
La dirigenza sovietica cercò subito di potenziare al massimo la produzione del T-34 e tra il 1941 e il 1942 vennero attivati, in sostituzione degli impianti di Char'kov e Stalingrado, altri centri produttivi; oltre alla Uralvagonzavod, che rimase la fabbrica principale, iniziarono a produrre il carro armato anche la Krasnoe Sormovo N. 112 di Gor'kij, la Omsktranmaš di Omsk, il famoso complesso Tankograd di Čeljabinsk e la Uralmaš di Sverdlovsk.
Per un certo periodo i russi scartarono ogni progetto di miglioria o di modifica del T-34, per mantenere la produzione la più alta possibile, almeno fino all'arrivo del Panzer V Panther e del Panzer VI Tiger. I lunghi cannoni di questi nuovi carri permettevano ai carristi tedeschi di combattere senza preoccuparsi di nascondersi. 
Le perdite inflitte dai Panzer V nella Battaglia di Kursk convinsero i russi ad approntare una nuova versione del loro "cavallo di battaglia", il T-34/85 che disponeva di armamento, corazza e autonomia superiori alla precedente versione. La torretta del T-34 fu sostituita con una più grande, che ospitava tre uomini e un cannone lungo da 85 mm; questa liberava il comandante dal dover svolgere anche il ruolo di puntatore e, protetta da una corazza frontale di 90 mm garantiva una migliore speranza di sopravvivenza all'equipaggio. Il nuovo cannone consentì ai carristi sovietici di raggiungere molti successi contro gli equipaggi della sempre più logorata e indebolita Panzerwaffe.
Il feldmaresciallo tedesco von Kleist definì il T-34 il miglior carro armato del mondo; alla fine del conflitto ne erano stati prodotti circa 53.000. La sua facilità di produzione ed i componenti semplici di cui era composto fecero sì che la produzione raggiungesse i 2000 esemplari al mese, quando ad esempio di Panzer VI Tiger I tedeschi ne vennero prodotti 1500 in tutta la guerra.
Il T-34 era un mezzo facilmente utilizzabile anche da soldati poco addestrati (eccetto il pilota, che doveva essere ben addestrato per manovrare il complicato sistema di controllo), anche se, con il volgere della guerra in loro favore, gli alti comandi sovietici apprezzarono sempre di più i benefici di una più profonda istruzione tecnica e tattica dei loro equipaggi, riuscendo infine a confrontarsi da un piano di superiorità con i carristi della Wehrmacht che, costretti dalla necessità, si trovarono infine (come i loro nemici nel 1941-42) a schierare battaglioni e reggimenti di reclute poco addestrate tenuti insieme da veterani esperti ma demoralizzati.
Il T-34 è stato un carro armato usato da moltissimi operatori, ad esempio dagli eserciti arabi, che ricevettero una versione ceca del T-34/85, dalla Cina comunista, dalla Corea del Nord, dal Vietnam del Nord, dalla Jugoslaviadi Tito, da Cuba, dalla Somalia di Siad Barre e dall'MPLA Angolano.
In questi paesi il T-34 ha avuto modo di venire impiegato in azione fino agli anni novanta (durante i conflitti etnici che seguirono la disgregazione della Jugoslavia); per quanto tecnologicamente superato esso si è rivelato efficace se impiegato contro nemici poco o per nulla dotati di propri mezzi corazzati o di sofisticati sistemi di difesa anticarro.
All'inizio del conflitto, il ben corazzato T-34, nonostante la sua imperfetta trasmissione, incapace di sostenere lunghe marce, si dimostrò un buon carro armato di supporto alla fanteria. Ma progressivamente perse il suo vantaggio in corazzatura che aveva avuto all'inizio del conflitto. Alla fine del 1943 o all'inizio del 1944, il T-34 era diventato un obiettivo relativamente facile per i carri tedeschi con i cannoni da 75 mm e per le armi anticarro, mentre i colpi del cannone da 88 millimetri del Tiger, le batterie anti-aeree e le armi anticarro PAK-43 risultavano invariabilmente letali. La torretta era perforata in maniera relativamente facile dalle armi tedesche. La sua corazza era molto meno inclinata di quella che copriva lo scafo del carro russo ed offriva scarsa resistenza anche ai colpi da 37 mm delle armi antiaeree automatiche (T-34/76 modello 1940 e 1941). La situazione era aggravata dal fatto che spesso le torrette del T-34 erano colpite da pezzi di artiglieria pesante come l'88 mm antiaereo e dai carri tedeschi equipaggiati con cannoni a canna lunga come il 75 mm e il 50 mm. A ciò si univa una gravissima mancanza di vie di fuga adeguate per l'equipaggio, dal momento che il portellone monoblocco sulla torretta rappresentava l'unica uscita facilmente agibile per i membri dell'equipaggio (il portello davanti alla postazione del pilota, infatti, era fin troppo piccolo e macchinoso da aprire).
Anche i cingoli erano un punto debole. Nel 1941, per il carro russo compiere viaggi di centinaia di chilometri sarebbe risultato letale. I cingoli erano un serio punto debole. Erano la parte riparata più di frequente. Gli equipaggi si portavano addirittura le parti di ricambio in combattimento. A.V. Maryevski ricordava:
"I cingoli si potevano spezzare anche senza essere colpiti. Quando la terra si incollava tra le ruote dentate, il cingolo, soprattutto durante una curva, si tendeva tanto che i perni e gli stessi cingoli non potevano resistere.
Inoltre la trasmissione dei primi modelli di T-34 era la più primitiva dei suoi tempi. Cambiare marcia nei T-34 dei primi anni del conflitto, con cambio a quattro marce, era molto complicato e richiedeva una grande forza fisica. I veterani carristi russi ricordavano quanto fosse difficile cambiare marcia e di come dovessero aiutarsi con le ginocchia. Inoltre, risultava quasi impossibile, pena la rottura degli ingranaggi, utilizzare III e IV marcia in fuoristrada (la velocità massima effettiva si riduceva così a soli 15–20 km/h). La frizione, poi, estremamente arcaica (era composta da semplici dischi di ferro), non poteva essere fatta slittare senza incorrere nel rischio di una sua rottura. Era assolutamente necessario che gli equipaggi dei T-34 fossero molto ben addestrati. "Se un guidatore non lo era - ricordava il comandante di plotone A.V.Bodnar - avrebbe potuto ingranare la quarta invece della prima e la terza invece della seconda, la qual cosa avrebbe portato alla inevitabile rottura del cambio.

(Web, Google, Wikipedia, Nico Vernì)












































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