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mercoledì 10 dicembre 2025

REGIA MARINA ITALIANA 9 SETTEMBRE 1943: un paio d'ore dopo la mezzanotte, un gruppo d’altura di navi da guerra italiane – tre corazzate, tre incrociatori e otto cacciatorpediniere – salpò dal porto di La Spezia; in testa alla squadra navale c'era la Roma.












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Si vis pacem, para bellum 
(in latino: «se vuoi la pace, prepara la guerra») è una locuzione latina.









Un paio d'ore dopo la mezzanotte della mattina del 9 settembre 1943, tre corazzate, tre incrociatori e otto cacciatorpediniere della Regia Marina italiana salpò dal porto di La Spezia. In testa alla squadra navale c'era la Roma, la più recente e più grande corazzata della Regia Marina italiana; ufficialmente stavano andando ad attaccare una grande forza navale alleata che, in quel momento, stava organizzando un'invasione anfibia lungo la costa di Salerno. Almeno questo era ciò che l'Amm. Carlo Bergamini aveva “confidato” ad un comandante tedesco locale. Ma quella notte, il vero proposito era di unirsi agli Alleati dopo i tragici eventi dell’8 settembre.
Roma era una bella nave, ma poi, costruire belle navi da guerra era qualcosa per cui gli italiani erano conosciuti. Era elegante e aggraziata, a differenza, diciamo, delle navi da guerra britanniche, che tendevano ad essere a blocchi, propositivi e business-like. Ma la Roma non era solo piacevole alla vista, era anche ben corazzata, si muoveva velocemente e molto abilmente armata con tre torrette di cannoni principali da 381 mm, due a prua e una a poppa, ognuna con tre cannoni da 15 pollici che potevano sparare un proiettile ad alta velocità e perforante ad oltre 25 miglia di distanza. La Roma fu costruita per resistere a proiettili in arrivo, e il suo scafo compartimentato, con il suo ingegnoso sistema “Pugliese” di paratie e cilindri di espansione, era stato progettato per resistere ai siluri nemici.
La Roma era una nave da guerra bella e capace, e forse in altre circostanze il suo ruolo nella storia avrebbe potuto essere galante o addirittura decisivo. Ma invece, era limitato a una singola, breve apparizione come una sorta di agnello sacrificale, macellato sull'altare di un orribile nuovo tipo di arma.
A quel punto della storia, la guerra stava andando molto male per l'Italia e gli italiani erano stanchi. Mussolini era già stato arrestato due mesi prima, e anche se il suo successore, il primo ministro Badoglio, continuava a professare apertamente solidarietà verso Adolf Hitler, iniziando rapidamente negoziati segreti con il comandante supremo alleato Gen. Dwight D. Eisenhower.
All'inizio di settembre, fu firmato un "breve" armistizio segreto tra i rappresentanti di Badoglio e Eisenhower, che, tra le altre cose, chiedeva di consegnare la flotta italiana agli Alleati a Malta. Nei giorni successivi, ai comandanti della Regia Marina fu detto di prepararsi per mettersi in navigazione, anche se a nessuno, tranne Bergamini e a uno o due altri, fu confermato il vero motivo. La flotta si era preparata, ma ci furono ripetuti ritardi e rinvii. Poi, l'8 settembre, proprio mentre stavano iniziando lo sbarco di Salerno, gli Alleati annunciarono l'armistizio da una stazione radio di Algeri. Il gatto era fuori dal sacco e l'Italia fu immersa nel caos. Poche ore dopo, Bergamini si imbarcò sulla Roma e diede l'ordine di dirigersi verso il mare aperto.
Per la Roma, questa segnò la sua prima vera missione da quando si era unita alla flotta un anno prima. Durante quel periodo, la Roma aveva registrato solo circa 130 ore di attività, riposizionandosi da un porto a un altro. Le altre navi da guerra avevano preso parte ad alcune azioni navali all'inizio della guerra, ma negli ultimi due anni era stata lo stesso anche per loro. L'Italia aveva sofferto di una grave carenza di carburante. Non avendo alcuna fonte propria di petrolio, l'Italia dipendeva dalla Germania per il carburante, e nemmeno la Germania era esattamente a filo. La cosa più bellicosa che la Roma aveva fatto era quella servire come batteria antiaerea galleggiante durante i raid aerei mentre erano legati a La Spezia. Due volte in quel periodo, era stata gravemente danneggiata dopo essere stata colpita da grandi bombe sganciate dai B-17 americani. Aveva dovuto essere rimorchiata a Genova per le riparazioni.
L'accordo di armistizio aveva ordinato alla Regia Marina di fare rotta su Malta e consegnare lì le navi. Tuttavia, Bergamini aveva un piano diverso. Stava portando la sua flotta a La Maddalena in Sardegna, dove il re Vittorio Emanuele III stava creando un “governo libero” favorevole agli Alleati. Eisenhower aveva apparentemente dato la sua approvazione e aveva permesso che il trasferimento di un cacciatorpediniere italiano fosse messo a disposizione del re. Bergamini decise che poteva essere un'idea migliore spostare l'intera flotta lì e lasciare che il monarca facesse la sua scelta.
Una volta in mare aperto, la flotta fu raggiunta da tre incrociatori provenienti da Genova. La flottiglia navigò per il resto della notte, mantenendo una buona velocità a circa quindici miglia dalla costa occidentale della Corsica. All'alba fu avvistato un aereo alleato che li sorvegliava. Bergamini lo prese come un buon segno.





Al 12.00, la flotta italiana, viaggiando in formazione di linea, fece il suo primo avvistamento dello Stretto di Bonifacio; quattro miglia e mezzo separano la Corsica dalla Sardegna. Bergamini ordinò una virata di 90° verso La Maddelena. Alle 13.40 ricevettero la notizia che i tedeschi avevano il controllo de La Maddelena. Bergamini ordinò immediatamente alla flotta di invertire la rotta di 180° per dirigersi verso Malta. Nel 14.00, la flotta era in vista dell'Asinara, un'isola rocciosa e montuosa al largo della punta nord-occidentale della Sardegna. Oltre si trovava il Mediterraneo occidentale.
Subito dopo furono individuati alcuni aerei che li seguivano. Erano aerei bimotore, ma che volavano ad alta quota, e nessuno poteva dire con certezza se fossero alleati o della Luftwaffe. Con sorpresa degli italiani, sganciarono delle bombe che caddero in acqua, lontano da qualsiasi altra nave. I velivoli cambiarono rotta e se ne andarono. Tutti erano sconcertati. Nessuno aveva mai bombardato navi da altezze del genere, non se volevano davvero colpirle. Inoltre, avevano stimato che invece di rilasciare le loro bombe con un angolo di 80°, come si faceva normalmente, le avevano rilasciate con un angolo di 60°. Non aveva alcun senso. Perché l'avevano fatto? Poteva essere che in realtà non stessero cercando di colpirli?
Passò più di un'ora e non accadde nulla. L'isola dell’Asinara era molto più vicina ora. Poi le vedette riferirono che gli aerei bimotore erano tornati; furono identificati come bombardieri medi tedeschi Dornier Do 217. Ognuno sembrava trasportare una singola bomba molto grande sotto l'ala nello spazio tra il motore di dritta e la fusoliera.
Alle 15.30, un aereo era salito da 5.000 a 5.500 metri (18.044 piedi) per poi iniziare ad avvicinarsi alla flotta. Bergamini ordinò alle navi di iniziare manovre evasive e disse alle batterie AA di aprire il fuoco. Un attimo dopo i cannoni antiaerei delle navi aprirono il fuoco, ma i bombardieri erano troppo in alto per poterli colpire.
Alle 15.33 il primo Dornier attaccò sganciando la sua bomba con lo stesso angolo di 60 gradi di quella precedente. Ma, mentre scendeva, notarono che invece di cadere semplicemente verso il basso, veniva verso di loro come se fosse guidata. Schizzò in mare, mancando di poco la poppa della corazzata Italia di pochi metri. Poi esplose. Pochi secondi dopo, l'Italia riferì che l'esplosione aveva bloccato il suo timone e che non poteva più governare.
Passarono minuti tesi mentre le squadre di riparazione a bordo della corazzata Italia lottavano per liberare il timone. Mentre lo facevano, i messaggi viaggiavano avanti e indietro tra le navi su ciò che era successo. Molti degli occhi riferirono che la bomba sembrava avere quattro lunghe pinne simili ad ali e una coda a scatola. Qualcuno aveva notato che invece di virare una volta che la bomba era stata rilasciata, il Dornier era rimasto al suo posto, volando lentamente, come se avesse bisogno di rimanere lì per guidare la bomba.
Al 15.45 ci fu un altro attacco. Le batterie AA aprirono il fuoco, ma ancora una volta il bombardiere era fuori dalla portata dei loro cannoni. Il Do 217 aveva rilasciato la sua bomba mantenendo la sua posizione mentre la bomba si avvicinava verso la flotta italiana. Era diventato disgustosamente ovvio che la bomba fosse stata guidata verso il bersaglio.
La bomba colpì la Roma sul lato di dritta a poppa delle navi, schiantandosi sui sette ponti della nave, ed era uscita dallo scafo prima di esplodere sotto la chiglia. I locali caldaia e dopo il vano motore furono allagati, disabilitando le due eliche a bordo. L'arco elettrico aveva innescato innumerevoli incendi in tutta la nave. La sua velocità era ora ridotta a 12 nodi, e la Roma era oramai fuori dal gruppo di battaglia. Ormai, molti dei sistemi elettrici della nave, i suoi direttori e i supporti per cannoni erano fuori uso.
Alle 15.52, la Roma fu colpita da una seconda bomba, sempre sul lato di dritta, questa volta esplodendo all'interno della sala macchine di prua. La “santa barbara” di prua esplose con una forte inondazione nei magazzini della torretta della batteria principale n. 2 e nella torretta della batteria secondaria sul lato di prua. Pochi istanti dopo le riviste della torretta n. 2 esplosero, facendo saltare l'intera torretta trinata verso il cielo. La sovrastruttura anteriore fu distrutta con esso, uccidendo l’ammiraglio Bergamini, il capitano della nave, Adone Del Cima, e quasi tutti gli altri lì presenti. Gli incendi erano scoppiati su tutta la nave. Chiunque non sia stato ucciso fu avvolto dalle fiamme orribilmente. Alle 16.12, la Roma iniziò a inabissarsi. Poi, i suoi ponti di dritta allagati, la corazzata Roma si sono capovolse spezzandosi in due e affondando. Alle 16.15, era andata a picco con 1.253 unitamente a 1.849 ufficiali e marinai.





Ciò che mandò la Roma a fondo fu il primo di una classe di armi completamente nuova, conosciuta oggi come munizioni guidate di precisione (PGM). Questo ordigno era una massiccia bomba planante da 3.450 libbre, perforante, radio-controllata, che la Luftwaffe chiamava Fritz-X. Era stata sviluppata sulla coda dell'Hs 294, un razzo alato più complesso, ma un po' meno efficace, anche in dotazione ad un bombardiere Do 217. All'insaputa di quasi tutti, l'Hs 293 aveva già fatto il suo debutto due settimane prima, quando affondò una nave da guerra britannica e ne danneggiò gravemente altre due nel Golfo di Biscaglia.
A differenza dell'Hs 293, che combinava un sistema di iniezione di aria compressa con un motore a razzo a combustibile binario, la Fritz-X era un sistema semplice. Per raggiungere il suo obiettivo, Fritz-X aveva principalmente bisogno di gravità. Caduta da 6.000 metri, la Fritz-X era entrata ad una velocità quasi transonica, motivo per cui aveva potuto passare attraverso così tanti strati di ponte corazzati prima di esplodere: qualcosa che l'Hs 293 non poteva fare.
La bomba planante Fritz-X consisteva in un involucro penetratore in acciaio lavorato lungo 11 piedi, caricato con 320 Kg di esplosivo amatolo a impatto. La bomba aveva quattro pinne montate centralmente e una complessa struttura di coda a forma di scatola, all'interno della quale c'era una serie di spoiler oscillanti radiocomandati, azionati elettricamente che fornivano il controllo del passo e dell'imbardata. Sebbene la Fritz-X utilizzasse lo stesso pacchetto di guida del ricevitore a collegamento radio dell'Hs 293, il suo pacchetto di controllo includeva un giroscopio per fornire la stabilizzazione del rollio. Questo era necessario, poiché riceveva segnali di controllo attraverso un'antenna conforme integrata nella sezione di coda. Il giroscopio assicurava che la coda della bomba Fritz-X rimanesse puntata verso l'aereo per tutta la durata del lancio.
Guidare la Fritz-X era relativamente semplice. Al momento del rilascio, un bagliore si era acceso nella coda della bomba. Guardando attraverso la vista della bomba, il bombardiere avrebbe semplicemente allineato il razzo con il bersaglio, utilizzando un radio-controllo a doppio asse e dotato di un singolo joystick. Dopo di che, si trattava solo di tenere i due in fila l'uno con l'altro.
Per la settimana successiva, la bomba planante Fritz-X aveva ripetutamente devastato Salerno. La sua prima vittima fu l'incrociatore USS Savannah, che subì più di duecento morti quando una delle bombe plananti si schiantò contro una torretta di cannone. Dopo di che venne il turno dell'incrociatore USS Philadelphia, seguito dalla HMS Uganda della Royal Navy, poi diverse navi mercantili e infine la corazzata britannica Warspite. In ogni caso, le navi vennero messe fuori combattimento per un massimo di un anno, anche se tutte alla fine tornarono in azione. Ma per quanto terribile fosse il danno, non era abbastanza per fermare l'invasione.
Anche il regno del terrore delle nuove armi si era rivelato di breve durata. Per quanto efficaci potessero essere le Fritz-X e l'Hs 293, avevano due punti deboli: il primo, gli Alleati avevano capito quasi immediatamente: una volta che la Fritz-X era lasciata cadere e aveva iniziato ad avvicinarsi verso il suo bersaglio, il bombardiere aveva bisogno di volare dritto, livellato e lento per guidarlo. Finché i cieli erano liberi, allora non c'era un problema, ma se c'erano dei caccia alleati in giro, allora il bombardiere poteva essere facilmente abbattuto durante questa fase.
Allo stesso tempo, gli inglesi e gli americani avevano iniziato a sviluppare contromisure elettroniche per disturbare il collegamento radio tra il bombardiere e la bomba. Il primo jammer alleato si era dimostrato inefficace, poiché aveva bloccato le frequenze sbagliate. Ma i successivi miglioramenti iniziarono a colmare il divario riducendo l'efficacia della Fritz-X e dell'Hs 293. Poi un Hs 293 intatto fu scoperto in un aeroporto catturato sulla spiaggia di Anzio. Poco dopo, uno dei trasmettitori radiocomandati venne recuperato da un bombardiere tedesco che si era schiantato in Corsica. Il jammer sviluppato come risultato si rivelò molto efficace. A quel punto la Luftwaffe stava già sviluppando nuove varianti delle due armi che sarebbero state resistenti alle contromisure elettroniche: questo segnò l'inizio di una battaglia tra misure e contromisure, che, oltre 70 anni dopo, continua ancora oggi.






Si vis pacem, para bellum 
(in latino: «se vuoi la pace, prepara la guerra») è una locuzione latina.

Usata soprattutto per affermare che uno dei mezzi più efficaci per assicurare la pace consiste nell'essere armati e in grado di difendersi, possiede anche un significato più profondo che è quello che vede proprio coloro che imparano a combattere come coloro che possono comprendere meglio e apprezzare maggiormente la pace.
L'uso più antico è contenuto probabilmente in un passo delle Leggi di Platone. La formulazione in uso ancora oggi è invece ricavata dalla frase: Igitur qui desiderat pacem, praeparet bellum, letteralmente "Dunque, chi aspira alla pace, prepari la guerra". È una delle frasi memorabili contenute nel prologo del libro III dell'Epitoma rei militaris di Vegezio, opera composta alla fine del IV secolo.
Il concetto è stato espresso anche da Cornelio Nepote (Epaminonda, 5, 4) con la locuzione Paritur pax bello, vale a dire "la pace si ottiene con la guerra", e soprattutto da Cicerone con la celebre frase Si pace frui volumus, bellum gerendum est (Philippicae, VII, 6,19) tratta dalla Settima filippica, che letteralmente significa "Se vogliamo godere della pace, bisogna fare la guerra", che fu una delle frasi che costarono la vita al grande Arpinate nel conflitto con Marco Antonio.

Blog dedicato agli appassionati di DIFESA, 
storia militare, sicurezza e tecnologia. 


La bandiera è un simbolo che ci unisce, non solo come membri 
di un reparto militare 
ma come cittadini e custodi di ideali.
Valori da tramandare e trasmettere, da difendere
senza mai darli per scontati.
E’ desiderio dell’uomo riposare
là dove il mulino del cuore non macini più
pane intriso di lacrime, là dove ancora si può sognare…
…una vita che meriti di esser vissuta.
Ripensare la guerra, e il suo posto
nella cultura politica europea contemporanea,
è il solo modo per non trovarsi di nuovo davanti
a un disegno spezzato
senza nessuna strategia
per poterlo ricostruire su basi più solide e più universali.
Se c’è una cosa che gli ultimi eventi ci stanno insegnando
è che non bisogna arrendersi mai,
che la difesa della propria libertà
ha un costo
ma è il presupposto per perseguire ogni sogno,
ogni speranza, ogni scopo,
che le cose per cui vale la pena di vivere
sono le stesse per cui vale la pena di morire.
Si può scegliere di vivere da servi su questa terra, ma un popolo esiste in quanto libero, 
in quanto capace di autodeterminarsi,
vive finché è capace di lottare per la propria libertà: 
altrimenti cessa di esistere come popolo.
Qualcuno è convinto che coloro che seguono questo blog sono dei semplici guerrafondai! 
Nulla di più errato. 
Quelli che, come noi, conoscono le immense potenzialità distruttive dei moderni armamenti 
sono i primi assertori della "PACE". 
Quelli come noi mettono in campo le più avanzate competenze e conoscenze 
per assicurare il massimo della protezione dei cittadini e dei territori: 
SEMPRE!
….Gli attuali eventi storici ci devono insegnare che, se vuoi vivere in pace, 
devi essere sempre pronto a difendere la tua Libertà….
La difesa è per noi rilevante
poiché essa è la precondizione per la libertà e il benessere sociale.
Dopo alcuni decenni di “pace”,
alcuni si sono abituati a darla per scontata:
una sorta di dono divino e non, 
un bene pagato a carissimo prezzo dopo innumerevoli devastanti conflitti.…
…Vorrei preservare la mia identità,
difendere la mia cultura,
conservare le mie tradizioni.
L’importante non è che accanto a me
ci sia un tripudio di fari,
ma che io faccia la mia parte,
donando quello che ho ricevuto dai miei AVI,
fiamma modesta ma utile a trasmettere speranza
ai popoli che difendono la propria Patria!
Violenza e terrorismo sono il risultato
della mancanza di giustizia tra i popoli.
Per cui l'uomo di pace
si impegna a combattere tutto ciò 
che crea disuguaglianze, divisioni e ingiustizie.
Signore, apri i nostri cuori
affinché siano spezzate le catene
della violenza e dell’odio,
e finalmente il male sia vinto dal bene…
Come i giusti dell’Apocalisse scruto i cieli e sfido l’Altissimo: 
fino a quando, Signore? Quando farai giustizia?
Dischiudi i sette sigilli che impediscono di penetrare il Libro della Vita 
e manda un Angelo a rivelare i progetti eterni, 
a introdurci nella tua pazienza, a istruirci col saggio Qoelet:
“””Vanità delle vanità: tutto è vanità”””.
Tutto…tranne l’amare.

(Fonti: https://svppbellum.blogspot.com/, Web, Google, DefenseMedia, Wikipedia, You Tube)


























L'Incrociatore USS Philadelphia della US NAVY, anch'esso colpito dalla bomba planante FRITZ-X.








 

giovedì 26 dicembre 2024

REGIA MARINA ITALIANA: il MAS 96 è attualmente una nave museo al Vittoriale degli italiani a Gardone Riviera. Si tratta di un motoscafo in legno di tipo Orlando da 12 tonnellate di dislocamento, una serie che comprese i MAS dal 91 al 102 e da 218 a 232, in legno con carena a spigolo e 27 nodi circa di velocità di punta.









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storia militare, sicurezza e tecnologia. 
La bandiera è un simbolo che ci unisce, non solo come membri 
di un reparto militare 
ma come cittadini e custodi di ideali.
Valori da tramandare e trasmettere, da difendere
senza mai darli per scontati.
E’ desiderio dell’uomo riposare
là dove il mulino del cuore non macini più
pane intriso di lacrime, là dove ancora si può sognare…
…una vita che meriti di esser vissuta.








Il MAS 96 è attualmente una nave museo al Vittoriale degli italiani a Gardone Riviera.



Fondamentalmente si tratta di un motoscafo in legno di tipo Orlando da 12 tonnellate di dislocamento, una serie che comprese i MAS dal 91 al 102 e da 218 a 232, in legno con carena a spigolo e 27 nodi circa di velocità di punta; avevano 8 uomini di equipaggio e armamento costituito generalmente da 2 siluri e alcune bombe di profondità, oltre che  da una mitragliatrice o da un cannoncino.
Questa unità partecipò, con a bordo l'allora capitano di fregata Costanzo Ciano, il comandante Luigi Rizzo e il poeta Gabriele D'Annunzio, alla Beffa di Buccari (la notte dell'11 febbraio 1918) insieme con i MAS 94 e 95.
Oltre a questa è presente un'altro MAS risalente al primo conflitto mondiale: il MAS 15 esposto al Sacrario delle bandiere al Vittoriano di Roma.
Oltre a queste due altri MAS sono conservate:  il MAS 472 a Marina di Ravenna e il MAS 473 al museo storico navale di Venezia assieme alla motozattera MZ 737 e al sommergibile Enrico Dandolo.

Il Motoscafo Armato Silurante più conosciuto con la sigla MAS era una piccola imbarcazione militare usata come mezzo d’assalto veloce dalla Regia Marina durante la prima e la seconda guerra mondiale.

I MAS, derivati dalla tecnologia dei motoscafi civili con 2 motori a benzina a combustione interna da 500 cavalli l’uno, compatti e affidabili, ebbero un’ampia diffusione nella Regia Marina durante la guerra del 1915-18. Montavano motori entro-fuoribordo di concezione automobilistica, di grande potenza ed efficienza, ad iniezione diretta, ovviando in tal modo ai problemi di carburazione del motore dovuti alla scarsa raffinazione del benzene usato come carburante. I primi modelli furono prodotti dalle officine Fraschini e furono successivamente modificati e prodotti dal Cantiere Orlando, di Livorno, da dove uscirono i MAS impiegati da D’Annunzio.
Alcuni esemplari (ad esempio quello usato da D’Annunzio e da Luigi Rizzo nella beffa di Buccari, azione di disturbo alla flotta austro-ungarica ancorata nella baia di Buccari), montavano due motori ridondanti, uno a servizio dell’altro, nell’ottica d’incremento puro d’efficienza e affidabilità del mezzo navale. Lo stesso D’Annunzio coniò dalla sigla MAS la locuzione latina "Memento audere semper".
I MAS potevano essere utilizzati sia come pattugliatori antisommergibile, che come mezzi da attacco insidioso alle navi della flotta austro-ungarica, a seconda degli equipaggiamenti.  
Un grande successo, conseguito dai MAS durante la prima guerra mondiale, fu l’affondamento presso Premuda, sulla costa dalmata, della corazzata austriaca Szent István, all’alba del 10 giugno 1918, durante un agguato condotto da Rizzo, che colpì a sorpresa la nave.
Mentre l’imbarcazione italiana si allontanava nella confusione, la Szent István accusò un colpo mortale. Nonostante fosse molto moderna e potente, non aveva una sufficiente protezione subacquea: le valvole di bilanciamento erano poco praticabili e posizionate sotto il ponte caldaie, praticamente inaccessibili, e dopo poco tempo si rovesciò, affondando.
L’azione della flotta austro-ungarica, indirizzata alla distruzione della barriera che nel basso Adriatico, nel Canale d’Otranto, imbottigliava i suoi sommergibili con una rete metallica lunga 60 km e una serie di schermi di pattuglia, venne annullata e, dopo di allora, non vi furono più tentativi degni di nota.

Dopo la Prima Guerra Mondiale, i MAS continuarono ad essere sviluppati e migliorati, grazie ai motori della Isotta Fraschini.


Fondamentalmente si trattava di un motoscafo da 20 – 30 tonnellate di dislocamento (a seconda della classe), con una decina di uomini di equipaggio e armamento costituito generalmente da due siluri e alcune bombe di profondità antisommergibile, oltre a una mitragliatrice o a un cannoncino.
I MAS, derivati dalla tecnologia dei motoscafi civili con 2 motori a benzina a combustione interna da 500 cavalli l’uno, compatti e affidabili, ebbero un’ampia diffusione nella Regia Marina durante la guerra del 1915-18. Montavano motori entro-fuoribordo di concezione automobilistica, di grande potenza ed efficienza, ad iniezione diretta, ovviando in tal modo ai problemi di carburazione del motore dovuti alla scarsa raffinazione del benzene usato come carburante. I primi modelli furono prodotti dalle officine Fraschini e furono successivamente modificati e prodotti dal Cantiere Orlando, di Livorno, da dove uscirono i MAS impiegati da D’Annunzio.
Alcuni esemplari (ad esempio quello usato da D’Annunzio e da Luigi Rizzo nella beffa di Buccari, azione di disturbo alla flotta austro-ungarica ancorata nella baia di Buccari), montavano due motori ridondanti, uno a servizio dell’altro, nell’ottica d’incremento puro d’efficienza e affidabilità del mezzo navale. 
Dopo alcuni decenni in cui la marina italiana, potente ma anche legata a mari assai chiusi e indicati per mezzi navali costieri, aveva impiegato mezzi veloci siluranti, ma con problemi dovuti all’indisponibilità di potenti motori a benzina, il problema della propulsione venne risolto con nuovi prodotti della Isotta-Fraschini, che consentirono la realizzazione di unità veloci e più efficienti. 




Nacquero così i MAS 500: nel 1940 ne erano in servizio 48 e ne furono prodotte 75 unità tra il 1937 e il 1941. 

Efficienti in acque assai calme, la loro carena tonda, però, non li rendeva adatti a mari più agitati. All’entrata in guerra dell’Italia, la Regia Marina disponeva di tre flottiglie MAS: la Iª (nel 1941 ribattezzata Xª), la IIª e la IIIª. Tra gli eventi degni di nota, vi furono: il siluramento dell’incrociatore leggero Capetown sudafricano (sia il siluratore che il silurato erano residuati della guerra precedente); il fallito attacco al porto di Malta nel gennaio 1941, con la perdita di due motosiluranti di supporto alla missione; l’impiego nel Mar Nero contro la flotta sovietica, con alcuni sommergibili russi affondati quando sorpresi in superficie vicino alle basi; la battaglia di mezzo agosto, in cui i MAS contribuirono ad infliggere perdite di mercantili agli inglesi.

Tuttavia in quel periodo i MAS, unità veloci a scafo poco marino con chiglia assai piatta, simili a grossi motoscafi, erano ormai in declino. Essendo adatti a mari chiusi e poco mossi, come l’Adriatico, nel Mediterraneo entravano in gioco pesantemente la loro modesta tenuta al mare (e quindi la velocità effettivamente sostenibile), la loro limitata autonomia, i siluri e l’insufficiente armamento antiaereo (solo una mitragliera).


Attualmente sono conservati in Italia quattro MAS:

  • MAS 15, risalente al primo conflitto mondiale, conservato al Vittoriano (Roma), è sicuramente l’unità storicamente più importante in quanto fu il MAS che, al comando del Tenente di Vascello Luigi Rizzo, fu protagonista dell’impresa di Premuda;
MAS 96, risalente al primo conflitto mondiale: fu il MAS su cui era imbarcato D’Annunzio durante la missione rinominata “beffa di Buccari”; è sistemato al Vittoriale degli italiani (Gardone Riviera);

  • MAS 472, risalente al secondo conflitto mondiale e ora situato a Marina di Ravenna;

  • MAS 473, gemello del precedente, conservato al Museo storico navale di Venezia, insieme con la motozattera MZ 737 e il sottomarino Dandolo.

  • Due MAS (uno sigla 104) sono in stato di abbandono, nel porto di Schengjin in Albania.





L’INCURSIONE  BEFFARDA NELLA BAIA DI BUCCARI

Nella notata tra il 10 e l’11 febbraio 1918 i MAS 94, MAS 95 e MAS 96, rispettivamente al comando dell’allora capitano di corvetta Luigi Rizzo, del tenente di vascello Edoardo Profeta De Santis e del sottotenente Andrea Ferrarini, guidati dal capitano di fregata Costanzo Ciano, compirono un’impresa storica. 



I Motoscafi Armati Siluranti erano rimorchiati ognuno da una torpediniera con la protezione di unità leggere. L’operazione era stata pianificata dopo una preventiva ricognizione di un ricognitore idrovolante Macchi M5 su Pola, Fiume e Buccari, che consentì di acquisire un importante materiale fotografico dove si evidenziava la presenza a Pola di 4 unità classe “Viribus”, tre “Radetzki”, tre “Erzherzog”, una “Monarch”, due esploratori e vari cacciatorpediniere. A questi si aggiungevano 23 piroscafi nel porto di Fiume e 4 navi a Buccari.




Dopo 14 ore di navigazione, alle 22.00 del 10 febbraio, i 3 MAS iniziarono il loro pericoloso trasferimento dalla zona compresa tra l’isola di Cherso e la costa istriana fino alla baia di Buccari dove, secondo le informazioni dello spionaggio italiano, sostavano unità nemiche sia mercantili sia militari. Il poeta Gabriele D’Annunzio, allora maggiore di cavalleria, si trovava a bordo del MAS 96 insieme a Luigi Rizzo. Per un cattivo funzionamento dei siluri nessun bersaglio viene colpito, ma D’Annunzio seminò nella baia tre bottiglie contenenti un messaggio di sfida che sarà ricordato come la “Beffa di Buccari”
Pur non avendo prodotto danni, l’impresa costrinse il nemico ad impegnarsi nella ricerca di nuove strategie di difesa e di vigilanza, ed ebbe “una influenza morale incalcolabile”, specialmente dopo la tragica ritirata strategica di Caporetto. L’audacia dell’impresa trova riscontro di essere nel percorso di 50 miglia tra le maglie della difesa costiera nemica, anche se l’attacco non riuscì, dato che i siluri lanciati dalle tre motosiluranti si impigliarono nelle reti che erano a protezione dei piroscafi alla fonda. Le unità italiane riuscirono successivamente a riguadagnare il largo tra l’incredulità dei posti di vedetta austriaci che non credettero possibile che unità italiane fossero entrate fino in fondo al porto, e che non reagirono con le armi ritenendo dovesse trattarsi di naviglio austriaco.
Le tre bottiglie lasciate in mare da D’Annunzio erano adornate da nastri tricolori recanti un satirico messaggio che recitava: “In onta alla cautissima Flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d’Italia, che si ridono d’ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre ad osare l’inosabile. E un buon compagno, ben noto, il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro, è venuto con loro a beffarsi della taglia“.
L’attacco eroico di Buccari ebbe in seguito una grande risonanza a livello di opinione pubblica e sui giornali del tempo. La Prima Guerra Mondiale, ancora una volta, era stata un banco di prova e in questo caso la Regia Marina aveva ancora una volta sperimentato un’arma: quella della guerra psicologica. Un aspetto che cominciava ad avere un preciso rilievo, anche per la partecipazione diretta di Gabriele D’Annunzio, che abilmente orchestrò i risvolti propagandistici dell’azione.
A seguito dell’evento beffardo di Buccari, il Comando della Marina austriaca, in risposta tentò un attacco diretto contro i MAS ormeggiati nel porto di Ancona; il tentativo fallì miseramente dissuadendoli da ulteriori attacchi.






Ripensare la guerra, e il suo posto
nella cultura politica europea contemporanea,
è il solo modo per non trovarsi di nuovo davanti
a un disegno spezzato
senza nessuna strategia
per poterlo ricostruire su basi più solide e più universali.
Se c’è una cosa che gli ultimi eventi ci stanno insegnando
è che non bisogna arrendersi mai,
che la difesa della propria libertà
ha un costo
ma è il presupposto per perseguire ogni sogno,
ogni speranza, ogni scopo,
che le cose per cui vale la pena di vivere
sono le stesse per cui vale la pena di morire.
Si può scegliere di vivere da servi su questa terra, ma un popolo esiste in quanto libero, 
in quanto capace di autodeterminarsi,
vive finché è capace di lottare per la propria libertà: 
altrimenti cessa di esistere come popolo.
Qualcuno è convinto che coloro che seguono questo blog sono dei semplici guerrafondai! 
Nulla di più errato. 
Quelli che, come noi, conoscono le immense potenzialità distruttive dei moderni armamenti 
sono i primi assertori della "PACE". 
Quelli come noi mettono in campo le più avanzate competenze e conoscenze 
per assicurare il massimo della protezione dei cittadini e dei territori: 
SEMPRE!
….Gli attuali eventi storici ci devono insegnare che, se vuoi vivere in pace, 
devi essere sempre pronto a difendere la tua Libertà….
La difesa è per noi rilevante
poiché essa è la precondizione per la libertà e il benessere sociale.
Dopo alcuni decenni di “pace”,
alcuni si sono abituati a darla per scontata:
una sorta di dono divino e non, 
un bene pagato a carissimo prezzo dopo innumerevoli devastanti conflitti.…
…Vorrei preservare la mia identità,
difendere la mia cultura,
conservare le mie tradizioni.
L’importante non è che accanto a me
ci sia un tripudio di fari,
ma che io faccia la mia parte,
donando quello che ho ricevuto dai miei AVI,
fiamma modesta ma utile a trasmettere speranza
ai popoli che difendono la propria Patria!
Violenza e terrorismo sono il risultato
della mancanza di giustizia tra i popoli.
Per cui l'uomo di pace
si impegna a combattere tutto ciò 
che crea disuguaglianze, divisioni e ingiustizie.
Signore, apri i nostri cuori
affinché siano spezzate le catene
della violenza e dell’odio,
e finalmente il male sia vinto dal bene…
Come i giusti dell’Apocalisse scruto i cieli e sfido l’Altissimo: 
fino a quando, Signore? Quando farai giustizia?
Dischiudi i sette sigilli che impediscono di penetrare il Libro della Vita 
e manda un Angelo a rivelare i progetti eterni, 
a introdurci nella tua pazienza, a istruirci col saggio Qoelet:
“””Vanità delle vanità: tutto è vanità”””.
Tutto…tranne l’amare.

(Fonti: https://svppbellum.blogspot.com/, Web, Google, Zambracca, GiornidiStoria, Wikipedia, You Tube)
























 

FORZE ARMATE RUSSE 1995: Kamov Ka-50 (in cirillico: Камов Ка-50, nome in codice NATO: Hokum) (in russo: Čërnaja Akula), era un elicottero d'attacco monoposto a rotori coassiali controrotanti.

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