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mercoledì 16 ottobre 2024

SEZIONE A.N.M.I. DI TORINO: in data 11 ottobre 2024 ho avuto l’onore di visitare la locale sezione ANMI, il museo annesso, la sezione centrale del Regio sommergibile Andrea Provana, risalente alla Prima Guerra Mondiale e alcuni reperti già in dotazione alla Marina Militare italiana…








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…una vita che meriti di esser vissuta.





In data 11 ottobre 2024, durante un breve soggiorno a Torino, venuto a conoscenza della presenza presso il Parco del Valentino degli importanti resti del Regio sommergibile Andrea Provana, risalente alla Prima Guerra Mondiale, ho deciso di avviarmi a piedi, a passo sostenuto, per raggiungere la locale sede dell’A.N.M.I.. 


Sono stato accolto, unitamente ad alcuni turisti inglesi, con una gentilezza fuori dal comune, resistente al passare degli anni e delle incombenze del tempo. 

Un ex marinaio di origine sarda Andrea MARROCCU, ci ha accompagnato spiegando ogni caratteristica tecnica dei reperti ivi accuratamente e gelosamente conservati, tra cui: le centraline di tiro dei siluri A-184, la centrale operativa del complesso radar S.M.A. SPQ-5, il mini sommergibile telecomandato MIN Mk.2 e alcuni siluri anni ’60 e ’70 (disattivati).


CENTRALE DI TIRO DEI SILURI DA 533 mm A-184


SILURO A-244


SMG ANDREA PROVANA





CABINA DEL COMANDANTE DEL SMG PROVANA



MIN MK2





UNO SCORCIO DEL MUSEO




Non ho potuto nascondere la mia sorpresa nel rilevare l’ottimo stato di conservazione soprattutto dei resti della parte centrale superiore del Regio sommergibile Provana. Dietro mia insistenza, è stato possibile entrare all’interno del smg e visitare la centrale di manovra, il periscopio di avvistamento e la bellissima stanzetta riservata al comandante, il solo che poteva fruire di un piccolo lettino munito di materasso e di una scrivania con cassetti; gli altri membri dell’equipaggio, a turno riposavano su brandine-volanti, spesso ricavate nella camera di lancio dei siluri (!). Sono stato colpito dalla presenza di un boccaporto nella parte posteriore della torretta: una volta dentro è perfettamente conservata una cucina a carbone, utilizzata in emersione dall’equipaggio.

LA STORIA della “Società di Mutuo Soccorso” fra i militari della Regia Marina, poi diventata l’Associazione Nazionale Marinai d’Italia (A.N.M.I.)

Nel lontano 1896, a cura del Sottocapo timoniere Giuseppe Torta, nasceva a Torino la Società di Mutuo Soccorso fra i militari della Regia Marina, che negli anni successivi sarebbe poi diventata l’A.N.M.I..
La sede più antica d'Italia è stata opera dei marinai della Regia Marina. L'ANMI Torino testimonia l'antico storico rapporto del Piemonte con il mare. La sede dispone di una ricca biblioteca dedicata alla Marina Militare e Civile, un'area espositiva di vari cimeli donati negli anni dai soci e vanta la presenza di un cimelio risalente alla Prima Guerra Mondiale: la parte centrale del Sommergibile Andrea Provana (1918-1928) gratuitamente visitabile.

IL CIMELIO DEL REGIO SOMMERGIBILE PROVANA CHE SI PUO’ VISITARE nel Parco del Valentino, in viale Marinai d’Italia, 1

L'Andrea Provana è stato un sommergibile della Regia Marina. Entrato in servizio nel settembre 1918, quando ormai la prima guerra mondiale volgeva al termine, ed assegnato – sotto il comando del capitano di corvetta Ubaldo degli Uberti – alla I Flottiglia Sommergibili di La Spezia, non prese parte ad alcuna azione bellica.
Nell'ottobre 1920 fu assegnato all'Accademia Navale di Livorno ed impiegato nell'addestramento degli allievi.


Nel 1923, durante la crisi di Corfù, quando la flotta italiana occupò quell’isola con uno sbarco, il Provana – insieme al gemello Barbarigo –, al comando del capitano di fregata Achille Gaspari Chinaglia, fu tenuto (emerso) di retroguardia durante lo sbarco, venendo poi dislocato in agguato su una delle due rotte che conducevano a Corfù (all'altra fu destinato il Barbarigo): i due sommergibili sarebbero serviti a proteggere la squadra navale italiana da un eventuale contrattacco da parte di navi greche.
Prese parte alle esercitazioni del 1926 e del 1927.
Il 30 marzo 1927, mentre il sommergibile si trovava a Portoferraio, ci fu uno scoppio causato dal motore diesel di dritta: rimasero feriti 6 uomini. Trainato a La Spezia, il sommergibile, ormai superato, non fu neanche riparato: fu posto in disarmo e quindi radiato il 21 gennaio dell'anno seguente. Fu poi demolito.
Durante l'esposizione mondiale del 1928 la sezione centrale del sommergibile, comprendente la torretta, fu collocata a Torino, davanti al padiglione della Regia Marina.
Conclusasi l'esposizione, tale parte del Provana fu acquistata dall'ANMI di Torino, che la collocò, nel 1933, nel Parco del Valentino, nei pressi della propria sede (viale Marinai d'Italia 1), ove si trova tuttora, visitabile gratuitamente previo appuntamento.
Ricorrendo nell'anno 2015 il centenario della messa in cantiere dell'unità navale, domenica 12 aprile nel corso dei festeggiamenti, è stata riattivata a bordo del sommergibile una stazione radio che ha riportato nell'etere i segnali radiotelegrafici e radiofonici del Sommergibile A. Provana dando nuovamente voce all'unità ormai silente da 88 anni.

L’Agostino Barbarigo - unità capoclasse dell’Andrea Provana, è stato un sommergibile della Regia Marina.

In servizio nel settembre 1918, al comando del capitano di corvetta Carlo De Donato, non ebbe modo di prendere parte al primo conflitto mondiale, che volgeva ormai al termine.


A guerra finita fu assegnato alla «Flottiglia Sommergibili di grosso tonnellaggio» e dislocato a La Spezia.
Durante la crisi di Corfù, quando la flotta italiana occupò quell’isola con uno sbarco, il Barbarigo – insieme al gemello Provana – fu tenuto (emerso) di retroguardia durante lo sbarco, venendo poi dislocato in agguato su una delle due rotte che conducevano a Corfù (all'altra fu destinato il Provana): i due sommergibili sarebbero serviti a proteggere la squadra navale italiana da un eventuale contrattacco da parte di navi greche.
Prese parte alle grandi esercitazioni del 1924 e del 1925; comandante dell'unità, in quel periodo, era il capitano di corvetta Raffaele De Courten. Ormai superato, il 18 dicembre 1925 fu assegnato all'Accademia Navale di Livorno come unità addestrativa.
Il 18 marzo 1928 (comandante dell'unità era il capitano di corvetta Edoardo Somigli, futuro ammiraglio di squadra nella Marina Militare e comandante del Centro alti studi per la difesa dal 1º settembre 1949 al 31 agosto 1956) fu assegnato alla I Flottiglia Sommergibili.
Radiato il 1º maggio 1928, fu avviato alla demolizione.

Andrea II Provana di Leynì (Leinì, 1520 circa – Nizza, 29 maggio 1592) è stato un ammiraglio sabaudo.

Deve la sua fama per aver comandato, nel 1571, la flotta sabauda nella battaglia di Lepanto contro l'Impero ottomano.


Nacque intorno al 1520, forse nel castello di Leinì, figlio del conte Giacomo III e della nizzarda Anna Grimaldi di Boglio. L'anno di nascita era stato fissato dallo storico chierese Carlo Tenivelli (1754-1797) al 1511. Tuttavia, Arturo Segre (1873-1928) nel corso delle sue ricerche, poi confluite in un saggio apparsi per i tipi dell'Accademia dei Lincei, verificò che i genitori si sposarono nel 1518. Egli poté quindi porre la sua nascita fra 1519 e 1524 (quest'ultima data si desume dal fatto che nel 1545 dichiarava di aver già superato i ventun anni).
Provana fu, com'è stato scritto, «la figura che in tutti i momenti più importanti della storia piemontese, durante la seconda metà del XVI secolo, spiccò sopra ogni altra accanto a quella del duca Emanuele Filiberto I di Savoia», con il quale combatté nel castello di Nizza, durante la guerra contro Enrico II di Francia, con l'incarico di maestro di campo generale, e luogotenente generale.
Si distinse nella guerra delle Fiandre, dove è ricordata nel 1553 una sua solitaria missione: infiltratosi tra le file dell'esercito nemico che assediava la piazzaforte di Bapaume, tra il confine del Belgio e lo stretto di Calais, riuscì con un'azione di intelligence a far riportare al duca di Savoia, comandante dell'esercito imperiale, una vittoria sull'esercito francese. Mentre tre anni più tardi, nel 1556, fu incaricato di provvedere alle fortificazioni di Villafranca marittima, il porto di Nizza, e di allestire una flottiglia da guerra.
Secondo alcuni storici, con Andrea Provana si può fissare la vera origine della marina piemontese, destinata un giorno a conglobare tutte quelle della nazione italiana. La sua fedeltà fu peraltro ricompensata, con la nomina a Capitano Generale della flotta sabauda e Governatore di Nizza. Nella Savoia, e a Nizza, è ricordato per aver represso con durezza una sedizione messa in atto da un gruppo di Ugonotti ribellatisi al duca di Savoia: i capi della congiura furono catturati e giustiziati.
Navigò su ordine del Duca in varie imprese contro i pirati barbareschi, e in soccorso della flotta spagnola contro i Turchi. Degna di menzione è, in tal senso, la sua partecipazione, nel 1563, alla riconquista di Peñón de Vélez de la Gomera, sulla costa marocchina, dal 1522 in mano ai barbareschi che minacciavano le comunicazioni con lo stretto di Gibilterra. Un'altra impresa di Andrea Provana rimonta al 1565, con la partecipazione alla liberazione di Malta dai Turchi.
L'impresa che gli diede celebrità storica, fu, nel 1571, la partecipazione alla Battaglia di Lepanto, quale ammiraglio della flotta del Ducato di Savoia. Durante il corso della battaglia fu colpito alla testa, ma sì salvò grazie al "morione" che ammortizzò l'impatto. Il morione gli era stato donato da Francesco Maria II della Rovere, Duca di Urbino, che aveva chiesto di salpare con la "Capitana" del Provana, desiderando combattere sopra le navi del duca di Savoia, e al fianco dell'Ammiraglio. Su quella Galea, peraltro, era salita anche la quinta compagnia del reggimento lombardo di Francesco Paolo Sforza di Caravaggio, comandata dal capitano Gianbattista Bonarelli della Rovere. Due giorni dopo la vittoria contro l'Impero ottomano, Andrea Provana, dal porto di Petalà, mandò al duca di Savoia una relazione che rimane uno dei più interessanti resoconti dell'intero svolgimento della battaglia. Per questa impresa, egli ottenne numerosi riconoscimenti, vitalizi, titoli e onorificenze, quali quelle di Grande Ammiraglio dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, e il "Collare" dell'Ordine Supremo della Santissima Annunziata.
Morì a Nizza nel maggio del 1592. Le sue spoglie, inizialmente deposte a Villafranca marittima, vennero in seguito trasportate nella cappella di famiglia a Frossasco.
Riconoscimenti:
  • La città di Torino gli ha dedicato una via, nella zona centrale della città;
  • La Regia Marina ha battezzato con il suo nome due sommergibili: il primo della classe Barbarigo, varato nel 1918, il secondo appartenente alla classe Marcello, nel 1938.

IL RADAR SARCHIAPONE SPQ 5 E I DERIVATI

L'MM/SPQ-5 “Sarchiapone” era un radar operativo in banda X per la sorveglianza marittima di superficie, sviluppato come radar sperimentale OTH per lo studio della propagazione delle onde tramite canalizzazioni.



LA CENTRALINA DEL RADAR SMA SPQ5 CONSERVATA A TORINO








L'antenna era un'antenna parabolica simmetrica con un diametro di 3 metri e un riflettore ausiliario iperbolico Cassegrain. Il riflettore parabolico era molto più grande del necessario, con il risultato di avere lobi laterali estremamente ridotti. Il trasmettitore e il ricevitore erano stati montati direttamente sull'antenna.
L'MM/SPQ-5 è stato installato sulla fregata italiana “Alpino” (F 580) dal 1973 al 1987. Era in grado di localizzare gli aerei durante il loro decollo dalla portaerei “Kennedy” a una distanza di 350 miglia nautiche.
L'antenna del SPQ-5 (a.k.a. Sarchiapone) aveva un doppio sistema di riflessione, che la rendeva, appunto, adatta ad emissioni "a spillo". 
Venne utilizzata anche dall'Ardito negli anni 1978-1982 (circa) come componente sperimentale del sistema di comunicazione satellitare Sirio. Poi il progetto fu abbandonato. Per usarla come arma Directed Energy bisognerebbe poter fare il tracking con elevata precisione. Non sarebbe da escludere, ma....bisognerebbe trovare chi progetta il sistema. Un tempo molto, molto lontano, la MMI aveva una notevole capacità al suo interno, oggi (da molto tempo) non più.
Per gli appassionati di storia, il Sarchiapone, nella versione campale, venne impiegato come radar della difesa costiera.
Uno venne installato vicino a La Spezia (loc. Castellana), uno a Taranto (San Vito), ed uno vicino a Venezia (Piave Vecchia). Quest'ultimo venne poi trasferito in Sicilia, a Capo Passero, in località Cozzo Spadaro, da dove (quando tutto andava bene) poteva addirittura controllare il traffico che si svolgeva lungo le coste libiche.
La realizzazione del sistema radar Co.Ra (Condotto Radar), era un’invenzione dell’allora Capitano di Fregata Calzeroni, che intuì la possibilità di mettere a punto un radar idoneo a segnalare a grande distanza la presenza di sottomarini in immersione, sfruttando il fenomeno della ionizzazione dell’aria. Tale fenomeno si verifica a causa dell’umidità tra la superficie marina e lo strato atmosferico superficiale: a causa di una massa metallica immersa, il campo magnetico ha una deflessione che può essere rilevata impiegando un particolare tipo di sistema radar munito di trasmettitore di potenza adeguata e ricevitore molto sensibile.
Sulla base di tali intuizioni, venne realizzato e provato a bordo della nave esperienze Quarto il radar SPQ-5A.
A causa della segretezza che aleggiava sulla sua realizzazione, fu scherzosamente denominato “Sarchiapone”. L’antenna operava in banda X con potenza di 2.000 Kw di picco e con antenna provvista di doppia focalizzazione (feeder >riflettore conico>disco riflettore d’antenna) in grado di ottenere un fascio molto stretto con apertura di 1° e 30’.
Durante i primi esperimenti ci si rese conto che il sistema era in grado d’individuare la presenza di unità navali di superficie a grandissima distanza a causa di un fenomeno naturale denominato “Condotto Radar”, formato da uno stretto spazio superficiale di pochi metri e di ampiezza estremamente variabile, che si crea con umidità dell’ordine di 80%-95% e che funge da guida d’onda; è lo stesso tipo di fenomeno che si crea a frequenze ottiche e che è denominato “Fata Morgana”.
Un apparato SPQ-5A fu imbarcato dal 1973 al 1987 a bordo della fregata Alpino, che durante un test riesci ad individuare aerei in decollo dalla portaerei Kennedy ad una distanza di 350 miglia.
Tre apparati vennero basati a terra alla Spezia, Taranto e Venezia. Quello veneto era in grado di intercettare, a considerevole distanza, il traffico aereo della base di Amendola, nei pressi di Foggia.
Fu progettata una rete costiera per la sorveglianza di tutto il Mediterraneo, ma la rinuncia al progetto venne determinata dall’incostanza del fenomeno e dalla necessità d’installare antenne a livello del “Condotto Radar” e quindi a quote molto basse.
Un altro apparato SPQ-5A fu imbarcato a bordo del cacciatorpediniere Ardito, per consentire l’impiego dell’unità nell’ambito del progetto “Sirio” dal 1979 al 1980; l’apparecchiatura fu utilizzata come ricevitore UHF per le telecomunicazioni satellitari.
Una diversa soluzione tecnica, in seguito abbandonata, fu progettata utilizzando l’apparato SPQ-4B “Bastardone” o “BST-1”, così chiamato per la molteplicità della apparecchiature, che lo componevano: antenna radar Orion 10X, guide d’onda e motori di brandeggio dell’SPS-702, ricevitore dell’SPQ-5, e consolle dell’SPQ-2; l’apparato fu imbarcato a bordo del Quarto e posizionato ad estrema prora dell’unità.
Un’ulteriore evoluzione del “Sarchiapone” era il Co.Ra SPS-702A installato a bordo delle fregate della classe “Lupo”: a causa della delicatezza e leggerezza delle apparecchiature, queste furono posizionate in un “radome”, per essere protette dal vento.
Il compito del Co.Ra era quello di teleguidare i missili nave-nave TESEO oltre l’orizzonte radar verso i bersagli, senza dover ricorrere all’impiego di un elicottero, con il vantaggio per l’unità di avere minori probabilità di essere individuata da parte delle contromisure ECM-ECCM ostili.

IL RICORDO DI MASSIMO ANNATI A PROPOSITO DEL “SARCHIAPONE”

Tra coloro che oggi hanno qualche capello grigio, molti ricordano ancora una storiella raccontata da Walter Chiari negli anni Sessanta, in cui un povero viaggiatore cercava disperatamente di indovinare la datrici di cui misterioso animale denominato «Sarchiapone» appartenente al vicino di scompartimento, tenuto dentro una strana cappelliera. Alla fine, sconfitto e infuriato, rinunciava, lasciando lo scompartimento libero, mentre si scopriva che il « Sarchiapone» non esisteva affatto.
Il termine « Sarchiapone» è stato quindi assunto da tutta una generazione, come scherzoso sinonimo di mistero incomprensibile.
Tuttavia, per chi ha speso la propria vita in Marina, questo termine ha anche una diversa connotazione, dato che indicava in gergo navale, un progetto molto segreto e molto promettente. Tutto incominciò da un'intuizione dell'allora capitano di fregata Calzeroni, all'epoca destinato al Centro Addestramento Aeronavale di Taranto. In presenza di una massa metallica immersa, come appunto quella di un sommergibile, il campo magnetico
avrebbe dovuto subire una deflessione.
Se si fosse stati in grado di valutarla, si sarebbe potuto migliorare significativa¬mente il raggio di scoperta delle unità anti-sommergibili. Il principio era già noto e sfruttato dai MAD (appunto Magnetic Anomaly Detector) degli aerei da pattugliamento marittimo. Questo sistema, tuttavia (ed è una grande differenza) sarebbe stato basato non sulla misurazione «passiva» del campo magnetico terrestre, ma sull'impiego di un trasmettitore radar, misurando le variazioni sul segnale ricevuto. In definitiva, com'è noto ai molti che navigano, la «spazzata» di un radar è spesso sufficiente a provocare lo sfarfallio nei tubi al neon in plancia, grazie alla differenza di potenziale che si genera in occasione del passaggio delle onde elettromagnetiche.
Calzeroni si basava sul fatto che in condizioni di normale umidità, in prossimità della superficie marina si trovano un gran numero di ioni liberi, il cui orienta¬mento (spin) è legato alla presenza del campo magnetico terrestre. La massa ferromagnetica di un sommergibile avrebbe provocato negli ioni un differente orientamento. In presenza del passaggio del fronte dell'onda elettromagnetica emessa dal radar gli ioni si sarebbero orientati diversamente, per poi ritornare immediatamente dopo nella posizione precedente. Questa deviazione avrebbe assorbito energia, che sarebbe poi stata riemessa all'atto del riorientamento. Il ricevitore del radar avrebbe dovuto essere
in grado di registrare la debolissima energia emessa in tale fase, che sarebbe stata differente nel caso che l'orientamento iniziale fosse stato quello dovuto al campo magnetico terrestre oppure alla presenza del sommergibile. L'idea non era del tutto nuova. Negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale i giapponesi avevano tentato di sfruttare l'esistenza di ponti radio tra le isole dell'arcipelago allo scopo di scoprire il transito di navi e sommergibili attraverso i passaggi obbligati. La fluttuazione del segnale legato alla variazione del campo magnetico, a causa della temporanea presenza di una massa metallica, avrebbe dovuto fungere da allerta per la difesa costiera.
La differenza sostanziale tra il concetto giapponese e quello italiano riguardava il fatto che il sistema ideato da Calzeroni prevedeva di misurare la debolissima energia emessa dagli ioni eccitati, invece che le fluttuazioni di un segnale radio.
Trattandosi di misurare differenze molto limitate, e quindi di segnali estremamente deboli, questo sistema avrebbe dovuto avere una potenza in trasmissione molto elevata, e avere un fascio molto stretto, in modo da poter conseguire potenze molto alte nel settore d'interesse.
L'analisi del segnali rappresentava sicuramente la sfida maggiore, che fu affrontata con grande inventiva dai progettisti, specie se si pensa alla realtà dell'elettronica disponibile trent'anni fa.
L'idea trovò l'appoggio dello Stato Maggiore della Marina, anche grazie alla vera e propria «campagna promozionale» del vulcanico Calzeroni. L'industria italiana venne coinvolta e fu realizzato un radar congiuntamente dalla SMA e dalla Galileo. II sistema venne battezzato SPQ-5A e nel 1973 se ne imbarcò un esemplare sull'Alpino, sistemandolo sul cielo della plancia, subito dietro e più in alto dell'antenna del radar del tiro Orion-lOX della direzione tiro prodiera. Il radar si presentava con una grande antenna a disco di circa 3 metri di diametro, e un feeder molto pronunciato. Il progetto era considerato estremamente segreto e solo pochi ne conoscevano i dettagli, al punto che l'SPQ-5 divenne immediatamente noto nella Squadra Navale sotto il nomignolo di «Sarchiapone», per il mistero esasperato che lo circondava.
Qualcosa tuttavia dovette trapelare se il Jane's Fighting Ships qualche anno do¬po, nel descrivere le differenze tra Alpino e Carabiniere, indicava la presenza della grossa antenna come «MAD aerial», pur senza identificarlo con una sigla.
Per l'Alpino incominciò allora una vita estremamente intensa, che lo vide impiegato per mesi nell'ambito di campagne di valutazione dall'Artico fino ai Caraibi. Per contro il Carabiniere, pur essendo anch'esso fortemente utilizzato (nave di nuova concezione e nuova costruzione in una Marina che andava rapidamente invecchiando) non andò mai incontro ad un simile impegno. L'SPQ-5A operava in banda X, con una rispettabile potenza di quasi 2 MW. Il fattore chiave del suo funzionamento, tuttavia, era basato sulla particolarità del metodo di doppia focalizzazione del fascio. Nei radar tradizionali le onde elettromagnetiche emesse dal feeder, posto al centro della parabola, vengono focalizzate in un fascio di ampiezza desiderata grazie alla specifica geometria dell’antenna (paraboloide, cosecante, inversa, ecc.) Nell’SPQ-5°, invece il fascio veniva inviato prima su di un riflettore conico, posto vicino al feeder e poi inviato sul disco. Il risultato era quello di ottenere un fascio estremamente stretto, pressoché aghiforme, con un'apertura di soli 1° 30', eliminando virtualmente ogni lobo secondario, e ottenendo così un'elevatissima densità di potenza.
Durante le estese campagne di valutazione a cui venne sottoposto il sistema emersero però, del tutto inaspettate, altre importanti caratteristiche.
L'SPQ-5A si dimostrò presto in grado di scoprire bersagli di superficie a distanze assolutamente impensabili. Si trattava del cosiddetto «condotto radar» a cui si fa talvolta riferimento nella letteratura specializzata. In presenza di determinate condizioni (specialmente umidità elevata, dell'ordine dell' 80%-95%) si viene a formare una sorta di condotto in prossimità della superficie marina, dove le onde elettromagnetiche viaggiano seguendo la curvatura terrestre, arrivando così ben oltre l'orizzonte. Si realizza così qualcosa di relativamente simile al normale fenomeno di propagazione delle onde radio ad alta frequenza che «rimbalzano» tra superficie e ionosfera, coprendo lunghissime distanze. Un fenomeno simile accade anche per le onde ottiche, noto da secoli sotto il nome di «Fata Morgana», e consente, in particolari situazioni, di vedere l'immagine di oggetti che si trovano molto al di là dell'orizzonte.
Per tornare al caso della propagazione radar, questo fenomeno è utilizzato quotidianamente dai sommergibili, che godono comunque di un apprezzabile orizzonte radar (ben oltre il semplice orizzonte geometrico) anche se le loro antenne operano bassissime, quasi a contatto con la superficie. In definitiva la normale propagazione sferica (dipendente dalla quarta potenza del raggio) veniva sostituita da una diversa propagazione, con un tetto verticale che consentiva di canalizzare l'emissione, riducendo enormemente l'attenuazione. Si realizzava una sorta di «guida d'onda aperta» a causa delle differente permeabilità magnetica dell'aria umida vicino alla superficie marina, e di quella più secca esistente in quota. L'altezza di tale condotto è fortemente variabile in funzione delle condizioni meteorologiche, e oscilla abitualmente tra 5 e 30 metri. Spesso ci si riferisce a questo fenomeno come «propagazione anomala». In realtà si tratta di una propagazione del tutto normale (ovvero rispondente alle leggi fisiche), ma non adeguatamente sfruttata, in assenza di adeguati strumenti.
Fu così che l'Alpino, nel corso di alcune esercitazioni divenute leggendarie, fu in grado di scoprire gli aerei della Kennedy nel momento stesso in cui decolla¬vano dalla portaerei, rimanendo a oltre 350 miglia di distanza. Dato che la massima taratura dello schermo PPI era limitata a 200 miglia, si dovette ricorrere all'indicatore «A/R» che arrivava a 400 miglia. In un'altra occasione L'Alpino mentre si trovava presso Ustica, fu in grado di seguire il gruppo navale «avversario» in uscita da Tolone !
Il «Sarchiapone» non era inserito nel normale sistema di difesa aerea (che non avrebbe comunque potuto gestire vettori distanti oltre 300 miglia), ma l’operatore passava i dati dei bersagli con un semplice collegamento in fonìa. Un altro vantaggio operativo era legato come si è detto, all’assoluta mancanza di lobi secondari, il che rendeva estremamente difficile, se non quasi impossibile, l'intercettazione del segnale da parte dei sistemi di guerra elettronica imbarcati sulle altre navi. Difatti se l'impulso, ancora estrema¬mente stretto nonostante il lungo tragitto, investiva una parte della nave dove non si trovavano gli intercettatori della guerra elettronica, la nave “bersaglio” non aveva modo di sapere di essere stata inquadrata dal «Sarchiapone». La cosa era ulteriormente rafforzata dal fatto che il condotto radar si estendeva a pochi metri di quota, mentre spesso gli intercettatori della guerra elettronica erano posizionati sull'albero, al di sopra del condotto. La campagna nel Mare Artico, svolta¬si nel 1975 e quella nei Caraibi del 1976 dimostrarono la capacità del « Sarchiapone» di operare anche con un campo di temperature e di umidità estremamente vario, nel duplice ruolo di scoperta anti-sommergibile (quello originario), e di scoperta di superficie oltre l'orizzonte. Vennero individuati dei sommergibili immersi a 50-60 metri di profondità. Per questo scopo gli operatori dovevano esaminare i dati raccolti con l'aiuto di un registratore Ampex, valutando segnali estremamente deboli (10-19 W. ovvero un decimo di un miliardesimo di miliardesimi di Watt), a fronte di potenze di emissione di circa 2 MW. La potenza in gioco era comunque tale da «imbiancare» gli schermi delle unità vicine, oltre che, naturalmente quelli dell'Alpino.
La US Navy, in particolare, si dimostrò estremamente interessata al progetto, tanto che per l'attività l'Italia ricevette in cambio un congruo aiuto da parte del programma di assistenza militare MDAP. Questa almeno era la voce (impossibile da verificare appieno) che circolava al¬l'epoca, grazie all'arrivo di due sommergibili classe «GuppyIII» (Romei e Piomarta), e un buon numero di missili Tartar e di siluri leggeri, che portarono un po' di ossigeno alla nostra esausta Marina in attesa dell'entrata in linea delle nuove costruzioni previste dalla «Legge Navale» (1975-1985). Il sistema, nonostante le prestazioni davvero stupefacenti, non era ovviamente scevro di problemi. Il trasmettitore e il ricevitore si trovavano direttamente sull'antenna, per non dover realizzare guide d'onda lunghe, tali da trasportare una simile potenza, cosa che rendeva l'antenna stessa oltremodo pesante. L'antenna era stata realizzata con asservimenti simili a quelli dei radar del tiro, anzi le Officine Galileo avevano impiegato i medesimi motori idraulici impiegati per le direzioni tiro dei cannoni da 127 mm utilizzate sul cacciatorpediniere San Giorgio, dato che però pesava alcune tonnellate, presentava sensibili problemi di vibrazioni e rumorosità.
La tecnica d'impiego del «Sarchiapone» prevedeva di effettuare una scansione di ricerca «TV», con una spazzata orizzontale di 120°, un «gradino» verticale di mezzo grado, e una spazzata di ritorno di 120°. Questi movimenti provocavano preoccupanti oscillazioni sul tetto della Centrale Operativa, che non era stato certo progettato e costruito per sopportate tali sollecitazioni. Il moto ondoso rendeva la cosa ancora più critica, al punto che ogni due o tre mesi i tecnici della delle Officine Galileo dovevano effettuare interventi di manutenzione, arrivando a sostituire gli ingranaggi e i cuscinetti che apparivano fortemente danneggiati, ogni sette-otto mesi. 
L'elevatissima potenza e la frequenza del «Sarchiapone», inoltre, facevano sì che qualsiasi essere vivente (marinaio o gabbiano poco importa) fosse stato investito dallo stretto fascio del radar alla distanza di uno-due km, avrebbe subito conseguenze fatali, cosa che richiedeva quindi un'estrema attenzione nell'impiego del radar.
Un altro problema sorse dall'impiego del liquido di refrigerazione della corta guida d'onda, dato che veniva utilizzato l'esafluoruro di zolfo. Questo prodotto era estremamente tossico, ma all'epoca vi era poca sensibilità sugli aspetti anti-infortunistici, e qualcuno dei pochi e selezionati giovani sottufficiali a qui era stata affidata la manutenzione e la condotta del Sarchiapone, ebbe la sgradita sorpresa di subirne gli effetti, con l’indebolimento della dentatura. Questi uomini vivevano una situazione “romanzesca», ed erano tenuti ad osservare un assoluto (quanto comprensibile) riserbo sul programma. Quando l'Alpino si trovava in porti esteri, questi operatori potevano uscire in franchigia soltanto «sotto scorta» per evitare compromissioni. Il principale problema che però dovette affrontare il «Sarchiapone» riguardò la necessità di «saper interpretare» i dati che forniva. Tra gli ecogoniometristi è normale che il contatto acustico venga investigato sfruttando l'esperienza dell'operatore e svariate tecniche di analisi del segnale, in modo da poterlo adeguatamente classificare. In campo radar questo non è certamente il metodo più seguito, ma i segnali del «Sarchiapone», con le incredibili portate offerte e, di conseguenza, la presenza di falsi contatti o contatti «non interessanti», necessitavano di dover discriminare attraverso correlazioni basate sulla conoscenza della situazione tattica, sull'esperienza dell'operatore e sull'analisi del segnale.
Per l'impiego anti-sommergibile, requisito originario del «Sarchiapone», l'impercettibile deflessione del fascio radar provocata dalla massa ferrosa immersa provocava spesso echi poco nitidi, a malapena distinguibili, la cui esistenza veniva analizzata ed evidenziata dalla lettura differita dei nastri Ampex, che dava un'immagine tridimensionale della zona esplorata. Si trattava di un'attività estremamente complessa, a maggior ragione quando si consideri la tecnologia disponi¬bile all'epoca. L'SPQ-5 dell'Alpino venne impiegato anche nel vano tentativo di scoprire la posizione del relitto del DC-9 inabissatosi presso Ustica (anno1980).
A partire dal 1980, e fino agli inizi degli, anni Novanta, il «Sarchiapone» venne imbarcato anche sulla nave da esperienze Quarto, nella variante SPQ-SB, che presentava il ricevitore montato in posizione leggermente sollevata. L'antenna dell'SPQ-SB presentava anche una fascia per evitare i cosiddetti « spill-over», ovvero i lobi secondari, che avrebbero potuto influenzare negativa¬mente il sensibile ricevitore. Il Quarto disponeva anche di Un calcolatore HP 9845 dedicato al calcolo di previsione delle portate con un software sviluppato dal Naval Ocean Systems Center (NOSC) San Diego per la US Navy e denominato IREPS (Integrated Refractive Effects Prediction System). II sistema comprendeva anche una centralina meteo con sensori remoti. Il tutto era stato integrato e adattato dalla SMA, per poter fornire l’indispensabile sostegno predittivo al Sarchiapone.
Anche il Quarto svolse un’intensa campagna di prove, mentre l’Alpino ritornava appieno della Squadra Navale (l’SPQ-5° venne definitivamente sbarcato solo nel 1987). In un secondo tempo sul Quarto venne installata un’altra versione, SPQ-4 affettuosamente chiamata “Bastardone”, dato che era stata realizzata accoppiando l'antenna del radar del tiro Orion IOX, la guida d'onda e i motori di brandeggio del SPS-702, il ricevitore dell'SPQ-5, e la consolle del SPQ-2. Il «Bastardone» o BST-1 venne sistemato nell'area prodiera, approfittando delle dimensioni e dei pesi molto più contenuti.
La campagna di prove diede risultati interessanti, anche se ovviamente inferiori a quelli del «Sarchiapone» originario, a causa della minor potenza di picco (180 kW) e della minor sensibilità in ricezione (95 dB, contro 112 dB del SPQ-5A, o 120 dB del SPQ-5B).
La principale applicazione a cui si pensò, fu quella di sfruttare la portata oltre l'orizzonte per consentire di ingaggiare navi avversarie con i missili «Teseo», senza necessariamente dover sfruttare la presenza di un elicottero. Questo impiego avrebbe creato ulteriori vantaggi operativi, grazie alla particolare discrezione del radar, che non avrebbe messo in allarme gli avversari, consentendo così al missile «Teseo» di arrivare sul bersaglio pratica¬mente senza alcun preavviso. Sulla prora del Quarto venne anche sperimentata un'altra variante del «Bastardone», denominata BST-2, con un'antenna a scansione elettronica, simile (in scala ridotta) a quella del radar tridimensionale SPS-39, ma si rivelò un parziale insuccesso. Sul Quarto era stato installato anche un normale radar SPS-702 (o SPQ-2) il cui segnale poteva essere smistato verso l'antenna del «Bastardone» o verso la normale antenna, in modo da confrontare i risultati nelle diverse condizioni d'impiego. È interessante valutare la tabella con le portate massime (espresse in miglia marine) ottenute dai diversi radar. (Vds. Tabella in alto). Durante un'esperienza l'SPQ-5B del Quarto fu invece in grado di seguire l'Audace dall'uscita delle ostruzioni alla Spezia fino a Trapani (!).
Da notare che gli addetti alla guerra elettronica del caccia, pur informati dell'attività, e a conoscenza della frequenza del «Sarchiapone», persero il contatto all'altezza dell'Isola d'Elba. Difatti l'effetto di condotto superficiale (talvolta definito anche «effetto pellicolare» per la ridotta dimensione del condotto) faceva sì che l'emissione del «Sarchiapone» battesse lo scafo, mentre le antenne della guerra elettronica si trovavano sul cielo della plancia. La disponibilità di operatori altamente motivati, ben addestrati, e un crescente data-base, consentirono anche di arrivare a determinare l'esatto nome dell'unità scoperta dal «Sarchiapone». Il radar infatti emetteva delle onde di forma perfetta¬mente quadra, con un fronte d'onda verti¬cale, che incontravano le migliaia di micro-dipoli di cui era fisicamente composta la «nave-bersaglio». Ogni singola nave differisce da un'altra, sia pur gemella, per tutte quelle impercettibili differenze di allestimento, quali potrebbero essere il posizionamento di singole draglie, ecc. La riemissione o risonanza dell'energia elettro-nica si componeva così in uno spettro dove si potevano apprezzare specifici picchi, corrispondenti a date frequenze, tipiche di ciascuna unità. Si tratta di un fenomeno noto nel campo dell'acustica, dove un diapason investito da un «suono bianco» risponde entrando in risonanza ed emettendo la propria tonalità.
Verso il 1978 il «Sarchiapone» venne anche destinato ad alcune stazioni radar costiere, nell'ambito di un ambizioso progetto che avrebbe dovuto permettere di tenere sotto controllo gran parte del Mediterraneo Centrale.
La prima e forse più importante installazione fu realizzata vicino alla Spezia, in località Castellana. Il personale destinato a questo programma utilizzava un enigmatico recapito postale: «Maristat UPS Castellana», dove UPS stava per Ufficio Programmi Speciali.
A Calzeroni, nel frattempo promosso contrammiraglio, venne affiancato il comandante Paolo Compiani, che diede nuovo impulso al programma.
Un altro impianto, installato a Piave Vecchia (Venezia) offriva la copertura dell'Adriatico fino a Foggia, consentendo di distinguere addirittura Ai aerei d'addestramento che decollavano dall'aeroporto militare della città pugliese. Questo venne poi trasferito in Sicilia, a Capo Passero, in località Cozzo Spadaro, da dove poteva agevolmente controllare il traffico che si svolgeva lungo le coste libiche.
Un terzo impianto, infine, venne posizionato a Taranto San Vito, presso il Centro di Addestramento Aeronavale.
In pratica la copertura assicurata dalle stazioni costiere, che trasmettevano i dati raccolti ad un centro di coordinamento presso Roma (Stazione 08), era tale da permettere il controllo dell'intera area d' interesse nazionale.
Nell'ambito delle valutazioni preliminari la Marina fu confortata anche dai risultati di un curioso esperimento. Nel complesso dell'Accademia Navale venne installata un'antenna direzionale alimentata da un trasmettitore a bassissima potenza (2 mW, ricavato da un normale antifurto per auto) e posizionata a sei metri di quota sul livello del mare. L'antenna parabolica ricevente venne posizionata a Genova, a circa 100 miglia di distanza. II sistema funzionò egregiamente per svariate settimane, nonostante le bassissime potenze in gioco e, soprattutto, i circuiti realizzati in modo artigianale. I risultati vennero presentati nell'ambito di un congresso dell'AGARD. Tuttavia furono proprio le installazioni costiere, e in particolare quella della Castellana, a decretare la fine del «Sarchiapone».
Lo sfruttamento del condotto radar era infatti ottimale quando l'antenna si trovava molto bassa sul mare, appunto all'interno del condotto. Soluzioni diverse rendevano molto più aleatorio il conseguimento delle condizioni necessarie a beneficiare appieno della particolare tipologia di propagazione. La stazione della Castellana invece si trova sulla sommità di una costa alta, a circa 500 metri di quota, cosa che consente un'ampia visibilità, ideale sia per i turisti incantati dal bellissimo panorama ligure, che per i radar destinati a sorvegliare le rotte d'accesso al Golfo della Spezia, ma assolutamente inadatta a sfruttare con continuità l'effetto pellicolare.
Si trattava, per usare un paragone di facile comprensione, dello stesso effetto per cui una nave di superficie non riesce a battere con il suo sonar a scafo un battello che navighi sotto lo «strato», senza ricorrere al posizionamento del VDS ad una quota idonea.
In alcune (rare) occasioni la Castellana ottenne eccellenti risultati, che però si alternarono a numerosi momenti di grande insoddisfazione. Invece che insistere con lo studio per lo sfruttamento del «condotto radar» si preferì orientare la valutazione alla scoperta antisommergibile, che però, specie per le condizioni dell'istallazione, diede risultati poco coerenti. Per tale impiego era necessaria un'enorme potenza, che poteva essere ottenuta soltanto grazie alla propagazione nel condotto, venendo invece eccessivamente «diluita» con la propagazione sferica.
Questa discontinuità, unitamente al tradizionale «spirito conservatore» tipico di tutte le Marine, portò a ridurre gli investimenti e, in un secondo tempo, verso il 1986-'87 ad abbandonare del tutto la sperimentazione.Torniamo alla metà degli anni Settanta. I risultati ottenuti dall'Alpino furono tali da convincere lo Stato Maggiore della Marina a prevederne l'imbarco anche su altre unità. Fu così che i cacciatorpediniere Audace e Ardito vennero modificati durante i lavori di fine-garanzia, e venne creata una struttura sul cielo della plancia destinata a sostenere l'antenna dell'SPQ-5. Con la «fame di spazio» caratteristica delle unità navali, tuttavia il cosiddetto «Locale apparati SPQ-5» (come recitava la targhetta sulla porta) venne comunque destinato ad altri scopi, in attesa di un'installazione che non sarebbe mai avvenuta. In un secondo tempo la postazione venne impiegata per accogliere un ingannatore della guerra elettronica, mentre con l'effettuazione del cosiddetto «ammodernamento di mezza vita», il suo posto venne preso dal radar di scoperta aeronavale SPS-774. L'Ardito, tuttavia, imbarcò per qualche tempo 1'antenna del «Sarchiapone», anche se con uno scopo completamente diverso da quello per cui era stata originariamente progettata. Grazie agli elevati guadagni che consentiva, era stato deciso, infatti, di impiegarla nelI'ambito del progetto «Sirio», come apparato ricevente in banda UHF per le telecomunicazioni satellitari. Fu così che 1'antenna del «Sarchiapone» fece il giro del mondo negli anni 1979-'80.
Una nuova versione del «Sarchiapone» venne chiamata Co.Ra. (Condotto Radar, o anche scherzosamente Compiani Radar, visto I'impulso dato da questi al pro¬gramma) e ne fu prevista l'installazione sui nuovi DDG (inizialmente conosciuti come «Super-Audace», poi come classe «Animoso» e infine con l'attuale nome di «De La Penne»). I primi disegni rappresentavano un radar a scomparsa alloggiato a prora estrema, in modo da poter sfruttare appieno l'effetto pellicolare, le cui sembianze ricordavano abbastanza da vicino l'SPQ-4 sperimentato sul Quarto. In un secondo tempo questa installazione venne sostituita da due piccole antenne poste in prossimità delle ali di plancia (appunto i cosiddetti radar Co.Ra.).
Tuttavia anche i DDG vennero poi costruiti senza la presenza di questi apparati.
Nel periodo 1986-1988 il Sagittario sperimentò un'altra versione del Co.Ra. con un'antenna fortemente direzionale realizzata dalla SMA e posta sul cielo delle plancia. La modalità operativa pre¬vedeva di effettuare solo una o due spazzate, in modo da evitare eventuali intercettazioni da parte dei sistemi di guerra elettronica avversari. L'operatore avrebbe poi dovuto effettuare in un secondo tempo un'indagine, analizzando il segnale e correlando i dati ottenuti, cosa che richiedeva una notevole esperienza, assolutamente non comune. Come trasmettitore era stato impiegato quello del SPS-702, che doveva indirizzare la propria emissione verso l'antenna del Co.Ra. o verso quella del normale apparato radar, in funzione delle esigenze.
Esistevano tuttavia alcune limitazioni intrinseche al fatto che la PRF non sarebbe stata ottimizzata per il Co.Ra., ma sarebbe rimasta quella del normale radar.
Il sistema Co.Ra. venne successivamente adottato dalle quattro fregate classe «Lupo» ed era facilmente identificabile per la presenza di un vistoso radome semisferico di color bianco sul cielo della plancia. Il radome era essenziale. Difatti l'antenna, di circa 2 metri, era sta realizzata con materiali molto sottili, in modo da mantenere i pesi leggeri e da ridurre le inerzie in gioco. Una simile struttura, tuttavia, non avrebbe potuto resistere alle sollecitazioni del vento, e dovette quindi essere racchiusa da una cupola. Questo radome non aveva uno spessore costante, in modo di assicurare la medesima impedenza anche sotto rollio, cosa fondamentale viste le prestazioni estreme che erano richieste. Lo scopo principale del Co.Ra. era di assicurare la designazione dei bersagli oltre l'orizzonte per i missili Teseo, permettendo inoltre la teleguida TG2 senza dover necessariamente impiegare l'elicottero, con tutti i rischi connessi.





Ripensare la guerra, e il suo posto
nella cultura politica europea contemporanea,
è il solo modo per non trovarsi di nuovo davanti
a un disegno spezzato
senza nessuna strategia
per poterlo ricostruire su basi più solide e più universali.
Se c’è una cosa che gli ultimi eventi ci stanno insegnando
è che non bisogna arrendersi mai,
che la difesa della propria libertà
ha un costo
ma è il presupposto per perseguire ogni sogno,
ogni speranza, ogni scopo,
che le cose per cui vale la pena di vivere
sono le stesse per cui vale la pena di morire.
Si può scegliere di vivere da servi su questa terra, ma un popolo esiste in quanto libero, 
in quanto capace di autodeterminarsi,
vive finché è capace di lottare per la propria libertà: 
altrimenti cessa di esistere come popolo.
Qualcuno è convinto che coloro che seguono questo blog sono dei semplici guerrafondai! 
Nulla di più errato. 
Quelli che, come noi, conoscono le immense potenzialità distruttive dei moderni armamenti 
sono i primi assertori della "PACE". 
Quelli come noi mettono in campo le più avanzate competenze e conoscenze 
per assicurare il massimo della protezione dei cittadini e dei territori: 
SEMPRE!
….Gli attuali eventi storici ci devono insegnare che, se vuoi vivere in pace, 
devi essere sempre pronto a difendere la tua Libertà….
La difesa è per noi rilevante
poiché essa è la precondizione per la libertà e il benessere sociale.
Dopo alcuni decenni di “pace”,
alcuni si sono abituati a darla per scontata:
una sorta di dono divino e non, 
un bene pagato a carissimo prezzo dopo innumerevoli devastanti conflitti.…
…Vorrei preservare la mia identità,
difendere la mia cultura,
conservare le mie tradizioni.
L’importante non è che accanto a me
ci sia un tripudio di fari,
ma che io faccia la mia parte,
donando quello che ho ricevuto dai miei AVI,
fiamma modesta ma utile a trasmettere speranza
ai popoli che difendono la propria Patria!
Violenza e terrorismo sono il risultato
della mancanza di giustizia tra i popoli.
Per cui l'uomo di pace
si impegna a combattere tutto ciò 
che crea disuguaglianze, divisioni e ingiustizie.
Signore, apri i nostri cuori
affinché siano spezzate le catene
della violenza e dell’odio,
e finalmente il male sia vinto dal bene…
Come i giusti dell’Apocalisse scruto i cieli e sfido l’Altissimo: 
fino a quando, Signore? Quando farai giustizia?
Dischiudi i sette sigilli che impediscono di penetrare il Libro della Vita 
e manda un Angelo a rivelare i progetti eterni, 
a introdurci nella tua pazienza, a istruirci col saggio Qoelet:
“””Vanità delle vanità: tutto è vanità”””.
Tutto…tranne l’amare.

(Fonti: https://svppbellum.blogspot.com/, Web, Google, ANMI TORINO, Wikipedia, Betasom, MuseoNavale, You Tube)