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Blog dedicato agli appassionati di DIFESA,
storia militare, sicurezza e tecnologia.
La bandiera è un simbolo che ci unisce, non solo come membri
di un reparto militare
ma come cittadini e custodi di ideali.
Valori da tramandare e trasmettere, da difendere
senza mai darli per scontati.
E’ desiderio dell’uomo riposare
là dove il mulino del cuore non macini più
pane intriso di lacrime, là dove ancora si può sognare…
…una vita che meriti di esser vissuta.
Negli studi giuridici, storici, politici e sociologici, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, il concetto di genocidio, sviluppatosi in origine nell'ambito del diritto internazionale, è stato utilizzato in diversi contesti e con diverse accezioni:
- accezione giuridica, con una definizione necessariamente precisa per poterne ricomprendere la fattispecie nell'attività d'indagine e processuale;
- accezione sociopolitica per designare specificatamente i genocidi del XX secolo;
- accezione storiografica, con un significato generale che ricomprende fenomeni di sterminio ricorrenti nella storia universale, in società anche molto diverse tra loro.
Al pari di terrorismo, tortura, crimini di guerra, crimini contro l'umanità e crimini di aggressione, il genocidio si annovera fra i crimini internazionali, per i quali vige la regola della giurisdizione internazionale e l'istituzione di tribunali sovranazionali.
L'11 dicembre 1946 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 96 (I), definì il genocidio come «una negazione del diritto all'esistenza di interi gruppi umani, poiché l'omicidio è la negazione del diritto alla vita dei singoli esseri umani». La risoluzione precisava inoltre che «molti casi di tali crimini di genocidio si sono verificati quando gruppi razziali, religiosi, politici e di altro genere sono stati distrutti, in tutto o in parte».
Il 9 dicembre 1948 fu adottata, con la risoluzione 260 A (III), la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio scritta con il contributo dello stesso Lemkin anche sulla scorta dell'esperienza del processo di Norimberga.
L'articolo II della Convenzione definisce esplicitamente il genocidio nell'ambito del diritto internazionale:
«Per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale:
- uccisione di membri del gruppo;
- lesioni gravi all'integrità fisica o mentale di membri del gruppo;
- il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale;
- misure miranti a impedire nascite all'interno del gruppo;
- trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro.»
Con l'approvazione della Convenzione sul genocidio e attraverso l'azione dei tribunali speciali appositamente istituiti e della Corte penale internazionale, i casi storici in cui è stato riconosciuto il crimine di genocidio a livello internazionale sono in particolare:
- la guerra in Bosnia ed Erzegovina nell'ambito delle guerre jugoslave
- il genocidio del Ruanda
- il genocidio cambogiano.
A questi si deve aggiungere l'Olocausto, che fu ricompreso fra i capi d'imputazione del processo di Norimberga e che ebbe fra le sue conseguenze la redazione stessa della Convenzione; quanto al genocidio armeno, che è stato il primo caso moderno di persecuzione sistematica e di sterminio pianificato di un popolo, è nella casistica da cui lo stesso Lemkin partì per la definizione del crimine di genocidio: su di esso, non a caso, è stata avviata da parte della comunità internazionale una analisi sulle responsabilità storiche, con apposite dichiarazioni assunte da varie assemblee politiche dei singoli Stati.
La persecuzione nei confronti degli armeni e delle popolazioni cristiane fu una costante nella storia dell'Impero ottomano inasprendosi soprattutto nel XIX secolo, e sfociò, al momento della sua dissoluzione, nel genocidio armeno propriamente detto, espressione alla quale ci si riferisce in particolare per i fatti accaduti tra il 1915 e il 1916.
Rafael Lemkin
La Shoah, l'eliminazione di circa 6 milioni di ebrei pari ai due terzi degli ebrei d’Europa, venne organizzata e portata a termine dalla Germania nazista mediante un complesso apparato amministrativo, economico e militare che coinvolse gran parte delle strutture di potere burocratiche del regime, con uno sviluppo progressivo che ebbe inizio nel 1933 con la segregazione degli ebrei tedeschi, proseguì, estendendosi a tutta l'Europa occupata dal Terzo Reich durante la seconda guerra mondiale, con il concentramento e la deportazione e quindi culminò dal 1941 con l'inizio dell'eliminazione fisica soprattutto nei campi di sterminio, strutture di annientamento appositamente predisposte in cui attuare quella che i nazisti denominarono "soluzione finale della questione ebraica". L'annientamento degli ebrei nei centri di sterminio rappresenta secondo la maggior parte degli storici un unicum nella storia umana, per le sue dimensioni e per le caratteristiche organizzative e tecniche dispiegate dalla macchina di distruzione nazista.
L'Holodomor, la grande carestia che colpì l'Ucraina sovietica ed alcune zone della Repubblica Russa, dal 1932 al 1933 durante il regime sovietico, causando diversi milioni di morti, è stato riconosciuto come genocidio da diverse nazioni tra cui l'Ucraina stessa, gli Stati Uniti e altri. Il Parlamento europeo ha adottato il 23 ottobre 2008 una risoluzione nella quale ha riconosciuto l'Holodomor come crimine contro l'umanità. La maggior parte dei paesi europei e occidentali non si è però espressa in tal senso, non formalizzando alcun riconoscimento, ma la storiografia riconosce l'Holodomor come vero e proprio atto di genocidio.
Una dichiarazione congiunta di una trentina di paesi è stata sottoscritta nel 2003 presso l'Assemblea generale delle Nazioni Unite su proposta del rappresentante permanente ucraino. Nella dichiarazione la "Grande fame" fu descritta come il risultato di politiche e azioni crudeli che provocarono la morte di milioni di persone. Le cause e il coinvolgimento dell'Unione Sovietica e di Stalin nella carestia sono state e sono fonte di discussione storica e politica e rimane perciò ancora aperto il dibattito sul piano delle relazioni internazionali.
L'esclusione dei riferimenti ai gruppi politici e al caso dell'Holodomor dalla Convenzione sul genocidio del 1948 avvenne proprio per pressione sovietica.
L'azione coercitiva dello Stato sovietico, anche col sistematico ricorso alla violenza per attuare il suo piano di trasformazione della società, attraverso la collettivizzazione agraria, la deportazione di milioni di piccoli proprietari terrieri, i kulaki, fino all'eliminazione fisica, contribuì all'aggravarsi delle condizioni dei contadini che abitavano l'Ucraina, in un paese fino ad allora considerato "il granaio d'Europa", fino a una terribile carestia che provocò secondo alcune stime fino a 5 milioni di morti e oltre, e fino a 8 milioni secondo altre. La repressione dello Stato sovietico verso i kulaki, contrari alla collettivizzazione e considerati nemici dello Stato, iniziò già nel 1929 con la politica di internamento nei gulag, l'ordine di soppressione fu emanato nel 1930. Secondo gli archivi ufficiali i kulaki internati nei gulag furono circa 2,5 milioni, con 600.000 morti la maggior parte tra il 1930 e il 1933.
Raphael Lemkin utilizzò il termine genocidio per descrivere la carestia, sostenendo la volontarietà del governo sovietico nel provocarla con l'obbiettivo di distruggere la cultura nazionale ucraina portando a compimento il piano di russificazione del paese da parte del regime comunista. Giovanni Paolo II, in un suo messaggio del 2003 in occasione del 70º anniversario dell'Holodomor, pur non utilizzando mai la parola genocidio, riconobbe il ruolo dell'Unione Sovietica nella tragedia parlando di «innumerevoli vittime della grande carestia provocata in Ucraina durante il regime comunista. Si trattò di un disumano disegno attuato con fredda determinazione dai detentori del potere in quell'epoca.» Secondo alcuni autori l'Holodomor e la repressione dei kulaki fu un "genocidio sociale", cioè un tentativo di sterminare buona parte del mondo contadino sovietico, anche russo. Inoltre la repressione è considerato il tentativo di distruggere il carattere nazionale del popolo ucraino.
Ciò che sta accadendo a Gaza avrebbe le caratteristiche di un genocidio»., loo ha scritto papa Francesco in un libro-intervista, realizzato con il giornalista argentino Hernán Reyes Alcaide. Come precisa il Pontefice, bisogna certamente indagare accuratamente, perché il genocidio è un crimine preciso, gravissimo, unico.
«Genocidio» non è “soltanto” sinonimo di «massacro» o di «eccidio», ma è una fattispecie normata ad hoc a partire dallo studio imprescindibile del giurista ebreo polacco Rafal Lemkin (1900-1959), Axis Rule in Occupied Europe: Laws of Occupation - Analysis of Government Proposals for Redress, che fu pubblicato nel 1944. A partire da quel libro l’ONU diede vita, nel 1948, alla Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, operativa nel 1951.
Applicando i necessari canoni interpretativi è stato possibile definire genocidio la Shoà degli ebrei e, molti anni dopo, il genocidio degli armeni operato nella Prima guerra mondiale dal governo turco dell’epoca.
- La Convenzione dell’Onu, sulla base degli studi fondativi di Lemkin, stabilisce che il genocidio sia un crimine specifico e unico, e che, affinché si possa stabilire che un eccidio sia genocidio, occorra che alcune caratteristiche siano soddisfatte:
- la premeditazione, la progettazione, l’implementazione quanto più sistematica, ma soprattutto l’intenzione.
- La volontà di cancellare della faccia della Terra una porzione dell’umanità è genocidio, tale per cui non è anzitutto il numero delle vittime che fa di un massacro un genocidio, bensì la volontà dei perpetratori di eliminare completamente un gruppo umano.
Comunque, le vittime di un genocidio, come di qualsiasi massacro grande o piccolo, sono sempre numerosissime, sempre troppe.
Qualsiasi esperto non può sottrarsi a questo e non la sua opinione a costituire un genocidio, e nemmeno la sua scienza. «Alcuni esperti» senza nome citati dal Papa debbono sottostare a questi criteri dell’Onu, altrimenti esplode la ridda infame dei «secondo me».
A Gaza, bisognerebbe stabilire se sia genocidio, ovvero se Israele abbia sul serio premeditato, progettato, implementato quanto più sistematicamente, ma soprattutto abbia l’intenzione di cancellare tutti i palestinesi dalla faccia della Terra, altrimenti si tratta solo di «secondo me».
Molti esperti concordano che la Repubblica Popolare Cinese stia compiendo genocidi per esempio ai danni di uiguri, tibetani, mongoli, musulmani Hui o gruppi religiosi come il Falun Gong, contro cui si utilizzano persino la genetica, la sterilizzazione delle donne e il prelievo forzato di organi umani che poi alimentano un lucrosissimo mercato nero dei trapianti.
Il genocidio che Pechino starebbe attuando in quei casi, dicono molti esperti, sarebbe il genocidio culturale. Si tratta di un genocidio freddo, che magari (ma non sempre) non comporta cumuli di cadaveri ai lati delle strade, ma che ha non di meno l’intenzione, e dunque progetta e cerca di realizzare sistematicamente, l’annientamento totale di un gruppo umano specifico, forse solo diluendolo lungo un po’ più di tempo per mascherarlo. Quando infatti Pechino impedisce la trasmissione dell’identità culturale di un gruppo umano (fatta di lingua, letteratura, arte, usi, costume, religione e così via), affinché, nel giro di qualche generazione, quel determinato gruppo umano risulti indistinguibile dagli altri, pratica il genocidio culturale.
La Convenzione dell’Onu sul genocidio esclude la fattispecie del genocidio culturale. Per l’Onu si può essere genocidati in quanto appartenenti a un gruppo etnico, razziale, nazionale o religioso, ma non culturale. Questo è così ancora oggi solo perché, pur rifacendosi a Lemkin, la Convenzione dell’Onu dovette sottostare alle censure dell’Unione Sovietica, che, reduce dal genocidio ucraino noto come Holodomor, non gradiva affatto tale nozione.
Lo dimostrano i due corposi volumi di The Genocide Convention: The Travaux Préparatoires, pubblicati a Leida e Boston nel 2008, con cui i curatori Hirad Abtahi (capo dello staff della presidenza del Tribunale penale internazionale delle Nazioni Unite a L’Aia, nei Paesi Bassi) e Philippa Webb (docente di Diritto pubblico internazionale al King’s College di Londra) raccolgono appunti, note e minute di quel momento drammatico.
Dunque, mentre «a detta di alcuni esperti, ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche di un genocidio», ciò che sta avvenendo in Cina a danno di molti gruppi umani, ciò che sta avvenendo in Pakistan a danno dei musulmani ahmadi, ciò che sta avvenendo in Asia contro gli sciiti hazara, ciò che è avvenuto in quello che ora è il Bangladesh a opera del Pakistan nel 1971, ciò che è avvenuto negli anni 1990 in Kashmir a opera dei jihadisti contro i pandit ìndù è genocidio, ma non trova spazio nelle opinioni, fra certi esperti dell’Onu e nei libri di storia.
E’ evidente che anche Vladimir Putin stia ultimando un nuovo genocidio in Ucraina, visto che non ritiene che abbia fondamento storico l’identità ucraina e la sua lingua.
Alla fine del 2024, tanta carta stampata e innumerevoli commentatori televisivi fanno illazioni su quello che accade a Gaza dopo i tragici eventi terroristici che li hanno innescati.
Ripensare la guerra, e il suo posto
nella cultura politica europea contemporanea,
è il solo modo per non trovarsi di nuovo davanti
a un disegno spezzato
senza nessuna strategia
per poterlo ricostruire su basi più solide e più universali.
Se c’è una cosa che gli ultimi eventi ci stanno insegnando
è che non bisogna arrendersi mai,
che la difesa della propria libertà
ha un costo
ma è il presupposto per perseguire ogni sogno,
ogni speranza, ogni scopo,
che le cose per cui vale la pena di vivere
sono le stesse per cui vale la pena di morire.
Si può scegliere di vivere da servi su questa terra, ma un popolo esiste in quanto libero,
in quanto capace di autodeterminarsi,
vive finché è capace di lottare per la propria libertà:
altrimenti cessa di esistere come popolo.
Qualcuno è convinto che coloro che seguono questo blog sono dei semplici guerrafondai!
Nulla di più errato.
Quelli che, come noi, conoscono le immense potenzialità distruttive dei moderni armamenti
sono i primi assertori della "PACE".
Quelli come noi mettono in campo le più avanzate competenze e conoscenze
per assicurare il massimo della protezione dei cittadini e dei territori:
SEMPRE!
….Gli attuali eventi storici ci devono insegnare che, se vuoi vivere in pace,
devi essere sempre pronto a difendere la tua Libertà….
La difesa è per noi rilevante
poiché essa è la precondizione per la libertà e il benessere sociale.
Dopo alcuni decenni di “pace”,
alcuni si sono abituati a darla per scontata:
una sorta di dono divino e non,
un bene pagato a carissimo prezzo dopo innumerevoli devastanti conflitti.…
…Vorrei preservare la mia identità,
difendere la mia cultura,
conservare le mie tradizioni.
L’importante non è che accanto a me
ci sia un tripudio di fari,
ma che io faccia la mia parte,
donando quello che ho ricevuto dai miei AVI,
fiamma modesta ma utile a trasmettere speranza
ai popoli che difendono la propria Patria!
Violenza e terrorismo sono il risultato
della mancanza di giustizia tra i popoli.
Per cui l'uomo di pace
si impegna a combattere tutto ciò
che crea disuguaglianze, divisioni e ingiustizie.
Signore, apri i nostri cuori
affinché siano spezzate le catene
della violenza e dell’odio,
e finalmente il male sia vinto dal bene…
Come i giusti dell’Apocalisse scruto i cieli e sfido l’Altissimo:
fino a quando, Signore? Quando farai giustizia?
Dischiudi i sette sigilli che impediscono di penetrare il Libro della Vita
e manda un Angelo a rivelare i progetti eterni,
a introdurci nella tua pazienza, a istruirci col saggio Qoelet:
“””Vanità delle vanità: tutto è vanità”””.
Tutto…tranne l’amare.
(Fonti: https://svppbellum.blogspot.com/, Web, Google, Libero-quotidiano, Wikipedia, You Tube)