mercoledì 12 dicembre 2018

Sommergibile tedesco "UB 48" - UB III class: il sommegibile che affondò il piroscafo "Città di Bari"




Sommergibile “UB 4 8” (classe UBIII)

Nome: UB-48
Ordinato: 20 maggio 1916
Costruttore: Blohm & Voss, Amburgo
Costo: 3,276,000 Papiermark tedesco
Numero di costruzione: 293
Varo: 6 gennaio 1917 
Completamento: 11 giugno 1917
Fu affondato a Pola il 28 ottobre 1918 in seguito alla resa dell'Austria-Ungheria.
Dislocamento: 508 tonnellate in superficie, 641 tonnellate in immersione;
Lunghezza: 55.30 m
Larghezza: 5,80 m
Scafo immerso: 3,68 m

Propulsione:
2 × alberi di trasmissione
Motore diesel a due cilindri a 2 tempi MAN 2x, 1.085 bhp (809 kW)
2 × Motori elettrici Siemens-Schuckert, 780 shp (580 kW)
Velocità:13,6 nodi in emersione, 8 nodi in immersione;
Autonomia: 10.400 mi a 6 nodi in emersione
Immersione di 55 nmi a 4 nodi;
Profondità di prova: 50 m;
Complemento: 3 ufficiali, 31 uomini;
Armamento:
Tubi lanciasiluri 5 × 50 cm (19,7 pollici) (4 a prua, 1 a poppa) per un totale di 10 siluri;
Cannpne di coperta 1 × 88 mm;
In servizio presso la II Flotiglia di Pola dal 2 settembre 1917 al 28 ottobre 1918;
Comandante: Oblt.z.S. Wolfgang Steinbauer;
Operazioni: In 9 pattugliamenti furono affondate 36 navi mercantili per 110.095 tsl e 8 navi mercantili danneggiate per 25.113 tsl; 1 nave da guerra danneggiata per 18.400 tonnellate.


Il sommergibile della 1^ Guerra Mondiale UB-48 era un sottomarino di tipo UB III di tipo tedesco nella marina imperiale tedesca “Kaiserliche Marine”. 
Fu commissionato alla Marina Imperiale tedesca l'11 giugno 1917 come SM UB-48.
Fu assegnato alla base navale di Pola e in seguito alla II Flottiglia di U-boat del Mediterraneo con sede a Cattaro. 
Il sommergibile UB-48 è stato uno dei più famosi U-boats in attività nel Mediterraneo. 
Al battello fu assegnato il numero U-79 dalla Marina Austro-Ungarica. Fu affondato a Pola dopo la resa dell'Austria-Ungheria il 28 ottobre 1918.
Era un sottomarino di tipo tedesco UB III e fu ordinato data 20 maggio 1916 e costruito dai cantieri Blohm & Voss di Amburgo. Dopo meno di un anno di costruzione, fu varato ad Amburgo il 6 gennaio 1917. 
Ai comandi dell’UB-48 fu assegnato il Comandante Wolfgang Steinbauer. 
Come tutti i sottomarini Tipo UB III, l'UB-48 trasportava 10 siluri ed era armato con un cannone da 88 mm. 
L'UB-48 aveva un equipaggio di 3 ufficiali e 31 uomini e aveva un’autonomia di 9.090 miglia nautiche; aveva un dislocamento di 516 t in superficie e 651 tonnellate in immersione. I suoi motori gli permettevano di navigare in superficie a 13,6 nodi e ad 8 nodi in immersione.
Il sottomarino condusse nove pattugliamenti e affondò 32 navi durante la guerra per una perdita totale di 104.488 tonnellate di stazza lorda (GRT) e un cacciatorpediniere. 
In data 4 ottobre 1917, il sommergibile comandato dal Oblt.z.S. Wolfgang Steinbauer, affondò il piroscafo “Città di Bari”, a bordo del quale trovò un tragico destino mio nonno paterno Pasqualino Vernì, soldato del “271° Battaglione della Milizia Territoriale”, dislocato sul fronte Macedone, al quale faceva ritorno dalla licenza durante la 1^ Guerra Mondiale.



PORTO DI TARANTO – MAR PICCOLO, Giovedì 4 ottobre 1917: Aria serena. 

Giornata mite e piena di sole, che fa ben sperare; una bella giornata ottobrina. Il solito movimento del tempo di guerra, piuttosto ordinato e circospetto; il solito andirivieni tra le banchine del gran porto tarantino. Navi alla fonda, navi che vanno, navi che vengono; mercantili o da guerra. Ultimi controlli per i passeggeri pronti all’imbarco.

Attorno ad una, in particolare, ferve sin dal mattino un’insolita attività: si stanno mettendo a punto le ultime cose: fra le quali il funzionamento di un cannoncino da 76 m/m, di cui essa è stata dotata da poco; si stanno caricando le poche mercanzie, imbarcando, alla spicciolata, senza fretta alcuna, i pochi passeggeri, tutti militari, per la vicina Macedonia, via Grecia.
E’ il piroscafo “Città di Bari”.
Lo comanda un giovane ma esperto lupo di mare, un barese doc, credo, probabilmente parente stretto del defunto Pantaleo Castellano, un coraggioso di poche parole, concreto, essenziale, il capitano L.Castellano, coadiuvato da un eccellente equipaggio, composto, in gran parte, di pugliesi, se non di baresi – i Violante, p.e., i De Santis, i De Tullio, i Cassano, gli Introna, i Bottalico, i Bellomo, per dirne qualcuno. Chi ne volesse conoscere tutti i nomi, uno per uno, può scorrerne gli elenchi che noi alleghiamo in questo volume, sez. Documenti.
Prima dello scoppio della “Grande Guerra” il “Città di Bari” aveva solcato con dignità e onore l’Adriatico e lo Jonio, soprattutto, attivamente partecipando ai traffici commerciali che si svolgevano nei due mari e tenendo ben collegate tra di loro le sponde che ne erano bagnate.
Con l’entrata in guerra del nostro Paese, era stato requisito e, armato di cannone, dopo aver partecipato alle operazioni di salvataggio, da parte della Regia marina, dell’esercito Serbo-Montenegrino e di trasporto, da S.Giovanni di Medua a Brindisi, dei membri del governo slavo e del tesoro statale (come provano e documentano fonti italiane e britanniche pubblicate dalla Rivista Marittima del gennaio 2003, che qui di seguito vi mostriamo), veniva adibito ad “ausiliario” della Regia Marina Militare, nel servizio-postale e passeggeri, con partenza da Taranto, al giovedì, sulla linea Taranto – Gallipoli – Corfù – Patrasso.
E qui, proprio qui, su questo tratto, la malasorte volle che, nel viaggio che stiamo per raccontare, si compisse il suo tragico destino.

La partenza del “Città di Bari” da Taranto. L’arrivo e la sosta a Gallipoli. L’imbarco di civili greci. Il primo siluramento. Il secondo siluramento. L’ammutinamento dei greci. Il cannoneggiamento da parte del sommergibile siluratore. L’affondamento del piroscafo. La scomparsa del capitano comandante. Lo sbandamento dei naufraghi.

Lasciata Taranto nel pomeriggio di giovedì 4 ottobre, il “Città di Bari” giunse a Gallipoli (l’antica KalhpoliV, o “Città Bella”, fiorente centro commerciale affacciato sullo Jonio, a 38,5 Km. da Lecce), nelle prime ore della sera dello stesso giorno.
Era solo, senza scorta, avendo a bordo, oltre all’equipaggio civile composto di 40 persone e all’equipaggio militare di 11, soltanto 37 (o 35?) passeggeri militari del Regio Esercito (c’era tra questi il padre di chi scrive, Pasquale, soldato del “271° Btg. Milizia Territoriale”, dislocato sul fronte Macedone, al quale faceva ritorno dalla licenza) e della Regia Marina ed un carico di 130 tonn. di viveri e materiali vari .
“Quando il “Città di Bari” giunse a Gallipoli – narra nel suo interrogatorio l’Ufficiale di Porto – mi recai a bordo della nave, e il Capitano di questa, Luigi Castellano, mi chiese se il Piroscafo “Imera”, silurato due giorni prima, avesse avuto la scorta. Alla mia risposta negativa disse: “Chissà se per noi vi sarà la scorta”. Risposi che non sapevo, ma che però non lo credevo e, quindi, lo informai che i passeggeri da imbarcare superavano le cento unità.
Al mattino seguente informai il Comandante di Spiaggia delle parole scambiate col Capitano a riguardo della scorta. Il Comandante Stranges mi rispose di non avere facoltà di dare la scorta, ma che, se il Capitano l’avesse ufficialmente richiesta, avrebbe telegrafato a Taranto per l’autorizzazione. Mi recai nuovamente a bordo e riferii quanto sopra al Capitano, ma questi mi rispose che non voleva chiedere scorta per non far credere di avere paura. Se queste non furono le sue precise parole, certo il senso ne era equivalente.
Rimasi a bordo del Piroscafo tutto il pomeriggio e verificai se tutti avessero il salvagente e se lance e zattere fossero a posto, libere da impedimenti ed in numero sufficiente, del che ebbi anche assicurazione dal Capitano.
Non mi occupai, perché non di mia competenza, del ritiro delle armi dei passeggeri; per quanto mi consta, ciò non fu fatto né dell’Autorità di Pubblica Sicurezza, né da quella di bordo, né dagli Agenti della Regia Dogana.
Ritornai a terra mezz’ora prima della partenza e riferii al Comandante di Spiaggia che il Capitano non aveva creduto di chiedere la scorta.
Il “Città di Bari” partì regolarmente alle 18h,30m. A tenore delle norme vigenti, non feci alcun telegramma di partenza, però, in vista del rilevante numero di passeggeri, telegrafai subito ai Servizi Logistici che il Piroscafo era partito con 400 passeggeri”.
“Imbarcati, dunque, 405 passeggeri e come merci del vino e dei tessuti di cotone – scrive il Contrammiraglio Paladini – il Piroscafo lasciava, alle ore 18.30 del 5 ottobre, il porto di Gallipoli…

…La partenza del Piroscafo fu telegrafata al Ministero, al Dipartimento di Taranto ed al Comando in Capo dell’Armata di Taranto, con queste parole: “Piroscafo «Città di Bari» mare” – Nessun telegramma fu fatto invece ai Comandi Navali di Brindisi, Valona e Corfù”, perché, – si giustifica lo Stranges nel suo interrogatorio – nessun ordine di tale specie avevo per quanto riguarda la partenza per Corfù”. E nessuna scorta fu data al Piroscafo, perché, – sempre a dire dello Stranges – non avevo alcuna istruzione di fornire scorta per interi viaggi, perché il Città di Bari è partito dopo il tramonto, ma, soprattutto, perché il Capitano del Piroscafo si diceva riluttante a dar mostra di temere il pericolo”.

Trascorsero tranquille – scrive sempre il Paladini – le prime ore della notte”: notte di luna – ricordano i superstiti -; aria fosca; forte vento di E-NE che rendeva il mare agitato; visibilità scarsa.
Ma, attorno alla mezzanotte, tra le 23h,45m e le 24h, il marinaio Albano – che era di guardia al cannone, e qualche altro, videro passare di poppa la scia di un siluro. Avvisato, il Capitano della nave, si portò immediatamente sul posto, ma, non trovando conferma del lancio prospettatogli e non scorgendo alcun segno della presenza del sommergibile siluratore – (probabilmente perché questo si é affrettato a far perdere traccia di sé) – credette ad un abbaglio e tutto finì lì.
Invece abbaglio non era e l’Albano e gli altri avevano visto giusto.
E la conferma ce la dà il sopravvissuto – italiano o straniero? membro dell’equipaggio del «Città di Bari» o anonimo passeggero? – fatto prigioniero e condotto poi a Pola, del quale, però, la fonte austriaca non rivela il nome per ragioni di riservatezza .
Alle Autorità di marina che lo interrogavano, il sopravvissuto anonimo raccontò che quel primo lancio il sommergibile siluratore lo effettuò esattamente alle 2h,30m del mattino del 6 ottobre. (“Am 6 Oktober um 2 Uhr 30′ a.m.”, è scritto nel documento precitato) e che il “Città di Bari” rispose all’attacco sparando alcuni colpi di cannone – (“Antwortete mit seinen Kanonen”).
Veri o falsi, in tutto o in parte, questi particolari, sta di fatto che un primo siluro fu effettivamente lanciato contro il piroscafo italiano e che, probabilmente, l’U boot tedesco, andato a vuoto quel suo primo tentativo di siluramento, temendo la reazione del “Città di Bari”, sospese momentaneamente l’attacco per riprenderlo più tardi.
L’allarme, perciò, rientrò; la calma ritornò a bordo e tutti tirarono un sospiro di sollievo.

“L’aria era fosca ed un forte vento di E, NE rendeva il mare agitato. Le 4 erano passate da circa un quarto d’ora – racconta il 2° Ufficiale del Piroscafo – e mi trovavo in sala nautica allorché udii lo scoppio…

“Il tempo era quasi nuvoloso, tirava un vento moderato da scirocco ed il mare era mosso. Si diceva anche che era possibile qualche sorpresa all’alba. Alle 4h,10m circa, udimmo una forte esplosione”…- ricorda il 1° Ufficiale .
“Mi trovavo sul primo cassero, – narra a sua volta il direttore di macchina – passeggiavo tra l’osterigio di macchina e la sala nautica; erano passate da poco le 4h,00m allorché udii un colpo metallico fortissimo e vidi sollevarsi dall’osterigio di macchina un’alta colonna di acqua e vapore. Il siluro aveva colpito il bastimento proprio fra la caldaia e le macchine, che si fermarono immediatamente, insieme naturalmente alle due dinamo. Il bastimento rimase all’oscuro”.
“Svegliato dall’esplosione, – racconta, tra l’altro, Luigi Aleotti per prima cosa corsi abbasso nella stazione R.T. che si trovava proprio nel corridoio che univa la prima con la seconda classe: vidi tutti gli strumenti per terra e capii che la stazione non poteva più funzionare. In coperta la gente si agglomerava intorno alle sei imbarcazioni. Vi erano anche molte zattere, circa 16 in legno e sei od otto in ferro.
Il Comandante era sulla dritta e il capo timoniere sulla sinistra; ambedue cercavano di ottenere un po’ di calma, per effettuare ordinatamente il salvataggio, ma questo non fu possibile, data la resistenza armata dei Greci: gettavano gli zatteroni a mare senza ritenuta, facevano capovolgere le lance, venivano alle mani…”
“Intanto il bastimento si sbandò un poco a dritta, molto a sinistra, e quindi si immerse per circa due metri, rimanendo orizzontale. Una ventina di minuti dopo il siluramento – ricorda ancora il 2° Ufficiale -, arrivò la prima granata che cadde una ventina di metri a sinistra del bastimento. La seconda, credo colpisse il cannone di poppa. Seguirono altri colpi. Appena cominciato il fuoco, non fu possibile impedire alla gente di gettarsi a mare raggiungendo le zattere che, filate e senza ritenute, s’allontanavano dal bordo.”
“Svegliato dall’esplosione, – riferisce a sua volta il sottocapo cannoniere – corsi subito vicino al pezzo, ma non vidi nulla. Dopo un po’ scesi dalla tuga per cercare il capo timoniere ed il Comandante. Trovato il capo timoniere, andai con lui ad aiutare a mettere le zattere in mare.
Mentre facevo questa operazione, ho udito il primo colpo di cannone e visto il sommergibile al traverso a sinistra. Corsi subito a poppa, ma fui fermato dai Greci che non volevano si sparasse, temendo che il sommergibile, per rappresaglia, sparasse sulla gente a mare…
…Prima di buttarmi a mare – a bordo eravamo rimasti solo io e il sottocapo francese AUGER Renè – vidi i Greci che facevano segno al sottomarino con una camicia, affinché non sparasse più. Mi precipitai addosso e strappai loro la camicia…
All’ultimo momento i Greci ammainarono pure la bandiera italiana”.
“Restai a bordo fin quasi all’ultimo – ricorda VALENZO Pietro. Vidi all’inizio del bombardamento che dei Greci facevano segnale al sommergibile gridando: “Costantino” .
“Dopo una mezz’ora – racconta il marinaio cannoniere FAVAZZA Salvatore – il sommergibile emerse a circa 200 metri dalla poppa e cominciò a bombardare. Due colpi raggiunsero il fumaiolo ed uno colpì in prossimità della stiva prodiera. Durante il bombardamento (a base di granate incendiarie) solo io rimasi in prossimità del cannone. Poco dopo, però, me ne andai per mettermi al riparo. Il sottomarino, allora, si affiancò a dieci o quindici metri di distanza e mi si domandò in buon italiano dov’era il Comandante. Gli risposi che non c’era…”
“Nel frattempo il sommergibile si era avvicinato al Piroscafo e aveva sbarcato il radiotelegrafista dell’IMERA su una zattera – riferisce il 2° Ufficiale-. Tirò una cannonata sulla prua del Piroscafo al galleggiamento determinando l’affondamento”.
Colpito a morte, senza preavviso, da quindici granate incendiarie, l’ultima delle quali al bagnasciuga, tutte sparate tranne l’ultima, mentre la gente era ancora a bordo e cercava in tutti i modi e con tutti i mezzi di convincere gli artiglieri di bordo a non sparare contro il sommergibile e, alzando bandiera bianca e ammainando la bandiera italiana, quelli del sommergibile a non sparare sui passeggeri ancora presenti sulla nave, il “CITTA’ DI BARI”, lentamente affondò in fiamme – “…endlich sank das schiff in flammen”.
Trascinando con sé, in fondo al mare, uomini e cose e inabissandosi a 39° 20′ Lat.N., 19° 23′ Long.E. – rotta 107° magnetico da un punto 15 miglia a sud di S.Maria di Leuca – al largo dell’isoletta di Paxòs o Paxì, a sud di Corfù, nel mentre in cielo e sul mare già albeggiava e si scatenava un furioso temporale che durò tutta la notte.
Sfasciate le imbarcazioni per l’imperizia dei Greci che se n’erano impadroniti e che pagarono con la vita l’atto precipitoso, le zattere di bordo raccolsero i rimanenti passeggeri e affrontarono il viaggio della salvezza, che per i più non giunse mai.
Ma, quasi a rendere più intricata e drammatica la fase finale di questa angosciosa vicenda, ecco, fosco ed oscuro, il dramma personale del coraggioso sfortunato Capitano: non é presente fisicamente, come noi ci aspetteremmo, alla morte della sua nave.
Eppure, subito dopo l’esplosione del secondo siluro, molti lo hanno visto, lo hanno notato, mentre…
…si precipitava fuori (della cabina di comando) gridando: “Salvagenti a posto”! – deposizione del secondo ufficiale -;
…cercava di organizzare il salvataggio e infondere un po’ di calma” -(direttore di macchina)-;
…sulla dritta cercava di ottenere un po’ di calma per effettuare ordinatamente il salvataggio…, ma questo non fu possibile, data la resistenza armata dei greci –
…diceva all’artigliere: “Sono Capitano e la mia nave è stata già silurata. Non faccia fuoco, altrimenti sparano contro le zattere!” – (primo timoniere) -;…
…vedendo la nave sbandare a dritta in modo che giudicò pericoloso, ordinava: “Gente in riga e zattere e lance a mare!” – (primo ufficiale) -;…
Dopo tutto questo, il Capitano non si vede più, esce di scena, scomparendo proprio mentre ci si aspettava di vederlo, nel solco della tradizione marinara, fermo al suo posto di comando, andare coraggiosamente a fondo e morire insieme con la sua nave.
Secondo un testimone oculare, egli si gettò a mare. Infatti, il primo cameriere testimoniò: “Mi gettai a mare dopo il Comandante dal boccaporto n.2″.
Allora, gettatosi a mare, è per caso affogato? o, piuttosto, è sembrato gettarsi a mare, mentre, invece, vi cadeva accidentalmente probabilmente ferito a morte da…”quel colpo di rivoltella sparatogli contro dal basso da uno sconosciuto?”, come racconta nella sua deposizione il 2° Capo timoniere?.
Non lo sapeva chi gli stava dattorno, non lo sappiamo nemmeno noi.
Se, però, dobbiamo dar credito alla fonte austriaca, il capitano Castellano sarebbe morto di morte violenta, ucciso, con altri, durante la sommossa scoppiata a bordo del piroscafo in seguito alle prime cannonate sparate dal sommergibile.
Vera o falsa, questa versione, verosimili o inventati questi particolari, il mistero resta e ci è difficile svelarlo.
Quando, verso le ore 5.30 del mattino, la luce del giorno scese a illuminare questa parte del Mar Jonio, sulla scena del disastro non c’era più nulla ormai: non la snella mole della bella nave barese, sprofondata con tutto il suo carico negli abissi; non la sagoma scura del sommergibile tedesco, apparentemente assente, ma, di fatto, aggirantesi ancora minaccioso in quei paraggi; non le scialuppe di salvataggio, che, pur stracariche di naufraghi, vagavano sempre più lontane, alla deriva, facile preda delle onde, delle correnti e della forza dei venti.

“Nelle zattere si trovarono mescolati italiani e greci, che, numerosi, usarono soprusi e violenze, pestando coi piedi e ferendo di coltello e rasoio i nostri connazionali ed altri che si affollavano intorno alle già gremite imbarcazioni .”

Dura, lunga e faticosa fu la lotta dei naufraghi in una situazione oltremodo loro avversa, folle e vana la speranza di veder arrivare da un momento all’altro il soccorso liberatore: Corfù non sapeva; Taranto nemmeno. Finché, poi, qualcuno non darà l’allarme.
Nella notte, ad appena poche ore dall’affondamento, qualcuna delle zattere giunse anche a vedere in lontananza la terra della salvezza, …”ma il forte mare ci impedì assolutamente di avvicinarci a Fano, racconta un sopravvissuto.

I soccorsi. Il recupero e il ricovero dei naufraghi superstiti negli ospedali di Gallipoli e di Corfù. L’inchiesta. L’amaro bilancio. Considerazioni finali.

Nessun mezzo di soccorso videro i naufraghi durante tutto il giorno 6.
“Verso il mezzogiorno del 7 – appena due ore prima che fossero scoperti e tratti in salvo – calmatosi ormai il mare, abbiamo visto una leggera imbarcazione, una specie di caicco, contenente un greco. Un greco che era con noi allora abbandonò la nostra zattera e andò a parlare con quello. Ritornò poco dopo dicendo che quella imbarcazione non poteva salvarci ” .
“ Verso le prime ore del pomeriggio (del 7) apparve l’ESPERO ”.
“ Potevano essere le 2.00 del pomeriggio, allorché avvistammo un caccia ed un rimorchiatore”…credo che la nostra zattera sia stata l’ultima ad essere recuperata dall’ESPERO ”.
“ Alle 01.30 del giorno 7 – racconta il Comandante della Settima Squadriglia – ricevetti a Taranto un fonogramma che mi ordinava di accendere i fuochi per eseguire una missione.
Ricevetti solo verso le 3.00 le istruzioni scritte che dicevano:
di percorrere la rotta del Città di Bari che non era ancora giunto a Corfù. Dovevo continuare le ricerche fino al tramonto e passare la notte a Gallipoli.
Partii alle 3.30 da Taranto con una velocità di 20 miglia e seguii la rotta ordinatami… Avvistai la prima zattera verso le 2.05 / 2.10 del pomeriggio.
Questa conteneva tre o quattro uomini tra cui il 2° Ufficiale… Siccome sapevo che pure alla ricerca dei naufraghi si trovavano i C.T. “Pilo” e “Bronzetti”, feci loro un radiotelegramma, comunicandogli le coordinate geografiche del luogo ove mi trovavo. Infatti, dopo appena un quarto d’ora, essi arrivarono. Vennero altri due idrovolanti francesi che indicavano la posizione delle zattere. Continuai il salvataggio sino alle 16.45, raccogliendo ben 98 persone. Tra i salvati ve n’erano 97 della Città di Bari e uno R.T. dell’ “IMERA”. Avendo visto che vi erano dei feriti da coltello, ordinai il disarmo generale. Un greco, DEMETRE PRIFTIS, consegnò un rasoio insanguinato. A Gallipoli tutti i naufraghi ebbero assistenza.”
A loro volta, il “Pilo” e il “Bronzetti”, ne recuperarono altri 58 che provvidero a trasportare all’ospedale di Corfù.
“Di 493 persone che erano a bordo al momento della partenza da Gallipoli, – conclude malinconicamente nella sua relazione il Comandante della Divisione Base di Taranto – solo 156 si erano salvate e pure é certo che lo scoppio non può aver ucciso che, al massimo, una diecina di persone e che qualche altro può aver trovato la morte per aver battuto qualche forte colpo nel gettarsi in mare, forse tra questi ultimi il Capitano del piroscafo, del quale non si riuscì ad avere alcuna notizia dopo l’affondamento.”
Dunque, terminate le operazioni di ricerca e fatta la conta dei superstiti, all’appello risposero soltanto 156 persone – (160, secondo la fonte austriaca).
E le altre 337 o 368 o 560, o forse più? (se dobbiamo credere alla predetta fonte straniera).
Disperse. Morte. Tutte morte. Tutte finite in fondo al mare. Precipitatevi, non dalla nave che le trasportava, ma dalle scialuppe di salvataggio, in cui erano riuscite, bene o male, a trovar posto, prima che il “ Città di Bari ” affondasse. Precipitatevi da sole. Lasciatevisi andare così, con semplicità, quasi con un dolce senso di abbandono e di rassegnazione nel proprio destino. Uccise dagli stenti, dal maltempo, dalla violenza di prepotenti compagni di viaggio, dagli scoraggiamenti, dalla lunga attesa e permanenza in mare – durata, è incredibile, un giorno e mezzo! –
Ce ne parlano diffusamente, nelle loro deposizioni, i pochi fortunati superstiti. Basti leggere, come ha fatto l’orfano che scrive, – “ un groppo alla gola, l’occhio inumidito di pianto, il cuore in subbuglio ” – gli scioccanti racconti che i superstiti fanno alle autorità giudiziarie.
Vi trovi tutto:
La logica perversa
della guerra;
L’imponderabilità;
L’imprevedibilità, l’inevitabilità, la fatalità, – come si usa dire in certi casi – degli eventi;
L’impotenza dell’uomo nella lotta contro le forze scatenate della natura;
L’insano egoismo, che spesso scaccia vincendolo l’altruismo, e sempre alberga nel cuore dell’uomo – come inorridisce tutta quella violenza! come suonano male tutti quei “mors tua, vita mea”, lanciati dal fratello contro l’altro fratello, al momento del pericolo!;
L’irresponsabilità, o la totale mancanza di senso di responsabilità, la superficialità, la leggerezza nel governare talune contingenze;
La temerarietà di qualcuno – che – si badi – non è coraggio, ma audacia eccessiva, sconsiderata, irragionevole;
L’incapacità, l’apatía o mancanza di “páthos”, in alcuni, la negligenza « nell’adempimento dei doveri del proprio ufficio », in altri: (“non si manda una nave allo sbaraglio, stracarica di passeggeri, sola, senza scorta, non ce se ne lava le mani, non la si lascia partire, ci si oppone, se non si vuole andare incontro a disastro sicuro…; bisognava riflettere, pensarci due volte, prima di…obbedire almeno alla legge del…buon senso; non….”).
Tutte cause o incidenze gravi, che hanno avuto un peso non indifferente nella dinamica dei fatti. Ove fosse stato possibile ridurne il malefico influsso, si sarebbe potuto almeno contenere, limitare, ridurre al minimo, le proporzioni di una “catastrofe annunciata”, che invece ebbe a costare la vita a un gran numero di persone.
Oltre 400, certamente. Forse 500. Forse anche di più.
La violenza, spesso senza volto e senza perché, era così diffusa, allora e dappertutto, che nessuno sapeva rinunciarci; e se ne ebbero i risultati!
Un vero disastro, torniamo a ripetere, una sciagura immensa, incredibile…
Non delle stesse proporzioni di quello lamentato nell’affondamento del “TITANIC” (1912), certo, o del “LUSITANIA”, il cui inabissamento, nel 1915, suscitò lo sdegno dell’opinione pubblica americana e contribuì ad orientarla in favore dell’entrata in guerra (nel 1917) degli Stati Uniti a favore dell’Intesa, ma pur sempre, enorme, raccapricciante, impressionante, che aveva chiaramente colpe ben definite.
Un disastro, nel vero senso della parola. Una strage, o carneficina se preferite.
Una tragedia che si poteva contenere, ridurre al minimo. Ma mancò l’impegno, la volontà di obbedire in pienezza di spirito e di partecipe generosità ai doveri precisi dello stato di ciascuno degli…addetti ai lavori.
Colpa anche della propaganda insidiosa che tanto male stava predicando ed inculcando, anche nei soldati di prima linea, forse! -. Mancò, infine quello spirito di solidarietà che fa grande un fratello al momento del bisogno.
E di scalpore e di impressione ne fece veramente tanta il malaugurato evento che ne rimasero giustamente preoccupati politici e militari, considerato anche e soprattutto, il grave momento in cui esso avveniva – si era, infatti, in un mese “caldissimo” della guerra in atto: nel fatale ottobre ‘17 -.
E, per far piena luce e chiarezza sulla triste vicenda e tacitare le coscienze turbate, usando prudenza, cautela e circospezione, il Ministero della Marina, aprì in tutta fretta un’ampia inchiesta: furono sentiti, in primo luogo i sopravvissuti (italiani e stranieri): i membri dell’equipaggio, gli artiglieri, i radiotelegrafisti, i passeggeri imbarcati, tutti i veri protagonisti insomma della vicenda. Furono ascoltati inoltre, come parte in causa, indiziati di reato, il Comandante in Capo del Dipartimento Militare Marittimo di Taranto, il Comandante in Capo dell’Armata R.N. “Trinacria”, il Comandante della Divisione Base di Taranto, il Comandante della Divisione Navale dello Jonio R.N. “Città di Catania”, il Comandante di Spiaggia di Gallipoli, il Commissario militare del piroscafo “ Città di Bari ”.
E, dopo due mesi circa di minuziose indagini, acclarata ogni cosa e individuati i veri responsabili del disastro, il Tribunale Militare emanò la sua sentenza: inflisse le pene che ciascuno si meritava, ma con mitezza, senza infierire contro nessuno.
Le sanzioni e i provvedimenti presi restarono però nel chiuso degli uffici, ammantati di discrezione e di riservatezza, mai svelati. Solo pochi conobbero le conclusioni della Giustizia. Esse non furono mai rese pubbliche “ per l’impressione ” si disse. Come non venne mai reso pubblico il numero preciso delle persone scomparse, tutte insieme, in uno stretto braccio di mare:
morte,
a due passi dalla salvezza, pensate!
Sotto i nostri stessi occhi.
Con la nostra stessa complicità.
Come non pensare che essi, i morti, tutti quei morti, pesino, ancora oggi, sulla comune coscienza?
Le colpe, le responsabilità, stavano là e parlavano da sole e chiedevano giustizia, non vendetta, ma neppure dimenticanza.

Prof. Giovanni Vernì





Il comandante del sommergibile UB48


Il prof. Giovanni Vernì a fianco del modello del piroscafo Città di Bari, Museo Civico di Bari.
















La “GRANDE GUERRA NAVALE SOTTOMARINA” della “Kaiserliche Marine” tedesca



La battaglia dell’Atlantico durante la Grande Guerra fu incentrata principalmente sugli attacchi dei sommergibili al traffico mercantile alleato. 

Fu il confronto più importante e protratto nel tempo tra la marina inglese e statunitense da un lato e la Kaiserliche Marine dall’altro. Tali vicende si inseriscono in un contesto più ampio relativo ai vari confronti avvenuti in mare tra la Triplice intesa e gli Imperi centrali, fra i quali vanno certamente citate la battaglia di Coronel, la battaglia di Dogger Bank, la prima battaglia delle Falkland e la battaglia dello Jutland.



Dopo la battaglia dello Jutland l'ammiraglio Scheer arrivò alla conclusione, trasmessa al Kaiser attraverso un rapporto, che l'unica possibilità di vittoria fosse legata alla guerra sottomarina. Pertanto, sia prima che dopo l'entrata in guerra degli Stati Uniti, il confronto nell'Atlantico avvenne dapprima con la caccia ai mercantili isolati e successivamente gli Alleati rimisero in atto il sistema dei convogli, con una forte scorta di unità di superficie; vennero quindi create varie classi di unità specializzate nella lotta antisommergibili come i Submarine chaser statunitensi, prodotti in serie attraverso metodologie che coinvolsero anche specialisti di altri settori come Henry Ford.

L'evoluzione dell'ultimo decennio dei sommergibili aveva portato alla dotazione di questo mezzo da parte di molte delle marine militari, tanto che nel conflitto della prima guerra mondiale questa arma ebbe un ruolo principale. Oltre ad essere stata una delle cause dell'ingresso nella guerra degli Stati Uniti d'America, i sommergibili furono utili alla Germania soprattutto, ma anche in modo limitato all'Austria-Ungheria, per porre rimedio al blocco navale inglese reso possibile dalla supremazia navale della Gran Bretagna, mantenuta intatta dopo la battaglia dello Jutland.



Tra i sommergibili divenuti famosi durante il conflitto, oltre all’UB48 che affondò al largo di Corfù il piroscafo italiano “Città di Bari” con a bordo oltre 400 persone tra militari e civili, c'è sicuramente l'U-35, che sotto il comando dei suoi quattro comandanti (Waldemar Kophamel, Ernst von Voigt, Haino von Hamburg e Lothar von Arnauld de la Perière) affondò complessivamente nel corso del conflitto 224 mercantili.

Complessivamente la classe della quale faceva parte l'U-35, che era nota come Classe U-31, all'epoca era composta da 11 battelli, affondò durante l'intero conflitto oltre 1.917.146 tonn di stazza lorda di mercantili nemici. 

La classe della quale faceva parte anche l'U-35 non divenne famosa solamente per l'elevato numero di navi che le unità appartenenti a questa classe riuscirono ad affondare, ma anche per avere introdotto come prima classe di sommergibili al mondo il doppio scafo, una innovazione che di seguito verrà applicata a tutte le unità a partire dalla seconda guerra mondiale.



L'unica nave da guerra di superficie tedesca presente in Atlantico era allo scoppio della guerra fu la SMS Karlsruhe, un incrociatore leggero moderno e veloce. Essa fu oggetto della caccia di uno squadrone di incrociatori britannici più vecchi basati nei Caraibi ed al comando del contrammiraglio Cradock: allo scoppio della guerra affondò diverse navi alleate e sfuggì varie volte ai più lenti incrociatori britannici, e venne rifornito da carboniere tedesche camuffate da mercantili neutrali. Affondò il 4 novembre 1914 per una potente esplosione, probabilmente dovuta ad un incidente in un deposito munizioni.

All'inizio della prima guerra mondiale non esistevano mezzi di scoperta dei sommergibili totalmente immersi, quindi gli stessi potevano essere attaccati solo quando si trovavano in superficie. Per questo motivo le prime misure contro i sommergibili tedeschi, dopo che il 22 settembre 1914 l'U-9 aveva affondato in una singola azione tre incrociatori corazzati alleati, furono di organizzare 500 pescherecci e navi da diporto armate di un cannone di piccolo calibro e in alcuni casi di torpedini a traino, per sorvegliare tutte le acque britanniche. Tali imbarcazioni antisommergibili erano chiaramente di scarsissima efficacia, tanto che nei primi tre mesi della campagna contro il traffico mercantile nel Mare del Nord la Germania perse solo cinque sommergibili sui ventuno che il 18 febbraio 1915 avevano iniziato la campagna di guerra. All'epoca l'unico modo per rilevare la presenza di sommergibili nemici era di utilizzare reti che, incontrando il sommergibile, avrebbero segnalato la sua relativa posizione ai pescherecci che le trainavano. Naturalmente questo metodo non poteva essere utilizzato in mari aperti, ma fu efficace per il blocco dello Stretto di Dover. Più efficace fu la creazione delle "Q ship", cioè navi civetta, all'apparenza mercantili, ma con cannoni occultati a bordo. Dato che, dopo l'affondamento del Lusitania, che aveva sollevato contro la Germania l'opinione pubblica statunitense, i sommergibili tedeschi dovevano attaccare i mercantili stando in superficie, le "Q ship" nel periodo giugno settembre 1915 affondarono tre sommergibili tedeschi (su un totale di 11 persi nello stesso periodo).



Gli statunitensi misero a punto un battello antisommergibili, che fosse economico, utilizzasse materiali non strategici come il legno, e fosse riproducibile da cantieri diversi con criteri standardizzati. Questo cacciasommergibili lungo 34 metri venne messo in linea in decine di esemplari dopo l'entrata in guerra della Us Navy e liberò dai compiti di scorta i cacciatorpediniere di squadra; dotate di bombe di profondità, mitragliere e cannoncini, queste unità sopravvissero al conflitto per essere largamente utilizzate anche durante la seconda guerra mondiale. Un diverso battello di dimensioni maggiori, (53 m), portava la sigla con prefisso PC (Patrol, Coastal). I battelli statunitensi di norma erano equipaggiati dalla Riserva della US Navy ed operavano su reparti di 3, 6 e 18 unità. 

Anche la Royal Navy nel 1915 ordinò a cantieri statunitensi una tipologia simile di battelli denominati Lance a motore, inizialmente in un ordine di 50 unità per il cantiere Eico, e poi estendendo l'ordine a 500 esemplari di vari cantieri. Le unità erano lunghe 24 metri e capaci di 27 nodi di velocità massima.

Nel 1916 la Gran Bretagna mise a punto l'idrofono, che, essendo in grado di captare i rumori subacquei, poteva indicare, almeno in modo approssimativo, la posizione del sommergibile alle navi di superficie e la carica di profondità che permetteva di attaccarlo anche quando sommerso. Il 16 luglio 1916 il sommergibile tedesco UC 7, per la prima volta nella storia, fu localizzato con gli idrofoni e fu affondato con cariche di profondità. 

Il mese in cui si ebbero le maggiori perdite di sommergibili tedeschi fu il maggio 1918, in cui ne furono persi 55, di cui 23 per le bombe di profondità, 13 per mine e 19 per altre cause. Sempre durante il primo conflitto mondiale fu impiegato come arma antisommergibile il cannone Davis, installato su cacciasommergibili statunitensi come la SC-17 e la SC-20. I britannici, sempre nell'ambito della lotta antisommergibile, lo impiegarono sperimentalmente su diversi aerei, tra cui un bombardiere Handley Page Type O ed un Short S.81.

Con il blocco navale apparvero però anche nuovi tipi di unità che avevano come compito principale quello di aggirare il blocco navale alleato e rifornire Germania e Austria con materie prime provenienti dalle colonie di oltremare. Sommergibili come l'U-151 dotati di due grandi cannoni, furono utilizzati nei primi anni della grande guerra come sommergibili mercantili. Ciò nonostante queste unità dalle dimensioni enormi navigavano perlopiù in superficie e si immergevano solo se necessario in caso di pericolo.

Le dimensioni notevoli di questi battelli e i due grandi cannoni che portavano con sé ne limitavano fortemente le capacità di navigazione in immersione. Con l'ingresso degli Stati Uniti nel conflitto persero però rapidamente di significato tanto che negli ultimi anni del conflitto non furono più utilizzati.


Ciò nonostante il concetto di sottomarino che potesse adempiere al compito di mercantile e allo stesso tempo potesse anche operare come caccia mercantili venne sviluppato ancora dopo la fine della guerra per raggiungere il suo culmine a metà degli anni trenta.

Importante per l'evoluzione dei sommergibili caccia mercantili furono principalmente due fattori. Come primo fattore pesava che i sommergibili in immersione erano decisamente più lenti delle navi.

Risultava quindi particolarmente semplice per una nave una volta scoperta la minaccia di un sottomarino fuggire da essa. Come secondo fatto pesò in modo decisivo sia l'elevato costo dei siluri che la loro scarsa affidabilità.

L'utilizzo del cannone del quale erano dotati non solo risultava meno costoso, ma permetteva di attaccare le navi in emersione potendo contare su velocità di punta più elevate. Inoltre ricaricare il cannone era molto più rapido che riarmare il tubo lanciasiluri. Per rendersi conto di quanto fosse diffuso l'utilizzo del cannone all'epoca basti pensare che l'U-35 in solo quattro casi utilizzò dei siluri per affondare un mercantile mentre in tutti i restanti casi fece ricorso all'utilizzo del cannone esplodendo nel corso delle sue 25 missioni più di 900 colpi. Ciò nonostante alcuni affondamenti fatti tramite l'ausilio del siluro divennero storicamente rilevanti come la prima nave ad essere affondata durante il conflitto, l'esploratore britannico Pathfinder, e l'affondamento del transatlantico britannico Lusitania, il quale carico di civili statunitensi, fu ritenuto spesso in letteratura storica il casus belli per l'entrata in guerra degli Stati Uniti, nonostante vi siano stati in precedenza ripetuti attacchi anche a navi statunitensi che spinsero il presidente Wilson a riconsiderare la posizione statunitense.


La Royal Navy realizzo’ il primo sommergibile già nel 1902. 
Dopo il 1905 anche le Germania iniziò la produzione in questo senso, concretizzando le potenzialità belliche di questo rivoluzionario tipo di vascello. 
Nel 1913, i tedeschi realizzarono il primo “U-boot” e all’inizio della Grande Guerra ne possedevano già 30 unita’ pronte al combattimento. 
Sebbene il Regno Unito e la Francia ne possedessero, rispettivamente, 55 e 77, fu proprio la Germania a volerli subito ed esclusivamente impiegare per una caccia spietata ai navigli nemici, silurando, per quasi tutta la durata della Grande Guerra, qualsiasi natante. All’epoca infatti, un po’ come avveniva con i codici di antica reminiscenza “cavalleresca” della neonata arma aerea, anche in Marina si era soliti bloccare in mare aperto e avvertire dell’imminente siluramento gli equipaggi di ogni singola nave presa di mira da un U-Boot: solo dopo che l’equipaggio si fosse messo in salvo, utilizzando zattere e scialuppe, si sarebbero potuti lanciare i siluri! 



I sommergibili tedeschi, purtroppo “dimenticarono” quasi subito questo genere di “cortesia”, e si misero a cacciare e a colpire anche le navi di Paesi neutrali ed estranei al conflitto, per paura che trasportassero segretamente armi e materiali bellici per le forze dell’Intesa.

Anche se e’ facile intuire il perché di questo uso indiscriminato dei sommergibili, da parte di una Germania stretta nella morsa dell’embargo, bisogna comunque considerare si trattava di un nuovo genere di arma, non particolarmente affidabile, ne’ potente. 

I sommergibili della Grande Guerra infatti, erano molto fragili e potevano immergersi fino ad un massimo di 70 metri di profondità per poche ore.

Al contrario di quanto avviene ai giorni nostri, con sottomarini a propulsione nucleare che possono navigare immersi a grandi profondità addirittura per settimane o mesi interi, gli U-boot della Prima Guerra Mondiale si limitavano ad andare sott’acqua in fase di avvicinamento al nemico o per sfuggire ai cacciatorpedinieri.

Ecco dunque apparire, verso la meta’ del 1917, la famosa “tattica dei convogli” che, ideata dalla Gran Bretagna, permise di scoraggiare e rendere spesso infruttuosi e rischiosissimi gli attacchi dei sommergibili tedeschi. La dotazione offensiva degli U-Boot comprendeva tubi lanciasiluri (se ne potevano imbarcare cinque o sei al massimo), un cannone da 160mm e la possibilità di trasportare e sganciare mine galleggianti. L’equipaggio poteva contare tra i 20 e 40 membri, mentre la velocità massima in immersione non superava gli 8,5 nodi.

Alla fine della Grande Guerra la Gran Bretagna aveva perso 54 sommergibili, ma ne possedeva ancora 137 in servizio e 78 erano in costruzione, mentre la Germania registrava al suo attivo 192 affondamenti con oltre 4.000 vittime.

Gli obiettivi delle campagne degli U-Boot in entrambi i conflitti furono i convogli che portavano rifornimenti dagli Stati Uniti in Europa. Il termine U-Boot, seguito da un numero, esempio U-Boot 47 indica uno specifico vascello, mentre U-Boot Tipo II una determinata classe.


Nel maggio del 1915, l'U-boot U-20 tedesco affondò il transatlantico RMS Lusitania. Delle 1.195 vittime, 123 erano civili americani, tra i quali un noto produttore teatrale e un membro della famiglia Vanderbilt.

Questo evento fece rivolgere l'opinione pubblica americana contro la Germania, e fu uno dei fattori principali dell'entrata in guerra degli Stati Uniti a fianco degli alleati durante la Grande Guerra. Il 31 gennaio 1917 la Germania dichiarò che i suoi U-Boot si sarebbero impegnati in una guerra sottomarina indiscriminata.
All’inizio del conflitto, una nave inseguita da un sommergibile provava, solitamente, a zig-zagare, nella speranza di evitare i siluri (che all’epoca non erano in grado di seguire un bersaglio, ne’ possedevano alcun tipo di telecomando).
Si adottarono poi delle reti metalliche, agganciate alla chiglia delle navi, allo scopo di ingabbiare i siluri, a sufficiente distanza di sicurezza. In seguito, succedeva anche che una nave cercasse di urtare direttamente un sommergibile, non appena quest’ultimo fosse affiorato a pelo d’acqua – le conseguenze, com’e logico supporre, furono disastrose, anche se ben 19 sommergibili furono affondati in tal modo. Le cannoniere di bordo servivano a poco, una volta impegnate e registrate sul bersaglio di un sommergibile in fase di rapida immersione, mentre solo gli inglesi impiegarono i propri sommergibili per dar la caccia a quelli tedeschi. Infine, l’unica vera arma utilizzabile contro questa minaccia sommersa, fu identificata nelle cariche o bombe di profondità, sviluppate in versioni sempre piu’ efficaci e letali durante tutta la durata della Grande Guerra.



Per evitare attacchi sottomarini ai porti o per bloccare la stessa via d’uscita dalle basi navali tedesche, anche le mine galleggianti furono impiegate con notevole successo.

L'RMS Lusitania era un transatlantico britannico in servizio agli inizi del XX secolo, di proprietà della Cunard Line; fu affondato nel 1915 da un sottomarino tedesco. Il fatto, accelerò l'intervento degli Stati Uniti nel conflitto.

Nel 1915 la Germania, in guerra con la Gran Bretagna, aveva disposto un blocco navale attorno alle coste del paese nemico. Gli Stati Uniti, all'epoca, erano neutrali e - mentre il Lusitania era ancorato nel porto di New York - l'ambasciata tedesca fece pubblicare, a proprie spese, un avviso sulla stampa statunitense per avvertire gli americani di non imbarcarsi su quella nave, poiché qualora questa avesse forzato il blocco navale sarebbe stata affondata.

Nonostante l'avviso, numerosi cittadini statunitensi si imbarcarono sul Lusitania. Il 7 maggio del 1915 un sottomarino tedesco U-20 lanciò un siluro contro il Lusitania mentre la nave, dopo aver forzato il blocco imposto dai tedeschi, si trovava al largo delle coste dell'Irlanda. A bordo ci fu una seconda esplosione non dettata dal siluro lanciato dall'U-20: si suppone che il Lusitania trasportasse materiale di contrabbando quali esplosivi o altro materiale potenzialmente esplosivo. Il transatlantico colò a picco, colpito alle macchine e non fu possibile fermare i motori e calare le scialuppe. Morirono 1.198 persone; se ne salvarono 751. Ancora oggi alcuni misteri collegati alla realtà sull'affondamento del Lusitania rimangono irrisolti; alcuni - considerando la superficialità delle indagini e la velocità del processo - sostengono l'idea di un complotto britannico volto ad accelerare l'entrata in guerra degli Stati Uniti.

In seguito all'attacco, tuttavia, gli Stati Uniti non intervennero immediatamente in guerra, ma chiesero in maniera decisa la fine degli attacchi U-Boot nell'Atlantico; richiesta alla quale la Germania acconsentì non senza proteste. Dopo alcuni mesi di guerra la Germania - ormai sull'orlo della rovina - riprese gli assalti condotti con sottomarini alle navi in transito nell'Atlantico nel tentativo di ridurre i rifornimenti degli Alleati; ciò pose fine alla neutralità degli Stati Uniti.

Nel primo decennio del ‘900 la Kaiserliche Marine, guidata dall’ammiraglio Alfred von Tirpitz e influenzata dalle teorie navali, si era impegnata a fondo nel portare la propria flotta d’alto mare a una forza paragonabile a quella della Royal Navy. Tuttavia agli esordi della Grande Guerra la marina tedesca era ancora pesantemente inferiore a quella britannica: alle 29 Dreadnoughts della Royal Navy, per un totale di 2.205.000 tonnellate, la Kaiserliche Marine poteva opporne solo 17, per complessive 1.019.000 tonnellate.

Nonostante la superiorità numerica, i vertici britannici vedevano nella flotta tedesca una grave minaccia alla propria supremazia sui mari. Fu così adottata una strategia che abbandonava la tradizione dell’amm. Nelson dello scontro decisivo, approdando all’approccio più indiretto della “flotta sempre all’erta”, schierata come una grande diga nella base navale scozzese di Scapa Flow. 

I vertici della Marina Imperiale tedesca Kaiserliche Marine, consci dell’inferiorità della propria flotta e dell’impossibilità di cogliere di sorpresa un nemico costantemente in guardia, decisero di mantenersi su posizioni difensive, fedeli ai principi della fleet in being. La strategia tedesca mirava perciò a salvaguardare il più possibile la flotta d’alto mare nella speranza che i posamine e i sommergibili indebolissero quella inglese. Tutto questo nella convinzione che una rapida sconfitta della Francia e il blocco navale avrebbero rapidamente concluso il conflitto.

All’origine della passività tedesca nella guerra navale vi erano inoltre ragioni di natura geografica: il tratto costiero del Mare del Nord era profondamente frastagliato e protetto da isole fortificate che difendevano le basi navali principali, senza contare che i tedeschi potevano contare sul canale di Kiel, una straordinaria “porta di servizio” che metteva in comunicazione il Mare del Nord con il Baltico e il grosso della flotta.

La difficile individuabilità e la capacità di svolgere rapidi attacchi per poi riparare nelle basi navali rendevano i sommergibili l’arma ideale da opporre allo strapotere britannico. 

Nei primi mesi di guerra si segnalarono solamente alcuni scontri minori e non vere battaglie navali, così come gli attacchi dei sommergibili alle ben difese e veloci corazzate inglesi si rivelarono infruttuosi.

Nel febbraio del 1915 tuttavia vi fu la svolta che mutò la guerra sui mari. Il conflitto, dopo la mancata vittoria in Francia, si apprestava ad essere lungo ed impegnativo e il rischio di uno strangolamento delle risorse economico-industriali della Germania era elevato. Fu così che la Kaiserliche Marine tedesca privò di ogni restrizione la guerra sottomarina che fino a quel momento aveva risparmiato il naviglio mercantile e neutrale, in particolare quello statunitense. Le acque intorno alle isole britanniche furono dichiarate “zona di guerra”: ciò significava che qualsiasi nave trovata in quell’area sarebbe stata affondata.

La prima fase della guerra sottomarina, pur dando risultati modesti che lasciavano presagire ulteriori e più proficui sviluppi, rischiò di provocare un intervento degli Stati Uniti in guerra. Con l’affondamento del piroscafo Lusitania (7 maggio 1915), si innescò una crisi diplomatica tra Stati Uniti e Germania che portò alla sospensione della guerra sottomarina indiscriminata (1 settembre 1915).

Tale tregua era destinata a non durare. Dopo la battaglia dello Jutland (31 maggio 1916), la Kaiserliche Marine ritornò con maggior determinazione e mezzi più ampi al sottomarino. Inizialmente i sommergibili tedeschi colpirono soprattutto nel Mediterraneo al fine di non urtare gli interessi americani, tuttavia nel febbraio del 1917 la Germania proclamò nuovamente la guerra sottomarina senza restrizioni. Il rischio di un intervento statunitense in Europa fu infatti ritenuto trascurabile perché i vertici dell’esercito ritenevano di essere in grado di liquidare le forze alleate prima che i contingenti americani giungessero al fronte.

La pressione esercitata dai sommergibili sui rifornimenti inglesi fu tale che nell’aprile 1917 colarono a picco 852.000 tonnellate di naviglio mercantile: il 25% delle navi non faceva ritorno. Il protrarsi di una simile situazione avrebbe portato il Regno Unito al collasso, tuttavia le promesse degli ammiragli tedeschi di una rapida risoluzione della guerra “per strangolamento” erano ben lungi dall’avverarsi.
Accanto al razionamento alimentare e all’aumento della produzione interna, il Regno Unito reagì posando campi di mine sempre più vicini alle coste tedesche, mettendo a punto aerei e navi antisommergibili, ma soprattutto adottò l’efficace sistema dei convogli navali facendo precipitare inesorabilmente il numero dei siluramenti. Nel giugno del 1917 gli affondamenti si erano ridotti a meno di duecentomila tonnellate ed entro la fine dell’anno la minaccia di un blocco dei rifornimenti era scongiurata. Nei primi mesi del 1918 le perdite di sommergibili erano ormai proporzionali ai danni arrecati al nemico: nel mese di maggio andarono perduti 14 sommergibili su 125 disponibili.

Le ragioni della sconfitta vanno ricercate all’interno della stessa Kaiserliche Marine: l’uso intensivo del sottomarino non fu sostenuto da un numero sufficiente di equipaggi addestrati, pregiudicando il rendimento e il crollo nervoso degli uomini. 

Sommergibili e marinai furono presenti in numero troppo limitato rispetto all’entità del compito loro assegnato. 

Indicativo della mole di lavoro cui furono sottoposti è il caso del sommergibile U-35, comandato da Lothar von Arnauld de la Perière, che tra il marzo 1915 e il marzo 1918 affondò 546.707 tonnellate di naviglio alleato nel Mare del Nord e nel Mediterraneo, stabilendo un drammatico record rimasto insuperato.

RITROVAMENTO DI UN SOMMERGIBILE TEDESCO AL LARGO DI OSTENDA

E' rimasto per 100 anni sui fondali a largo di Ostenda, in Belgio e il mare l'ha conservato in un ottimo stato. Gli esperti di archeologia marina guidati dal sub Thomas Termote hanno ritrovato nel Mar del Nord il relitto di un U-boot tedesco, i sottomarini usati dall'Impero teutonico durante la Prima guerra Mondiale. Lungo 27 metri e largo 6, il il sommergibile è a una profondità di quasi 30 metri e al suo interno sarebbero presenti i corpi dei 23 membri dell'equipaggio.

La scoperta è avvenuta di recente. Il punto esatto del ritrovamento non è stato indicato per scoraggiare i "cacciatori di trofei marini". Durante la Prima guerra mondiale, la marina tedesca utilizzava il porto belga di Zeebrugge come base per i suoi sottomarini per attaccare i sommergibili britannici nel Mare del Nord: “L'U-boot ritrovato è praticamente intatto, tutto è rimasto fermo per un secolo" ha spiegato il direttore del "Flanders Marine Institute". Il governatore della provincia delle Fiandre Occidentali, ha spiegato che i tutti i portelloni del natante sono risultati chiusi: "Ciò suggerisce che il relitto non sia stato scoperto prima e che i 23 membri dell'equipaggio sono ancora all'interno del sottomarino". 

Non è chiara la causa che ha provocato l'affondamento dell'U-boot, anche se dai primi rilevamenti l'ipotesi più plausibile è che il sottomarino abbia colpito una mina e sia affondato. Le autorità belghe hanno informato l'ambasciatore tedesco e i processi per identificare i membri dell'equipaggio sono già iniziati. Durante la Prima guerra mondiale, la flotta tedesca contava nelle Fiandre 19 sommergibili. Quindici di questi furono affondati, 11 nel Mare del Nord. Secondo gli esperti potrebbe essere uno dei tre U-Boot 27, 29 o 32 che furono affondati dalla marina britannica tra il 1916 e il 1917. 

La Flotta sommergibile della kuk Kriegsmarine 1914 -1918

Non ci fu mai nella storia navale un’arma così rivoluzionaria come il sommergibile, che nel primo conflitto mondiale trovò il suo vero impiego operativo e che fu capace di stravolgere le dottrine navali sulla base delle quali erano state allestite le flotte di tutti gli schieramenti, basate essenzialmente su costosissime e mastodontiche navi da battaglia monocalibro. L’eccezionale rapporto costo-benefici, la sua capacità operativa,  la sua versatilità d’impiego, il suo variegato armamento che andava dai siluri, alla mine ed al pezzo di coperta, diede la possibilità al sommergibile di dare scacco alle marine belligeranti costringendole ad adottare la tattica della “Flotta in potenza” e nel contempo poter attuare una “guerra di corsa” nei confronti del naviglio mercantile tagliando le linee di rifornimento di viveri e materie prime.

E’ interessante rilevare a riguardo una profetica osservazione di Leonardo da Vinci che pur avendo progettato nel ‘500 un mezzo subacqueo adatto a scopi militari, intuendone la sua micidiale pericolosità, preferì non divulgare la sua invenzione giustificandosi con la seguente frase: “E questo non pubblico o divolgo per le male nature delle omini, i quali userebbero le assasinamenti nel fondo dei mari col rompere i navili in fondo e sommergerli insieme colli omini che vi son dentro”.(Codice Hammer 1506-1508).

Nonostante tutte le marine impegnate nel conflitto fossero dotate di flottiglie sommergibili e quelle dell’Intesa anche di seconda generazione, fu quella tedesca che riuscì ad impiegare tale mezzo con rara maestria, realizzando successi a dir poco inimmaginabili sino a pochi mesi prima dello scoppio delle ostilità, affondando o danneggiando in tutti i mari 143 navi militari per complessive 551.671 tonnellate di dislocamento ed oltre 7.250 navi mercantili per 14.687.231 tonnellate di stazza lorda, acquisendo un’esperienza che metterà poi a frutto anche nel secondo conflitto mondiale.

All’inizio delle ostilità la k.u.k. Kriegsmarine, per sopperire all’esiguo numero della sua componente  sommergibile, che disponeva di solo quattro battelli pienamente operativi, ottenne il supporto della Marina Imperiale Tedesca, che inviò nello scacchiere del Mediterraneo e del Mar Nero 60 sommergibili di vario tipo dal 1915 al 1918. Questi operarono militarmente sotto il Comando in Capo della Flotta Austro-Ungarica, battendo bandiera austriaca e divisi in tre flottiglie:  la I Flottiglia del Mediterraneo con base a Pola, la II Flottiglia del Mediterraneo con base a Cattaro e la Flottiglia di Costantinopoli, attaccando il naviglio alleato, compreso quello italiano, anche se la Germania dichiarò guerra all’Italia appena il 28 agosto 1916. Agli Untersee Boote tedeschi vennero assegnati nuovi numeri identificativi austriaci, che rimasero in vigore sino al 1 ottobre 1916. Dopo tale data, la maggior parte di essi riprese quelli originali, tranne alcuni tra i più grandi che continuarono ad usare la numerazione austro-ungarica.

I sommergibili degli Imperi Centrali operarono quindi come una sola flotta, sotto il Comando in Capo austriaco, dividendo i compiti a seconda delle caratteristiche tecniche dei battelli, condividendo una strategia comune e le basi logistiche e come tale viene analizzata nel suo complesso.

La maggior parte, se non tutti, degli storici italiani che descrissero gli eventi bellici della I Guerra Mondiale, fanno apparire lo scontro navale nel Mediterraneo contro la Marina Austro-Ungarica, come un duello avvenuto solamente tra due avversari, con l’intento di pareggiare le perdite subite, dimenticando che la guerra venne combattuta tra le flotte mediterranee dell’Intesa (essenzialmente Italia, Gran Bretagna, Francia, con Russia e Giappone,) da una parte e quelle degli Imperi centrali (Austria-Ungheria, Germania e Turchia) dall’altra. Ed è solamente in quest’ottica che si ottiene un quadro preciso della condotta della guerra navale e dei risultati raggiunti che videro alla fine, un indubbio successo tattico degli austro-tedeschi, soprattutto per l’attività dei sommergibili, che misero sotto scacco le flotte avversarie sino agli ultimi giorni di guerra, terminata come si sa, con la vittoria dell’Intesa, ma per motivi diversi e non per merito determinante delle loro marine da guerra.

Senza nulla togliere al grande valore dimostrato dagli uomini della Regia Marina Italiana nello svolgere i loro compiti, la propaganda ne enfatizzò i risultati, facendoli sembrare ancor oggi, come degli eventi determinanti ad occhi non esperti. La k.u.k. Kriegsmarine perse nel conflitto tre grosse unità, le famose: Wien, Santo Stefano e Viribus Unitis. Ebbene la prima non era una corazzata come si voleva far credere, bensì una obsoleta nave da difesa costiera, classificabile come incrociatore, varata nel 1895 di appena 5.600 tonnellate, silurata con un’abile azione dal MAS 9 di Luigi Rizzo nel dicembre 1917 nella Baia di Muggia, nulla da dire sull’affondamento del Santo Stefano, questa si una corazzata di 20.000 tonnellate, anche questa silurata da Rizzo con il MAS 15 nel giugno del 1918, ma cosa pensare dell’affondamento del Viribus Unitis, avvenuto nella notte del 1 novembre 1918 a guerra praticamente finita, quando era già stato ceduto, come il resto della flotta, al neo costituito Stato dei Serbi, Sloveni e Croati e ribattezzato Yugoslavia? Non è dato sapere se il Comando Navale italiano fosse informato della mossa dell’Imperatore Carlo, ma senza dubbio voleva ottenere un importante risultato per contribuire alla vittoria che in quei giorni era di esclusivo appannaggio dell’esercito e probabilmente nel contempo stoppare le mire slave sull’Istria e Dalmazia, che erano state l’obbiettivo principale della guerra e che sarebbe stato vanificato se questi avessero posseduto la precedente marina austro-ungarica pressoché ancora intatta.

Infine non è mai stata posta nella giusta evidenza la geniale operazione di intelligence dell’Evidenzbüro della Marina Austro-Ungarica, che procurò notevolissimi danni ad infrastrutture terrestri italiane e che riuscì ad affondare sicuramente le corazzate Benedetto Brin e Leonardo da Vinci e forse anche il Regina Margherita.

I dati sono incontestabili: 22 navi da battaglia perse nel Mediterraneo dall’Intesa, contro 5 (3 austro-ungariche e 2 turche) degli Imperi Centrali, 35 cacciatorpediniere contro 7, 27 sommergibili contro 27, più il naviglio minore con affondamenti subiti per un totale di quasi 395.000 tonnellate, contro 94.902.

La Regia Marina Italiana perse le navi da battaglia Leonardo da Vinci di 22.380 tonn, Regina Margherita di 13.427 tonn, Benedetto Brin di 13.215 tonn, Amalfi di 10.000 tonn. e Garibaldi di 7.234 tonn, gli incrociatori ausiliari Città di Palermo, Città di Messina e Città di Sassari di 3.500 tonn, 8 cacciatorpedinieri ed 8 sommergibili.

La Royal Navy perse nel Mediterraneo le navi da battaglia Britannia di 16.350 tonn, Irresistible di 15.805 tonn, Majestic di 14.900 tonn, Cornwallis di 14.000 tonn, Russell di 14.000 tonn, Ocean di 12.950 tonn, Goliath di 12.950 tonn. e Triumph di 11.985 tonn, oltre a 6 cacciatorpedinieri.

La Marina Francese perse le navi da battaglia Danton di 18.300 tonn, Leon Gambetta di 12.416 tonn, Bouvet di 12.000 tonn, Gaulois di 11.100 tonn, Chateaurenault di 8.018 tonn. e Amiral Charner di 4.750 tonn. e 9 cacciatorpedinieri.

La Marina Imperiale Russa perse nel Mar Nero le navi da battaglia Imperatrista Mariya e Svobodnaya Rossiya entrambe di 24.000 tonn, e nel Mediterraneo il Peresviet di 12.674 tonn, oltre a 12 cacciatorpedinieri.

            

Il piano di costruzioni navali della k.u.k. Kriegsmarine prevedeva la costruzione di 12 sommergibili, ma all’inizio delle ostilità solamente sei erano effettivamente in servizio di cui due, l’ SMU-1 e l’ SMU-2 costruiti su licenza e progetto Lake, si erano rivelati non adatti a compiti operativi di gran portata e relegati quindi alla guardia dei porti di Trieste e Pola. I rimanenti quattro, gli SMU-3 e 4 costruiti dalla Germaniawerf di Colonia e gli SMU-5 e 6 costruiti dalla ditta Whitehead di Fiume su progetto americano Holland, nonostante le carenze tecniche, vennero impiegati immediatamente nelle operazioni  e  per compiti di carattere addestrativo. 

Altri cinque grandi sommergibili oceanici classe U-7 ordinati alla Germaniawerf di Colonia e varati tra l’aprile ed il luglio 1915 in corso di allestimento, vennero ceduti alla Marina Imperiale Tedesca in considerazione del fatto che le loro notevoli dimensioni non permettevano il  trasporto via ferroviaria e trasferirli in Adriatico, attraverso lo stretto di Gibilterra, sarebbe stato troppo pericoloso. Tale scrupolo dovette poi rivelarsi alla prova dei fatti infondato.

Come contropartita i tedeschi vendettero in seguito alla Kriegsmarine due battelli costieri d’attacco del tipo UB I costruiti nel medesimo cantiere, ma di dimensioni e prestazioni ridotte, ritenuti più idonei per i bassi fondali adriatici, ma tali da permettere il loro trasporto via terra ed il successivo riassemblaggio nei cantieri di Pola,  completi di equipaggio tedesco che doveva fungere anche da istruttore per i sommergibilisti austriaci. L’ SMU-10 (ex UB 1) e l’ SMU 11 (ex UB 15) entrarono quindi in servizio tra gennaio e febbraio del 1915 per passare poi definitivamente nei ranghi della flotta austro-ungarica nell’estate dello stesso anno.

Per sopperire alla carenza di organico la k.u.k. Kriegsmarine si vide costretta ad acquistare dalla ditta Whitehead & Co, un altro battello l’ SMU-12 (ex Spekulationbau SS 13) un prototipo di prova realizzato su disegni Holland che il cantiere aveva cercato di vendere senza successo ad altre marine e che non aveva mai superato i test di affidabilità come i suoi gemelli SMU-5 e 6. Tale battello venne affondato da una mina già nell’agosto del 1915 a Punta Sabbioni nella laguna veneta.

Il numero identificativo SMU-13 non fu assegnato, probabilmente per motivi scaramantici, mentre un vero colpo di fortuna fu la cattura del sommergibile francese Curie (classe Brumaire tipo Laubeuf) che rimase impigliato nelle reti di protezione del porto di Pola il 20 dicembre 1914 riportando alcuni danni. Messo in cantiere per le relative riparazioni, entrò in servizio il 15 giugno 1915 con l’identificativo SMU-14. Finalmente anche la marina austro-ungarica potè così disporre di un battello di grandi dimensioni dotato di sei tubi lanciasiluri, un cannone da 37 mm. (sostituito poi con uno da 88 mm.) che riportò poi successi per complessive 47.653 tonnellate di naviglio nemico affondato.

La classe U-10 venne poi completata con l’entrata in servizio degli SMU-15, 16 e 17 sempre del tipo Weser UB I, ma le scarse qualità di questo modello che montava un apparato motore da soli 60 HP che permetteva una velocità di superficie di 6,5 nodi, un dislocamento di 127 tonnellate e scarsa autonomia non ottennero mai risultati apprezzabili.

La necessità poi di realizzare dei sommergibili d’alto mare nei propri cantieri senza dover dipendere da forniture estere, costrinse la Marina Austro-Ungarica a costruire le quattro unità della classe U-20 basandosi sul progetto danese Havmanden. Vennero realizzati a Fiume e Pola

tra il 1915 ed il 1917. La decisione d’aver politicamente diviso le costruzioni tra un’azienda austriaca a Pola ed una magiara a Fiume, fu causa di notevoli disagi a livello tecnico, che provocarono numerose modifiche e ritardi nella consegna. In realtà la scarsa affidabilità dell’apparato motore e le modeste ed antiquate caratteriste generali del progetto Havmanden, non resero competitivi questi battelli, forse non è un caso che nessuna di queste quattro unità riportò alcun successo e che due vennero perse.

La realizzazione di sei, dei dieci battelli classe U-27 venne affidata dopo difficili trattative e per ovvie ragioni politiche, ai cantieri privati Donau Dampfschiffahrts Gesellschaft D.D.S.G. di Budapest e trasportati via ferrovia a Pola per  il riassemblaggio. Dopo aver sopperito alle urgenti necessità con la costruzione delle classi precedenti ed il recupero del ex Curie, nel 1915 venne selezionato il progetto tedesco UB II concesso in licenza dalla AG Weser di Brema per la realizzazione di sei esemplari. Nella loro breve vita operativa tra il 1917 e 1918 riportarono significativi successi e solo  un battello l’ SMU-30 venne perso, il cui destino ancora ad oggi risulta sconosciuto. Dotati di un raggio operativo superiore a tutti i battelli precedenti (6.250 miglia a 7,5 nodi) li resero adatti a compiti nel Mediterraneo. Nelle prove, raggiunsero il 24 febbraio 1917 prima la profondità di 42 metri, successivamente il 7 marzo la profondità massima di 72 metri, che provocò la rottura di alcune tubazioni con varie perdite d’olio.

Infine la carenza dei materiali di costruzione e gli eventi bellici non portarono mai in servizio altri sommergibili d’alto mare commissionati ed in corso di costruzione come gli SMU-48 e 49 in cantiere a Budapest, l’SMU-50 in cantiere a Fiume e gli SMU-51, 52, 53, 56 e 57 ordinati allo Stabilimento Tecnico Triestino.

Una curiosità costituisce il mini sommergibile Loligo, costruito a Fiume dal cantiere Ganz Danubius & Co. nel 1914 per conto della Zoologische Station des Berliner Aquariums di Rovigno per studiare la fauna marina nel suo ambiente, che all’inizio delle ostilità venne requisito dalla Marina che provvide a riattarlo a fini bellici con l’intenzione d’impiegarlo nel Lago di Garda, non si hanno però notizie sul suo eventuale uso bellico e sul suo destino finale.


Sommergibili Austro-Ungarici 1914-1918

Comandante Direzione Sommergibili

Linienschiffskapitän Franz cav. von Thierry 1914-1918

Vice Comandante Direzione

Korvettenkapitän Urban Passerar

Comandante Stazione Sommergibili di Pola

Korvettenkapitän Otto Zeidler

Comandante Stazione Sommergibili del Golfo di Cattaro

Korvettenkapitän Georg cav. von Trapp

Direttore Scuola Sommergibili

Linienschiffsleutnant Ludwig Eberhardt

Comandante Nave Scuola Sommergibili Panther

Linienschiffsleutnant Rudolf von Singule



                                                                               Naviglio affondato          Nav. dann.    Nav.catt.

                        Periodo di servizio bellico            Mercantile   Militare 



SMU-1            27.07.1914 – 31.10.1918                      -                     -                      -                 -

SMU-2            27.07.1914 – 31.10.1918                      -                     -                      -                 -

SMU-3            27.07.1914 – 13.08.1915                      -                     -                      -                 -

SMU-4            27.07.1914 – 31.10.1918                   11.030 t.     7.234 t.            8.898 t.       13 t.

SMU-5            27.07.1914 – 31.10.1918                     7.929 t.   12.641 t.               -           1034 t.

SMU-6            27.07.1914 – 13.05.1916                      -                  756 t.                -                  -

SMU-10          12.07.1915 – 31.10.1918                      -                     -                      -                 -

SMU-11          17.06.1915 – 31.10.1918                      -                     -                      -                 -

SMU-12          21.08.1914 – 08.08.1915                     1.065 t.           -                22.189 t.      20 t.

SMU-14          31.01.1915 – 31.10.1918                   47.653 t.           -                      -                 -

SMU-15          04.06.1915 – 31.10.1918                     8.044 t.        745 t.                -                  -

SMU-16          06.10.1915 – 17.10.1916                          25 t.        330 t.                62 t.            -

SMU-17          06.10.1915 – 31.10.1918                      -                  680 t.                 -                 -

SMU-20          20.10.1917 – 04.07.1918                      -                     -                      -                 -

SMU-21          15.08.1917 – 31.10.1918                      -                     -                      -                 -

SMU-22          23.11.1917 – 31.10.1918                      -                     -                      -                 -

SMU-23          23.11.1917 – 21.02.1918                      -                     -                      -                 -

SMU-27          24.02.1917 – 31.10.1918                   14.542 t.         765 t.                665 t.       3 t.

SMU-28          26.05.1917 – 31.10.1918                   44.743 t.           -                    5.592 t.        - 

SMU-29          17.02.1917 – 31.10.1918                   14.798 t.           -                    7.350 t.        -

SMU-30          17.02.1917 – 01.04.1917                      -                     -                      -                  -

SMU-31          20.04.1917 – 31.10.1918                     4.088 t.           -                    5.250 t.        -

SMU-32          29.06.1917 – 31.10.1918                     3.728 t.           -                    3.060 t.        -

SMU-40          04.08.1917 – 31.10.1918                     9.838 t.           -                    7.423 t.        -

SMU-41          19.02.1918 – 31.10.1918                     4.604 t.           -                      -                  -

SMU-43          30.07.1917 – 31.10.1918                     -                      -                    4.016   t.      -        

SMU-47          30.07.1917 – 31.10.1918                     6.467 t.           351 t.           -          -


Totale naviglio mercantile affondato     n. 87/ 179.000 tonn.

Totale naviglio militare affondato         n.   9/   23.502 tonn.

Totale generale naviglio affondato          n. 96/ 202.502  tonn.

Totale naviglio mercantile danneggiato n.  7/   24.254 tonn.       

Totale naviglio militare danneggiato      n.  4/   40.189 tonn.

Totale generale naviglio danneggiato        n. 11/  64.443 tonn.

Totale naviglio catturato                         n.   9/    1.132 tonn.

Totale generale naviglio affondato, danneggiato o catturato: n. 116/ 268.077 tonn.

Media per battello di tonnellaggio affondato, danneggiato o catturato: 9.928,77 tonn.

Media per battello di navi affondate, danneggiate o catturate: 4,2

Missioni effettuate: non disponibile

Sommergibili entrati in servizio dal 1914 al 1918 : n.27

Sommergibili in servizio per anno di guerra:

1914 n.7                    

1915 n.8                    

1916 n.11

1917 n. 22

1918 n. 19

Sommergibili persi nel corso del conflitto n. 7:

Anno    Attacco nemico   Mine e sbarramenti      Sconosciute    

1914                 -                              -                                -                            

1915                1                              1                                -                          

1916                1                              1                                -                          

1917                -                               -                                1

1918                2                              -                                 -     

Totale              4                             2                                1

(Web, Google, Wikipedia)



























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