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La lancia sacra oggi all'Hofburg di Vienna
La lancia sacra è oggi custodita nella Schatzkammer dell'Hofburg di Vienna, con il numero di inventario XIII 19. Quella che si presenta ai visitatori è la parte superiore di una lancia alata di 50,7 cm. L'asta, originariamente in legno, è andata perduta. Sulla lama è applicata una sezione a forma ovale, lunga 24 cm e larga nel punto massimo 1,5 cm, in cui è inserito un sottile pezzo di ferro (la cd. spina) ornamentale, mancante della parte inferiore. La spina è, secondo la tradizione, uno dei Sacri Chiodi della croce di Cristo e, anche se la leggenda stessa è stata più volte criticata, segni di alcune ageminature a forma di croce sulla parte inferiore della lama potrebbero indicare l'inserimento di particelle di chiodi.
La lama è rotta. Ma doveva esserlo già prima dell'anno 1000, perché, nella copia fatta realizzare da Ottone III e ora a Cracovia, è stata inserita anche una riproduzione della spina. Il punto di rottura è stato rivestito da una triplice fasciatura, in ferro, poi argento e infine oro. Sulla banda d'argento si legge la seguente iscrizione latina, fatta incidere da Enrico IV tra il 1084 e il 1105:
- «CLAVVUS + HEINRICVS D(EI) GRA(TIA) TERCIVS ROMANO(RUM) IMPERATOR AVG(USTUS) HOC ARGENTUM IVSSIT FABRICARI AD CONFIRMATIONE(M) CLAVI LANCEE SANCTI MAVRICII + SANCTVS MAVRICIVS»
La banda d'oro, invece, realizzata per conto di Carlo IV, ha la seguente iscrizione:
- «+LANCEA ET CLAVUS DOMINI»
La lancia sacra nel Medioevo
La storia della lancia sacra comincia nel X secolo: Liutprando di Cremona, nella sua Antapodosis, riferisce che la lancia era stata donata dal conte Sansone (egli accecò di suo pugno e tagliò la lingua al giudice del palazzo di Pavia Gezone, ricevendo in cambio la carica di conte palatino nel 929) al proprio re d'Italia Rodolfo II di Borgogna. Essa venne a sua volta donata da Rodolfo a Enrico I l'Uccellatore attorno al 925; Enrico venne a sapere che in essa erano incastonate i quattro chiodi della Santa Croce, disposte a forma di croce, e la volle per sé. Dapprima mandò dei messaggeri chiedendo di vendergli la lancia, ma Rodolfo rifiutò l'offerta. Enrico passò quindi alle minacce giurando di devastare il suo regno: Rodolfo quindi accettò e consegnò personalmente la lancia a Enrico; questi gli donò quindi dell'oro e dell'argento e una parte rilevante del ducato di Svevia.
Probabili origini e significato
La lancia sacra appartiene alla tradizione delle spade e lance magiche e invincibili dell'immaginario e della mitologia germanica. All'epoca della Renovatio Imperii, del resto, erano ancora vive numerose tradizioni pre-cristiane, come attestato anche dai cronisti della battaglia di Lechfeld, che religiosamente contrariati, descrivono come pagani i festeggiamenti che ne seguirono.
Ciò considerato, però, completamente cristiana è la considerazione che ebbe da parte degli imperatori e il ruolo che le venne assegnato. La lancia era il simbolo dell'invincibilità che l'imperatore derivava dall'essere il legale rappresentante di Cristo sulla terra. Confermava così il ruolo quasi sacerdotale che la carica imperiale rivestiva, conformemente alle concezioni degli Ottoni e dei Salii.
Per rafforzare tale elemento, era però necessario anche un suo collegamento con la storia sacra o quella dei martiri. Dapprima fu allora identificata con la lancia di San Maurizio, celebre condottiero della Legione Tebea, martirizzato sotto Massimiano. Attraverso questo, non era così escluso che la lancia potesse essere passata per le mani di Costantino, cosa che acquistava certo rilevanza nella propaganda imperiale. E infatti come lancia di San Maurizio è denominata nell'iscrizione sulla fasciatura d'argento inseritavi da Enrico IV.
La sua importanza come reliquia e il suo collegamento con la storia sacra fu connessa però sopra ogni altra cosa alla presenza, al suo interno, di un chiodo della croce di Cristo. Agli inizi probabilmente si trattava solo di una particella di questo, ma successivamente si parlò tout court di un intero chiodo. È probabile che questa leggenda fosse nata nel momento in cui si inserì la spina nel punto di rottura della lancia. Quando Ottone III fece omaggio delle copie ai re di Polonia e Ungheria, ne fece prendere del materiale (per trasmettere parte della forza della Lancia anche alle copie), ed è forse in questa occasione che avvenne la rottura della lancia.
In questa maniera, dunque, la lancia aveva un doppio significato: simboleggiava un'origine sacerdotale (direttamente da Cristo) e imperiale (da Costantino). Carlo IV volle far confermare questo stato di “doppia reliquia” dal papa, ottenendo anche la proclamazione di una giornata festiva in suo onore (Festa della Sacra Lancia e del Chiodo della Croce), che fu celebrata nel 1354 per la prima volta, e in quell'occasione venne applicata la terza fasciatura in oro.
Agli inizi del XIII secolo, a ogni modo, la cancelleria papale ormai qualificava la lancia come lancia di Longino, e da questo momento si cominciò a identificarla in questa maniera. La differenza tra le due versioni non deve essere stata all'epoca irrilevante, ma non abbiamo attestazioni più sicure di una controversia.
La lancia di Longino
La lancia sacra venne dunque presto identificata, in ambiente cristiano e romano, come la lancia del legionario che trafisse il corpo di Cristo per accertarsi della morte. Non è però questa l'unica lancia sacra che venne assimilata a quella di Longino.
Le cronache della Prima crociata ci parlano infatti di una "lancia sacra di Antiochia": già l'apostolo Giuda Taddeo dal Golgota avrebbe portato con sé in Armenia la lancia di Longino, che avrebbe lasciato nel monastero di Geghard (40 chilometri a sud ovest di Erevan) da lui fondato (ma in realtà del IV secolo). Nel 1250 il monastero prese infatti il nome di Geghardavank ("Monastero della sacra lancia"), e ancora oggi si chiama così.
Anche san Luigi IX, che durante le crociate portò con sé molte reliquie, identificò una di queste con la lancia di Longino. E ancora, nel 1492 il sultano Bajazeth regalò a papa Innocenzo VIII parte di una Lancia che qualificò espressamente come lancia di Longino, conquistata, si disse, a Costantinopoli nel 1453.
Quest'ultima venne identificata con la parte inferiore della reliquia di Luigi IX. Se questa “lancia papale” è oggi ancora custodita a San Pietro in Vaticano, la lancia di San Luigi, conservata nella Sainte-Chapelle, andò distrutta durante la Rivoluzione francese.
Richard Wagner
Nella sua opera Parsifal, Richard Wagner identifica la Sacra Lancia con due armi che appaiono nel poema medievale Parzival di Wolfram von Eschenbach, una lancia sanguinante nel castello del Graal e la lancia che ha ferito il re Pescatore. La trama dell'opera racconta la decadenza dei Cavalieri del Graal come conseguenza della perdita della lancia e il suo recupero a opera di Parsifal, che ricostituisce così la salute e la potenza originaria dei Cavalieri diventando egli stesso Re del Graal. Per Wagner il sangue che sgorga dalla punta della lancia è quello del Salvatore trafitto - anche se Cristo non viene mai nominato nell'opera - che brama ricongiungersi con quello che si manifesta nello stesso Graal.
Il rinnovarsi del mito nel XX secolo
Quando venne fondato il Secondo Impero (1870-1919) grazie all'opera infaticabile di Otto von Bismarck, per dichiarata volontà di questo e dei sovrani prussiani, non ci doveva essere alcun riferimento a una presunta continuità con il Primo Impero (Heiliges Römisches Reich), anzi andava presentato, per motivi di opportunità politica, come entità autonoma (cosa che del resto era). Per questo motivo nonostante la riscoperta in quel tempo delle antiche leggende germaniche e del culto del Medioevo, la leggenda della lancia sacra di Ottone non venne ripresa.
Tornò invece attuale durante il nazionalsocialismo, conformemente al sogno della Grande Germania (cioè dell'unità politica di tutti i popoli di lingua tedesca). Adolf Hitler infatti, nel rifondare l'impero (Drittes Reich), si volle presentare come il continuatore di Ottone I, compreso il ruolo di condottiero della guerra contro i barbari dell'est. Per questo fece riportare la reliquia (scevra ormai d'ogni significato cristiano) da Vienna nuovamente a Norimberga, il centro principale del Partito Nazista; ivi venne provvisoriamente collocata nella chiesa di santa Caterina (dove fu allestito un vero e proprio santuario mistico-esoterico) e presentata come simbolo della sacralità della missione germanica e ricollegandovi nuovamente un mito di invincibilità.
L'invincibilità non venne tuttavia garantita. Dopo la disfatta di Stalingrado, venne portata in un bunker blindato sotto l'antica fortezza di Norimberga, ma dopo i terribili bombardamenti della città del 13 ottobre 1944 se ne persero le tracce. Qualche giorno dopo l'occupazione della città da parte degli alleati, avvenuta il 20 aprile 1945, in un'operazione di recupero guidata dal generale Patton, la Lancia sacra fu rinvenuta, e nel 1946, infine, fu riportata a Vienna, dove tuttora si trova.
Studi recenti hanno dimostrato che la lancia è stata realizzata tra il VII e l'VIII secolo, si tratta quindi di un importante reperto medievale, non è però plausibile che sia appartenuta a Longino.
La sua fama nei racconti popolari oggi
Come già descritto, grande era il mito che avvolgeva la lancia nel Medioevo e, per quanto la sua storia fosse interamente sviluppata da regnanti cristiani e connotata di elementi assolutamente ortodossi, molto vi era di precedente, e molto vi giocavano le antiche leggende di spade e lance magiche, che assicuravano l'invincibilità. Il mito del Graal, del resto, o di Parsifal affondano nella stessa tradizione. Diverso è però il successo della leggenda nei vari paesi.
Nei paesi germanici e anglosassoni
In Germania e nei paesi anglosassoni la fama della lancia sacra è ancora viva, anche se soprattutto per l'interesse mostratovi da Hitler. In ambiente tedesco e austriaco, è addirittura diffusa la voce popolare in base alla quale la lancia sacra conservata a Vienna non sarebbe altro che una copia realizzata negli Stati Uniti d'America, dove invece, nascosta da segreto militare, sarebbe conservata la lancia originale. Questo perché essa a tutt'oggi garantirebbe l'invincibilità.
In Italia
In Italia, come in molti Paesi del mondo, invece, la fama della lancia sacra si confonde con quella ben più famosa della lancia di Longino. Ma, come si evince dalla storia, ben diverse sono le vicende delle numerose lance di Longino, e non stupisce certo che in ambiente italo-francese, la lancia di Longino per antonomasia fosse quella papale. L'interesse, insomma, per il simbolo del Sacro Romano Impero non supera, se si escludono ambienti di specialisti o di appassionati di storia medioevale, quello che occupano le reliquie in generale, ben diversamente da quello che avviene con il Graal o altre leggende.
Longino (in latino: Longinus; Sandiale in Cappadocia, I secolo – Gabala in Cappadocia, I secolo) è stato un militare romano.
Secondo una tradizione cristiana, è il nome del soldato romano che trafisse, con la propria lancia (passata alla storia con il nome di "Lancia di Longino" od anche "Lancia del Destino"), il costato di Gesù crocifisso per accertare che fosse morto, come riporta il vangelo secondo Giovanni: “””… ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua”””.
Nei vangeli canonici non è presente il nome del soldato; il nome "Longinus" deriva da una versione degli Atti di Pilato, apocrifi. Longino è venerato come martire dalla Chiesa ortodossa e come santo dalla Chiesa cattolica.
Fonti su Longino
Nessun nome per questo soldato è dato nei Vangeli canonici; il nome Longino si ritrova invece negli Atti di Pilato, testo allegato al Vangelo apocrifo di Nicodemo. Longino non iniziò come santo. Una tradizione antica, che si trova in una "Lettera di Erode a Pilato "pseudepigrafica del VI o VII secolo, afferma che Longino soffrì per aver trafitto Gesù e che fu condannato in una grotta dove ogni notte veniva un leone e lo sbranava fino all'alba, dopo che il suo corpo è guarito tornando alla normalità, in uno schema che si sarebbe ripetuto fino alla fine dei tempi. Le tradizioni successive lo trasformarono in un cristiano convertito, ma come Sabine Baring-Gould osservò: "Il nome di Longino non era noto ai Greci prima del patriarca Germano, nel 715. Fu introdotto tra gli occidentali dal Vangelo apocrifo di Nicodemo. Non vi è alcuna autorità attendibile per gli Atti e il martirio di questo santo".
Il nome è probabilmente latinizzato dal greco Lonche (λόγχη), parola usata per la lancia menzionata in Giovanni 19,34. Compare per la prima volta su una miniatura della Crocifissione accanto alla figura del soldato con in mano una lancia, scritta, forse contemporaneamente, in lettere greche orizzontali, LOGINOS (ΛΟΓΙΝΟϹ), nel manoscritto evangelico siriaco miniato da un certo Rabula nel anno 586, nella Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze. La lancia usata è conosciuta come Lancia Sacra e, più recentemente e specialmente nei circoli occulti, come "Lancia del Destino", venerata a Gerusalemme nel VI secolo, sebbene né il centurione né il nome "Longinus" fossero invocati in alcun rapporto superstite. Come "Lancia di Longino", la lancia figura nelle leggende del Santo Graal.
Secondo santa Caterina Emmerick (1774 - 1824), la religiosa tedesca, che dettò le sue visioni mistiche (più di 12.000 pagine) al famoso poeta romantico di quel tempo Clemens Maria Brentano (tedesco di chiara origine italiana), il centurione che trafisse il costato di Gesù si chiamava Cassio ed era di età giovane per essere un centurione e per giunta strabico. Fu sua, di Cassio, l'idea di non spezzare le gambe a Gesù per accertarsi della morte e/o per accelerare la stessa (come di consuetudine veniva fatto a tutti i crocifissi, compresi i due ladroni compagni di sventura di Gesù) ma bensì trafiggerGli il costato con un colpo di lancia sul lato destro, inferto a due mani dopo una breve corsa sul cavallo che montava. Sempre secondo Santa Caterina Emmerick, al momento dell'infissione della lancia uno spruzzo di sangue e acqua dal costato di Cristo colpì gli occhi del centurione risanandoli all'istante. Da quel momento, racconta sempre la Emmerick, non fu più conosciuto come Cassio ma prese il nome Longino (Longinus) e fu conosciuto, dai cristiani contemporanei e futuri, proprio con quel nome.
La cecità o altri problemi agli occhi non vengono menzionati fino a dopo il X secolo. Petrus Comestor è stato uno dei primi ad aggiungere un problema di vista alla leggenda e il suo testo può essere tradotto come "cieco" o "ipovedente". La leggenda aurea dice che vide i segni celesti prima della conversione e che i suoi problemi agli occhi potrebbero essere stati causati da una malattia o dall'età. Il tocco del sangue di Gesù cura il suo problema agli occhi:
La leggenda cristiana narra che Longino fosse un centurione romano cieco che conficcò la lancia nel fianco di Cristo durante la crocifissione. Parte del sangue di Gesù cadde sui suoi occhi e fu guarito. In questo miracolo Longino credette in Gesù.
Si dice che il corpo di Longino sia andato perduto due volte, e che il suo secondo ritrovamento avvenne a Mantova nel 1304, insieme alla Sacra Spugna macchiata del sangue di Cristo, con la quale si diceva - estendendo il ruolo di Longino - che Longino aveva contribuito a purificare il Cristo corpo quando fu deposto dalla croce. La reliquia, corpule di presunto sangue prelevato dalla Lancia Santa, godette di un rinnovato culto nella Bologna della fine del XIII secolo sotto l'impulso combinato dei romanzi del Graal, della tradizione locale dei miracoli eucaristici, della cappella consacrata a Longino, del Sacro Sangue nei Benedettini chiesa del monastero di Sant'Andrea, e il patronato dei Bonacolsi.
Le reliquie sarebbero state divise e poi distribuite a Praga e altrove, con il corpo trasportato nella Basilica di Sant'Agostino a Roma. Tuttavia, le guide ufficiali della Basilica non menzionano la presenza di alcuna tomba legata a San Longino. Si dice anche che il corpo di Longino sia stato ritrovato in Sardegna. Fonti greche affermano che subì il martirio a Gabala, in Cappadocia.
Agiografia
Nato nella città di Anxanum (oggi Lanciano), dove sarebbe tornato in vecchiaia, militò nella Legione Fretense, di stanza in Siria e nella Palestina attorno all'anno 30. Altre leggende sostengono che sia nato in Cappadocia. Secondo la tradizione fu il centurione romano che al momento della morte di Gesù gridò: ”Costui era veramente il figlio di Dio”, e che successivamente, quando il corpo di Gesù doveva essere deposto dalla croce perché stava per incominciare il sabato, giorno di festa per gli ebrei, in cui non si potevano lasciare i cadaveri dei condannati a morte esposti per evitare di spezzargli le ossa delle gambe, come prescriveva la legge, per un atto di pietà, preferì colpirgli il costato con la lancia, dal quale sgorgò sangue e acqua. Una tradizione medievale racconta che Longino era malato agli occhi, ma il sangue di Gesù, schizzato su di essi, lo guarì. Potrebbe essere una leggenda popolare nata per dire che la vista del sangue di Cristo, mentre era ai piedi della croce, gli aprì gli occhi alla fede cristiana.
Comandò poi i soldati messi di guardia al sepolcro di Gesù, e dopo la sua Risurrezione andò assieme alle altre guardie dai sommi sacerdoti a riferire l'accaduto. Questi tentarono di corromperli con doni e promesse affinché testimoniassero falsamente che i soldati di guardia al sepolcro si erano addormentati, permettendo che i seguaci di Gesù ne trafugassero il corpo, per poi dire che era risorto. Mentre gli altri soldati si lasciarono corrompere, Longino rifiutò di dire il falso, anzi contribuì a diffondere a Gerusalemme il resoconto della Resurrezione di Cristo. Per questo motivo cadde in disgrazia agli occhi dei maggiorenti della città, che decisero di farlo uccidere. Il centurione, però, avendo scoperto questo disegno, lasciò l'esercito romano assieme a due commilitoni e si rifugiò in una contrada poco distante da Lanciano.
Un'altra leggenda vuole che costui tornò in Cappadocia, ove si diffuse la notizia della Resurrezione, convertendo al cristianesimo molte persone. La cosa fu notata dalle comunità israelitiche presenti nella regione, che la riferirono subito ai sacerdoti di Gerusalemme, che intervennero presso Pilato chiedendo la condanna a morte di Longino per tradimento. Pilato acconsentì e inviò in Cappadocia due fidati soldati della sua guardia con l'ordine di catturare lui e i suoi due compagni, decapitarli e riportargli indietro le loro teste. Appena giunti questi incontrarono Longino, ma non lo riconobbero, anzi gli chiesero dove potessero rintracciarlo. Il centurione si offrì di aiutarli e li ospitò in casa sua per tre giorni. Quando giunse il momento di accomiatarsi, i due soldati gli chiesero come potevano sdebitarsi dell'ospitalità, egli allora si rivelò dicendo: Sono Longino, che state cercando, sono pronto a morire e il più grande regalo che possiate farmi è di eseguire gli ordini di chi vi ha mandato. I due non volevano credere alle sue parole, ma poi dietro le sue insistenze e per paura della punizione di Pilato, si decisero a eseguire la sentenza su di lui e sui suoi due compagni. Longino raccomandò loro dove dovevano seppellire il suo corpo, si fece portare da un servo una veste bianca, la indossò e si lasciò decapitare.
Le due guardie riportarono a Gerusalemme le teste dei tre condannati, che Pilato fece esporre alle porte della città e che poi fece gettare in una discarica. Dopo qualche tempo, una povera donna cieca della Cappadocia, rimasta vedova, si mise in viaggio per Gerusalemme guidata dal figlioletto per chiedere la grazia di essere guarita: appena giunse nella città il figlio morì lasciandola sola e senza guida. Le apparve in sogno Longino, incoraggiandola e promettendole che avrebbe pregato per la sua guarigione, le chiese poi di aiutarlo a dare degna sepoltura alla sua testa e le indicò il luogo dove doveva andare a cercarla. La cieca allora, facendosi accompagnare, ritrovò la testa di Longino nella discarica, sotto un mucchio di pietre, e appena la toccò riacquistò la vista. Dopo le riapparve in sogno il santo che la rassicurò, facendole vedere che il figlio era già in paradiso. La pregò poi di riporre la sua testa nella stessa bara del figlio e di seppellirla a Sardial nel suo villaggio natale.
Un'altra tradizione riguarda il ritorno di Longino in Italia da Gerusalemme, nella sua città natale, ossia Anxanum, l'attuale Lanciano: qui avrebbe predicato e donato tutti i suoi averi ai poveri, prima di essere catturato e giustiziato. Nel luogo di sepoltura venne costruita la chiesa di San Legonziano (l'attuale chiesa di San Francesco). La testa invece fu riportata indietro a Pilato per provare l'avvenuta esecuzione.
Un'ulteriore tradizione racconta che portò con sé in Italia il sangue raccolto dalla ferita di Gesù in un'ampolla, osservando che il sangue si liquefaceva (questo particolare sarebbe simile al miracolo del sangue di san Gennaro). Longino sarebbe poi stato martirizzato nei pressi di Mantova.
Culto e tradizione mantovana
Il Martirologio Romano fissa la memoria liturgica il 15 marzo, quello orientale il 16 ottobre.
Secondo la tradizione di Mantova, dopo il martirio avvenuto nei pressi della città, fu seppellito nel sito dove poi sorse la basilica di Sant'Andrea. Nella cripta della stessa basilica si conservano tuttora la reliquia della fiala del "preziosissimo sangue di Cristo", che sarebbe il sangue raccolto da Longino, e la reliquia della spugna usata per dare da bere l'aceto a Gesù.
La leggenda mantovana appare ben definita. Così come la espone Ippolito Donesmondi, nella Historia Ecclesiastica di Mantova del 1612, essa si sviluppa in tre momenti distinti. Longino, risanato, giunge a Mantova nell'anno 36 portando con sé la reliquia del Santo Sangue, che nasconde in un luogo segreto nei pressi dell'Ospedale dei Pellegrini, in prossimità di un tempio di Diana, là dove sorgerà poi la chiesa di Sant'Andrea. Incomincia quindi la sua predicazione. Infine, il 15 marzo del 37 viene martirizzato per decapitazione in un sobborgo chiamato Cappadocia; a ricordo del suo sacrificio viene posta una grata. Due secoli più tardi sarà costruito nei pressi un oratorio intitolato a S. Maria, detta del Gradaro.
Il corpo del martire sarebbe per caso sepolto, il 2 dicembre dell'anno 37, proprio là dove era interrata la reliquia. Il tutto sarà ritrovato una prima volta nell'anno 804, quando Andrea apostolo, apparso a un fedele, indica con precisione il luogo dove si trovava la cassetta portata da Longino. Nello stesso sito si scoprirono le ossa del martire, oggi conservate anch'esse nella basilica di Sant'Andrea. Il ritrovamento ebbe la fulminea approvazione di Carlo Magno e del papa Leone III, convenuti tempestivamente sul posto.
La santificazione del vecchio soldato avvenne il giorno 2 dicembre 1340 sotto il papato di Innocenzo VI.
Nelle raffigurazioni artistiche Longino viene rappresentato:
- Ai piedi della croce, in armatura da legionario romano, con l'elmo e il gladio al fianco, mentre con la sinistra si ripara gli occhi e con la destra colpisce con la lancia il costato di Gesù.
- Inginocchiato, con la testa su di un ceppo, pronto per essere decapitato e con gli occhi cavati (perché prima della decollazione avrebbe avuto gli occhi cavati).
- Con l'armatura mentre uccide con la lancia un drago.
- Vestito da legionario, con in mano un'ampolla contenente il sangue di Cristo.
- Una statua di san Longino è presente nella basilica di San Pietro in Vaticano, scolpita da Gian Lorenzo Bernini.
Culto e tradizione a Lanciano
A Lanciano esiste una leggenda popolare che riguarda il ritorno di Longino in Italia da Gerusalemme. Il soldato, dopo la conversione, avrebbe predicato nella città, stabilendosi nella sua villa che donò ai poveri. Per la sua fede cattolica sarebbe stato denunciato e condannato a morte, e nel luogo dove fu sepolto sarebbe sorto, nell'VIII secolo, il convento di San Legonziano ("Legonziano" proviene da una variante di "Longino"), sopra una cappella in rovine, che serviva come luogo di culto per il martire.
In effetti i resti del convento vecchio di San Legonziano e Domiziano sono inglobati nella chiesa del XIII secolo dedicata a San Francesco d'Assisi. La parte vecchia della chiesa si concentra sotto le fondamenta e presso la base del campanile, e si collegano a dei cunicoli romani della vecchia Anxanum che porta a Ponte Diocleziano (III secolo). La leggenda lancianese vuole che il giorno di Pasqua tre figure di tre affreschi differenti (XIV secolo) di tre diverse chiese della vecchia Lanciano (San Francesco, San Giovanni e la Madonna del Ponte) si animino e interagiscano tra loro, apparendo sotto forma di ombre nella piazza Plebiscito per annunciare la Buona novella.
Inoltre la credenza popolare lancianese vuole che il nome latino della città "Anxanum" provenga dalla prodigiosa lancia di Longino. Infatti il nome della città cambiò in Lanxianum e poi in Lanciano. Anche lo stemma della città riporta l'immagine di una lancia che punta verso il cielo sopra tre colli, i tre colli della città vecchia di Lanciano.
La lancia di Longino
Nel Medioevo ebbe anche grande diffusione un'altra reliquia del santo, la sua lancia. In verità, numerose furono le reliquie identificate con la Lancia Sacra (chiamata anche Lancia del Destino).
Gli imperatori del Sacro Romano Impero, ad esempio, da Ottone I in poi, avevano fra le proprie insegne la cosiddetta Lancia Sacra, e presto arrivarono a identificarla con quella. Nella punta di questa lancia sacra fu incorporato un chiodo di ferro che sarebbe uno di quelli usati per crocifiggere Gesù. Ancora oggi essa è custodita nel palazzo Hofburg a Vienna.
Un'altra reliquia della punta della lancia di Longino, raccolta dal re di Francia san Luigi, fu conservata con altre reliquie attribuite a Gesù, come la corona di spine e un frammento della Vera Croce, nella Sainte-Chapelle di Parigi fino alla Rivoluzione francese, quando furono disperse dai rivoluzionari.
EQUIPAGGIAMENTO DEI LEGIONARI ROMANI DEL III - II SECOLO A.C.
Nella tarda repubblica il legionario venne equipaggiato con la lorica hamata, vale a dire una corazza di maglia, piuttosto pesante, fatta ad anellini e che arrivava fino all'inguine. Al posto della spada venne indossato il gladio (gladius), non molto lungo, con la lama larga, a doppio taglio, e punta molto pronunciata.
Le prime spade dell'antica Roma erano simili a quelle della Magna Grecia: gli xiphos a lama diritta e le makhaira a lama curva. A partire dal III secolo a.c., i romani adottarono in massa le spade Celtibere sperimentate durante la conquista dell'Hispania: il gladius hispaniensis.
Ora la clamide che spunta da sotto l'armatura non è più bianca, ma rossa, l'elmo (il cassis) ha i paraguance, tipico anche dei Principes della formazione manipolare, ma il pilum e lo scutum sono identici a quelli della tarda repubblica.
Vi sono delle varianti: due o tre lunghe piume di color porpora da aggiungere alla cresta dell'elmo.
Il pettorale di bronzo è un po' più ampio.
L'elmo è del tipo Coolus che prende il nome da Coole, in Francia, che sostituì il Montefortino solo nel I secolo a.c.
Questo elmo non è molto diverso dall'elmo Montefortino, ma presenta un coppo semisferico.
Vi vennero ben presto aggiunti il rinforzo frontale e un paranuca pronunciato.
Questi due elementi servivano per proteggere il soldato dai colpi sulla testa, che sarebbero scivolati, ferendolo sulla schiena o in viso.
Anche questo elmo presentava un apex e due grandi paragnatidi, era assente però una protezione per le orecchie.
«I Romani, lanciando dall'alto i giavellotti, riuscirono facilmente a rompere la formazione nemica e quando l'ebbero scompigliata si gettarono impetuosamente con le spade in pugno contro i Galli.
Questi erano molto impacciati nel combattimento, perché molti dei loro scudi erano stati trafitti dal lancio dei giavellotti e, essendosi i ferri piegati, non riuscivano a svellerli, cosicché non potevano combattere agevolmente
con la sinistra impedita; molti allora, dopo aver a lungo scosso il braccio, preferivano buttare via lo scudo e combattere a corpo scoperto».
(Cesare - De bello Gallico - I ).
EQUIPAGGIAMENTO DEL 102 D.C.
Ecco la descrizione che fa Giuseppe Flavio dell'armamento dell'esercito romano durante la I guerra giudaica (66 - 74).
«Si mettono in marcia tutti in silenzio e ordinatamente, restando ciascuno al proprio posto come fossero in battaglia:
- I fanti indossano corazze (lorica) ed elmi (cassis o galea), una spada appesa su ciascun fianco, dove quella di sinistra è più lunga (gladius) di quella di destra (pugio), quest'ultima non più lunga di un palmo.
- I soldati "scelti", che fanno da scorta al comandante, portano una lancia (hasta) e uno scudo rotondo (clipeus);
- il resto dei legionari un giavellotto (pilum) e uno scudo oblungo (scutum), oltre ad una serie di attrezzi come, una sega, un cesto, una picozza (dolabra), una scure, una cinghia, un trincetto, una catena e cibo per tre giorni; tanto che i fanti sono carichi come bestie da soma (i muli di Mario).
- I cavalieri portano una grande [e più lunga] spada sul fianco destro (spatha), impugnano una lunga lancia (lancea), uno scudo viene quindi posto obliquamente sul fianco del cavallo, in una faretra sono messi anche tre o più dardi dalla punta larga e grande non meno di quella delle lance; l'elmo e la corazza sono simili a quelli della fanteria.
L'armamento dei cavalieri scelti, quelli che fanno da scorta al comandante, non differisce in nulla a quello delle ali di cavalleria. A sorte, infine, si stabilisce quale delle legioni debba iniziare la colonna di marcia.»
(Giuseppe Flavio, Guerra giudaica, III, 5.5.93-97.)
Armi d'offesa del legionario:
- Il gladio portato alla destra della cintura, soprattutto del tipo hispaniensis (di derivazione iberica) in uso fino alla fine del I secolo a.c. (lungo dai 75 agli 85 cm),
- Il Magonza (spada più corta dell'hispaniensis, con punta allungata e lama rientrante nella parte centrale),
- Fulham (leggermente più corta della precedente),
- Pompei, introdotta alla metà del I secolo d.c., con punta più corta ogivale e lama dritta (42-55 cm per 5–6 cm );
- Il pilum, un giavellotto con punta deformabile (più corto e più pesante nel II secolo), lanciato per conficcarsi nello scudo dell'avversario che doveva così abbandonarlo, obbligandolo al corpo a corpo di cui il legionario era assolutamente maestro;
- Il pugio, pugnale impiegato quando si rimaneva sguarniti del gladius o per dare il colpo di grazia al nemico;
- Un parazonium, uno stiletto, più stretto e lungo del pugio, usato dagli ufficiali.
Equipaggiamento dell'ausiliario:
- Provenendo essi da province diverse, avevano armature, indumenti ed armi spesso eterogenee. Queste unità, che costituivano truppe di completamento accanto alla fanteria pesante legionaria, erano solitamente armate alla leggera, ma potevano anche avere armamento simile al legionario, con:
- armi da lancio, telae, frecce per i sagittarii (arcieri), fundae, frombole per ii frombolieri (lanciatori di pietre, formidabili quelli delle Baleari), lanceae, giavellotti usati dai lanciarii;
- di hastae, lance lunghe usate dalle truppe provinciali destinate a proteggere i fianchi dello schieramento dei legionari, specialmente contro la cavalleria nemica in assenza di cavalleria ausiliaria alleata (come Cesare a Farsalo);
- di scudi ovali rinforzati o di un piccolo scudo rotondo (parma o parmula) con intelaiatura in ferro usato prima dai velites, poi dalla cavalleria, dalla fanteria ausiliaria e dagli ufficiali (come i signiferi), o di solo cuoio, o solo rivestito di cuoio (caetra).
Altro equipaggiamento:
- Una tunica e un mantello (sagum), e talvolta anche la toga, nel caso il soldato fosse stato premiato con la cittadinanza romana, che costituivano la tenuta regolamentare del soldato;
- Un balteus o cingulum militaris (cintura per reggere le armi e per decorazione);
- Le caligae, cioè i sandali da marcia, con calze di cuoio o stoffa;
- Una tunica rossa per gli ufficiali e bianca per tutti i legionari;
- Una paenula, mantello pesante con cappuccio, per l'inverno;
- Un trulleus, pentola di bronzo;
- Una patera, scodella di legno;
- Un loculus, una cartella in pelle di capra o vitello (45 per 30 cm o più piccola);
- Una dolabra, piccone usato come pala e ascia, (Domizio Corbulone diceva ai suoi soldati che la vittoria si conquistava a colpi di dolabra);
- Come impedimenta, uno o più pila muralia o sudes, pezzi di legno a sezione quadrata appuntiti, sorta di cavalli di frisia.
Ripensare la guerra, e il suo posto
nella cultura politica europea contemporanea,
è il solo modo per non trovarsi di nuovo davanti
a un disegno spezzato
senza nessuna strategia
per poterlo ricostruire su basi più solide e più universali.
Se c’è una cosa che gli ultimi eventi ci stanno insegnando
è che non bisogna arrendersi mai,
che la difesa della propria libertà
ha un costo
ma è il presupposto per perseguire ogni sogno,
ogni speranza, ogni scopo,
che le cose per cui vale la pena di vivere
sono le stesse per cui vale la pena di morire.
Si può scegliere di vivere da servi su questa terra, ma un popolo esiste in quanto libero,
in quanto capace di autodeterminarsi,
vive finché è capace di lottare per la propria libertà:
altrimenti cessa di esistere come popolo.
Qualcuno è convinto che coloro che seguono questo blog sono dei semplici guerrafondai!
Nulla di più errato.
Quelli che, come noi, conoscono le immense potenzialità distruttive dei moderni armamenti
sono i primi assertori della "PACE".
Quelli come noi mettono in campo le più avanzate competenze e conoscenze
per assicurare il massimo della protezione dei cittadini e dei territori:
SEMPRE!
….Gli attuali eventi storici ci devono insegnare che, se vuoi vivere in pace,
devi essere sempre pronto a difendere la tua Libertà….
La difesa è per noi rilevante
poiché essa è la precondizione per la libertà e il benessere sociale.
Dopo alcuni decenni di “pace”,
alcuni si sono abituati a darla per scontata:
una sorta di dono divino e non,
un bene pagato a carissimo prezzo dopo innumerevoli devastanti conflitti.…
…Vorrei preservare la mia identità,
difendere la mia cultura,
conservare le mie tradizioni.
L’importante non è che accanto a me
ci sia un tripudio di fari,
ma che io faccia la mia parte,
donando quello che ho ricevuto dai miei AVI,
fiamma modesta ma utile a trasmettere speranza
ai popoli che difendono la propria Patria!
Signore, apri i nostri cuori
affinché siano spezzate le catene
della violenza e dell’odio,
e finalmente il male sia vinto dal bene…
(Fonti: https://svppbellum.blogspot.com/, Web, Google, Romanoimpero, Wikipedia, You Tube)