mercoledì 20 novembre 2019

Il Macchi-Castoldi M.C.72 è un idrocorsa (idrovolante da corsa) con configurazione "a scarponi" ideato nel 1930



Il Macchi-Castoldi M.C.72 è un idrocorsa (idrovolante da corsa) con configurazione "a scarponi" ideato nel 1930 come l'ultima speranza dell'Italia per la terza vittoria necessaria alla conquista della prestigiosa Coppa Schneider.



Storia dell’M.C.72

La preparazione della rivincita italiana cominciava nel 1930. Altissima la posta in gioco: cercare di battere gli inglesi, rimettendo così in gara il blasonato trofeo, e riportare a casa il primato mondiale di velocità, da sempre legato alla manifestazione.
Questo era il compito del R.A.V. (Reparto Alta Velocità) di Desenzano del Garda, che iniziò subito la selezione dei piloti che avrebbero portato in gara il futuro bolide. Intanto a Roma si davano disposizioni per la macchina e il motore; la maggiore esperienza in campo di idrocorsa era sicuramente appannaggio della Fiat per il motore e della Macchi per la cellula e furono queste le due ditte sulle quali si concentrarono gli sforzi che avrebbero portato al motore AS.6 e all'idrocorsa M.C.72.
Il nuovo aereo fu realizzato nei tempi previsti e le prove di collaudo iniziali fecero ben sperare chi su questo aereo aveva puntato tutto. Invece, ben presto si presentarono dei gravi problemi di detonazioni e ritorni di fiamma nel propulsore, e il collaudo risultò molto più lungo e laborioso del previsto. Quando poi le prove di volo costarono la vita di due piloti collaudatori, il 2 agosto al capitano Giovanni Monti in fase di decollo e successivamente al tenente Stanislao Bellini, si capì che l'M.C.72 non sarebbe mai stato pronto per il settembre del 1931.
Persa ogni speranza di rimettere in gioco la Schneider, il R.A.V. ricevette l'ordine perentorio di stabilire il nuovo record di velocità il giorno stesso in cui gli inglesi si sarebbero aggiudicati il trofeo, ma naturalmente era un'impresa impossibile; se l'M.C.72 fosse stato in grado di stabilire il record per quella data, allora avrebbe potuto anche partecipare alla competizione in Inghilterra, cosa che non avvenne.
Il primo record comunque arrivò: il 10 aprile 1933 alle ore 11:00 il Maresciallo Francesco Agello decollava a bordo dell'M.C.72 siglato MM.177 ed effettuava cinque giri del circuito designato sul Lago di Garda alla velocità media di 682,078 km/h; dopo l'ultimo passaggio Agello, resosi conto del successo, si lanciò verso l'idroscalo colmo di spettatori concludendo con una secca virata a coltello come segno di saluto.
Successivamente fu inviata una sezione del Reparto presso Falconara Marittima per nuovi tentativi di record. Il giorno 8 ottobre, utilizzando lo stesso M.C.72 M.M. 177 ma con un motore meno spinto, il tenente colonnello Guglielmo Cassinelli, sul percorso Falconara (località Fiumesino) - porto di Pesaro e ritorno stabilì il record del mondo di velocità sui 100 km con la media di 629,39 km/h, senza prima effettuare voli di prova del percorso con l'idrocorsa. Il successivo 21 ottobre il capitano Pietro Scapinelli, sempre con lo stesso M.C.72 M.M. 177, decollando al largo di Falconara Marittima e seguendo il percorso Porto Recanati - Porto Corsini e ritorno, conquistò la prestigiosa Coppa Blériot, destinata al primo pilota che avesse volato ad almeno 600 km/h per mezz'ora, con la media di 619,37 km/h, nonostante avesse incontrato condizioni meteorologiche avverse che resero difficilissimo anche il decollo a causa del mare grosso.
Il successivo ed ultimo traguardo fu fissato al superamento del muro dei 700 km/h, ed anche questo obiettivo fu raggiunto; il 23 ottobre 1934 Agello, a bordo dell'M.C.72 siglato MM.181, con una velocità media di 709,209 km/h, batté il suo stesso record; quest'ultimo primato rimane da allora imbattuto per quanto concerne la categoria idrovolanti propulsi da motore alternativo. Lo stesso M.C.72 MM.181, l'ultimo rimasto dei cinque esemplari prodotti, è gelosamente custodito nel Museo storico dell'Aeronautica Militare di Vigna di Valle, sul lago di Bracciano (Roma). A causa delle particolari necessità e della unicità delle relative soluzioni applicative, non furono realizzati sviluppi successivi, del motore FIAT AS.6 e dell’aereo.



Il motore Fiat AS.6

Era chiaro a tutti che il motore dell'M.C.72 dovesse essere qualcosa di davvero eccezionale: il contratto con la Fiat esigeva un motore con una potenza di 2 300 CV, aumentabile in tempi brevi a 2 800 CV, un peso non superiore agli 840 kg ed un consumo massimo di 250 g/cv/h. Il compito era arduo, in quanto il più potente motore prodotto fino ad allora dalla fabbrica torinese, l'AS.5, già impiegato sull'idrocorsa Fiat C.29, non superava i 1 000 CV; si trattava quindi di più che raddoppiare la potenza e di adottare un riduttore e un turbocompressore, cosa che la Fiat aveva affrontato fino ad allora solo allo stadio sperimentale.
La soluzione fu individuata nell'accoppiamento in tandem di due unità AS.5 conservando dello stesso motore alesaggio, corsa e numero di giri. L'idea di due motori in tandem presentava diversi vantaggi: innanzitutto un ingombro trasversale straordinariamente limitato, la possibilità di sfruttare l'esperienza già acquisita con l'AS.5, il poter sistemare il riduttore tra le due unità, che rimanevano indipendenti l'una dall'altra, e il far passare l'asse elica tra le bancate del motore anteriore.
Inoltre in questo modo si disponeva di una cilindrata davvero considerevole (più di 50 litri), il che avrebbe permesso di raggiungere comodamente la potenza contrattuale senza dover sovralimentare eccessivamente il motore, mantenendo così i consumi eccezionalmente bassi, come richiesto. Nasceva così l'AS.6, una sorta di "doppio motore" con due unità indipendenti nel funzionamento (tanto che venivano avviate separatamente) ma con le eliche coassiali controrotanti. Questo propulsore, come del resto tutti quelli della serie AS, venne progettato dall'ingegnere Tranquillo Zerbi, direttore del Reparto Progetti Speciali della Fiat.
L'albero a gomiti del motore anteriore non usciva anteriormente in corrispondenza dell'elica, bensì posteriormente dove, mediante ruote dentate che fungevano anche da riduttore, metteva in movimento un albero cavo rotante tra la "V" dei cilindri. Allo stesso modo, il motore posteriore muoveva, tramite ruote dentate, un secondo albero che passava all'interno del primo. I due motori erano montati nel senso avanti-indietro, col risultato di far girare gli alberi, e quindi le eliche, l'uno nel senso opposto dell'altro.
Il combustibile veniva imbarcato all'interno dei galleggianti e arrivava al motore attraverso dei condotti passanti internamente ai sostegni a traliccio degli scafi. Anche i circuiti erano indipendenti e ogni unità pescava il combustibile dal proprio galleggiante/serbatoio; in questo modo si evitava che, dopo un tempo di volo prolungato, ci si trovasse con un serbatoio pieno ed uno vuoto, situazione che avrebbe originato fastidiosi squilibri.



Caratteristiche tecniche del Fiat AS.6 (versione anno 1934)
  • Architettura: 24 cilindri a V di 60°
  • Raffreddamento: a liquido
  • Cilindrata totale: 50,256 litri
  • Alesaggio: 138 mm
  • Corsa: 140 mm
  • Rapporto di compressione: 7
  • Velocità media del pistone: 15,4 m/s
  • Alimentazione: carburatore aspirato ad otto corpi
  • Distribuzione: 4 valvole per cilindro, 2 alberi a camme per ogni bancata
  • Accensione: doppia, a quattro magneti
  • Sovralimentazione: compressore centrifugo ad uno stadio
  • Velocità di rotazione del compressore: 19000 giri/min
  • Pressione di sovralimentazione: 1,82 bar
  • Riduttore: coppie di ingranaggi a dentatura cilindrica
  • Rapporto di riduzione: 0,6
  • Peso a secco: 930 kg
  • Potenza massima: 3100 CV a 3300 giri/min
  • Rapporto peso/potenza: 0,3 kg/cv.



Le eliche coassiali controrotanti

L'ingegner Mario Castoldi aveva pensato all'idea di due eliche coassiali controrotanti già alla Schneider del 1929, quando risaltarono agli occhi di tutte le difficoltà degli idrocorsa in fase di decollo. L'elica, infatti, ruotando attorno al proprio asse, produce (per la Terza Legge della Dinamica) un momento meccanico di reazione che tende a far rollare il velivolo nel senso opposto a quello di rotazione dell'elica stessa. Se, durante la corsa di decollo di un aeroplano "terrestre", tale momento meccanico può essere assorbito dall'ammortizzatore della gamba del carrello, in un idrovolante a scarponi avviene lo sprofondamento di un galleggiante rispetto all'altro e questo comporta un notevole squilibrio in termini di resistenza idrodinamica.
Con l'aumento della potenza dei motori si rendeva necessaria l'adozione di galleggianti sempre più grandi che potessero opporre una adeguata resistenza al rollio indotto senza sprofondare eccessivamente; i galleggianti sovradimensionati però, una volta in volo, producevano una resistenza aerodinamica notevole.
L'adozione di due eliche coassiali controrotanti, soprannominata poi elica "birotativa", ha tra i tanti vantaggi quello di azzerare il momento meccanico di reazione, in quanto il momento meccanico generato dalla rotazione di un'elica viene contrastato dalla rotazione dell'altra. Questo ha sicuramente reso il velivolo meno difficile da pilotare, sia in volo che in flottaggio, ed ha inoltre consentito di adottare galleggianti meno voluminosi.
Il fatto poi che la lunghezza delle pale fosse ripartita tra due eliche ridusse il diametro del disco, il che offrì due ulteriori vantaggi: in primo luogo scongiurò il pericolo che le estremità delle pale raggiungessero velocità supersoniche ad elevati regimi di rotazione del motore, ed in secondo luogo ridusse la superficie del disco stesso, migliorando la penetrazione aerodinamica dell'aereo.
Altro vantaggio aerodinamico era il fatto che l'idrocorsa veniva investito da una corrente d'aria non turbolenta, come per i monoelica, bensì da una corrente pressoché lineare, il che evitava anche che i gas di scarico venissero deviati verso l'abitacolo, causando problemi sia di respirazione sia di visibilità al pilota per annerimento del parabrezza. Oltretutto, un disco con un diametro così ridotto non avrebbe sicuramente interferito in alcun modo con l'onda prodotta dagli scafi durante il movimento in acqua.



Tecnica

Ali e impennaggi

L'ala era realizzata in duralluminio, piuttosto spessa ed a profilo biconvesso, simmetrico, e completamente coperta da un radiatore alare costituito da tubetti d'ottone in modo da utilizzare quasi tutta la superficie esterna del velivolo per raffreddare il motore.
Gli impennaggi di coda erano a croce, come nei modelli veloci Macchi.

Fusoliera

Nella parte anteriore e centrale la fusoliera era in metallo mentre la coda era realizzata in legno. Buona parte della lunghezza della fusoliera era occupata dal complesso motore che era sostenuto da un castello nel quale si innestavano le gambe di forza dei galleggianti e le semiali.
Le gambe di forza dei galleggianti erano in legno e duralluminio e la loro superficie anteriore era quasi completamente coperta dai radiatori per l'olio e per l’acqua.

Raffreddamento

Uno dei problemi più seri per il funzionamento del prestante motore era il raffreddamento:
I problemi inerenti al raffreddamento dei motori hanno notevole importanza. Il raffreddaménto di un motore con circolazione di liquido, sull'aeroplano da caccia, che tende a ridurre al minimo ogni dimensione, offre delle particolari difficoltà, Nell'M.C.72 dovetti però affrontare e risolvere esigenze ancora più gravi, cosa che fu fatta in modo brillantissimo. Allora a velocità di 700 chilometri ora si eliminavano più di 600 calorie per metro quadrato al minuto con un peso totale dell'acqua in circolazione di soli 115 Kg. La circolazione dell'acqua avveniva mediante quattro pompe centrifughe attraverso le quali passavano 900 litri d'acqua al minuto, cioè ogni minuto la stessa acqua passava quasi otto volte nei radiatori. «La circolazione dell'acqua avveniva sotto pressione, tenuta da speciali valvole sensibilissime comandate da una serie di capsule barometriche. Senza valvole, all'avvicinarsi della temperatura dell'acqua ai 90° le pompe si disinnescano e cessano di dare portata. Mettendo il circuito sotto pressione si impedisce all'acqua di bollire e le pompe stanno adescate anche a temperatura superiore ai 100 gradi, temperatura che è in correlazione colla pressione alla quale sono tarate le valvole. Credo che il sistema di raffreddamento con circolazione d'acqua sotto pressione sia stato per l'appunto usato per la prima volta sull’M.C.72.



ENGLISH

The Macchi M.C. 72 was an experimental seaplane designed and built by the Italian aircraft company Macchi Aeronautica. The M.C. 72 held the world speed record for all aircraft for five years. In 1933 and 1934, it set a world speed record for piston engine-powered seaplanes which still stands.

Design and development

The Macchi M.C. 72 was one of a series of seaplanes developed by Macchi Aeronautica. An earlier model, the M.24 was a twin-engine flying boat armed with machine guns and capable of carrying a torpedo. Later in the 1920s, Macchi focused on speed and on winning the Schneider Trophy. In 1922, the company hired aircraft designer Mario Castoldi to design high-speed aircraft.
In 1926, the company won the trophy with the M.39 which attained a top speed of 396 km/h (246 mph). Further aircraft, the M.52, M.52R and the M.67, were designed and built but victory in the Schneider races kept eluding the Italians. Castoldi then designed the ultimate racing seaplane, the M.C. 72, a single-seater aircraft with two floats.
The M.C. 72 design was unique with a fuselage partly metal to the cockpit and wood monocoque bolted to the front tubular portion by four bolts. The streamlined nose contours enclosed an oil tank with its outside wall exposed to the airstream. The wing was all metal with flat tubular water radiators smoothly faired into the wings. The twin pontoons had three smoothly-faired radiators on the outer surfaces, the forward radiator for water and the centre and rear radiators for oil cooling. The float struts also featured water radiators and another radiator was fitted during hot conditions under the fuselage running from cockpit to tail.
The M.C. 72 was built in 1931 with the idea of competing for what turned out to be the final Schneider Trophy race, but due to engine problems, the M.C. 72 was unable to compete.
Instead of halting development, Macchi continued work on the M.C. 72. Benito Mussolini personally took an interest in seeing development of the M.C. 72 continue and directed state funds to the company.

Operational history

For two years, the M.C. 72 suffered from many mechanical defects, as well as the loss of two test pilots who died trying to coax world class speed out of the M.C. 72 (first Monti and then Bellini). The final design of M.C. 72 used contra-rotating propellers powered by a modified FIAT AS.6 supercharged V24 engine generating some 1,900-2,300 kW (2,500-3,100 hp).
After 35 flights, the engines were overhauled in preparation for a record attempt. The aircraft finally lived up to expectations when it set a new world speed record (over water) on 10 April 1933, with a speed of 682 km/h (423.5 mph). It was piloted by Warrant Officer Francesco Agello (the last qualified test pilot). Not satisfied, development continued as the aircraft's designers thought they could break 700 km/h (434.7 mph) with the M.C. 72. This feat was in fact achieved on 23 October 1934, when Agello piloted the M.C. 72 for an average speed of 709.2 km/h (440.7 mph) over three passes. This record remains (as of 2019) the fastest speed ever attained by a piston-engine seaplane. After this success, the M.C.72 was never flown again.

Speed record

The M.C. 72 held the world speed record for all aircraft for five years. For comparison, the record holder for a land-based aircraft was held (for a time) by the Hughes H-1 Racer with a top speed of only 566 km/h (352 mph). Then in 1939, two German racing aircraft passed the M.C. 72. The first was a Heinkel prototype fighter which reached the speed of 746 km/h (463 mph). The second was the Messerschmitt Me 209, built by Messerschmitt solely for the purpose of setting a new world speed record, which it achieved at 756 km/h (469 mph) on April 26 – less than 5 months before the start of World War II. The current world speed record for a piston-engine aircraft is 528.33 mph (850.26 km/h) set by a heavily modified Grumman F8F Bearcat named Rare Bear over three km in 1989. However, the M.C. 72 record still stands today as the world's fastest propeller-driven seaplane.

Survivors

One M.C. 72, the aircraft that took the world record, survives. It is on display at the Italian Air Force Museum, near Rome.

(Web, Google, Wikipedia, You Tube)



















































martedì 19 novembre 2019

Leonardo ha di recente testato con successo in mare il sistema ULISSES ASW - Ultra LIght SonicS Enhanced System per la ricerca di sottomarini



Recentemente la multinazionale italo-britannica-statunitense Leonardo ha testato al largo delle coste italiane le capacità del nuovo sistema ULISSES – Ultra LIght SonicS Enhanced System per la ricerca di sottomarini; lo sviluppo procede nei tempi stabiliti e la produzione avrà finalmente inizio nel 2020.

Il sistema ULISSES è frutto della collaborazione con la società Ultra Electronics per le sonoboe miniaturizzate e per la tecnologia multistatica e con L3 Technologies per il sonar di profondità. 

L’Ulisses è un sistema integrato di sensori acustici progettato per “ascoltare” i sottomarini e determinarne la posizione.

Le prove in mare hanno dimostrato i vantaggi delle capacità multistatiche del sistema ULISSES in un ambiente navale realistico. Leonardo ha inizialmente posizionato da una nave diverse tipologie di sonoboe della Ultra Electronics, incluse quelle dotate di GPS. 
Il processore ULISSES è stato quindi utilizzato per individuare in modo rapido e accurato una serie di obiettivi sottomarini simulati, contrassegnando automaticamente le loro coordinate su di una mappa digitale presente sulla consolle dell’operatore addetto. 
ULISSES ha suscitato grande interesse grazie al peso ridotto, ossia <20 kg compresi processore, trasmettitore, ricevitore e registratore; ciò lo rende adatto anche per piccoli droni aerei ed elicotteri. ULISSES è ideale anche per il mercato del refitting navale, visto che potrà sostituire il sistema sonico esistente, riducendo il peso complessivo degli equipaggiamenti. Inoltre, il nuovo sistema integrato ha la capacità di acquisire informazioni da una vasta gamma di fonti, come ad esempio le sonoboe equipaggiate con GPS, attive e passive, e sonar di profondità. Progettato per essere facilmente utilizzabile e, soprattutto, per ridurre il carico di lavoro dell’operatore; l’ULISSES è in grado di fornire tracciamento e avvisi automatici, video Full HD e controllare sonoboe da remoto.
Negli ultimi anni, le Marine alleate e amiche hanno assistito a una progressiva crescita della minaccia rappresentata da sottomarini convenzionali e nucleari, la cui tendenza costruttiva è in aumento; per tale motivo Leonardo ha sviluppato il sistema Ulisses (Ultra-LIght SonicS Enhanced System).
Per contrastare più efficacemente tali unità sottomarine diventate sempre più silenziose, Leonardo ha sviluppato e recentemente testato con successo il sistema Ulisses (Ultra-LIght SonicS Enhanced System), per cui il gruppo italiano è già in trattativa con alcuni potenziali clienti nazionali e internazionali per produrlo e fornirlo dal prossimo anno.
Si tratta di un sistema acustico per la ricerca e la localizzazione di minacce subacquee di nuova generazione ultraleggero e dalle ridotte dimensione in grado di essere installato non soltanto su velivoli ad ala fissa e rotante ma anche su droni di dimensioni e peso contenuto. Come già evidenziato, il sistema è stato presentato in collaborazione con il gruppo inglese Ultra Electronics per le sonoboe miniaturizzate e la tecnologia di localizzazione multistatica delle medesime, nonché L3 Technologies per l’integrazione con il sonar filabili utilizzati dalle piattaforme ad ala rotante e realizzati dalla società statunitense.
Concepito, sviluppato e testato da Leonardo a Genova, il sistema si caratterizza per un elaboratore delle informazioni raccolti dalle boe acustiche lanciate in mare dal velivolo ad ala fissa o rotante, i cui dati vengono processati in parallelo (fino a un massimo di 64 sonoboe) e grazie al sistema di localizzazione delle medesime viene effettuata la triangolazione della posizione delle unità subacquee potenzialmente ostili per una loro sorveglianza o eventuale ingaggio. 

Con un peso complessivo di soltanto 20 chili, il sistema è composto da:
  • l’elaboratore (6,5 kg), 
  • il trasmettitore, 
  • il ricevitore,
  • il sistema di localizzazione delle boe acustiche,
  • un registratore per immagazzinare i dati destinati ad una loro successiva analisi e creazione del database dell’impronta acustica delle unità subacquee avversarie, oltre all’addestramento degli operatori.

Le prove a mare che hanno rappresentato il coronamento dell’attività di validazione del sistema, si sono svolte nelle acque antistanti La Spezia, dove l’Ulisses era installato a bordo un’unità d’appoggio di proprietà della stessa Leonardo che viene utilizzata per i test e la sperimentazione dei siluri e dei sistemi subacquei realizzati presso lo stabilimento di Livorno. Il sistema Ulisses ha dimostrato di poter individuare in modo rapido ed accurato una serie di obiettivi sottomarini simulati, contrassegnando automaticamente le loro coordinate su una mappa visualizzata sulla postazione dell’operatore.
Con lo sviluppo del prodotto che si concluderà entro il 2019 e il lancio della produzione nel 2020, il sistema Ulisses è destinato ad avere un importante mercato sia nazionale che internazionale. In aggiunta a quello principale dei velivoli ad ala fissa e rotante di nuova produzione o aggiornamento dei medesimi, le ridotte dimensioni, pesi ed ingombri del sistema lo rendono particolarmente idoneo all’impiego da droni che possono operare da unità navali come le Fremm o dai Pattugliatori PPA.
A secondo della missione, i droni trasporteranno anche il lanciatore delle boe acustiche miniaturizzate e trasferiranno le informazioni alla nave madre, affiancando la piattaforma pilotata ad ala rotante e potenziando le capacità complessive ASW del dispositivo navale.
L’Ultra Light SonicS Enhanced System è caratterizzato da una tecnologia all'avanguardia sviluppata per fornire una soluzione compatta e leggera alle esigenze dei clienti per una maggiore efficacia operativa della sorveglianza marittima. Inoltre, offre una soluzione conveniente per le operazioni avanzate di guerra antisommergibile (ASW) su velivoli di pattuglia marittima ad ala fissa e rotante. 
Implementa capacità multistatiche e di elaborazione simultanea su una varietà di sonobuoys, inclusi i più recenti sonobuoys speciali sviluppati per rilevare obiettivi a bassa rumorosità. Grazie al peso e alle dimensioni ottimizzate, ULISSES è adatto anche per l'installazione su piccole piattaforme sia con o senza equipaggio (UAV, USV, RHIB). Il nuovo sistema integrato ASW di Leonardo è compatibile con i sottosistemi Sonar ad immersione, tipicamente installati su elicotteri di classe media/pesante. 


CARATTERISTICHE:
  • Ricerca, individuazione, localizzazione e classificazione dei bersagli in acque basse e blu
  • Tracciamento automatico di più bersagli
  • Calcolo della velocità del target range, del cuscinetto e del doppler
  • Migliore stima delle prestazioni acustiche
  • Profilo di velocità del suono e misurazione del rumore ambientale
  • Gestione delle librerie di classificazione
  • Capacità di localizzazione del sonobuoy
  • Capacità Sonobuoys GPS
  • Sistema di peso leggero
  • Capacità multistatica
  • Gestione fino a 32 Sonobuoys passivi e/o attivi
  • Predisposizione per l'integrazione del sonar a immersione.

ENGLISH

Leonardo conducts successful live sea trial of ULISSES system

Leonardo has completed a live sea trial of its new ultra-light sonics enhanced system (ULISSES) off the coast of Italy.
The trial demonstrated the submarine-hunting capabilities of ULISSES, an integrated acoustic sensor solution.
The company noted that the development of the system is on course to be completed by the end of December, with deliveries expected to take place in 2020.
Leonardo is in discussions with potential buyers of the ULISSES.
During the trial, the company used the sensor system to automatically locate simulated submarines.
The solution can detect enemy submarines and determine their locations.
It features a software capability provided by Ultra Electronics to process data from up to 64 distributed sonobuoys or dipping sonar sensors.
ULISSES uses information from several sources to ‘triangulate the location of potentially hostile vessels’.
The company is developing the acoustic system in partnership with Ultra Electronics and L3 Technologies.
While Ultra Electronics is supplying multistatic technology and miniaturised sonobuoys, L3 Technologies is responsible for providing dipping sonar.
Leonardo said in a statement: “The recent sea trials proved the benefits of ULISSES multistatic capabilities in a realistic naval environment. They began with Leonardo deploying various types of Ultra Electronics supplied sonobuoys, including some with GPS, from a ship.
“The ULISSES processor was then used to quickly and accurately locate a number of simulated under-sea targets, automatically marking their coordinates on a map on the operator’s workstation.”
ULISSES is a lightweight solution that can be used for very small unmanned aircraft and helicopters.
The acoustic solution can also be installed to replace an existing sonics system. It enables automatic tracking and alerts and provides users with the ability to remotely control sonobuoys through system commands.
ULISSES (Ultra Light SonicS Enhanced System) is characterised by cutting-edge technology  developed to provide a compact, light-weight solution to customer requirements for increased operational effectiveness of maritime surveillance. ULISSES offers an affordable  solution for advanced Anti-Submarine Warfare (ASW) operations on rotary and fixed wing Maritime Patrol Aircraft. 
ULISSES implements multistatic capabilities as well as concurrent processing on a variety of sonobuoys, including the latest special purpose sonobuoys developed to detect low noise targets.
With optimised weight and size, ULISSES is also suitable for installation on small platforms both manned and unmanned (UAV, USV, RHIB). ULISSES is backward compatible with dipping Sonar Sub-Systems, typically installed on medium/heavy class helicopters. 


KEY FEATURES:
  • Search, detection, localisation and classification of targets in shallow and blue waters
  • Automatic tracking of multiple targets
  • Target range, bearing and doppler velocity computation
  • Enhanced acoustic performance estimation
  • Sound velocity profile and environmental noise measurement
  • Classification library management
  • Sonobuoy localisation capability
  • GPS Sonobuoys capability
  • Light weight system
  • Multistatic capability
  • Management of up to 32 passive and/or active Sonobuoys
  • Provision for Dipping Sonar Integration.

(Web, Google, Wikipedia, Naval technology, You Tube)



La relazione finale sull’affondamento e le carenze di addestramento del personale di plancia della fregata della Marina Militare Norvegese “Helge Ingstad”



La relazione finale sull’affondamento della fregata della Marina Militare Norvegese “Helge Ingstad” pone in evidenza le carenze di addestramento sulla sicurezza nella fase dell’affondamento.



Secondo un rapporto sull'incidente pubblicato di recente dal governo norvegese, la squadra di vigilanza sul ponte della fregata norvegese Helge Ingstad speronata e affondata, era distratta, addestrata in modo inadeguato e non è riuscita a prendere precauzioni adeguate durante il transito vicino alla terraferma.



La fregata lanciamissili Helge Ingstad fu speronata dalla petroliera battente bandiera maltese Sola TS e successivamente affondate fuori dal terminal di Sture - Mare del Nord; i militari di vigilanza sul ponte erano impegnati in un turno di guardia mentre la fregata procedeva ad una andatura vicina ai 17-18 nodi.



Dal rapporto si rileva che la Marina norvegese aveva assegnato all'ufficiale di guardia un ruolo di istruttore ma è stato appurato che l'ufficiale di guardia aveva competenze ed esperienza molto limitate. Inoltre, la Marina non aveva dato all'ufficiale assistente di guardia una formazione e una competenza sufficienti per far funzionare importanti sistemi dei ponti.
La pubblicazione norvegese VG ha riferito lo scorso dicembre che il capitano della nave, il capitano Preben Østheim, dormiva nella sua cabina durante il transito attraverso lo stretto vicino a Sture, che si trova a meno di tre miglia nel punto più stretto.
Il rapporto, che ha anche accusato la petroliera di non essere riuscita a mitigare i potenziali rischi e il servizio di controllo del traffico navale per un monitoraggio inadeguato, si rivolge in particolare alla Marina per la mancanza di navigatori qualificati, e per aver cambiato brevemente l'addestramento degli ufficiali junior, lasciando le squadre di guardia del ponte sotto-qualificate. Come conseguenza della carenza di navigatori qualificati per la gestione delle fregate, gli ufficiali di guardia avevano un livello di esperienza molto basso. Questo stato di cose aveva anche portato ad assegnare agli ufficiali di guardia inesperti la responsabilità dell'addestramento. Il livello di competenza ed esperienza richiesto per il concetto di "lean manning" (LMC), a quanto pare non era stato raggiunto.
Il rapporto sull'incidente mostra che il team del ponte aveva confuso la petroliera Sola TS per un oggetto stazionario a terra e, poiché gli addetti alla vigilanza erano distratti dalla formazione, non erano pienamente impegnati nel monitoraggio delle comunicazioni via radio. Una squadra addetta ai ponti più coordinata e con maggiore condivisione delle informazioni sarebbe stata più capace di rilevare in anticipo la petroliera. 
Il raggiungimento di un buon lavoro di squadra è particolarmente impegnativo nel caso delle squadre addette al ponte, i cui membri vengono costantemente sostituiti.
Inoltre, la squadra in servizio di guardia faceva leva su di una grande fiducia nelle reciproche abilità, e questo può aver contribuito a far loro percepire che avevano il pieno controllo della situazione e quindi erano meno vigili e sensibili anche ai più piccoli segnali di pericolo.



Il rapporto fa parte di un rapporto in due parti e comprende solo le azioni che hanno portato alla collisione. Ulteriori informazioni sulle azioni successive alla collisione saranno rese note nell'ambito di un secondo rapporto che sarà pubblicato successivamente.
Sempre secondo il rapporto, il transito attraverso il canale d'acqua noto come Hjeltefjord non è stato considerato come particolarmente impegnativo, in quanto il fairway è aperto e offre una buona visuale tutt’intorno e ciò, probabilmente, ha contribuito a creare un senso di compiacenza tra l’equipaggio.



Il capitano della fregata norvegese Østheim, ha altresì precisato che non riteneva indispensabile doversi trovare sul ponte durante il transito: a suo dire, dopo 12 anni in mare, conosceva la costa come le sue tasche, quindi sapeva esattamente se stare sul ponte o riposare. Generalmente - a suo dire- c’era poco traffico attraverso il canale e non esiste uno schema per la separazione del traffico.
La petroliera TS Sola, secondo il rapporto, creava probabilmente una certa confusione visiva per gli osservatori di Ingstad a causa delle luci del ponte illuminate di notte.
Nello stesso momento in cui la petroliera Sola TS notificò la sua partenza dal terminal di Sture, la consegna degli orologi tra gli ufficiali di guardia iniziò sulla fregata HNoMS Helge Ingstad, mentre l'ufficiale istruttore dell'allievo continuava a navigare.
Durante la consegna, l'ufficiale di guardia osservò un oggetto al Terminal Sture, a dritta della linea di rotta della fregata. L’oggetto" fu osservato sia visivamente che sullo schermo radar sotto forma di eco radar e simbolo AIS. I due ufficiali di guardia ebbero una discussione, ma non chiarirono la natura dell’oggetto visualizzato sul radar.
Entrambi gli ufficiali di guardia avevano avuto la chiara percezione che l'oggetto fosse fermo vicino alla riva e quindi senza rischi per il passaggio sicuro della fregata.
La situazione fu resa ancora più pericolosa dal fatto che Ingstad non aveva il suo sistema di identificazione automatica, che avrebbe notificato il servizio di assistenza al traffico e la posizione della petroliera Sola TS. Il Traffic Service perse la traccia di Ingstad perché gli operatori avevano i loro display zoommati troppo in profondità.

La collisione

Mentre la fregata Ingstad si avvicinava al terminale, la petroliera Sola TS, che l'ufficiale era convinto fosse un oggetto fermo presso il terminale, appariva sul radar per aver coperto una certa distanza tra il molo e l’acqua; ma l'ufficiale non era ancora sicuro che non fosse un oggetto fermo che diventava più chiaro sullo schermo radar perché  la fregata Ingstad era più vicina ad esso.
Un ufficiale di guardia più esperto avrebbe probabilmente avuto una maggiore capacità di captare i deboli segnali di pericolo ed essere meglio predisposto per sospettare che la propria consapevolezza situazionale soffrisse di malintesi. L'ufficiale di guardia pensò, tuttavia, che il percorso doveva essere leggermente adattato al porto per aumentare la distanza di passaggio dal presunto “oggetto".
Nei minuti prima della collisione, la Sola TS stabilì un contatto con l'ufficiale di guardia sull’Ingstad per convincerlo a compiere una manovra di evitamento girando verso dritta. Ma l'ufficiale pensava ancora che il Sola fosse un oggetto fermo e che girando a dritta si sarebbe imbattuto contro di esso.
Quando la fregata HNoMS Helge Ingstad non cambiò rotta, il comandante della Sola TS ordinò di arrestare i motori e, poco dopo, il pilota ordinò la marcia indietro a tutta velocità sui motori. Queste due misure furono eseguite solo poco tempo prima della collisione, e quindi senza effetti materiali. Quando l'ufficiale di guardia dell'HNoMS Helge Ingstad capì che l'oggetto che emetteva luce si muoveva e sulla rotta diretta per scontrarsi, era troppo tardi per evitare la collisione.
La decisione del capitano di non essere sul ponte o, per lo meno, di aver inviato un dettaglio di navigazione speciale con la nave così vicino a terra pone delle perplessità, ha detto il capitano di crociera in pensione dell’US NAVY Cap. Rick Hoffman.
Se ci si trova a meno di cinque miglia da terra, nella Marina degli Stati Uniti sono indispensabili osservatori più qualificati, extra vedette.
Una ulteriore perplessità è data dal perché l'ufficiale di guardia sul ponte stava conducendo l'addestramento durante un transito così vicino a terra.
Nel caso specifico l'ufficiale di coperta dovrebbe guardare fuori dalla plancia e concentrarsi completamente sul transito.
Tuttavia, Østheim ha ribadito di non avere rimpianti per le sue azioni, anche se accetta di essere il responsabile generale della nave.

Il comandante dell’unità norvegese ha confermato di non provare alcuna vergogna: 

“”"In qualità di capo della nave, ho naturalmente la responsabilità generale per la nave e per il suo equipaggio. E' estremamente triste che ciò sia accaduto. È un incidente che non dovrebbe accadere, ma non mi vergogno””".

ENGLISH

Report slams Norwegian Navy for training, safety shortfalls in the run-up to frigate sinking

The bridge watch team on the stricken Norwegian frigate Helge Ingstad was distracted, inadequately trained and failed to take adequate precautions while transiting close to land, according to an accident report released Friday by the Norwegian government.
The watch standers on Helge Ingstad, which collided with the Maltese-flagged tanker Sola TS and subsequently sunk outside Sture Terminal near the mouth of the North Sea, were busy conducting a watch turnover and attempting to conduct training during the navigation in the channel, which it was conducting at 17-18 knots.
“The Navy lacked competence requirements for instructors. The Navy had assigned the officer of the watch a role as instructor which the officer of the watch had limited competence and experience to fill,” the report reads. “Furthermore, the Navy had not given the officer of the watch assistant sufficient training and competence to operate important bridge systems while training the officer of the watch assistant trainee at the same time.”
The Norwegian publication VG reported last December that the ship’s captain, Capt. Preben Østheim, was asleep in his cabin during the transit through the strait near Sture, which is less than three miles across at its narrowest point.
The report, which also faulted the tanker for failing to mitigate potential risks and the vessel traffic control service for inadequate monitoring, takes special aim at the Navy for a lack of qualified navigators, and for short-changing the training of junior officer, leaving bridge watch teams underqualified.
“As a consequence of the clearance process, the career ladder for fleet officers in the Navy and the shortage of qualified navigators to man the frigates, officers of the watch had been granted clearance sooner, had a lower level of experience and had less time as officer of the watch than used to be the case,” the report found. “This had also resulted in inexperienced officers of the watch being assigned responsibility for training. The level of competence and experience required for the lean manning concept (LMC), was apparently not met.”
The accident report shows that the bridge team confused the Sola TS for a stationary object on land, and because the watch standers were distracted with training, they were not fully engaged with monitoring the communications on the radio.
“A more coordinated bridge team with more information sharing would have been more capable of detecting the tanker sooner,” the report said. “Achieving good teamwork is particularly challenging in the case of bridge teams whose members are constantly being replaced.
“Furthermore, the bridge team was part of a culture characterized by great confidence in each other’s skills, and this may have contributed to the perception of them being in full control of the situation and thus less vigilant and sensitive to weak signals of danger.”
The report is part one of a two-part report and only encompasses the actions that led to the collision. Further findings about the actions after the collision will be released as part of a second report to be released later.
‘Not Particularly Demanding’
According to the report, the transit through the body of water known as the Hjeltefjord “was not considered particularly demanding, as the fairway is open and offers a good view all around,” the report found, which likely contributed to a sense of complacence among the crew.
That echoes the sentiments of the Capt. Østheim, who told VG he didn’t think he needed to be on the bridge during that transit.
“After 12 years at sea, I know the coast as my own pocket, so I know exactly when I need to be on the bridge and when I can rest,” Østheim told VG.
There is generally little traffic through the channel and there is no traffic separation scheme.
The Sola TS, which the report said was likely creating some visual confusion for Ingstad’s watchstanders because of its illuminated deck lights at night, announced it was underway on the radio during the exact time that Ingstad’s watchstanders were turning over, likely causing them to miss the transmission, the report reads.
“At the same time as Sola TS notified of her departure from the Sture Terminal, the watch handover between the officers of the watch started on HNoMS Helge Ingstad, while the officer of the watch trainee continued to navigate the frigate,” the report reads.
“During the watch handover, the officer of the watch being relieved and the relieving officer of the watch observed an object at the Sture Terminal, to starboard of the frigate’s course line. The ‘object’ was observed both visually and on the radar display in the form of a radar echo and AIS symbol. The two officers of the watch discussed, but did not clarify, what the ‘object’ might be.
“Both officers of the watch had formed the clear perception that the ‘object’ was stationary near the shore and thus of no risk to the frigate’s safe passage.”
The situation was made even more perilous by the fact that Ingstad did not have its Automatic Identification System on, which would have notified traffic service and Sola TS of Ingstand’s location. Traffic Service lost track of Ingstad because operators had their displays zoomed in too far, the report found.

Collision

As the Ingstad came closer to the terminal, the Sola TS, which the officer was convinced was a stationary object by the terminal, was appearing on radar to have made some distance between the pier and the water, but the officer was still not sure it wasn’t a stationary object becoming more clear on the radar screen because Ingstad was closer to it.
“A more experienced officer of the watch would probably have had greater capacity to pick up on weak signals of danger and be better equipped to suspect that his/her own situational awareness suffered from misconceptions,” the report read. “The officer of the watch thought, however, that the course had to be adjusted slightly to port to increase the passing distance to the ‘object’.”
In the minutes before the collision, the Sola TS established contact with Ingstad’s officer of the watch to get them to take an avoidance maneuver by turning to starboard. But the watch still thought that the Sola was a stationary object and that turning to starboard would run into it.
“When HNoMS Helge Ingstad did not alter course, the master on Sola TS ordered ‘stop engines’ and, shortly afterwards, the pilot ordered full speed astern on the engines,” the report read. “These two measures were carried out only short time before the collision, and were therefore without material effect.
“When the officer of the watch on HNoMS Helge Ingstad understood that the ‘object’ giving off light was moving and on direct course to collide, it was too late to avoid the collision.”
‘I don’t feel shame’
The decision of the captain to not be on the bridge or, at the very least, to have posted a special navigation detail with the ship so close to land is perplexing, said retired U.S. Navy cruiser skipper Capt. Rick Hoffman, a career surface warfare officer.
“If I’m within five miles of land I’m going to have some kind of navigation detail posted,” which in the U.S. Navy means a team of more qualified watch standers, extra lookouts and more than likely either the Commanding Officer, Executive Officer or both, would be on the bridge overseeing the watch.
It’s further perplexing as to why the officer of the deck, or officer of the watch, was conducting training during a transit so close to land, Hoffman said.
“[The officer of the deck should be] looking out the window and completely focused on the transit,” he said. “We would not use that as a training opportunity. The OOD and the Conning Officer has no other task.”
However, Østheim told VG in December he has no regrets about his actions, though he accepts that he was overall responsible for the ship.
“I don’t feel any shame,” he said. “As the ship’s chief, I of course have the overall responsibility for the ship and its crew. It’s extremely sad that this happened. It’s an accident that should not happen, but I don’t feel any shame.”

(Web. Defensenews, Wikipedia, You Tube)






















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