La classe Foxtrot è il nome in codice NATO della classe di sottomarini diesel-elettrici sovietici Progetto 641. Costruiti in oltre settanta esemplari, sono entrati in servizio alla fine degli anni cinquanta. La marina russa ha ritirato gli ultimi esemplari alla fine degli anni novanta, ma rimangono ancora in servizio in altri Paesi.
Storia
Sviluppo
Il primo esemplare del Progetto 641 entrò in servizio nel 1958. In Occidente ricevette la codifica NATO di classe Foxtrot. Dal punto di vista tecnico, si possono considerare derivati dalle precedenti classi Whiskey e Romeo. Complessivamente, ne furono prodotti oltre settanta esemplari, che furono anche largamente esportati.
Impiego operativo
La marina sovietica ebbe in servizio circa una cinquantina di esemplari. I primi entrarono in servizio nei tardi anni cinquanta, e la costruzione proseguì fino ai primi anni settanta. Nell'ambito della VMF sovietica, si trattò dei più grandi sottomarini convenzionali entrati in servizio. Questi battelli rimasero nominalmente in carico fino agli anni novanta, e l'ultimo venne radiato nel 2001.
Esportazioni
Le esportazioni riguardarono una ventina di unità:
Cuba: tre unità in servizio a partire dal 1979.
India: otto unità tra il 1968 ed il 1975. Alcune rimangono in servizio.
Libia: sei unità tra il 1976 ed il 1983. Pare non siano più operative
Polonia: due unità tra il 1987 ed il 1988. Radiate nel 2003.
Ucraina: un esemplare nel 1997, che risulta essere in riparazione.
Descrizione tecnica
I Foxtrot furono i più grandi sottomarini convenzionali entrati in servizio con la marina sovietica. In particolare, il loro dislocamento era di 1.952 t in emersione e di 2.475 in immersione, con una lunghezza di 91,3 m, una larghezza di 7,5 ed un pescaggio di 5,09.
La propulsione era assicurata da tre motori diesel da 2.000 hp l'uno, che generavano energia per i motori elettrici. Questi erano quattro: uno da 2.700 e due da 1.350, a cui se ne aggiungeva uno ausiliario da 180 hp. Tale apparato propulsivo era in grado di spingere i Foxtrot ad una velocità massima nell'ordine dei 16,8 nodi in superficie e dei 16 in immersione.
L'autonomia era considerevole. Infatti, in superficie era variabile tra 3.600 e 30.000 miglia (a seconda della velocità, rispettivamente 15 ed 8,1 nodi), mentre alla profondità di sette metri, in modalità snorkeling, raggiungeva le 16.000 miglia a 7 nodi. In immersione, invece, i valori massimi erano di 400 miglia a 2 nodi, che crollavano a 15,3 alla massima velocità.
La profondità operativa era di 250 m, mentre quella massima raggiungibile era di 300. Le immersioni dovevano avvenire obbligatoriamente senza inclinare troppo il battello: infatti, con una inclinazione superiore ai 30 gradi si perdeva il controllo.
L'equipaggio raggiungeva i 77 elementi, di cui 54 erano marinai. Questi, per riposare, avevano a disposizione un totale di 27 cuccette in letti a castello, situati nella camera siluri di poppa. Gli ufficiali, invece, disponevano di cuccette proprie.
L'armamento era costituito da dieci tubi lanciasiluri da 533 mm, di cui 6 a prua e 4 a poppa. La dotazione era di 22 siluri, oppure di 32 mine.
I Foxtrot vennero realizzati anche in alcune versioni appositamente progettate per l'esportazione. In particolare, si trattava dei Progetto I641I (anche: Progetto 641I) e dei Progetto I641K (anche: Progetto 641K). Questi ultimi differivano per il fatto che i tubi lanciasiluri di poppa erano da 400 mm.
Nel 2014 il film "Black Sea" è stato girato usando come mezzo protagonista della ricerca di un u-boot affondato nel 1941 nel Mar Nero un sottomarino classe Foxtrot noleggiato a 180.000$ dal comandante della spedizione, il capitano Robinson, interpretato da Jude Law.
Un esemplare è ancorato, in stato di abbandono, nella zona portuale di Amsterdam, di fronte al sito del vecchio cantiere navale NDSM. Delle varie ipotesi di utilizzo in ambito turistico non se ne è concretizzata alcuna.
Lo SPAD S.XIII del nostro asso della Prima guerra mondiale Francesco Baracca era un caccia monoposto biplano prodotto dall'azienda francese Sociéte Pour l'Aviation et ses Dérivés, o più brevemente SPAD, negli anni dieci del XX secolo.
Utilizzato durante la prima guerra mondiale, fu uno dei migliori velivoli del conflitto ed uno di quelli prodotti in maggior numero: 8 472 esemplari con ordini per altri 10 000 che vennero cancellati con l'armistizio.
Storia del progetto
Lo SPAD S.XIII era uno sviluppo del precedente S.VII e del meno riuscito S.XII.
Sull'S.XIII vennero introdotte un gran numero di modifiche, tra cui un timone ed ali di maggiori dimensioni, atti a beneficiare di sostanziali miglioramenti aerodinamici. Il motore, il francospagnolo Hispano-Suiza 8Be 8 cilindri a V, grazie alla maggior potenza espressa di 223 CV (164 kW) garantiva un considerevole incremento delle prestazioni del velivolo. Il velivolo francese era più veloce dei pari ruolo britannico Sopwith Camel e del tedesco Fokker D.VII, ma la sua minore maneggevolezza lo rendeva piuttosto ostico nelle mani di piloti inesperti, in particolare durante le manovre di atterraggio, a causa delle sue scarse caratteristiche di veleggiatore e della sua repentina entrata in stallo. Era invece ottima la sua solidità come le sue doti di picchiata.
In Italia vennero impiegati durante il conflitto 26 SPAD XIII, che cominciarono ad arrivare i primi alla fine del 1917 e gli altri all'inizio del 1918. Molti SPAD XIII furono tolti dalle casse solo nel dopoguerra, andando ad equipaggiare reparti della Regia Aeronautica.
Impiego operativo
Lo S.XIII fu pilotato, tra gli altri, dagli assi Georges Guynemer, René Fonck e Charles Nungesser, in forza alla francese Aviation militaire; dall'italiano Francesco Baracca, in forza al Servizio Aeronautico, che totalizzò 34 vittorie aeree prima di essere abbattuto; e dallo statunitense Eddie Rickenbacker, in forza all'United States Army Air Service, al quale alla fine del conflitto furono confermate 26 vittorie.
Il velivolo venne utilizzato anche da altre Aviazioni tra le quali il servizio aereo della American Expeditionary Forces dell'United States Army Air Service che ne ricevette 893 e che utilizzò fino al 1920.
La 91ª Squadriglia il 21 ottobre 1917 con Baracca rivendica una doppietta sul Monte Nero (Alpi Giulie) e nel febbraio 1918 ne arrivano altri esemplari.[3]
In Italia dal 1918 volavano anche gli esemplari della Escadrille N 92 i - N 392 - N 561 per la difesa di Venezia.
Dopo la fine del conflitto venne impiegato anche dal Giappone, dalla Cecoslovacchia e dalla Polonia. Nel 1923 erano ancora in dotazione al 1º Stormo Caccia Terrestre ed al 25 dicembre 1925 nel 13º Gruppo caccia del 2º Stormo.
Utilizzatori del biplano:
Argentina, Servicio Aéronautico del Ejército - due esemplari.
Stati Uniti, American Expeditionary Forces, United States Army Air Service
Uruguay, Aviación Militar de l'Ejército Nacional, operò dagli anni venti nella Escuela Militar de Aviación (EMA).
Dati Tecnici del biplano Spad XIII:
Costruttore: S.P.A.D.
In ruolo dal: 1917
Motore: Hispano Suiza 8BEc 8cil. V in linea raffreddato ad acqua 235 hp
Apertura alare: 8.2 m
Lunghezza: 6.3 m
Altezza: 2.42 m
Peso a vuoto: 600 kg
Peso al decollo: 820 kg
Velocità massima: 222 km/h
Ceiling: 6800 m
Autonomia: 2 h
Equipaggio: 1
Armamento: 2 Vickers .303
Il nostro eroe Francesco Baracca nacque il 9 maggio 1888 da una famiglia ricca (il padre Enrico era uomo d'affari e proprietario terriero, mentre la madre era la contessa Paolina de Biancoli) Francesco Baracca studiò dapprima nella sua città natale di Lugo, in Emilia-Romagna, quindi a Firenze e in seguito scelse la vita militare nell'Accademia militare di Modena, dove fu ammesso nel 1907 e da cui due anni dopo ne uscì come sottotenente dell'Arma di Cavalleria del Regio Esercito. Nel 1909 frequentò il corso di specializzazione presso la Scuola di Cavalleria di Pinerolo e l'anno successivo venne assegnato al 2º Reggimento cavalleria «Piemonte Reale» di stanza a Roma nella caserma Castro Pretorio, dove dimostrò le sue doti di cavaliere vincendo il concorso ippico di Tor di Quinto. Nel 1912, affascinato da un'esercitazione aerea presso l'aeroporto di Roma-Centocelle, passò in aviazione, che allora faceva parte dell'esercito. Frequentò i corsi della scuola di pilotaggio a Bétheny in Francia con un Nieuport 10 e il 9 luglio conseguì il brevetto di pilota numero 1037. Si distinse presto per l'eccezionale abilità nelle tecniche acrobatiche.
Nel 1914 venne assegnato al Battaglione Aviatori, prima presso la 5ª e poi con la 6ª Squadriglia. Alla vigilia della prima guerra mondiale, Baracca fu inviato a Parigi dove si addestrò sul caccia Nieuport 10. Rientrato in Italia nel luglio del 1915, cominciò i voli di pattugliamento il 25 agosto. Dopo ripetuti infruttuosi combattimenti, gli venne assegnato un Nieuport 11 «Bébé» con il quale – in forza alla 70ª Squadriglia – entrò ripetutamente in azione nella seconda metà del 1915. Finalmente, il 7 aprile 1916 otteneva la sua prima vittoria, su un Aviatik biposto. Il suo primo abbattimento venne effettuato sopra il cielo di Gorizia il 7 aprile 1916, ai comandi di un Nieuport 13 presso Medeuzza: dopo vari minuti di ingaggio riuscì a portarsi con una cabrata in coda a un ricognitore Hansa-Brandenburg C.I austro-ungarico che, ricevuti quarantacinque colpi, fu costretto ad atterrare e l'equipaggio venne fatto prigioniero. Per l'azione Baracca venne decorato con la medaglia d'argento al valor militare. La sua prima vittoria fu anche la prima in assoluto dell'aviazione italiana. Tornato a terra, incontrò uno dei due piloti nemici abbattuti e gli strinse la mano, mostrando simili atteggiamenti di conforto e cavalleria anche verso altri nemici nel prosieguo della guerra. Baracca, infatti, sosteneva che «è all'apparecchio che io miro, non all'uomo». Sarà decorato di altre due medaglie d'argento, delle quali, l'ultima sarà convertita in medaglia d'oro nel maggio 1918. Altre vittorie seguirono presto la prima, e, all'inizio di maggio, aveva ottenuto già sette vittorie individuali e tre in collaborazione, diventando di fatto uno dei pochi assi dell'aviazione, con tutta la celebrità che ne conseguiva. Il 13 maggio Baracca ottenne un'altra vittoria in collaborazione. Promosso capitano nel giugno 1916, rimase sempre nella stessa squadriglia, anche quando questa divenne la 70ª. Il 1º maggio del 1917 si trasferì alla 91ª Squadriglia, soprannominata «La squadriglia degli assi» perché costituita da grandi assi dell'aviazione scelti da Baracca in persona, quali Pier Ruggero Piccio, Fulco Ruffo di Calabria, Gaetano Aliperta, Bortolo Costantini, Guido Keller, Giovanni Sabelli, Enrico Perreri e Ferruccio Ranza. L'unità aveva in dotazione il nuovo Nieuport 17 (foto qui sopra) costruito in Italia dalla Macchi. Sul suo aereo in onore alla sua Arma di appartenenza Baracca dipinse il cavallino nero rampante destinato a diventare una delle insegne più care agli italiani. Anni dopo la madre di Francesco consegnò quel simbolo a Enzo Ferrari e gli disse: «Ferrari, metta sulle sue macchine il cavallino rampante del mio figliolo. Le porterà fortuna». Presso questa squadriglia, di cui divenne il comandante, conseguì ventisei vittorie. Nel settembre 1917, con diciannove vittorie al suo attivo, era l'asso italiano con il maggior numero di abbattimenti. Il 6 di quel mese venne promosso maggiore. Altri cinque successi seguirono in ottobre, con due doppi abbattimenti in due singoli giorni. La seconda di queste duplici vittorie venne conseguita il 26 ottobre, ai danni di due Aviatik tedeschi. Quando gli austro-ungarici, rinforzati da forze germaniche, incluse tre squadriglie di caccia (Jagdstaffeln, più semplicemente Jastas), lanciarono la loro offensiva che portò alla disfatta di Caporetto, la 91ª Squadriglia venne riequipaggiata con lo SPAD S.XIII (nella foto sotto titolo l'originale, nella foto seguente, una replica). Pilotando questo nuovo aereo, Baracca portò il totale delle sue vittorie a trenta, ma subito dopo venne messo a riposo. Ritornò in azione nel maggio 1918, dopo che il 5 gli fu commutata una medaglia d'argento in medaglia d'oro. Il 15 giugno, con l'abbattimento di altri due aerei, conseguì le sue ultime vittorie, abbattendo per ultimo un caccia Albatros D.III con uno SPAD S.XIII nei pressi di San Biagio di Callalta. Era la sua vittoria ufficiale numero trentaquattro riportata in sessantatrè combattimenti aerei, sebbene ci sia chi alza questo numero a trentasei e chi lo abbassa a trentatré. Il 19 giugno, dopo aver compiuto una missione, il trentenne Baracca rientrò al campo di Quinto di Treviso; lo SPAD S.XIII con cui aveva compiuto il primo volo della giornata aveva il rivestimento in tela delle ali e della fusoliera danneggiato, perciò egli decollò con il suo aereo di riserva, uno SPAD S.VII, per la seconda missione. Mentre con altri due aerei della 91ª Squadriglia era impegnato in un'azione di mitragliamento a volo radente sopra Colle Val dell'Acqua, sul Montello, il suo aereo venne abbattuto. Baracca fu ucciso probabilmente da un colpo di fucile sparato da terra, mentre sorvolava le trincee austro-ungariche, ma non c'è certezza assoluta in quanto all'epoca un biplano austro-ungarico sostenne di averlo abbattuto. Verrà ritrovato qualche giorno dopo, il 23 giugno dal capitano Osnago, compagno dell'ultimo volo, che su segnalazione dell'ufficiale Ambrogio Gobbi raggiunse le pendici del Montello (località «Busa delle Rane») con il tenente Ranza ed il giornalista Garinei del Secolo di Milano. Qui, accanto ai resti del velivolo, si trovava il corpo di Baracca: ustionato in più punti, presentava una ferita di pallottola sulla tempia destra. Le ali e la carlinga dello SPAD S.VII erano carbonizzati, il motore (foto qui sopra di lato) e la mitragliatrice (foto sotto) infissi nel suolo e il serbatoio forato da due pallottole. Le esequie si svolsero il 26 giugno a Quinto di Treviso, alla presenza di autorità civili e militari, e l'elogio funebre venne pronunciato da Gabriele D'Annunzio, ammiratore del pilota di Lugo. È stata avanzata una tesi secondo la quale Baracca, piuttosto che bruciare con il velivolo o essere fatto prigioniero, avrebbe preferito suicidarsi (il corpo, ustionato in più punti, presentava una ferita di pallottola sulla tempia destra); da tempo, inoltre, esiste la rivendicazione dell'abbattimento da parte di un pilota austro-ungarico. Nessuna di queste due tesi, tuttavia, è supportata da elementi concreti. Alle due tesi se ne è aggiunta ultimamente una terza, ossia che un tiratore austriaco appostato su un campanile lo abbia colpito. Secondo uno storico anglosassone, da ricerche nei registri austro-ungarici risulterebbe che Baracca venne ucciso dal mitragliere di un biposto austriaco che l'asso italiano stava attaccando dall'alto. In ogni caso, nei giorni del ritiro delle truppe austro-ungariche da Bavaria e Nervesa per raggiungere la riva sinistra del Piave, un giornalista di guerra al seguito delle truppe italiane disse che fu difficile localizzare l'aereo caduto, poiché era finito in una fitta selva di alberi, da cui la certezza che il nemico non lo avesse trovato. Inoltre la stampa austro-ungarica, in quei giorni di combattimento, non se ne era occupata, tanto che qualcuno sperava di trovare Baracca ancora in vita, magari ferito e nascosto da qualche parte. Il re Vittorio Emanuele III aveva infatti fatto inviare ai genitori dell'asso un telegramma in cui auspicava una risoluzione positiva, speranza che si infranse solo in seguito, con il ritrovamento del cadavere e dell'aereo caduto. La bara fu trasferita nella dimora abituale di Baracca, Villa Borghesan, e il funerale privato si tenne nella chiesa parrocchiale di San Giorgio, a Quinto di Treviso. Una seconda cerimonia funebre, pubblica, si tenne nel cimitero di Quinto, vicino all'aeroporto di San Bernardino da cui l'asso era partito per quella che sarebbe stata la sua ultima missione (e dove oggi, presso il sito su cui sorgeva l'aeroporto, si erge una stele composta da un'ala e da una targa ricordo). Al passaggio della bara, resero omaggio al caduto le autorità civili e militari, oltre alla gente del paese. Il giorno dopo la salma venne trasportata a Lugo, dove ebbero luogo i funerali ufficiali.
La storia del Cavallino Rampante
L'insegna personale di Baracca, che l'asso faceva dipingere sulla fiancata sinistra del proprio velivolo - sulla destra trovava posto quella della 91ª Squadriglia - era il famoso cavallino rampante, sulle cui origini e sul cui stesso colore esiste un piccolo mistero.
Diversi indizi sembrano infatti indicare che il colore originario del cavallino fosse il rosso, tratto per inversione dallo stemma (che in un quarto reca appunto un cavallo d'argento in campo rosso) del 2º Reggimento cavalleria «Piemonte Reale» di cui l'asso romagnolo faceva parte, e che il più famoso colore nero sia stato invece adottato in segno di lutto solo dopo la morte di Baracca dai suoi compagni di squadriglia che rinunciarono alle proprie insegne personali.
Secondo un'altra tesi, il cavallino rampante di Baracca deriverebbe invece non dallo stemma del suddetto reggimento bensì da quello della città tedesca di Stoccarda. Gli aviatori di un tempo, infatti, venivano considerati «assi» solo dopo l'abbattimento del quinto aereo, di cui assumevano talvolta le insegne in onore del nemico sconfitto.
Baracca, noto per la sua lealtà e il suo rispetto per l'avversario, avrebbe quindi fatto dipingere sulla carlinga del suo velivolo il cavallino rampante (già nero, secondo questa tesi) visto su quella del quinto aereo da lui abbattuto, un Aviatik (o, secondo altri, un Albatros B.II) tedesco probabilmente guidato da un aviatore di Stoccarda.
Se così fosse, allora i cavallini (o meglio le giumente: Stuotengarten - da cui Stuttgart, il nome tedesco di Stoccarda cui l'arma parlante fa riferimento - in antico altotedesco significava «recinto delle giumente») che compaiono negli attuali stemmi della Ferrari e della Porsche (quest'ultimo desunto direttamente dallo stemma della città tedesca) avrebbero, benché leggermente diversi nella grafica, la medesima origine.
In ogni caso, qualche anno dopo il termine della prima guerra mondiale, nel 1923, la madre di Francesco Baracca diede ad Enzo Ferrari l'autorizzazione a utilizzare l'emblema usato da suo figlio, emblema che, modificato nella posizione della coda e nel colore dello sfondo, ora giallo in onore della città di Modena, ornò le vetture condotte dal pilota per la scuderia da corsa dell'Alfa Romeo e, più tardi, le vetture della ditta che Ferrari fondò subito dopo la seconda guerra mondiale: ancora oggi è il simbolo dell'omonima casa automobilistica.
Meno conosciuto è il fatto che anche la Ducati utilizzò il cavallino rampante (pressoché identico a quello della Ferrari) sulle proprie moto dal 1956/57 al 1960/61.
Il marchio fu scelto dal celebre progettista della Ducati Fabio Taglioni, che era nato a Lugo come Baracca.
Il cavallino rampante – di colore argenteo su campo rosso, rivolto a sinistra e con la coda abbassata – era lo stemma araldico del "Piemonte Reale Cavalleria", uno dei più prestigiosi reparti dell'Esercito Italiano, presso il quale Francesco Baracca prestò servizio ad inizio del Novecento. Di lì a poco, il giovane cavallerizzo volle diventare aviatore e fu proprio il suo amore per i cavalli che lo portò negli anni successivi a scegliere di adottare, sebbene con alcune varianti, lo stesso stemma quale simbolo per i suoi aeroplani. Il cavallino rampante nero apparve per la prima volta su di un aeroplano pilotato dall'asso a inizio 1917 e divenne definitivamente l'insegna applicata sulla fusoliera degli aerei da lui pilotati nell'ambito della neo-costituita 91ª Squadriglia. Il 19 giugno 1918 Francesco Baracca non rientrò da un volo di guerra sul Montello e il suo corpo fu trovato solo alcuni giorni più tardi accanto ai resti bruciati dello SPAD su cui volava. Da quel momento, furono i genitori dell'asso a tenerne vivo il ricordo e fu un incontro – il 16 giugno 1923 durante il Circuito del Savio – tra il padre Enrico e un giovane Enzo Ferrari (all'epoca al volante di un'Alfa Romeo) a preparare la strada a quello che diventerà un mito a livello mondiale. Da quell'incontro derivò, infatti, il successivo tra la madre di Francesco e il costruttore modenese, al quale la contessa Paolina Biancoli donò il prezioso emblema accompagnandolo con queste parole: "Ferrari, metta sulle sue macchine il cavallino rampante del mio figliolo. Le porterà fortuna". "Conservo ancora la fotografia di Baracca, con la dedica dei genitori con cui mi affidano l'emblema" – scriveva Enzo Ferrari il 3 luglio 1985 allo storico lughese Giovanni Manzoni - "Il cavallino era ed è rimasto nero; io aggiunsi il fondo giallo canarino che è il colore di Modena". Il Cavallino Rampante tornò ad apparire come stemma della 91ª negli anni '20, per ricevere poi una definitiva consacrazione quale insegna del 4º Stormo della Regia Aeronautica per volere di Amedeo d'Aosta che allora lo comandava. Lo stesso stemma fu inoltre impiegato per un periodo anche sulle moto Ducati, su richiesta dell'allora progettista Fabio Taglioni, originario di Lugo di Romagna. Il cavallino rampante vola tuttora sul timone di coda degli Eurofighter Typhoon dell'Aeronautica Militare e, come noto, corre sulle auto di Maranello.
La replica funzionante di uno dei due SPAD S.XIII pilotati da Francesco Baracca, realizzata da Giancarlo Zanardo, è stata presentata in un volo dimostrativo a Nervesa della Battaglia, il 5 aprile 2008, in occasione della serie di commemorazioni previste per il 90º anniversario della Battaglia del solstizio. Il biplano, costruito con le tecniche e i materiali dell'epoca, è stato impreziosito con un frammento di tela proveniente dalla fusoliera di uno degli aerei della 91ª Squadriglia, cui apparteneva Baracca.
Sul Montello, alle porte di Treviso, esiste un monumento vicino a Nervesa della Battaglia (foto sopra), con una dedica di Gabriele D'Annunzio.
Contrariamente a quanto si crede, il punto nel quale l'opera sorge non è quello dove l'aereo del pilota di Lugo impattò contro il suolo.
Lo SPAD di Baracca infatti, cadde in località «Busa delle rane» al termine della «valle dell'acqua», una depressione che si insinua nel Montello.
Il sito dell'attuale monumento fu scelto negli anni trenta, per le sue caratteristiche di panoramicità, che permettevano di osservarlo dalla pianura sottostante.
Onorificenze Italiane :
Cavaliere dell'Ordine militare di Savoia.
«Pilota di meriti eccezionali, già decorato di tre medaglie al valore, costantemente dedica l'assidua opera sua alla riuscita di brillanti azioni aeree. Il 26 aprile 1917 in fiero e accurato combattimento, con rara abilità e sommo disprezzo del pericolo, abbatteva un nuovo apparecchio nemico, conseguendo così l'ottava sua vittoria. Cielo Carnico, 26 aprile 1917.»
5 agosto 1917.
Medaglia d'oro al valor militare
«Primo pilota da caccia in Italia, campione indiscusso di abilità e di coraggio, sublime affermazione delle virtù italiane di slancio e di audacia, temprato in sessantatré combattimenti, ha già abbattuto trenta velivoli nemici, undici dei quali durante le più recenti operazioni. Negli ultimi scontri, tornò due volte col proprio apparecchio colpito e danneggiato da proiettili di mitragliatrici. Cielo dell'Isonzo, della Carnia, del Friuli, del Veneto e degli Altipiani, 25 novembre 1916, 11 febbraio, 22, 25, 26 ottobre, 6, 7, 15, 23 novembre, 7 dicembre 1917»
5 maggio 1918.
Medaglia d'argento al valor militare
«Nell'occasione d'una incursione aerea nemica, addetto al pilotaggio d'un aeroplano da caccia, con mirabile sprezzo del pericolo, arditamente affrontava un potente aeroplano nemico e, dando prova di alta perizia aviatoria e di grande sangue freddo, ripetutamente lo colpiva col fuoco della propria mitragliatrice fino a causarne la discesa precipitosa nelle nostre linee. Per impedire che gli aviatori nemici distruggessero l'apparecchio appena atterrato, discendeva anch'egli precipitosamente raggiungendo lo scopo e concorrendo alla pronta cattura dei prigionieri. Cielo di Medeuzza, 7 aprile 1916.»
18 maggio 1916.
Medaglia d'argento al valor militare
«Pilota aviatore addetto a una squadriglia da caccia, con sereno sprezzo di ogni pericolo e grande sangue freddo dando prova di molta perizia aviatoria, affrontava potenti aeroplani nemici, concorrendo molto efficacemente, con altro apparecchio da caccia, a determinare la caduta precipitosa di due velivoli avversari: l'uno in territorio nemico fra Bucovina e Ranziano, l'altro entro le nostre linee a Creda, gesso [sic!] Caporetto. Cielo di Gorizia 23 agosto 1916, cielo di Caporetto, 16 settembre 1916.»
15 marzo 1917.
Medaglia di bronzo al valor militare
«Informato con altri aviatori che un aeroplano nemico volteggiava con insistenza sopra Monte Stol e Monte Stariski per regolare il tiro delle proprie batterie montato su un velivolo da caccia arditamente affrontava l'apparecchio avversario che strenuamente si difese con una mitragliatrice e con un fucile a tiro rapido, e dopo una brillante e pericolosa lotta concorreva ad abbatterlo rimanendo ucciso l'ufficiale osservatore e ferito mortalmente il pilota. Monte Stariski, 16 settembre 1916»
10 giugno 1917.
Onorificenze Straniere
Croix de guerre con palma di bronzo (Francia)
Croce militare britannica
Ufficiale dell'Ordine della Corona del Belgio
Stella dei Karađorđević di IV classe (Regno di Serbia).