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di un reparto militare
ma come cittadini e custodi di ideali.
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senza mai darli per scontati.
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là dove il mulino del cuore non macini più
pane intriso di lacrime, là dove ancora si può sognare…
…una vita che meriti di esser vissuta.
L'Emanuele Filiberto Duca d'Aosta (detto anche semplicemente Duca d'Aosta) è stato un incrociatore leggero della Regia Marina, appartenente alla classe Condottieri tipo Duca d'Aosta. La classe Alberto di Giussano (generalmente abbreviata in classe Di Giussano) ha costituito la prima delle cinque classi di incrociatori leggeri della Regia Marina della serie "Condottieri".
La nascita del progetto
Tra le due guerre mondiali le potenze mondiali iniziarono una corsa agli armamenti per ottenere la supremazia sui mari. Nel 1926 la Francia iniziò a produrre i caccia classe Le Fantasque, che erano superiori in dislocamento e potenza di fuoco ai cacciatorpediniere dell'epoca. Per contrastare la minaccia francese la Regia Marina decise di produrre una nuova classe di incrociatori di dimensioni intermedie tra la nuova classe di cacciatorpediniere francesi e gli incrociatori dell'epoca. In effetti furono rozzamente equivalenti alla classe Leander britannica.
Gli incrociatori tipo Condottieri, battezzati in onore di condottieri del periodo medievale e rinascimentale italiani, vennero realizzati in una sequenza di cinque classi distinte, che dimostravano una chiara linea evolutiva.
Ogni classe prendeva il nome dalla prima nave del gruppo:
Classe Alberto di Giussano:
- Alberto di Giussano
- Alberico da Barbiano
- Bartolomeo Colleoni
- Giovanni delle Bande Nere.
Classe Luigi Cadorna:
- Luigi Cadorna
- Armando Diaz.
Classe Raimondo Montecuccoli:
- Raimondo Montecuccoli
- Muzio Attendolo.
Classe Duca d'Aosta:
- Emanuele Filiberto Duca d'Aosta
- Eugenio di Savoia.
Classe Duca degli Abruzzi:
- Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi
- Giuseppe Garibaldi.
Evoluzione
L'evoluzione aveva visto un progressivo aumento della corazzatura, molto ridotta e priva di capacità pratiche di difesa nei modelli iniziali, con uno spessore in millimetri di protezione della cintura che non raggiungeva la velocità in nodi (Di Giussano: 25 mm contro 42 nodi mostrati alle prove), per arrivare ai 130 mm nel quinto gruppo, costituito da Duca degli Abruzzi e Garibaldi. Questo si sarebbe visto anche in azioni di guerra, con i primi incrociatori affondati con facilità (come il Bartolomeo Colleoni contro l’HMS Sidney) mentre il Garibaldi sopravvisse a due siluri del sommergibile britannico HMS Upholder diventando poi la prima unità missilistica italiana. Anche l'armamento e le sovrastrutture vennero molto modificate nel corso della produzione.
Gli incrociatori del primo gruppo, costituito dai quattro Di Giussano, vennero progettati dal generale Giuseppe Vian. La loro costruzione venne avviata nel 1928 con le unità che entrarono tutte in servizio nel 1931. Nella loro progettazione venne data priorità alla velocità con impianti motori equivalenti a quelli degli incrociatori pesanti classe Zara; erano dotati di una buona potenza di fuoco, ma a causa dell'enfasi data alla velocità erano protetti da una corazzatura minima ed insufficiente contro i cannoni di cui erano dotati mentre la protezione subacquea era completamente mancante. In conseguenza di ciò tutte le unità del tipo Di Giussano furono affondate da siluri nemici: il Colleoni nel 1940 nel corso della Battaglia di Capo Spada, l'Alberto di Giussano e l'Alberico da Barbiano nel 1941 nel corso della Battaglia di Capo Bon e il Giovanni delle Bande Nere nel 1942 al largo di Stromboli.
Le due unità tipo Cadorna mantennero le caratteristiche principali con cambiamenti minori. Per il tipo Di Giussano e per il tipo Cadorna più che di incrociatori leggeri si può parlare di grossi esploratori.
Veri e propri incrociatori leggeri furono quelli a partire dal tipo Montecuccoli che furono maggiormente modificati, più pesanti, significativamente meglio protetti e con motori migliorati per mantenere la velocità richiesta. Il Raimondo Montecuccoli esiste ancora, almeno in parte: un suo impianto binato di cannoni a culla unica (senza torretta e culatte) fa la guardia minacciosamente sulla città di Perugia, e vicino vi è anche l'albero su cui sono state annotate le miglia percorse «con efficienza e con audacia».
Le due unità del tipo Duca d'Aosta continuarono la tendenza con un maggiore spessore della corazzatura e un nuovo aumento della potenza dei motori: completarono così la transizione sacrificando un poco di velocità per un'armatura ancora migliore e i cannoni aggiuntivi per le batterie secondarie.
Nel 1938 ci si rese conto, finalmente, che i 4 Di Giussano e i 2 Cadorna erano troppo poco corazzati per affrontare le unità britanniche (dopo il 1935 la pianificazione militare italiana non era rivolta solo all'ipotesi di guerra con la Francia e la Jugoslavia), si pensò allora di trasformarli in unità antiaeree. Proprio in quegli anni la Royal Navy stava trasformando alcuni vecchi incrociatori della prima guerra mondiale in navi contraeree, per garantire la protezione della flotta e delle linee di comunicazioni marittime nelle acque costiere; l'idea venne discussa in molte marine estere e copiata dalla US Navy. Gli incrociatori antiaerei avevano infatti un notevole vantaggio di stabilità rispetto ai caccia torpedinieri, riuscendo ad effettuare un tiro più continuo e preciso, oltre a trasportare un numero di pezzi superiori e meglio serviti dal controllo di fuoco. Per ragioni di costi si ipotizzò prima di trasformare solo i 4 Di Giussano, poi solo i primi due di tale sottoclasse, in attesa che altre unità similari (la sottoclasse Costanzo Ciano da 12.000 tonnellate, tipo Garibaldi migliorato, e formata da due unità Costanzo Ciano e Luigi Rizzo, previste nel 1938 per il 1941-1942, annullate nel giugno 1940) prendessero servizio. Questa trasformazione sarebbe stata molto estesa (e razionale), con una riduzione dell'ipertrofico apparato motore (2 caldaie in meno, con una maggiore economicità d'esercizio e una velocità ridotta), una nuova disposizione delle plance e degli organi di direzione del tiro, ed un armamento antiaereo molto potente: inizialmente pensata su 16 cannoni da 90/50 in postazione singole e 20 mitragliere da 20/65 in 10 impianti binati, fu poi portata su 4 cannoni da 135/45, 12 da 90/50, 8 mitragliere da 37/54 e 16 da 20/65. Questa seconda ipotesi avrebbe garantito una buona difesa contro il naviglio leggero nemico, utilizzando, tra l'altro, l'ottimo pezzo leggero da 135/45, meno potente e con una gittata inferiore rispetto al 152/53 originale, ma notevolmente preciso e dal tiro molto più celere. Sarebbero state unità molto adatte a compiti di scorta, sia per la flotta da battaglia sia, soprattutto per i convogli (visto anche il permanere di una scarsa corazzatura, malgrado si volesse migliorare anche solo leggermente la nulla protezione subacquea con eventuali controcarene, che però non furono inserite nel progetto "definitivo"). Si decise però di abbandonare questo progetto per concentrare le risorse disponibili sul completamento delle corazzate, un'ossessione, questa, tipica della seconda metà degli anni '30, quando si ricostruirono le quattro vecchie (e sostanzialmente inutili) corazzate superstiti della prima guerra mondiale e si iniziò a varare le nuove 35.000 tonnellate classe Vittorio Veneto, che assorbirono risorse economiche e industriali necessarie anche altrove.
Anche per questo la sottoclasse Costanzo Ciano non vide la luce. Sarebbe stata l'ultima modifica della classe Condottieri, con un dislocamento doppio rispetto alle prime unità, ed una corazzatura finalmente adeguata (con spessori aumentati rispetto alla sottoclasse Duca degli Abruzzi di 5–10 mm in ogni comparto, fino ad arrivare a 140 mm nel torrione e nell'armamento principale), anche se si cercò ancora di farne delle unità velociste (33 nodi, con un apparato motore di ben 115.000 hp), l'armamento antinave sarebbe stato quello standard della classe su 10 cannoni da 152/55 (lo stesso del Duca degli Abruzzi, ovvero modello 1934, oppure il successivo modello 1936, con molti miglioramenti rispetto al 152/53 modello 1926 dei primi Condottieri), ma l'armamento antiaereo sarebbe stato finalmente adeguato (8 cannoni da 90/53, 8 cannoni 37/54, 12 cannoni 20/65 o 20/75, questi ultimi integrabili con ulteriori armi di questo tipo, anche singole). Proprio in quegli anni ci si rese conto, anche se solo in parte, che l'arma aerea iniziava a rappresentare un pericolo per le grandi unità, mentre la Royal Navy disponeva di una nutrita aviazione imbarcata, quindi, almeno nei progetti, si pensò di rafforzare le deboli difese antiaeree delle unità italiane. Con questi progetti (la cui seconda unità venne rinominata subito Venezia, visto che Luigi Rizzo era ancora vivente e nominare un'unità con il nome di un ammiraglio vivente è considerato di malaugurio per entrambi) terminò, dopo poco più di 10 anni, il percorso concettuale della classe Condottieri.
Caratteristiche
La propulsione era a vapore con due gruppi turboriduttori tipo Belluzzo/Parsons alimentate dal vapore di sei caldaie a tubi d'acqua del tipo Yarrow/Regia Marina, con bruciatori a nafta, con surriscaldatori, in cui l'acqua fluiva attraverso tubi riscaldati esternamente dai gas di combustione, sfruttando così il calore sprigionato dai bruciatori, dalle pareti della caldaia e dei gas di scarico. Nel XX secolo questo tipo di caldaia diventò il modello standard per tutte le caldaie di grosse dimensioni, grazie anche all'impiego di acciai speciali in grado di sopportare temperature elevate e allo sviluppo di moderne tecniche di saldatura. L'apparato motore forniva una potenza massima di 100.000 CV e consentiva alla nave di raggiungere la velocità massima di quasi 37 nodi, con un'autonomia che ad una velocità media 14 nodi era di 3900 miglia.
L'armamento principale era costituito da otto cannoni da 152/53 A-1932 a culla singola e a caricamento semi-automatico installati in quattro torrette binate sopraelevate, due a prora e due a poppavia del secondo fumaiolo.
L'armamento antiaereo principale era costituito da sei cannoni OTO da 100/47mm mod. 1927 in tre complessi binati, utili anche in compiti antinave, ma che con l'aumento della velocità dei velivoli e con le nuove forme di attacco in picchiata si mostrarono insufficienti alla difesa aerea e rivelavano una certa utilità solo nel tiro di sbarramento: per ovviare a tali inconvenienti venne approntato dalla Regia Marina il modello 90/50 mm A-1938 in un complesso singolo con affusto stabilizzato, che trovò impiego sulle Duilio ricostruite e sulle moderne classe Littorio ma non sulle Cavour ricostruite.
L'armamento antiaereo secondario era costituito da 8 mitragliere Hotchiss da 13,2/76 mm in quattro impianti binati e otto mitragliere pesanti Breda 37/54 mm montate in 4 impianti binati che si rivelarono particolarmente utili contro gli aerosiluranti e in generale contro i bersagli a bassa quota.
L'armamento silurante era di sei tubi lanciasiluri in 2 complessi tripli brandeggiabili che trovavano posto in coperta circa a metà distanza fra i due fumaioli; l'armamento antisommergibile era completato da due lanciabombe di profondità.
L'unità imbarcava due idrovolanti da ricognizione marittima IMAM Ro.43 biplani biposto capaci di raggiungere circa 300 km/h e con circa 1 000 km di autonomia, che venivano lanciati da una catapulta, disposta a centro nave.
Nome
La nave fu battezzata con questo nome in onore di Emanuele Filiberto di Savoia Duca d'Aosta, generale del Regio Esercito, figlio del Re di Spagna Amedeo I e fratello del duca degli Abruzzi Luigi Amedeo di Savoia.
Nel corso della prima guerra mondiale Emanuele Filiberto guidò la terza armata senza mai subire sconfitte guadagnandosi l'appellativo di Duca Invitto e al cui comando conquistò Gorizia nella sesta battaglia dell'Isonzo. Nel 1926 fu nominato Maresciallo d'Italia. Morì nel 1931 e per sua volontà venne sepolto tra i soldati nel Sacrario Militare di Redipuglia.
Il motto della nave era Victoria nobis vita (per noi vittoria è vita) che era il motto del Duca Invitto, e nella Marina Militare sarebbe stato ereditato dall'incrociatore portaelicotteri Vittorio Veneto; nella nave erano presenti altre scritte, tra cui "ça costa lon ça costa! Viva l'Aosta!" (Costi quel che costi, Viva l'Aosta), motto del battaglione alpini Aosta.
In precedenza nella Regia Marina a portare il nome Emanuele Filiberto era stata una nave da battaglia intitolata però ad Emanuele Filiberto di Savoia X Duca di Savoia e antenato di Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta; la nave, in servizio dal giugno 1901 al febbraio 1920, ricevette la bandiera da combattimento a La Spezia il 10 aprile 1902 proprio dalle mani del Duca d’Aosta.
Servizio
La nave venne impostata sugli scali il 29 ottobre 1932 nei cantieri OTO di Livorno, varata nel 1934 ed entrò in servizio nel 1935. Nel 1938 iniziò con la gemella Eugenio di Savoia una circumnavigazione del globo che venne interrotta dalla minaccia dello scoppio della seconda guerra mondiale mentre le due navi si trovavano in Sud America. La partenza prevista per il 1º settembre 1938 avvenne il 5 novembre dello stesso anno da Napoli, mentre il ritorno, che era previsto per il 25 luglio 1939, alla fine di gennaio del 1939 venne anticipato con il richiamo delle navi che il 3 marzo 1939 rientrarono alla Spezia.
I primi comandanti dell'unità furono i capitani di vascello Alberto Da Zara (dall'11 luglio 1935) e Carlo Balsamo di Specchia.
Attività bellica
Nel corso della seconda guerra mondiale svolse principalmente compiti di scorta a convogli e di deposizione di campi minati.
Allo scoppio del secondo conflitto mondiale l'unità era aggregata alla VII Divisione Incrociatori nell'ambito della II Squadra. La Divisione era completata dal Montecuccoli, dal Muzio Attendolo e dal gemello Eugenio di Savoia, nave insegna dell'ammiraglio Sansonetti.
Il 9 luglio 1940 prese parte alla battaglia di Punta Stilo, primo scontro durante il conflitto tra la Regia Marina e la Royal Navy.
Il 2 agosto 1941, dopo la conquista da parte dei tedeschi della Grecia e di Creta il Duca d'Aosta, con gli incrociatori Garibaldi e Duca degli Abruzzi ed i cacciatorpediniere Alpino, Bersagliere, Corazziere e Mitragliere venne dislocato a Navarino in Grecia per la protezione del traffico nel Mediterraneo Orientale da eventuali attacchi da parte di unità di superficie britanniche che potevano usufruire del porto di Haifa.
Il 17 dicembre 1941, prese parte alla scorta al convoglio M 42, costituito dalle motonavi Monginevro, Napoli e Vettor Pisani e dalla nave da carico tedesca Ankara; la missione di scorta culminò nella prima battaglia della Sirte. La nave era tra le unità che costituivano la forza di copertura ravvicinata, insieme ai cacciatorpediniere Camicia Nera, Ascari e Aviere, alla nave da battaglia Duilio e alle unità della VII Divisione Incrociatori al completo, svolgendo il ruolo di nave insegna dell'ammiraglio De Courten.
Nel giugno 1942 prese parte alla battaglia di mezzo giugno aggregato alla VIII Divisione Incrociatori, nell'occasione formata da Duca d'Aosta e Garibaldi. Le unità della VIII Divisione, al cui comando c'era l'ammiraglio De Courten, con insegna sul Duca d'Aosta, erano partite da Taranto con la I Squadra e bordo del Garibaldi e della corazzata Littorio erano presenti gruppi di intercettazione delle comunicazioni avversarie, mentre a bordo dell'incrociatore pesante Gorizia era presente personale tedesco per mantenere i contatti radio con la Luftwaffe. La formazione italiana era preceduta dal cacciatorpediniere Legionario, che era stato dotato di un radar Modello Fu.Mo 21/39 De.Te. di costruzione tedesca, divenendo così la prima unità italiana ad essere dotata di tale strumento.
Nell'agosto 1943 l'ammiraglio Fioravanzo che il precedente 14 marzo aveva assunto il comando della VIII Divisione ebbe il compito di bombardare Palermo, da qualche giorno in mano alle truppe alleate.
La missione iniziò la sera del 6 agosto 1943 quando l'ammiraglio, con la divisione formata dal Garibaldi e dal Duca d'Aosta, lasciò Genova per La Maddalena. La sera del giorno successivo la Divisione lasciò La Maddalena con obiettivo le navi alleate alla fonda dinanzi a Palermo. Il Garibaldi aveva però difficoltà con l'apparato motore per cui non poteva sviluppare più di 28 nodi di velocità ed inoltre nessuno dei due incrociatori aveva a disposizione il radar. Dopo l'avvistamento, da parte della ricognizione aerea, di navi sconosciute in rotta verso la Divisione, Fioravanzo, ritenendo che avrebbe dovuto scontrarsi con una forza navale avversaria in condizioni di netta inferiorità per non correre il rischio di perdere i due incrociatori, ma soprattutto la vita dei 1.500 uomini degli equipaggi, senza poter arrecare danni significativi all'avversario, rinunciò al compimento della missione rientrando a La Spezia alle 18:52 dell'8 agosto.
Alle 17:00 del 9 agosto i due incrociatori lasciarono La Spezia diretti a Genova, scortati dai cacciatorpediniere Mitragliere, Carabiniere e Gioberti, al cui comando era, alla sua prima uscita in mare in tempo di guerra, il capitano di fregata Carlo Zampari e che nel corso di quella navigazione sarebbe stato l'ultimo cacciatorpediniere della Regia Marina ad essere affondato nel conflitto. La formazione, mentre procedeva nella navigazione con il Mitragliere in testa, i due incrociatori in linea di fila e Carabiniere e Gioberti, rispettivamente, a sinistra e a dritta degli incrociatori, a sud di Punta Mesco, tra Monterosso e Levanto, subì un agguato dal sommergibile inglese Simoon che lanciò sei siluri contro le unità italiane, due dei quali colpirono a poppa il Gioberti che, spezzato in due, affondò in breve tempo.
Il Carabiniere rispose lanciando bombe di profondità che danneggiarono i tubi di lancio poppieri del battello inglese, dopodiché la formazione proseguì verso Genova, dove giunse in serata. Molti dei naufraghi del Gioberti furono recuperati da una squadriglia di MAS e da altri mezzi di soccorso usciti da La Spezia appena ricevuta la notizia della perdita dell'unità.
All'armistizio dell'8 settembre la nave si trovava a Genova, da dove partì insieme a Garibaldi e Duca degli Abruzzi e alla torpediniera Libra per ricongiungersi al gruppo navale proveniente da La Spezia guidato dall'ammiraglio Bergamini, per poi consegnarsi agli Alleati a Malta assieme alle altre unità navali italiane provenienti da Taranto. Il gruppo, dopo essersi riunito con le unità provenienti da La Spezia, per ottenere una omogeneità nelle caratteristiche degli incrociatori, il Duca d'Aosta passò dalla VIII alla VII Divisione, formata da Attilio Regolo, Montecuccoli ed Eugenio di Savoia, nave insegna dell'ammiraglio Oliva, sostituendo l’Attilio Regolo che entrò a far parte della VIII Divisione. Durante il trasferimento, la corazzata Roma, nave ammiraglia dell'ammiraglio Bergamini, affondò nel pomeriggio del 9 settembre al largo dell'Asinara centrata da una bomba Fritz X sganciata da un Dornier Do 217 della Luftwaffe. A prendere il comando della flotta diretta a Malta, dopo l'affondamento dalla Roma, fu l'ammiraglio Oliva, che adempì alla clausola armistiziale non rispettata dall'ammiraglio Bergamini, quella di innalzare il pennello nero del lutto sui pennoni ed i dischi neri disegnati sulle tolde. Infatti Bergamini, quando era stato avvertito telefonicamente da De Courten dell'armistizio ormai imminente e delle relative clausole che riguardavano la flotta, era andato su tutte le furie e solo successivamente aveva formalmente accettato gli ordini, con riluttanza e senza ottemperare a quella clausola: aveva lasciato gli ormeggi innalzando il gran pavese invece del pennello nero.
Durante questa parte del conflitto effettuò 24 missioni di guerra per un totale di 31.330 miglia.
Durante la cobelligeranza la nave, dopo avere effettuato ad ottobre 1943 piccoli lavori di manutenzione all'Arsenale di Taranto venne inviata in missioni di pattugliamento nell'Atlantico centrale, insieme al Garibaldi e al Duca degli Abruzzi, impiegata in azioni di pattugliamento contro le navi corsare tedesche dalla base di Freetown, svolgendo sette missioni tra novembre 1943 e febbraio 1944. Dopo ritorno in Italia nell'aprile 1944, venne impiegata solamente in missioni di trasporto. Dal settembre 1943 al maggio 1945 effettuò 55 missioni per un totale di 61.542 miglia.
Comandanti nel periodo bellico:
- Capitano di vascello Franco Rogadeo dal 6 settembre 1939 al 25 febbraio 1942;
- Capitano di vascello Luciano Bigi dal 26 febbraio 1942 al 15 marzo 1943;
- Capitano di vascello Temistocle D'Aloia dal 16 marzo 1943 al 17 aprile 1944;
- Capitano di vascello Ludovico Sitta dal 18 aprile 1944 alla fine della guerra, nel 1945.
La cessione all’Unione sovietica
Al termine del conflitto, in ottemperanza alle clausole del trattato di pace, il Duca d'Aosta venne ceduto all'Unione Sovietica come riparazione per i danni di guerra. Oltre al Duca d'Aosta i sovietici ottennero la nave da battaglia Giulio Cesare, la nave scuola Cristoforo Colombo, i cacciatorpediniere Artigliere e Fuciliere, le torpediniere classe Ciclone Animoso, Ardimentoso e Fortunale, e i sommergibili Nichelio e Marea, oltre al cacciatorpediniere Riboty, che non venne ritirato a causa della sua obsolescenza ed altro naviglio, quali MAS, motosiluranti, vedette, navi cisterna, motozattere da sbarco, una nave da trasporto e dodici rimorchiatori. Oltre al Riboty, una piccola parte della quota di naviglio destinata ai sovietici non venne ritirata a causa del pessimo stato di manutenzione e per queste unità i sovietici concordarono una compensazione economica.
Il trattato prevedeva che le navi destinate alla cessione fossero in condizione di operare e pertanto prima della cessione l'unità venne sottoposta ad alcuni lavori di ripristino, effettuati presso l'Arsenale di La Spezia.
La consegna delle navi ai sovietici sarebbe dovuta avvenire in tre fasi a partire da dicembre 1948 per concludersi nel giugno successivo. Le unità principali erano quelle del primo e del secondo gruppo. Del primo gruppo facevano parte il Cesare, l'Artigliere e i due sommergibili, mentre del secondo gruppo facevano parte il Duca d'Aosta, il Colombo e le torpediniere. Per tutte le navi la consegna sarebbe avvenuta nel porto di Odessa, ad eccezione della corazzata e dei due sommergibili la cui consegna era prevista nel porto albanese di Valona, in quanto la Convenzione di Montreux non consentiva il passaggio attraverso i Dardanelli di navi da battaglia e sommergibili appartenenti a stati privi di sbocchi sul Mar Nero. Il trasferimento sarebbe dovuto avvenire con equipaggi civili italiani sotto il controllo di rappresentanti sovietici e con le navi battenti bandiera della Marina Mercantile, con le autorità governative italiane responsabili delle navi sino all'arrivo nei porti dove era prevista la consegna. Per prevenire possibili sabotaggi, le navi dei primi due gruppi sarebbero state condotte ai porti di destinazioni senza munizioni a bordo, che sarebbero state trasportate successivamente a destinazione con normali navi da carico, ad eccezione della corazzata, consegnata con 900 tonnellate di munizioni, che comprendevano anche 1100 colpi dei cannoni principali e l'intera dotazione di 32 siluri da 533 mm dei due sommergibili.
La nave, con la sigla 'Z 15', fu consegnata alla Marina Sovietica, nel porto di Odessa, il 2 marzo 1949.
Al comando dell'unità venne designato il capitano di 1º rango Semën Michailovič Lobov (cirillico: Семён Михайлович Лобов) che nel corso del secondo conflitto mondiale era stato prima comandante di cacciatorpediniere e poi di squadriglia in Estremo Oriente e successivamente, dopo aver lasciato il comando dell'incrociatore italiano, avrebbe comandato l'incrociatore Vorošilov e dal 1951 la nave da battaglia Sevastopol, per poi raggiungere nel 1970 il grado di ammiraglio di flotta, il secondo più alto grado della Marina Sovietica.
L'Unione Sovietica, dopo la resa e l'uscita dall'Asse dell'Italia, già nel corso della Conferenza di Mosca, nell'incontro tra i ministri degli esteri delle tre principali potenze alleate, Eden, Hull e Molotov, aveva richiesto una consistente quota di naviglio militare e mercantile italiano in conto riparazione danni di guerra, ed aveva ribadito tale richiesta nell'incontro tra Stalin, Roosevelt e Churchill alla Conferenza di Teheran trovando l'appoggio del presidente statunitense. Ma in quel momento l'Italia era cobelligerante con gli Alleati, per cui non venne ritenuta opportuna la spartizione immediata della sua flotta, preferendo rimandare alla fine del conflitto la decisione sulla sua sorte. In attesa di questo evento, i sovietici ricevettero alcune unità, a titolo di prestito, da statunitensi e britannici; tutte queste navi prestarono servizio nella Flotta del Nord e vennero restituite al termine del conflitto, tranne un cacciatorpediniere perso per cause belliche. Tra le navi prestate dai britannici c'erano alcuni cacciatorpediniere della classe Town, tre battelli classe U e la vecchia corazzata Royal Sovereign, ribattezzata Archangel'sk durante il periodo trascorso sotto la bandiera sovietica. La nave più importante prestata dagli Stati Uniti fu l'incrociatore leggero Milwaukee, della classe Omaha, ribattezzato Murmansk dai sovietici e restituito il 16 marzo 1949 dopo la consegna del Duca d'Aosta.
Inizialmente, prima del trattato di pace era stato stabilito che l'incrociatore italiano avrebbe dovuto chiamarsi Stalingrad in ricordo della battaglia di Stalingrado, ma l'idea venne abbandonata per dare questo nome ad un futuro incrociatore da battaglia del Progetto 82 la cui realizzazione, andata molto a rilento, venne poi interrotta nella seconda metà degli anni cinquanta.
La bandiera di guerra dell'unità è conservata a Roma al Sacrario delle Bandiere del Vittoriano.
La nave, scartata l'ipotesi iniziale di essere ribattezzata Stalingrad, in attesa della consegna era stata prima ribattezzata Admiral Ušakov e poi Odessa, dopo essere entrata a far parte della Marina Sovietica ebbe il nome definitivo Kerč' (in russo: Керчь) ed inquadrata nella flotta del Mar Nero. In nome della nave è dedicato alla città eroina di Kerč', un porto nella parte est della penisola di Crimea.
Il 7 febbraio 1956 la nave venne ritirata dal servizio attivo e impiegata come nave scuola fino all'11 maggio 1958, quando venne classificata unità sperimentale con la denominazione "OS 32".
Il 20 febbraio 1959 la nave venne radiata ed avviata alla demolizione, avvenuta nel 1961.
Ripensare la guerra, e il suo posto
nella cultura politica europea contemporanea,
è il solo modo per non trovarsi di nuovo davanti
a un disegno spezzato
senza nessuna strategia
per poterlo ricostruire su basi più solide e più universali.
Se c’è una cosa che gli ultimi eventi ci stanno insegnando
è che non bisogna arrendersi mai,
che la difesa della propria libertà
ha un costo
ma è il presupposto per perseguire ogni sogno,
ogni speranza, ogni scopo,
che le cose per cui vale la pena di vivere
sono le stesse per cui vale la pena di morire.
Si può scegliere di vivere da servi su questa terra, ma un popolo esiste in quanto libero,
in quanto capace di autodeterminarsi,
vive finché è capace di lottare per la propria libertà:
altrimenti cessa di esistere come popolo.
Qualcuno è convinto che coloro che seguono questo blog sono dei semplici guerrafondai!
Nulla di più errato.
Quelli che, come noi, conoscono le immense potenzialità distruttive dei moderni armamenti
sono i primi assertori della "PACE".
Quelli come noi mettono in campo le più avanzate competenze e conoscenze
per assicurare il massimo della protezione dei cittadini e dei territori:
SEMPRE!
….Gli attuali eventi storici ci devono insegnare che, se vuoi vivere in pace,
devi essere sempre pronto a difendere la tua Libertà….
La difesa è per noi rilevante
poiché essa è la precondizione per la libertà e il benessere sociale.
Dopo alcuni decenni di “pace”,
alcuni si sono abituati a darla per scontata:
una sorta di dono divino e non,
un bene pagato a carissimo prezzo dopo innumerevoli devastanti conflitti.…
…Vorrei preservare la mia identità,
difendere la mia cultura,
conservare le mie tradizioni.
L’importante non è che accanto a me
ci sia un tripudio di fari,
ma che io faccia la mia parte,
donando quello che ho ricevuto dai miei AVI,
fiamma modesta ma utile a trasmettere speranza
ai popoli che difendono la propria Patria!
Violenza e terrorismo sono il risultato
della mancanza di giustizia tra i popoli.
Per cui l'uomo di pace
si impegna a combattere tutto ciò
che crea disuguaglianze, divisioni e ingiustizie.
Signore, apri i nostri cuori
affinché siano spezzate le catene
della violenza e dell’odio,
e finalmente il male sia vinto dal bene…
(Fonti: https://svppbellum.blogspot.com/, Web, Google, Wikipedia, You Tube)