L'English Electric Lightning (Fulmine), successivamente BAC Lightning, è stato un caccia intercettore britannico supersonico, in servizio presso la RAF principalmente tra gli anni sessanta e settanta; gli ultimi esemplari furono radiati dall'11° Squadron nel 1988.
Quest'aereo era rinomato principalmente per la sua velocità (era capace di volare a velocità supersoniche senza ricorrere al postbruciatore), la rapidità di salita in quota (poteva salire a 15.000 m in meno di un minuto), l'agilità di manovra e trovò impiego, oltre che nella RAF, anche presso l'aviazione saudita e quella del Kuwait (Kuwait Air Force).
Le origini del Lightning risalgono agli anni cinquanta, quando il progettista Teddy Petter, già capo disegnatore alla Westland Aircraft, iniziò ad ideare un aereo in grado di soddisfare la specifica F.23/49 rilasciata dall'Air Ministry. Questa era stata preceduta dalla specifica E.24/43, che aveva portato allo sviluppo del Miles M.52, progetto poi abbandonato nel 1946. Si trattava di un aereo sperimentale supersonico, da cui il futuro Lightning ereditò le innovazioni aerodinamiche, tra le quali la più importante fu la presa d'aria a cono.
Il Lightning fu progettato per essere utilizzato come caccia intercettore da difesa locale, capace di tempi di reazione limitati, al fine di difendere il territorio inglese da eventuali incursioni di bombardieri. Per ottenere tali prestazioni, l'aereo fu disegnato con una fusoliera di sezione il più ridotta possibile, anche a scapito della capacità del serbatoio. Si tentò di sopperire a ciò riempiendo di carburante ogni spazio non utilizzato per altri scopi, perfino i flap. Anche gli pneumatici del carrello furono previsti delle minori dimensioni possibili, per non sottrarre spazio al carburante.
Sempre per ottimizzare le prestazioni, i due motori furono disposti l'uno sull'altro verticalmente, sfalsati (per evitare di concentrare tutto il peso nella coda dell'aereo), con quello inferiore più in avanti di quello superiore. Questa disposizione permise di minimizzare la resistenza aerodinamica: si otteneva il doppio della spinta incrementando il diametro della fusoliera solo della metà
Il primo prototipo, il P.1, volò per la prima volta il 4 agosto 1954 dalla base RAF di MoD Boscombe Down, nello Wiltshire. Al terzo volo, l'11 del mese, il pilota riuscì a spingerlo oltre Mach 1, nonostante i motori, due Armstrong Siddeley Sapphire Sa.5, fossero sprovvisti di postbruciatore.
Il secondo prototipo, il P.1A, fu presentato al pubblico durante il Farnborough Air Show del 1955. Il P.1A era semplicemente un P.1 con cannoncino da 30mm e in seguito dotato di un'"escrescenza" ventrale, che incrementava la capacità del serbatoio.
La versione successiva, P.1B, fu dotata dei più potenti motori Rolls-Royce Avon, la presa d'aria assunse sezione rotonda (prima era a forma d'uovo) con il tipico cono, e l'impennaggio verticale fu ingrandito. Inizialmente furono ordinati 3 P.1B ed in seguito altri 20 (1954), per valutare l'efficacia della macchina nel ruolo di intercettore; il primo esemplare di questa preserie ebbe il battesimo del volo il 4 aprile 1957, e benché non avesse il serbatoio ventrale i successivi velivoli ne furono dotati.
Da notare che contemporaneamente il ministro della difesa britannico dichiarò in un documento (la White Paper) che era finita l'epoca del caccia pilotato e che la difesa della Gran Bretagna sarebbe stata garantita, da allora in avanti, dai missili terra-aria. Questo ebbe un impatto negativo su tutta la produzione aeronautica inglese, ma non sul progetto della English Electric, il cui sviluppo non fu arrestato.
Nell'ottobre del 1958 la RAF assegnò all'aereo della English Electric il nome ufficiale di Lightning: era il primo aereo britannico a superare Mach 2.
Il primo Lightning entrò in servizio nel dicembre del 1959, presso la base RAF di Coltishall, nella contea di Norfolk: in realtà era un P1.B di preserie. I primi Lightning di serie (F Mark 1) furono consegnati, a partire dall'anno successivo, al 74° Squadron in sostituzione degli Hawker Hunter. Vista la difficoltà di pilotare un aereo così innovativo, nel 1961 fu fatta entrare in linea una versione (T Mk.1) da addestramento biposto della F Mk.1.
Le versioni successive del Lightning furono più che altro aggiornamenti dell'avionica, dei sistemi d'arma, dei motori e aggiustamenti delle superfici aerodinamiche; l'aereo comunque non subì modifiche sostanziali.
Il Lightning uscì di produzione nel dicembre 1969, ma rimase in servizio presso la RAF fino alla sua ufficiale radiazione il 30 luglio 1988. Fu rimpiazzato principalmente dai Tornado, ma anche dagli F-4 Phantom.
Il Lightning era il principale intercettore inglese durante il periodo culminante della guerra fredda, dispiegato presso ben 10 Squadron, sparsi tra Inghilterra, Cipro, Germania e Singapore. Non fu mai impiegato in nessuna operazione di guerra; comunque, dovette più di una volta, come altri aerei NATO, intercettare bombardieri sovietici a lungo raggio, come i Tu-20, che saggiavano i sistemi di difesa occidentali.
La Royal Air Force ha impiegato il Lightning dal 1959 al 1988.
La Royal Saudi Air Force ha impiegato i Lightning dal 1967 al 1986.
L'aviazione kuwaitiana ha impiegato sia F.53K monoposto che T.55K da addestramento dal 1968 al 1977.
Il Lightning vantava delle prestazioni invidiabili, anche quando giunse alla fine della carriera.
La velocità di salita, 15 km in un minuto, superava quella dei Mirage III (9 km/min), dei MiG-21 (11 km/min), dei Tornado (13 km/min) e dei Draken.
Anche la tangenza massima, ufficialmente indicata come superiore a 18.000 m, sembra che sia stata testata in 26.600 m. Comunque è documentato il fatto che durante un'esercitazione NATO, nel 1984, un F Mk.3 intercettò un U-2, a 26.800 m di quota.
In un test contro un F-104 Starfighter, il Lightning si dimostrò superiore in tutte le prove di "tempo per altezza" e perfettamente alla pari nel caso dell'accelerazione supersonica a bassa quota.
Queste notevoli capacità di volo del Lightning erano però associate a capacità belliche ridotte: un pannello degli strumenti con un design degli anni cinquanta, un radar (il Ferranti AI-23) non molto efficiente, la capacità di trasportare solo due missili, nessun tipo di contromisure e un raggio di azione limitato.
Curiosità:
Il Lightning avrebbe dovuto chiamarsi Excalibur, ma il nome fu bocciato da Sir Dermot Boyle, capo della RAF (Marshal of the RAF).
Il Lightning era scherzosamente chiamato frightning (da fright + lightning) a causa delle difficoltà di atterraggio in caso di vento di traverso alla pista. Nomignolo leggermente più macabro quello che voleva le due "E" che ne precedevano il nome in codice (nella realtà abbreviazione di "English Electric") come sigla di "Ensign Eliminator" ('Eliminatore di Portainsegna/Sottotenente').
Al 2006 alcuni Lightning erano ancora in condizioni di volo:
Tre (due T Mk.5, e un F Mk.6) volano per una compagnia aerea civile, la Thunder City di Città del Capo Sudafrica. [1]. Un volo costa circa 9.500 €.
Due F Mk.6 presso il Lightning Preservation Group.
Un T Mk.5 è in via di restauro presso l'aeroporto internazionale Stennis in Mississippi.
Lo U-Boot Tipo VII è stata una classe di sommergibile oceanico tedesco, attivo tra la seconda metà degli anni trenta e la fine della seconda guerra mondiale.
Si tratta di un battello di dimensioni relativamente ridotte, caratterizzato da una ottima manovrabilità e da una buona rapidità di immersione.
Il progetto del Tipo VII fu scelto scartando lo studio del precedente Tipo I-A, ciò soprattutto per la mole inferiore che permetteva la produzione di più U-Boot all'interno dei limiti di dislocamento imposti dal Trattato di Pace firmato dalla Germania alla fine della Prima Guerra Mondiale. Il progetto del tipo VII formò la spina dorsale della Flotta U-Boot con più di 700 sommergibili di tutti i sottotipi completati, rendendolo di gran lunga il Tipo di U-Boot prodotto nel maggior numero.
La Regia Marina italiana doveva essere fornita di 9 di questi battelli (U-428, U-746, U-747, U-429, U-748, U-430, U-749, U-1161 e U-750, ribattezzati nell'ordine da S1 a S9) che avrebbero composto la Classe S in cambio di 9 battelli italiani stanziati a BETASOM (da riconvertire al trasporto di metalli rari e prodotti preziosi per l'industria bellica da e per l'Estremo Oriente), ma l'Armistizio di Cassibile causò l'annullamento della consegna.
Il tipo VII fu il sommergibile più utilizzato dalla Germania durante la seconda guerra mondiale, in particolar modo nella Battaglia dell'Atlantico, della quale fu assoluto protagonista. La larga maggioranza degli Assi dei sommergibili tedeschi della seconda guerra mondiale ottenne i propri successi su questi battelli. Sebbene le sue ridotte dimensioni ne facessero un battello particolarmente scomodo per qualità della vita a bordo, si rivelò il sommergibile più adatto alla navigazione in Atlantico e fu fin da subito letale per i convogli mercantili alleati, ai quali i cosiddetti "branchi di lupi" (formazioni di U-Boote che sferravano attacchi in simultanea) inflissero enormi perdite. Solitamente i tipo VII sferravano attacchi in notturna in emersione, per poter contare su una maggiore velocità e su una maggiore possibilità di non essere avvistati durante la delicata fase di approccio e durante il lancio dei siluri. Subito dopo l'attacco il sommergibile invertiva la rotta o si immergeva per sfuggire alle unità di scorta nemiche, che non appena ne individuavano la posizione approssimativa iniziavano il lungo rastrellamento con l'utilizzo dell'Asdic e delle bombe di profondità, dando inizio ad un inseguimento che poteva durare giorni interi e che era il peggior incubo di ogni sommergibilista. Non di rado tuttavia i tipo VII effettuavano anche attacchi in immersione da quota periscopica.
La tattica del "branco di lupi" ideata da Dönitz prevedeva che non appena un sommergibile avvistasse un convoglio informasse immediatamente il BDU (il comando della flotta sottomarina) rivelandone la posizione. Il BDU dava poi ordine a tutti i sommergibili presenti nella zona di confluire in un determinato punto dal quale il branco iniziava l'inseguimento. L'attacco avveniva in simultanea, solitamente dopo aver seguito il convoglio per diverse ore (in attesa dell'oscurità) con i diversi sommergibili che puntavano a diverse navi del convoglio.
Questa tattica si rivelò fin da subito molto efficace ma fu più volte limitata dalla quantità di sommergibili operativi in Atlantico e dalle sempre più efficaci misure antisommergibile adottate dagli alleati, che vennero modificate e migliorate svariate volte nel corso della guerra.
Nell'evolversi del conflitto in Atlantico, il peggior avversario di ogni U-Boot si rivelò l'aereo: la Germania infatti non riuscì mai ad esercitare un controllo degli spazi aerei anche solo parziale sui mari interessati dal conflitto, mentre gli alleati anno dopo anno intensificarono sempre di più la loro copertura aerea antisommergibile, equipaggiando bombardieri a lungo raggio con bombe di profondità e impianti radar e utilizzando oltre alle basi inglesi anche basi in Islanda e Groenlandia. Già a metà del 1943 per qualunque sommergibile tedesco era proibitivo pensare di navigare in emersione negli orari diurni, anche solo per poche ore.
Tipo VII-B
La variante originale del Tipo VII aveva un tubo di lancio posteriore che era montato esternamente. Questa soluzione fu poi corretta nel Tipo VII-B, che era dotato di una camera di lancio di poppa e dello spazio per una ricarica per il singolo tubo di lancio poppiero. Il Tipo VII-B era anche equipaggiato con dei compartimenti stagni sul ponte superiore che erano utilizzati per riporre ricariche siluro addizionali. Il Tipo VII-B era anche dotato di autonomia addizionale e più velocità rispetto alla variante originale, permettendo di inoltrarsi più all'interno dell'Oceano Atlantico. Varato la prima volta nel 1938.
Dislocamento: 753 tonnellate (in emersione), 857 (in immersione)
Lunghezza: 66,5 m
Larghezza: 6,2 m
Pescaggio: 4,7 m
Velocità massima: 17,2 (in emersione), 8,0 nodi (in immersione)
Autonomia: 6500 mn (a 12 nodi in emersione), 90 mn (a 4 nodi in immersione)
Profondità: 150 m (operativa), 225 m (massima)
Tempo di immersione: 30 s
Tubi lanciasiluri: 4 a prua, 1 a poppa
Ricariche: 7 interne, 2 esterne
Cannoni: 1 cannone navale 8,8 cm SK C/35 da 88 mm, 1 mitragliatrice antiaerea 2 cm FlaK da 20 mm.
Tipo VII-C
L'impostazione del battello prevedeva uno scafo a pressione esterno, lo scafo vero e proprio del sommergibile, ed uno scafo resistente, una specie di cilindro di acciaio costruito per resistere alle pressioni delle profondità operative e all'interno del quale vi erano tutte le attrezzature, motori, armi, depositi e apparecchi di manovra.
Il Tipo VII-C rappresenta di gran lunga la variante più numerosa di qualsiasi U-Boot mai costruita, con 577 unità completate alla fine della Guerra. La lunghezza fu incrementata rispetto a quella del VII-B, ma non lo fu la potenza dei motori, portando ad una lieve riduzione nelle prestazioni in immersione. Varato la prima volta nel 1940, le unità di questo tipo formarono la colonna portante delle forze U-Boot impiegate nella Battaglia dell'Atlantico.
Dislocamento: 769 tonnellate (in emersione), 871 (in immersione)
Lunghezza: 67,1 m
Larghezza: 6,2 m
Pescaggio: 4,74 m
Velocità massima: 17,7 (in emersione), 7,6 nodi (in immersione)
Autonomia: 6500 mn (a 12 nodi in emersione), 80 mn (a 4 nodi in immersione)
Profondità: 150 m (operativa), 220 m (massima)
Tempo di immersione: 27 s
Tubi lanciasiluri: 4 a prua, 1 a poppa
Ricariche: 7 interne, 2 esterne
Cannoni: 1 cannone navale 8,8 cm SK C/35 da 88 mm
Tipo VII-C/41
Dovendo fronteggiare i cresciuti sforzi anti-sommergibili Alleati, fu deciso che vi poteva essere spazio per dei miglioramenti nel progetto del Tipo VII-C. Incrementi nello spessore dello scafo in pressione permisero a questa variante di scendere a profondità superiori ed un nuovo disegno della prua migliorò la tenuta del mare.
Dislocamento: 759 tonnellate (in emersione), 860 (in immersione)
Lunghezza: 67,2 m
Larghezza: 6,2 m
Pescaggio: 4,8 m
Velocità massima: 17,0 (in emersione), 7,6 nodi (in immersione)
Autonomia: 6500 mn (a 12 nodi in emersione), 80 mn (a 4 nodi in immersione)
Profondità: 170 m (operativa), 275 m (massima)
Tempo di immersione: 25 s
Tubi lanciasiluri: 4 a prua, 1 a poppa
Ricariche: 7 interne, 2 esterne
Cannoni: 1 cannone navale da 88 mm, 1 antiaerea da 20 mm
Il cannone da 88mm fu omesso, in compenso venne potenziata la componente antiaerea con diverse combinazioni. Generalmente due coppie da 20 mm, mentre sulla plancia allargata poteva trovare posto una quadrinata da 20 mm FlaK 38, oppure, come avvenne in seguito con una micidiale 3,7 cm FlaK M42U a canna singola.
Tipo VII-C/42
Un'ulteriore variante, il Tipo VII-C/42 fu prevista, ma pochi esemplari furono costruiti dal momento che le priorità di costruzione erano concentrate sugli U-Boot di nuovo concezione Tipo XXI. Varato per la prima volta nel 1943, questa fu l'ultima grande variante prodotta del Tipo VII.
Dislocamento: 999 tonnellate (in emersione), 1099 (in immersione)
Lunghezza: 68,7 m
Larghezza: 6,7 m
Pescaggio: 5,1 m
Velocità massima: 18,6 (in emersione), 8,2 nodi (in immersione)
Autonomia: 10000 mn (a 12 nodi in emersione), 80 mn (a 4 nodi in immersione)
Profondità: 250 m (operativa), 350 m (massima)
Tempo di immersione: 27 s
Tubi lanciasiluri: 4 a prua, 1 a poppa
Ricariche: 7 interne, 4 esterne
Cannoni: 1 antiaerea da 2 cm FlaK 20 mm
Tipo VII-C/43
Altra variante, rimasta sulla carta, simile al VIIC/42 ma progettata per avere sei tubi lanciasiluri a prua. Le dimensioni generali del battello erano le stesse del tipo VIIC/42. Nessun esemplare venne costruito.
Architettura
Partendo dalla prua, il primo locale era occupato dalla sala lancio di prora, dove erano collocati i 4 tubi lanciasiluri con i siluri imbarcati e le ricariche (altri quattro siluri più due sotto i paglioli). Immediatamente a poppavia vi era l'alloggio dell'equipaggio, un angusto locale dove erano stivate 20 cuccette circa (di solito ogni cuccetta serviva per due uomini, uno di servizio e l'altro a riposo). Dietro di esso vi era l'alloggio del comandante (sul lato sinistro) e degli ufficiali (sul lato di dritta, 4 cuccette). Poi, sempre andando a poppavia, c'era la camera di manovra, in corrispondenza della torretta: lì si comandava il battello e si trovavano tutti i comandi dei vari impianti, la radio, l'idrofono, il tavolo nautico, il periscopio e le carte. Quindi, sempre verso poppa, si trovava l'alloggio sottufficiali (6 cuccette ribaltabili), la cambusa, e infine la sala macchine: occupava quasi un terzo dello spazio disponibile, e alloggiava i due motori diesel, uno per lato, che azionavano le due eliche. Immediatamente dietro ai diesel e innestati sugli alberi delle eliche, c'erano i due motori elettrici. il tubo lanciasiluri di poppa, con il siluro imbarcato, si trovava a poppa estrema, sopra gli assi delle eliche e ai due lati di questo c'erano i compressori dell'aria per le casse di zavorra, due grandi compartimenti ellittici saldati sui lati dello scafo: erano provvisti di valvole di allagamento sul bordo inferiore e valvole di sfiato su quello superiore: aprendo le valvole di allagamento le casse si riempivano d'acqua e il sommergibile si immergeva. Pompando aria nella casse di zavorra, invece, l'acqua fuoriusciva e il sommergibile riemergeva.
Sul ponte di coperta erano collocati, apribili con delle speciali chiavi, dei compartimenti a tenuta stagna per le munizioni del cannone, i siluri di riserva (due) e altri materiali. Sotto i paglioli del corridoio centrale interno (il "pavimento" del sommergibile) erano invece collocati gli accumulatori elettrici, le pompe di sentina e le casse di compensazione per equilibrare il battello.
La torretta del battello, collocata a mezzanave, ospitava la plancia esterna, provvista di doppi comandi per la manovra, i pozzi dei periscopi e le antenne radio e la scaletta di accesso alla camera di manovra situata immediatamente sotto la torretta. Sulla piattaforma di poppavia della torretta era collocato il cannone antiaereo di bordo (da 37 o 20 mm). La torretta era munita di una seconda girobussola per la navigazione in emersione e per il puntamento dei siluri, che già dal 1941 in poi avevano un sistema di puntamento elettrico in camera di lancio collegato con la torretta.
All'interno del battello si poteva accedere per tre boccaporti: a poppa, sopra la cambusa, a prua, sopra la camera di lancio, e dalla torretta. Due paratie stagne con portelli a pressione separavano lo spazio interno del sommergibile in tre compartimenti.
Gli equipaggi dei tipo VII vivevano una vita durissima, anche per quelli che erano gli standard dei sommergibilisti dell'epoca. Quasi tutte le condizioni di vita a bordo di questi battelli erano infatti di grave disagio.
Lo spazio abitativo era in pratica assente. Ad eccezione degli ufficiali, tutti gli uomini dividevano la loro cuccetta con un altro membro dell'equipaggio, dormendovi a turno mentre il commilitone era in servizio, eppure nemmeno così lo spazio bastava: nel locale di prora erano infatti utilizzate anche delle amache. L'acqua potabile era poca e di sapore cattivo, il rumore dei motori era sempre presente, l'aria era viziata e appestata dai gas rilasciati dai motori diesel e dagli odori che derivavano dalle oggettive difficoltà di lavarsi. A causa della mancanza di spazio gli uomini non potevano portare a bordo vestiti di ricambio ad eccezione di un singolo set di biancheria e calze. Come se ciò non bastasse, quando i vestiti si bagnavano (eventualità assai comune) restavano umidi per giorni. Nessuno si radeva. Anche la qualità del cibo, che all'inizio della missione era ottima e rappresentava di fatto l'unico confort a bordo (nonostante le ristrettezze della guerra ai sommergibilisti erano forniti viveri di prima qualità) peggiorava in fretta col passare del tempo, a causa della onnipresente umidità e dell'assenza di un deposito per i viveri (che erano sistemati ovunque ci fosse spazio, inclusi il bagno e la sala di comando). I pochi alcolici disponibili erano permessi solo in occasioni speciali, come l'affondamento di una nave nemica o il rientro vittorioso da una missione.
Questi battelli erano inoltre privi di qualunque sistema di controllo termico: navigando in zone fredde si congelava, in zone calde si soffocava.
A questo si aggiungevano turni di lavoro massacranti. A bordo ciascun marinaio aveva almeno due incarichi. L'unico a svolgere una sola mansione era il cuoco, la cui cucina doveva però essere sempre in attività per consentire a tutti gli uomini di poter consumare almeno un pasto caldo al giorno.
L'età media degli equipaggi era di soli 21 anni. Il comandante (che era sempre il membro più anziano) raramente superava i 30 anni e molti marinai spesso ne avevano meno di 20. Non a caso, su ogni U-Boot il comandante era soprannominato dall'equipaggio Der Alte (il vecchio).
La vita a bordo ruotava intorno ai turni di vedetta, della durata di due ore, durante i quali cinque membri dell'equipaggio stavano immobili in torretta muniti di binocoli, scrutando l'orizzonte alla ricerca di navi nemiche, ma sempre attenti anche al cielo, a causa della costante minaccia rappresentata dagli aerei. Molto pesanti in ogni situazione, in condizioni di maltempo (specie a certe latitudini) i turni in vedetta erano una vera e propria tortura. Esposti al caldo e al freddo, al vento e alle onde, spesso fradici, su una piccola piattaforma instabile, i marinai non potevano distrarsi nemmeno per un secondo a rischio della vita loro e dei loro compagni. Notevoli, in condizioni di mare mosso o di tempesta, erano i rischi di venire sbalzati fuori dalla torretta con possibilità assai basse di essere salvati.
Gli operatori radio e idrofonici dovevano trascorrere i loro turni di guardia in modo simile alle vedette, attenti ai rumori che sentivano in cuffia e a interpretarli in maniera corretta.
Molto faticose erano le mansioni degli addetti ai siluri, armi complesse che necessitavano di una manutenzione costante e precisa. Per essere controllati e preparati i siluri venivano agganciati al soffitto con delle catene e poi mossi tramite delle carrucole azionate manualmente dagli uomini, che prima di riporli nei tubi di lancio dovevano sempre ungerli con del grasso per facilitarne l'uscita quando venivano lanciati. Fisicamente, si trattava di un lavoro talmente pesante che gli uomini solitamente lo svolgevano direttamente a torso nudo anche nei mesi invernali e a latitudini polari (come detto, le temperature esterne influenzavano direttamente quelle interne del sommergibile). I siluristi vivevano direttamente nel locale di prora, chiamato anche Torpedoraum (sala siluri) nel quale lavoravano, mangiavano e dormivano, a causa della mancanza di spazio per loro negli altri locali del sommergibile.
Ancora più ardua era la vita dei macchinisti, che lavoravano nella Dieselraum (sala dei Diesel) svolgendo mansioni estenuanti a livello fisico e molto complesse anche a livello tecnico, in un ambiente angusto dominato dal frastuono, dalle perdite di nafta e dai gas di scarico dei motori. Oltre al perfetto stato dei due motori Diesel, dovevano tenere sempre controllato anche il consumo di carburante e lo stato del motore elettrico che veniva utilizzato in immersione. I macchinisti erano gli unici membri dell'equipaggio che non partecipavano ai turni di vedetta e gli unici che non potevano recarsi a prua quando veniva dato l'ordine di immersione rapida (l'equipaggio si affollava in camera di lancio di prua per "appruare", cioè spostare il baricentro del battello in modo che si inclinasse di prua). Si alternavano in turni di lavoro di 6 ore seguiti da altre 6 ore di riposo. Il lavoro in sala macchine era diretto dal capo ingegnere (che per questo motivo veniva chiamato anche "direttore di macchina") rendendo quindi la Dieselraum l'unico locale del sommergibile che non rispondeva direttamente al comandante, il quale si limitava a ordinare rotta e velocità.
Quando erano liberi dai turni gli uomini erano costretti a stare quasi immobili a causa della mancanza di spazio, in condizioni di attesa snervante e con la consapevolezza dell'assurdità della condizione nella quale si trovavano. Non di rado, inoltre, si verificavano perdite di gas di scarico dai motori che obbligavano l'equipaggio a portare per ore gli autorespiratori di cui ognuno era dotato. In caso di attacco nemico, da aereo o da nave, le immersioni erano a volte tanto prolungate che anche in quel caso gli autorespiratori erano necessari. Molto rischioso era anche il contatto dell'acqua con le batterie dei motori elettrici, che produceva un acido cloridrico particolarmente tossico che se respirato in dosi eccessive risultava letale.
A causa di tutto questo sorgeva il delicato problema delle condizioni psicologiche dei marinai: parecchie settimane trascorse in mare, chiusi negli spazi angusti del sommergibile, in un'atmosfera da incubo e costretti a ogni sorta di disagio, logoravano la mente e il fisico quanto la determinazione al combattimento, rendendo spesso difficile mantenere elevato lo spirito battagliero dell'equipaggio. Al termine di una missione gli uomini erano esauriti, provati dalla mancanza di sonno, dal carico di lavoro che avevano svolto a bordo e soprattutto dal terrore e dallo stress accumulati negli attacchi subiti. Spettava al comandante, al suo carisma e alla sua sicurezza infondere nei suoi uomini ottimismo ed equilibrio per quanto possibile in quelle angosciose condizioni.
Il comandante, di solito un Kapitänleutnant o Ka-Leut doveva perciò essere, oltre che assolutamente competente e preparato, anche carismatico e capace di interpretare l'umore dell'equipaggio. I comandanti che avevano svolto operazioni in Atlantico venivano soprannominati della "vecchia scuola". Solitamente avevano alle spalle almeno una mezza dozzina di missioni massacranti, terribili stress nervosi, ore e ore passate sotto lanci di bombe di profondità e situazioni in cui sembrava che soltanto un miracolo li potesse salvare. Rientravano spesso alla base con il sommergibile ridotto come un colabrodo, e proprio quando ormai nessuno ci contava più. Nonostante questo mantenevano un atteggiamento impassibile e al rientro dalle missioni erano sempre sull'attenti sul ponte, con l'aria di chi torna da un viaggio di ordinaria amministrazione.