sabato 12 gennaio 2019

La società DRASS GALEAZZI di Livorno: un'altra eccellenza italiana




Dal 1927 la Drass è leader riconosciuto nella produzione di piccoli sottomarini con equipaggio, apparecchiature subacquee e tecnologia iperbarica. 
La Drass Galeazzi ha sede a Livorno e impianti di produzione in Italia e Romania (Pressafe) e uffici commerciali a Dubai.
Ha oltre 200 dipendenti diretti che operano in strutture coperte di oltre 13,000 mq. 
Grazie alle sue capacità di progettazione e di ricerca strutturati, Drass detiene brevetti che coprono importanti soluzioni in tutte le sue aree di competenza. L'automazione e reparti IT offrono pacchetti completi di supporto integrato di logistica, che copre Manutenzione Programmata, il controllo della configurazione, gestione di documentazione e rilevazione modifiche, in accordo con la difesa più avanzata e standard immersioni commerciali. L'azienda è certificata ISO 9001, che opera in conformità con il suo standard di qualità ambientale.


I Drass Support Services forniscono installazione, messa in servizio, formazione e trasferimento di tecnologia in base alle richieste del Cliente.



Attività e Prodotti:

La gamma comprende:
  • Drass difesa;
  • Immersioni commerciali;
  • Soluzioni mediche.



I prodotti per la difesa includono Midget Submarines, Veicolo subacquei, soluzioni di salvataggio sottomarino: sottomarini di soccorso e attrezzature, la formazione di sottomarini e le soluzioni di blocco.

Le soluzioni per le immersioni commerciali coprono i sistemi di saturazione di immersione e le attrezzature, LARS idraulici (Launch e sistemi di recupero), sistemi di immersione superficiale, le attrezzature sub personale, componenti di immersione.

Le Soluzioni mediche comprendono camere iperbariche per la terapia di ossigeno, camere iperbariche per Tunnel Boring Machines, sistemi di controllo ambientali per aree confinate o controllate, simulatori di umido e secco iperbariche.



La società Drass dispone in catalogo di un impianto di produzione completo in grado di sviluppare in-house avanzata attività di saldatura, lo slittamento per sistemi idraulici gas e acqua, il controllo del PLC e sistemi di gestione del gas, pannelli elettrici. Gli impianti di produzione supportano anche le consegne modulari, tra cui la containerizzazione e la mobilitazione per onshore/messa in mare aperto.



La DRASS nei giorni scorsi si è aggiudicata un CONTRATTO per la fornitura di un sistema avanzato di immersioni per la nuova nave sottomarina di salvataggio ASR-II della Marina Sud Coreana: la nave ASR-II è in costruzione presso la Daewoo Shipbuilding & Marine Engineering (DSME).
Il progetto comprende la progettazione, la produzione e l'installazione del set completo di attrezzature e sarà eseguito in collaborazione con il partner locale Dongil Shipyard.
DSME è uno dei 5 più grandi cantieri navali del mondo con un ampio record di navi militari e offshore. DRASS è il fornitore preferito da DSME per le attrezzature di soccorso subacqueo e sottomarino, e un partner di ritorno dopo la consegna della nave di soccorso ATS-II per la Marina coreana nel 2016.
Questo risultato consolida la posizione della società livornese Drass sul mercato coreano come unico riferimento per tutti i principali costruttori navali, compresi Hanjin e Hyundai, nei settori commerciale offshore e della difesa.

(Web, Google, Wikipedia, You tube)





































L'Humvee - M998 High Mobility Multipurpose Wheeled Vehicle HMMWV




Il M998 High Mobility Multipurpose Wheeled Vehicle (HMMWV o Humvee; letteralmente: "Veicolo multifunzione su ruote ad alta mobilità") è il veicolo militare da ricognizione dell'esercito americano: un vero e prorpio "mulo" adibito dall'US Army ad ogni attività utile sul campo. Purtroppo, durante l'attività operativa è stato notevolmente appesantito da ogni tipo di corazzatura, artigianale e non.

Si tratta di un mezzo di grosse dimensioni, dotato di trazione integrale e prodotto dalla casa automobilistica statunitense AM General. Ha sostituito la più piccola jeep, nella fattispecie la Ford M151 "Mutt", tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta.



Durante gli anni settanta lo United States Army si accorse che i propri mezzi avrebbero rispettato gli standard per poco tempo ancora. Nel 1977 la Lamborghini presentò così la Cheetah, modello sviluppato per soddisfare le specifiche richieste dell'esercito, senza però aggiudicarsi la fornitura. Nel 1979, l'esercito presentò le specifiche finali per un veicolo ad alta mobilità adatto a molti usi (High Mobility Multipurpose Wheeled Vehicle, o HMMWV). Nel luglio di quell'anno la AM General (divisione della American Motors Corporation) iniziò lo studio preliminare e, in meno di un anno, il primo prototipo "M998" era in fase di test.
Nel giugno 1981, l'esercito stipulò un contratto con la AM General per lo sviluppo di diversi veicoli per un'altra serie di test. L'azienda americana poco tempo dopo ebbe il contratto di produzione per 55000 HMMWV.
L'Humvee fu visto per la prima volta sul campo di battaglia durante l'operazione "Just Cause", l'invasione statunitense di Panama del 1989.


M998 HMMWV Cargo / Troop Carrier
La M998 HMMWV Cargo / Troop Carrier è una variante dell'Humvee progettata per il trasporto di materiali e soldati. Il corpo vettura è in alluminio, mentre il tetto è realizzato in tela. Così impostato, il veicolo può trasportare un equipaggio di 2 uomini più otto soldati o un carico per l'ammontare di 2500 libbre (1135 kg). A vuoto, l'M998 è in grado di affrontare salite con pendenza del 60%, mentre a pieno carico può affrontare dislivelli del 40%. Inoltre, il veicolo è in grado di guadare corsi d'acqua profondi 76 cm, mentre, con un apposito kit, può attraversare guadi che arrivano a 152 cm di profondità. Rispetto alla versione base, il Cargo / Troop Carrier monta un argano.
Il Coyote è una versione del fuoristrada realizzata allo scopo di creare una cortina fumogena in grado di celare i movimenti delle truppe e di rendere difficoltosa l'individuazione dei bersagli da parte del nemico.


M707 Knight
Il Knight venne sviluppato come veicolo di supporto alla fanteria impiegabile nelle missioni di tipo Combat Observation Lasing Teams. Scopo ultimo era l'acquisizione dei bersagli sul campo di battaglia e la loro segnalazione alle unità di combattimento. Ciò comportava anche la possibilità di coordinare il fuoco indiretto sul bersaglio designato.



Hummer H1
Dell'HMMWV è stata prodotta anche una variante civile con il marchio Hummer, l'H1, la cui produzione è terminata nel 2006. Il marchio Hummer non viene più commercializzato dal 2010.


HMMWV civile modello V1 Gorilla
Hummer rinasce nel 2015 nella versione civile con il marchio HMMWV che prima era riferito solo ai veicoli militari. Il 1º settembre 2015 AM Mobility LLC comincia la commercializzazione della nuova auto civile HMMWV modello V1 Gorilla, che è una evoluzione tecnica ed estetica dell'Hummer H1, sempre prodotto con AM General LLC.

(Web, Google, Wikipedia, You tube)










































DIO, PATRIA E FAMIGLIA SERVONO ANCORA - di Marcello Veneziani



Il grande Marcello Veneziani ha di seguito sviscerato quelli che sono i concetti fondamentali in cui credo fermamente! Grazia!

"""Fai clic qui per effettuare modifiche. Abbiamo perso il cielo sulla nostra testa, la terra sotto i nostri piedi e il sangue dentro il nostro cuore. Tre immagini emotive per raccontare la perdita reale dei principi di vita su cui si fondava il mondo di ieri, personale e comunitario.Vorrei parlarvi di Dio, patria e famiglia, anche se ne sono fuori. Difendo il loro ricordo e il loro valore, ma ho perso anch’io consuetudine di vita. Di fronte al loro perire – di morte innaturale – non trovo sostituti degni e veri, e da quel triplice vuoto che non si riempie io vorrei partire. Vorrei parlarvi di Dio, patria e famiglia non come si fa in un saggio storico o filosofico, politico o sociologico, ma con tutto il cuore e la mente tesa, come di una cosa che ci riguarda da vicino e ci coinvolge interamente. Un saggio di pensiero popolare che cerca la sua dimensione spirituale nella realtà. Vorrei parlarvene non attraverso i luoghi comuni, quelli più antichi di chi li elogia e quelli più recenti di chi li disprezza. Non voglio tesserne l’elogio funebre o il necrologio onesto. Io vorrei capire quale molla spinse ad aggrapparsi così a lungo a quei tre cardini, come fu intenso e corposo il loro amalgama uno e trino, quale molla ha poi spinto ad affossarli, e cosa resta ora, oltre il rimpianto e la maledizione della loro ombra. E intravedere cosa può sorgere oltre la loro presenza e il loro declino.

Vorrei parlarvi di Dio, patria e famiglia perché so di parlare a ciascuno di voi delle esperienze che più ci toccano: quella di scommettere o meno su Dio, su una fede, su una religione fatta anche di pratiche, devozione e storie. Quella di partecipare alla sorte del paese natio, sentirsi legati a una comunità e sentire un luogo come la nostra casa. E infine quella di riconoscere le proprie origini in una famiglia: la propria infanzia, gli affetti più duraturi, le nascite e i lutti. Tutto ciò che di più significativo abbiamo vissuto passa dal rapporto d’amore, conflitto o dipendenza rispetto a quel triplice legame.

Parlare di Dio, patria e famiglia è dire del nostro essere al mondo. Non è solo un discorso teologico o politico, sentimentale o affettivo, biologico o spirituale, perché fra quei tre riferimenti primari scorre la nostra umanità intera e scorrono i nostri legami con la vita e la paura della morte, la parabola dei nostri anni dalla prima infanzia alla vecchiaia, i nostri soliloqui e i nostri più intensi colloqui, la nostra singolarità e la nostra universalità tramite le comunità. La verità della nostra condizione e le nostre più grandi menzogne ruotano intorno a essi. Non è dunque un motto, un grido di guerra o di propaganda politica, ma è il destino di una vita che si affida al cielo, alla terra e al seme.

Qualcuno dirà che c’è l’amore libero, c’è l’amicizia, c’è il lavoro individuale e sociale, c’è l’umanità intera e ci sono mille altre cose che non passano necessariamente da Dio, dalla patria e dalla famiglia. Ha ragione, ma nessuna come queste tre risponde – in modo adeguato o inadeguato lo dirà poi ciascuno – alla nascita, alla vita e alla morte in rapporto a un luogo e a un tempo. Ci sono passaggi ulteriori, però il nostro sé originario si trova a dover fare i conti con il luogo in cui è nato e cresciuto, con i suoi geni, con le persone da cui è nato o con cui è vissuto, o che egli ha fatto nascere, e infine con l’umana esigenza di rispondere alla domanda: finisce tutto qui o c’è dell’altro oltre me, le cose, il caos, il caso? Sono come altezza, lunghezza e profondità, le misure che dettero solidità alla nostra vita e che ora ne attestano l’evanescenza.

Già vedo la smorfia di sarcasmo e sufficienza su Dio, patria e famiglia. Molti si sentono superiori a quel trito passato e a quei superati pregiudizi. Ma non si rendono conto di quanto quei fantasmi giganteschi pesino sulle loro fughe, sulle loro spettrali solitudini, sulle loro meschinità. Dico loro, dovrei dire nostre. Il fatto è che ci siamo liberati di quei pregiudizi tramite un altro pregiudizio, la convinzione a priori che fossero «superati», a volte confondendo le forme di rappresentazione che sono figlie del proprio tempo con la fonte da cui scaturivano. In tal modo, bollandole come superate, nel nome di uno storicismo a sua volta rancido, non le abbiamo affrontate, capite e digerite. Le abbiamo solo evitate, non riuscendo però a evitare le ombre che si allungano sulla nostra vita. E la notte risalgono come fantasmi, voragini e colpose orfanità, e cospirano col nostro presente malessere.

È difficile valicare, o addirittura sgretolare, il muro di ovvietà che impedisce di pensare a Dio, patria e famiglia. È rimasto in piedi lo slogan ternario, ma con funzione inversa: ieri serviva a sancire un ordine rispettoso di certezze e pregiudizi, oggi serve a respingerlo a priori, consegnandolo al folclore imbalsamato del passato. È difficile, mi rendo conto, sottrarre il tema all’ovvietà dei riflessi condizionati, ieri devoti e oggi repellenti. È difficile restituire vita e pensiero a un corpo rigido, su cui si è depositata la muffa. È difficile, ma è più che benefico ripensarci, forse necessario."""

Marcello Veneziani


venerdì 11 gennaio 2019

IL MURO DELL'IDIOZIA - Marcello Veneziani



IL MURO DELL'IDIOZIA di Marcello Veneziani ci pone di fronte ad un interrogativo: possiamo o no fare a meno della nostra identità nazionale, dei nostri principi millenari, della nostra Fede cristiana? Noi pensiamo di no, senza se e senza ma.

"""La parola d’ordine del Cretino Planetario per farsi riconoscere e ammirare è: vogliamo ponti, non muri. Appena pronuncia la frase, il Cretino Planetario s’illumina d’incenso, crede di aver detto la Verità Suprema dell’Umanità, e un sorriso da ebete trionfale si affaccia sul suo volto. Non c’è predica, non c’è discorso istituzionale, non c’è articolo, pistolotto o messaggio pubblico, non c’è concerto musicale, film o spettacolo teatrale che non sia preceduto, seguito o farcito da questa frase obbligata. L’imbecille globale si sente con la coscienza a posto, e con un senso di superiorità morale solo pronunciando quella frase. Il cretino planetario diverge solo nella pronuncia, a seconda se è un fesso napoletano, un bobo sudamericano o un lumpa siculo. In Lombardia c’è un’espressione precisa per indicare chi si disponeva ai confini per mettersi al servizio dei nuovi arrivati, dietro ricompensa: bauscia.

Il cretino planetario ripete sempre la stessa frase, sia che parli di migranti che di ogni altra categoria protetta. Lui è accogliente, come gli prescrivono ogni giorno i testimonial del No-Muro, il Papa, Mattarella e Fico che ogni giorno guadagna posizioni nel Minchiometro nazionale, l’hit parete dedicata a chi sbatte la testa contro il muro.

Il pappagallo globale marcia contro i muri, più spesso ci marcia, ma la parola chiave serve per murare il Nemico, per separare dall’umanità evoluta ed accogliente i movimenti e le persone che s’ispirano all’amor patrio, alla sovranità nazionale, alla civiltà, alla tradizione. L’appello ad abbattere i muri e a stendere ponti è ormai ossessivo e riguarda non solo i popoli e i confini territoriali ma anche i sessi e i confini naturali, le culture e i comportamenti, le religioni e le appartenenze, e perfino il regno umano dal regno animale. Dall’Onu al golden globe, dalla predica al talk show e alla canzone, l’onda dell’idiozia abbatte il Muro del suono e del buon senso.

Ora, io vorrei prima di tutto osservare che i muri più infami che la storia dell’umanità conosca, non sono i muri che impediscono di entrare ma i muri che impediscono di uscire. Come sono, necessariamente, i muri delle carceri e come fu, l’ultimo grande, infame Muro che la storia conobbe, a Berlino. E che non edificò nessun regime nazionalista o sovranista, nessun dittatore e nessun Trump ma il comunismo. Chi tentava di superare quel muro e quel filo spinato per scappare dalla sua terra, era abbattuto dai vopos. Nessun regime autoritario o nazionalista ha mai avuto la necessità di innalzare un muro per impedire che la popolazione scappasse. Né si conoscono esodi di popolo paragonabili a quelli dove ha dominato il comunismo.

Se vogliamo restare in Italia, e a Roma in particolare, c’è solo un muro nel cuore della Capitale che non si può varcare, e sono proprio le Mura Vaticane dove il Regnante predica al mondo ma non a casa sua di abbattere i muri e accogliere tutti. E comunque i muri più famosi, i muri del pianto e della vergogna, non appartengono alla cristianità. Detto questo, a coloro che amano la civiltà e la tradizione, l’amor patrio e la sovranità nazionale, si addice piuttosto il senso del confine. Perché confine significa senso del limite, senso della misura, soglia necessaria per rispettare le differenze, i ruoli, le identità e le comunità. Tutti i confini sono soglie, sono porte, che si possono aprire e chiudere, che servono per confrontarsi sia nel colloquio che nel conflitto, comunque per delimitare o arginare quando è necessario. La società sradicata del nostro tempo ha perso il senso del confine, e infatti sconfinano i popoli, i sessi, le persone, si è perso il confine tra il lecito e l’illecito. Sconfinare è sinonimo di trasgredire, delirare, sfondare. La peggiore maledizione per i greci era l’hybris, lo sconfinamento, la smisuratezza, il perdersi nell’infinito. Il confine è protezione, sicurezza, è umiltà, è tutela dei più deboli, non è ostilità o razzismo. Vi consiglio di leggere L’elogio delle frontiere di Régis Debray. Ai più modesti, consiglio l’elogio dei muri di Alberto Angela che non mi risulta un ufficiale delle SS.

Senza muri non c’è casa, non c’è tempio, non c’è sicurezza. Senza muri non c’è pudore, intimità, protezione dal freddo, dal buio e dall’incognito. Senza muri non c’è senso della misura, riconoscimento del limite e dei propri limiti. Senza muri non c’è bellezza, non c’è fortezza, non c’è fondazione delle città, non c’è erezione di civiltà. Non a caso le città eterne nascono da Romolo che tracciò i confini, non da Remo che li violò. I muri sono i bastioni della civiltà, gli ospedali della carità, le biblioteche della cultura, le pareti dell’arte, il raccoglimento della preghiera.

Se il cretino planetario non lo capisce, in compenso lo capiscono bene gli anarchici di Tarnac che colsero nel muro abbattuto la vittoria del caos e dell’anarchia: “La distruzione delle capacità di autonomia dei dominati passa per l’abolizione delle frontiere del loro essere: individuale e collettivo. Finché esistono frontiere, è possibile opporre un sistema di valori a un altro, un tipo di diritto all’altro, distinguere uomo da donna, madre da padre, cittadino da straniero, insomma vero da falso, giusto dall’ingiusto, normale da anormale” (Gouverner par le Chaos – Ingénierie Sociale et Mondialisation, 2008).

Le città senza confini perdono la loro identità, come le persone che perdono i loro lineamenti. Non capovolgete l’amore per la famiglia in omofobia, l’amore per la propria patria in xenofobia, l’amore per la propria civiltà in razzismo, l’amore per la propria tradizione in islamofobia. E l’amore per i confini in muri dell’odio. Ma tutto questo il Cretino Planetario non lo sa."""

Marcello Veneziani, "La Verità" 9 gennaio 2019