domenica 23 dicembre 2018

L'impresa di Premuda fu un'azione navale compiuta dai MAS 15 e 21



L'impresa di Premuda fu un'azione navale compiuta dai MAS 15 e 21 rispettivamente comandati da Luigi Rizzo e Giuseppe Aonzo, che all'alba del 10 giugno 1918, in piena prima guerra mondiale, penetrarono di nascosto tra le unità di una formazione navale nemica diretta al Canale d'Otranto, riuscendo ad affondare la corazzata SMS Szent István ("Santo Stefano").




Dal 1º marzo 1918 l'ammiraglio Miklós Horthy assunse il comando della Imperial-Regia marina da guerra austro-ungarica, in sostituzione dell'ammiraglio Maximilian Njegovan. Con la nomina di Horthy, anche Thaon di Revelpercepì la possibilità che il nuovo comandante austriaco attuasse un'azione di flotta fuori dagli schemi consolidati. Fino a quel momento, lo sbarramento del Canale d'Otranto era stato attaccato diciannove volte e, in quattro di queste, era presente l'ammiraglio Horthy quale comandante del Novara. Era quindi molto probabile che il nuovo comandante intendesse dare un segnale di cambiamento nella conduzione della guerra e che il canale d'Otranto, a lui ben noto, rientrasse nei suoi piani.
Segnali di un nuovo imminente attacco si ebbero con una incursione aerea, del 9 marzo, da parte di 14 velivoli, appoggiati dai cacciatorpediniere Dukla e dall'Uszok, per cui l'ammiraglio Revel dispose che quattro sommergibili francesi venissero posizionati in agguato a nord di Durazzo, mentre gli italiani F10 e F14 furono posti rispettivamente davanti a Pola e al canale di Faresina.




I sospetti non erano infondati: il comando supremo austro-ungarico aveva infatti preparato una potente offensiva, che prevedeva l'impiego di gran parte della flotta.
Il gruppo di attacco sarebbe stato composto da:
sezione Novara, Helgoland, Tátra, Csepel e Triglav, che avrebbe avuto il compito di attaccare le forze addette al servizio di sbarramento del Canale d'Otranto.
sezione Admiral Spaun, Saida, torpediniere 84, 92, 98 e 99, che avrebbe dovuto bombardare gli impianti di Otranto.
Il gruppo di sostegno prevedeva, invece, l'impiego delle unità maggiori, ognuna scortata da 4 o 5 siluranti, suddivise come segue:
Viribus Unitis (capitano di vascello Janko Vuković de Podkapelski) quale nave ammiraglia della flotta, Balaton, Orjen, torpediniere 86, 90, 96 e 97;
Prinz Eugen (capitano di vascello Adolfo Schmidt), Dukla, Uszok, torpediniere 82, 89, 91, 95;
Erzherzog Ferdinand Max, Turul, torpediniere 61, 66, 52, 56, 50;
Erzherzog Karl, Huszár, Pandúr, torpediniere 75, 94, 57;
Erzherzog Friedrich, Csikós, Uskoke, torpediniere 53, 58, e una Kaiman:
Tegetthoff (capitano di vascello Enrico Pergler von Perglas), Velebit, torpediniera 81 e tre Kaiman
Szent István (capitano di vascello Enrico Seitz), torpediniere 76, 77, 78, 80.
Il loro compito consisteva nel rimanere nelle posizioni assegnate fino alle 07:30 del giorno 11, ora alla quale rientrare in caso di mancato contatto con le navi italiane. Si pensava, infatti, che l'azione del gruppo d'attacco avrebbe indotto il comando italiano a far uscire i propri incrociatori corazzati da Brindisi e Valona per inseguire il naviglio austriaco, incrociatori che si sarebbero poi trovati accerchiati dalle maggiori unità austriache, supportate da un largo impiego di sommergibili e aerei.
Il Viribus Unitis e il Prinz Eugen, all'alba dell'11 giugno, raggiunsero in orario la loro posizione a metà strada tra Brindisi e Valona, mentre i due gruppi Szent István e Tegetthoff, nonostante piccoli problemi alla Szent István, che ne ritardarono la marcia, partirono anch'essi alla volta delle posizioni assegnate.




Nel frattempo il 9 giugno erano partiti da Ancona per una missione nel medio Adriatico i 15 (capitano di corvetta Luigi Rizzo) e il MAS 21 (guardiamarina Giuseppe Aonzo). Fino alle 02:00 del giorno 10 i due MAS dovevano stazionare fra Guiza e Banco di Selve in prossimità dell'isola di Premuda per accertare la presenza di sbarramenti di torpedini; al termine di questa fase dovevano rimanere in agguato fino all'alba per ricongiungersi alle torpediniere d'appoggio 18 O.S. e 15 O.S.. Ma i ritardi accumulati dal gruppo austriaco comportarono che, alle 03:15, le unità austriache attraversarono la zona di pattugliamento dei due MAS, che a quell'ora stavano dirigendo da Lutestrago al punto di riunione con le torpediniere.
Rizzo, nel tentativo di colpire una delle due grosse navi dalla minima distanza possibile, manovrò tra due caccia che fiancheggiavano la Szent István, aumentò la velocità a 12 nodi, riuscendo a passare fra le siluranti e da una distanza non superiore di 300 metri lanciò entrambi i siluri del MAS. I due siluri colpirono la nave sollevando alte colonne d'acqua e fumo. La reazione della torpediniera 76 non si fece attendere, si lanciò all'inseguimento del MAS di Rizzo aprendo il fuoco da una distanza di 100-150 metri. Rizzo decise allora di sganciare due bombe antisommergibile, una delle quali scoppiò inducendo la torpediniera a desistere. Il MAS 21 di Aonzo lanciò i suoi siluri contro l'altra unità maggiore, la Tegetthoff, da una distanza di 450-500 metri, ma solo uno dei siluri colpì la nave. Anch'egli fu inseguito da una torpediniera che riuscì a distanziare per dirigere in sicurezza per il rientro.
La Szent István evidenziò subito dei grossi danni provocati dai siluri del MAS 15; l'acqua penetrò nei locali macchine di prora e di poppa così si dovettero fermare le macchine. Ogni quarto d'ora circa lo sbandamento della corazzata cresceva di circa 1°, e la Tegetthoff provò più volte a prendere a rimorchio la nave, ma solo alle 05:45 riuscirono a passare la prima gomena, quando lo sbandamento aveva raggiunto i 18° circa. In quel momento l'inclinazione subì un improvviso aumento e la cima dovette essere recisa; verso le 06:00 la nave iniziò a capovolgersi, per poi affondare del tutto. Tra gli ufficiali vi furono 1 morto e tre dispersi, tra l'equipaggio i morti furono 13, 72 i dispersi e 29 i feriti.
Alle 07:00 i due MAS raggiunsero Ancona, e immediatamente partirono due idrovolanti che avvistarono alcune unità della classe Tatra in prossimità di isola Grossa e Promontore, con rotta sud. Alle 9 altri velivoli si alzarono in volo e la ricognizione su Pola confermò l'assenza delle quattro dreadnought. Gli austriaci, vanificato l'effetto sorpresa su cui era basata l'intera operazione, dovettero rientrare alle loro basi. Il Tegetthoff rientrò a Pola all'alba dell'11, così come il gruppo Viribus-Prinz Eugen che raggiunse il porto alle 19.
Il contraccolpo psicologico dell'azione di Premuda ebbe grosse ripercussioni sul morale austro-ungarico, tanto che nel restante corso della guerra, la k.u.k. Kriegsmarine non compì più nessuna operazione navale, asserragliando le proprie navi nei porti. I siluri di Rizzo, con quest'azione, fecero svanire l'elemento sorpresa e troncarono la missione nemica sul nascere, costringendo la flotta austriaca a rinunciare definitivamente all'ambizioso progetto. L'azione di Premuda convinse inoltre definitivamente gli alleati a lasciar cadere la questione relativa all'istituzione dei comandi navali in Mediterraneo lasciando il totale controllo dell'Adriatico all’Italia.
A dimostrazione del grande risultato dell'azione dei MAS, il Comandante in Capo della Grand Fleet, l'ammiraglio inglese David Beatty fece giungere all'ammiraglio Lorenzo Cusani, comandante della flotta italiana, il seguente telegramma: «La Grand Fleet porge le più sentite congratulazioni alla flotta italiana per la splendida impresa condotta con tanto valore e tanta audacia contro il nemico austriaco».
A riconoscimento dell'eroismo dimostrato in azione, il capitano Luigi Rizzo venne insignito della Croce di Cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia, ma in seguito al suo rifiuto per i suoi ideali repubblicani, l'onorificenza fu commutata in una medaglia d'oro al valor militare; onorificenza che venne assegnata anche al guardiamarina Aonzo.
Il 13 marzo 1939 la Marina Militare, allora Regia Marina, decise di celebrare la propria festa in data 10 giugno, in ricordo dell'azione compiuta nel corso della prima guerra mondiale.



































Il Mitsubishi A6M, solitamente chiamato dagli Alleati con il nome "Zero"



Il Mitsubishi A6M era un caccia leggero in dotazione al Dai-Nippon Teikoku Kaigun Kōkū Hombu, il servizio aeronautico della Marina imperiale giapponese, dal 1940 al 1945. La designazione ufficiale si otteneva componendo la "A" per "aereo imbarcato", il "6" perché era il sesto modello costruito per la Marina Giapponese e la "M" iniziale del costruttore: la Mitsubishi. L'A6M veniva solitamente chiamato dagli Alleati con il nome "Zero", una denominazione a volte associata per errore anche ad altri aerei da caccia quali il Nakajima Ki-43. Oltre che Zero, il modello venne chiamato dagli statunitensi con altri soprannomi, quali "Zeke", "Hamp" e "Hap".


Quando iniziarono le ostilità con lo scoppio della seconda guerra mondiale, lo Zero veniva ritenuto il miglior caccia basato su portaerei del mondo, perché associava una eccellente manovrabilità ad una autonomia molto estesa. Nei primi combattimenti aerei, lo Zero si guadagnò una leggendaria reputazione come "cacciatore", ma nel 1942 le nuove tattiche di combattimento consentirono ai piloti Alleati di ingaggiare duelli in termini più equilibrati. La Marina Giapponese utilizzò frequentemente il velivolo anche basandolo a terra. Nel 1943, le debolezze insite nel progetto originale e la crescente indisponibilità di motori aeronautici più potenti, portarono gli Zero a diventare meno efficaci contro i caccia americani di generazione successiva, dotati di maggiore potenza di fuoco, corazzatura, velocità e che cominciarono ad avvicinarsi ai livelli di manovrabilità dell'aereo giapponese. Sebbene l'A6M fosse superato nel 1944, rimase in produzione. Negli ultimi anni del conflitto, dei 10 937 esemplari prodotti, molti furono trasformati in kamikaze.


Il Mitsubishi A5M aveva appena iniziato ad entrare in servizio al principio del 1937 quando la Marina Imperiale Giapponese iniziò a cercare un suo futuro rimpiazzo. In maggio emisero la specifica 12-Shi per un nuovo caccia basato su portaerei inviandola alla Nakajima Hikōki ed alla Mitsubishi. Entrambe iniziarono un lavoro di progetto preliminare in attesa di requisiti più definitivi che sarebbero arrivati nei mesi successivi.
Basandosi sull'esperienza in Cina dell'A5M la Marina emise una specifica aggiornata in ottobre. La nuova specifica richiedeva: una velocità di 500 km/h a 4 000 m, una velocità di salita a 3 000 m in 9,5 minuti; un'autonomia massima di 8 ore a regime economico e con serbatoi supplementari, di 2 ore a potenza di combattimento; una maneggevolezza non inferiore a quella del caccia che doveva rimpiazzare (il Mitsubishi A5M che stava all'epoca cominciando a entrare in servizio); un armamento di due cannoni da 20 mm e da due mitragliatrici da 7.7 mm, più 60 kg di bombe. Doveva avere, inoltre, un apparato radio completo su ogni aereo, insieme con un radiogoniometro per la navigazione a lungo raggio, mentre l'apertura alare doveva essere minore di 12 m per poter essere adatta alle portaerei.
La squadra della Nakajima, ritenendo i nuovi parametri irrealizzabili, abbandonò il programma, in gennaio. Il capo ingegnere progettista della Mitsubishi, Jirō Horikoshi, invece, non si lasciò impressionare e ritenne che i requisiti potessero essere soddisfatti, ma solo rendendo l'aereo il più leggero possibile. Ogni metodo disponibile per risparmiare peso venne utilizzato ed i progettisti fecero un uso estensivo della nuova lega di duralluminio. Con il suo progetto di monoplano con ali basse a sbalzo, carrello di atterraggio retrattile e cabina di pilotaggio chiusa, il progetto non solo era molto più moderno di qualunque velivolo usato dalla marina nel passato, era uno dei più moderni al mondo. A poco meno di un anno dalla specifica originale, il 1º aprile 1939, Horikoshi fece portare in volo il primo prototipo: ai comandi di Katsuzo Shima, lo A6M1 non solo rispettò i parametri imposti (tranne la velocità massima) ma ne superò anche diversi. Incoraggiato dal successo, Horikoshi installò un motore ancora più potente sul terzo prototipo (A6M2). Lo Zero, al termine dei test, fu messo immediatamente in produzione. A causa della scarsità di motori d'aviazione potenti ed alcuni problemi con i modelli che avrebbero dovuto rimpiazzarlo, lo Zero rimase in produzione fino alla fine, con un totale complessivo di quasi 11.000 unità prodotte dei vari modelli.


I primi A6M2 divennero operativi nel luglio 1940 e, pochi mesi dopo, ebbero il battesimo del fuoco in Cina. Gli Zero ottennero le prime vittorie aeree il 12 settembre 1940, quando tredici Mitsubishi guidati dal Tenente Saburo Shindo attaccarono ventisette Polikarpov I-15 e I-16 dell'aeronautica della Cina Nazionalista. A fronte di nessun aereo perso, gli Zero distrussero l'intero contingente di caccia cinesi. Prima che, dopo un anno, fossero rischierati, gli Zero avevano distrutto novantanove aerei cinesi. Solo due caccia Mitsubishi erano andati perduti e per fuoco da terra. All'entrata in guerra del Giappone, gli Zero costituivano la punta di forza della componente aerea imbarcata. Grazie a una combinazione di eccellente maneggevolezza e potenza di fuoco, il caccia della Mitsubishi si sbarazzò con facilità dell'eterogenea collezione di aerei Alleati inviatigli frettolosamente contro, mentre il suo enorme raggio operativo (di oltre 2.600 km) gli permetteva di apparire su fronti così distanti da dare ai comandanti Alleati l'errata convinzione che i giapponesi disponessero di un numero di Zero assai superiore a quello reale. n realtà, all'epoca dell'attacco di Pearl Harbor c'erano solo 420 Zero attivi nel Pacifico. Il modello 21 imbarcato su portaerei era il tipo incontrato più spesso dagli americani, spesso molto più lontano dalla sua portaerei di quanto atteso. Lo Zero si guadagnò rapidamente una grande reputazione.
Da Pearl Harbor in poi, fino alla battaglia delle Midway del giugno 1942, mantenne incontrastato il dominio del cielo. Fu proprio in questo periodo che entrò in linea la seconda principale versione dello Zero, la A6M3, potenziata nel motore e nell’armamento. Comunque fallì nel raggiungere una completa superiorità a causa di alcuni limiti strutturali e dello sviluppo di tattiche innovative da parte degli Alleati che utilizzavano il vantaggio del volo in formazione e del supporto mutuo sistematico.
A causa della sua grande agilità i piloti Alleati scoprirono che la tattica di combattimento corretta contro lo Zero era di rimanere fuori tiro e combattere sulla picchiata e cabrata. Utilizzando la velocità e resistendo alla tentazione di battere in manovra lo Zero, alla fine i cannoni potevano essere puntati sul bersaglio e solitamente bastava una raffica per abbatterlo. Un'altra manovra importante venne chiamata Thach Weave, dal nome del suo inventore, l'allora Capitano John S. "Jimmy" Thach. Richiedeva due aerei, un leader ed il suo compagno di volo, che dovevano volare a circa 200 piedi (66 metri) di distanza. Quando uno Zero si metteva in coda ad uno dei due caccia i due aerei dovevano dirigersi uno contro l'altro. Se lo Zero seguiva il suo bersaglio originale lungo la virata entrava nell'arco di tiro del compagno d'ala. Questa tattica venne usata con qualche risultato nella Battaglia del Mar dei Coralli e nella Battaglia delle Midway, pur con forti perdite, ed aiutò a compensare l'inferiorità tecnica degli aerei americani fino all'entrata in servizio dei nuovi modelli.
Quando gli USA compresero la minaccia rappresentata dello Zero, vennero introdotti nuovi caccia come il potente Grumman F6F Hellcat, il Vought F4U Corsair ed il Lockheed P-38 Lightning, aerei che superavano le prestazioni dello Zero in tutti in campi, tranne che nella manovrabilità. Divennero allora evidenti i limiti del progetto A6M, che perse la sua competitività, sebbene in mani esperte potesse ancora essere mortale. Ma nell'ultima fase del conflitto gran parte dei piloti giapponesi più esperti, come gli assi Saburō Sakai e Hiroyoshi Nishizawa, erano rimasti feriti gravemente o uccisi. Lo Zero, inoltre, progettato per l'attacco, aveva dato la precedenza alla manovrabilità ed alla potenza di fuoco a spese della protezione — principalmente non aveva serbatoi di carburante autosigillanti o corazzatura — perciò molti piloti di Zero restavano uccisi e i loro aerei s'incendiavano anche con pochi colpi andati a segno. Altra caratteristica esiziale dello Zero era la mancanza di bulloni esplosivi con cui far saltare il tettuccio della carlinga: i piloti dovevano aprirlo manualmente per potersi lanciare con il paracadute, con tutte le difficoltà del caso. Inoltre, cloche e pedaliera erano meccaniche e non avevano servocomandi idraulici, per cui nelle picchiate decise, e in generale ad alte velocità, i comandi si indurivano tanto che l'aereo diventava ingovernabile. Tuttavia, nei primi anni di guerra, molti piloti di aerei giapponesi non indossavano mai il paracadute, perché ritenuto limitante i movimenti nell'abitacolo e soprattutto non rispondente a quanto previsto nel codice d'onore dei guerrieri giapponesi, per cui lanciarsi con il paracadute equivaleva all'onta della resa, alla quale era preferibile la morte onorata in combattimento. Questo portò, ben presto, a perdite elevate anche tra i piloti più esperti, sempre più difficilmente rimpiazzabili.
Il risultato dell'ingresso in guerra dei nuovi caccia americani fu che il bilancio della marina USA passò da un rapporto di abbattimenti di 1:1 ad un improvviso 10:1 (questo valore è sicuramente sovrastimato, ma è indubbio il netto miglioramento di risultati dei nuovi caccia nei confronti dello Zero).