domenica 23 dicembre 2018

Il Mitsubishi A6M, solitamente chiamato dagli Alleati con il nome "Zero"



Il Mitsubishi A6M era un caccia leggero in dotazione al Dai-Nippon Teikoku Kaigun Kōkū Hombu, il servizio aeronautico della Marina imperiale giapponese, dal 1940 al 1945. La designazione ufficiale si otteneva componendo la "A" per "aereo imbarcato", il "6" perché era il sesto modello costruito per la Marina Giapponese e la "M" iniziale del costruttore: la Mitsubishi. L'A6M veniva solitamente chiamato dagli Alleati con il nome "Zero", una denominazione a volte associata per errore anche ad altri aerei da caccia quali il Nakajima Ki-43. Oltre che Zero, il modello venne chiamato dagli statunitensi con altri soprannomi, quali "Zeke", "Hamp" e "Hap".


Quando iniziarono le ostilità con lo scoppio della seconda guerra mondiale, lo Zero veniva ritenuto il miglior caccia basato su portaerei del mondo, perché associava una eccellente manovrabilità ad una autonomia molto estesa. Nei primi combattimenti aerei, lo Zero si guadagnò una leggendaria reputazione come "cacciatore", ma nel 1942 le nuove tattiche di combattimento consentirono ai piloti Alleati di ingaggiare duelli in termini più equilibrati. La Marina Giapponese utilizzò frequentemente il velivolo anche basandolo a terra. Nel 1943, le debolezze insite nel progetto originale e la crescente indisponibilità di motori aeronautici più potenti, portarono gli Zero a diventare meno efficaci contro i caccia americani di generazione successiva, dotati di maggiore potenza di fuoco, corazzatura, velocità e che cominciarono ad avvicinarsi ai livelli di manovrabilità dell'aereo giapponese. Sebbene l'A6M fosse superato nel 1944, rimase in produzione. Negli ultimi anni del conflitto, dei 10 937 esemplari prodotti, molti furono trasformati in kamikaze.


Il Mitsubishi A5M aveva appena iniziato ad entrare in servizio al principio del 1937 quando la Marina Imperiale Giapponese iniziò a cercare un suo futuro rimpiazzo. In maggio emisero la specifica 12-Shi per un nuovo caccia basato su portaerei inviandola alla Nakajima Hikōki ed alla Mitsubishi. Entrambe iniziarono un lavoro di progetto preliminare in attesa di requisiti più definitivi che sarebbero arrivati nei mesi successivi.
Basandosi sull'esperienza in Cina dell'A5M la Marina emise una specifica aggiornata in ottobre. La nuova specifica richiedeva: una velocità di 500 km/h a 4 000 m, una velocità di salita a 3 000 m in 9,5 minuti; un'autonomia massima di 8 ore a regime economico e con serbatoi supplementari, di 2 ore a potenza di combattimento; una maneggevolezza non inferiore a quella del caccia che doveva rimpiazzare (il Mitsubishi A5M che stava all'epoca cominciando a entrare in servizio); un armamento di due cannoni da 20 mm e da due mitragliatrici da 7.7 mm, più 60 kg di bombe. Doveva avere, inoltre, un apparato radio completo su ogni aereo, insieme con un radiogoniometro per la navigazione a lungo raggio, mentre l'apertura alare doveva essere minore di 12 m per poter essere adatta alle portaerei.
La squadra della Nakajima, ritenendo i nuovi parametri irrealizzabili, abbandonò il programma, in gennaio. Il capo ingegnere progettista della Mitsubishi, Jirō Horikoshi, invece, non si lasciò impressionare e ritenne che i requisiti potessero essere soddisfatti, ma solo rendendo l'aereo il più leggero possibile. Ogni metodo disponibile per risparmiare peso venne utilizzato ed i progettisti fecero un uso estensivo della nuova lega di duralluminio. Con il suo progetto di monoplano con ali basse a sbalzo, carrello di atterraggio retrattile e cabina di pilotaggio chiusa, il progetto non solo era molto più moderno di qualunque velivolo usato dalla marina nel passato, era uno dei più moderni al mondo. A poco meno di un anno dalla specifica originale, il 1º aprile 1939, Horikoshi fece portare in volo il primo prototipo: ai comandi di Katsuzo Shima, lo A6M1 non solo rispettò i parametri imposti (tranne la velocità massima) ma ne superò anche diversi. Incoraggiato dal successo, Horikoshi installò un motore ancora più potente sul terzo prototipo (A6M2). Lo Zero, al termine dei test, fu messo immediatamente in produzione. A causa della scarsità di motori d'aviazione potenti ed alcuni problemi con i modelli che avrebbero dovuto rimpiazzarlo, lo Zero rimase in produzione fino alla fine, con un totale complessivo di quasi 11.000 unità prodotte dei vari modelli.


I primi A6M2 divennero operativi nel luglio 1940 e, pochi mesi dopo, ebbero il battesimo del fuoco in Cina. Gli Zero ottennero le prime vittorie aeree il 12 settembre 1940, quando tredici Mitsubishi guidati dal Tenente Saburo Shindo attaccarono ventisette Polikarpov I-15 e I-16 dell'aeronautica della Cina Nazionalista. A fronte di nessun aereo perso, gli Zero distrussero l'intero contingente di caccia cinesi. Prima che, dopo un anno, fossero rischierati, gli Zero avevano distrutto novantanove aerei cinesi. Solo due caccia Mitsubishi erano andati perduti e per fuoco da terra. All'entrata in guerra del Giappone, gli Zero costituivano la punta di forza della componente aerea imbarcata. Grazie a una combinazione di eccellente maneggevolezza e potenza di fuoco, il caccia della Mitsubishi si sbarazzò con facilità dell'eterogenea collezione di aerei Alleati inviatigli frettolosamente contro, mentre il suo enorme raggio operativo (di oltre 2.600 km) gli permetteva di apparire su fronti così distanti da dare ai comandanti Alleati l'errata convinzione che i giapponesi disponessero di un numero di Zero assai superiore a quello reale. n realtà, all'epoca dell'attacco di Pearl Harbor c'erano solo 420 Zero attivi nel Pacifico. Il modello 21 imbarcato su portaerei era il tipo incontrato più spesso dagli americani, spesso molto più lontano dalla sua portaerei di quanto atteso. Lo Zero si guadagnò rapidamente una grande reputazione.
Da Pearl Harbor in poi, fino alla battaglia delle Midway del giugno 1942, mantenne incontrastato il dominio del cielo. Fu proprio in questo periodo che entrò in linea la seconda principale versione dello Zero, la A6M3, potenziata nel motore e nell’armamento. Comunque fallì nel raggiungere una completa superiorità a causa di alcuni limiti strutturali e dello sviluppo di tattiche innovative da parte degli Alleati che utilizzavano il vantaggio del volo in formazione e del supporto mutuo sistematico.
A causa della sua grande agilità i piloti Alleati scoprirono che la tattica di combattimento corretta contro lo Zero era di rimanere fuori tiro e combattere sulla picchiata e cabrata. Utilizzando la velocità e resistendo alla tentazione di battere in manovra lo Zero, alla fine i cannoni potevano essere puntati sul bersaglio e solitamente bastava una raffica per abbatterlo. Un'altra manovra importante venne chiamata Thach Weave, dal nome del suo inventore, l'allora Capitano John S. "Jimmy" Thach. Richiedeva due aerei, un leader ed il suo compagno di volo, che dovevano volare a circa 200 piedi (66 metri) di distanza. Quando uno Zero si metteva in coda ad uno dei due caccia i due aerei dovevano dirigersi uno contro l'altro. Se lo Zero seguiva il suo bersaglio originale lungo la virata entrava nell'arco di tiro del compagno d'ala. Questa tattica venne usata con qualche risultato nella Battaglia del Mar dei Coralli e nella Battaglia delle Midway, pur con forti perdite, ed aiutò a compensare l'inferiorità tecnica degli aerei americani fino all'entrata in servizio dei nuovi modelli.
Quando gli USA compresero la minaccia rappresentata dello Zero, vennero introdotti nuovi caccia come il potente Grumman F6F Hellcat, il Vought F4U Corsair ed il Lockheed P-38 Lightning, aerei che superavano le prestazioni dello Zero in tutti in campi, tranne che nella manovrabilità. Divennero allora evidenti i limiti del progetto A6M, che perse la sua competitività, sebbene in mani esperte potesse ancora essere mortale. Ma nell'ultima fase del conflitto gran parte dei piloti giapponesi più esperti, come gli assi Saburō Sakai e Hiroyoshi Nishizawa, erano rimasti feriti gravemente o uccisi. Lo Zero, inoltre, progettato per l'attacco, aveva dato la precedenza alla manovrabilità ed alla potenza di fuoco a spese della protezione — principalmente non aveva serbatoi di carburante autosigillanti o corazzatura — perciò molti piloti di Zero restavano uccisi e i loro aerei s'incendiavano anche con pochi colpi andati a segno. Altra caratteristica esiziale dello Zero era la mancanza di bulloni esplosivi con cui far saltare il tettuccio della carlinga: i piloti dovevano aprirlo manualmente per potersi lanciare con il paracadute, con tutte le difficoltà del caso. Inoltre, cloche e pedaliera erano meccaniche e non avevano servocomandi idraulici, per cui nelle picchiate decise, e in generale ad alte velocità, i comandi si indurivano tanto che l'aereo diventava ingovernabile. Tuttavia, nei primi anni di guerra, molti piloti di aerei giapponesi non indossavano mai il paracadute, perché ritenuto limitante i movimenti nell'abitacolo e soprattutto non rispondente a quanto previsto nel codice d'onore dei guerrieri giapponesi, per cui lanciarsi con il paracadute equivaleva all'onta della resa, alla quale era preferibile la morte onorata in combattimento. Questo portò, ben presto, a perdite elevate anche tra i piloti più esperti, sempre più difficilmente rimpiazzabili.
Il risultato dell'ingresso in guerra dei nuovi caccia americani fu che il bilancio della marina USA passò da un rapporto di abbattimenti di 1:1 ad un improvviso 10:1 (questo valore è sicuramente sovrastimato, ma è indubbio il netto miglioramento di risultati dei nuovi caccia nei confronti dello Zero).

































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