giovedì 6 dicembre 2018

BARI, ore 11.57 del 9 aprile del 1945!



Alle ore 11.57 del 9 aprile del 1945, il porto di Bari sprofondò nel profondo inferno in terra!

Era saltata in aria la nave da carico americana “Henderson”. 
Immediatamente la fantasia del popolo corse all’attentato di sabotatori: 

“””Sono stati quelli della quinta colonna!””” – sbraitava senza prove la gente.

In quei giorni spie, dinamitardi e sabotatori, erano indicati come appartenenti alla cosiddetta quinta colonna.

Si era all’inizio della primavera. 

La città e il porto erano troppo tranquilli.

Oramai - dopo le recenti vicissitudini belliche - i bambini avevano ripreso a frequentare regolarmente la scuola.  I nonni, gli zii, i genitori erano al lavoro nelle campagne, negli orti, nelle fabbriche, negli uffici ed anche negli impianti portuali.  Nella città vecchia e nel vicino porto si sentivano le urla della gente e degli operai addetti alle operazioni di carico e scarico dei materiali bellici. Colonne di autocarri militari entravano e uscivano dai cancelli dei depositi di munizioni.

Alle 11,45, nell’Istituto della Madonna del Carmine retto dalle suore di Ivrea, nella città vecchia, suonò la campanella per l’ora di adorazione in Cattedrale. Mentre le ragazzine si accingevano a scendere le scale, all’improvviso, una tremenda scossa, seguita da un boato e, poi, dalla caduta di calcinacci, staccò dal muro il grande finestrone del ballatoio. Altre scosse, vibrazioni improvvise, altri tremendi boati preceduti da lampi di luce intensissima. 
Il sangue cominciò a sgorgare dalle ferite delle bambine colpite dal finestrone; le più gravi piangevano e gridavano a squarciagola aiuto. Le ragazzine che riuscirono ad uscir fuori dall’Istituto si avviarono, correndo, verso casa, nelle immediate adiacenze della Cattedrale. 
Sulle rovine di uno stabile bombardato due anni prima, il 2 dicembre 1943, una madre con una bambina tra le braccia, era stata colpita in pieno da una mostruosa scheggia lasciando sul muro una larga striscia di sangue.  La gente terrorizzata usciva dalle case, inciampava sui corpi dei morti, dei feriti e si riversava in piazza guardando in alto, verso il cielo, pensando ad un bombardamento aereo. Dai loro pensieri, gridati e non, venivano fuori interrogativi, paure, strane congetture. Intanto dalla Cattedrale venivano giù mattoni, detriti e calcinacci. All’improvviso, dalla parte del porto coperto dall’inferno di fumo nero cominciarono a sbucare uomini sporchi di sangue e catrame, occhi rossi come brace: tutti - militari e civili inermi - correvano senza meta implorando aiuto.

Nella città vecchia il panico cresceva a dismisura perché tutti o quasi gli uomini lavoravano al porto; anche mio suocero Gaetano Losito - scampò per miracolo all’immane tragedia perché in quei giorni era a casa per licenza di matrimonio!. Quel giorno, i più stavano scaricando tonnellate e tonnellate di bombe e materiali bellici di ogni tipo. La gente si agitava, gridava, piangeva, correva verso il porto disperata.

Ad un tratto si sentì gridare la notizia: – E’ scoppiata la nave americana “Henderson”, sì, quella carica di munizioni! Alcuni giorni prima, quella nave aveva destato non poche preoccupazioni ai portuali. Dalla stiva di poppa si erano uditi degli strani scricchiolii.
Quella mattina del 9 aprile alcuni operai erano stati chiamati per spostare la “Henderson” dalla banchina 16 alla banchina 14, cioè verso il braccio esterno del porto.
Quel giorno, sulle banchine ricostruite dopo il bombardamento del 2 dicembre 1943, il lavoro era intenso: un continuo andirivieni di uomini e mezzi trasportavano il materiale bellico nelle officine e nei capannoni adibiti a depositi militari. Seimila uomini: neozelandesi, americani, inglesi, indiani, slavi, russi, lavoravano senza sosta. Anche tre squadre di operai, circa 170 uomini, si alternavano, a turno, per trasportare e sistemare la merce.
La nave trasporto munizioni "Charles Henderson" della US Navy, mentre era ormeggiata alla banchina 14 del porto di Bari, per cause forse accidentali, forse per un  sabotaggio, esplose improvvisamente seminando attorno a sé distruzione e morte. In pochi istanti centinaia di vite umane venivano distrutte e della nave non restavano che pochi relitti. Un evento che tutti i baresi di una certa età ricordano ancora con commozione a paura. 

A tanti anni esatti di distanza da quella immane ennesima tragedia della città di Bari, una ricerca condotta negli Stati Uniti ha permesso di rintracciare una fotografia del piroscafo, scattata poche settimane dopo il suo varo. Un documento mai visto prima in Italia, dove esistono soltanto delle fotografie del piroscafo squarciato dall'esplosione. Vari spezzoni della sovrastruttura della nave furono disseminati per un raggio di qualche chilometro, provocando non pochi danni agli edifici della zona portuale, mentre spruzzi di nafta provenienti dai doppi fondi del piroscafo furono proiettati così lontano da raggiungere i sobborghi della città. I vetri delle case, a notevole distanza dal porto, andarono violentemente in frantumi, causando numerosi feriti e parecchi morti tra la popolazione civile. Porte e finestre furono divelte come fuscelli sotto la furia dello spostamento d' aria, disseminando le vie di un impressionante groviglio di macerie, rendendo difficile la circolazione della gente che, presa dal panico, correva come pazza alla ricerca di un qualche sicuro rifugio. Del piroscafo Charles Henderson, che pochi minuti prima dominava con la sua potente mole la scena della calata, non restavano che due enormi spezzoni: la prua che era andata a conficcarsi profondamente nel muro di sponda del molo antistante e la poppa ridotta ad un ammasso informe di ferraglie appena affioranti dalle acque. Della parte centrale dello scafo, in corrispondenza delle stive e dell'apparato motore, non si scorgeva alcuna traccia. Il muro di sponda, dove si trovava attraccata la nave per una lunghezza di 75 metri, era del tutto sparito ed anche la calata corrispondente denominata appunto 14, per un'analoga lunghezza e una profondità di 25 metri era saltata in aria: al suo posto si vedeva soltanto un laghetto per l'invasione delle acque marine della voragine provocata dallo scoppio. 

Del grande capannone per il ricovero delle merci in transito e del binario di riva per la manovra delle gru di scarico e di tre potenti gru meccaniche, non restava alcun segno. La nave, con il suo terribile carico di esplosivi, era giunta nel porto della città nella prima mattinata del giorno 5 aprile 1945, ormeggiandosi alla banchina 21; lo stesso giorno fu spostata alla banchina 16 ed aveva iniziato le operazioni di sbarco delle munizioni subito dopo. Parte del carico fu sbarcata su quella banchina. Il comando interalleato del porto decise poi trasferire la nave statunitense ad una banchina dotata di gru meccaniche, la 14 appunto. Il movimento della nave avvenne alle ore 5.30 del 9 aprile. A quell'ora la Henderson mise in moto le sue macchine e, aiutata da due rimorchiatori baresi, fu ormeggiata finalmente alla banchina n.14 tra le 09.30 e le 10.00. 

Alle 11.57 circa, mentre le stive brulicavano di lavoratori baresi intenti nelle operazioni di sbarco delle munizioni, dalla stiva 5 della sfortunata nave uscì una violenta fiammata seguita subito dopo da una esplosione terrificante.In quell'istante, nelle stive della nave erano al lavoro 121 civili baresi; di questi, 92 furono dichiarati morti o dispersi mentre 29 sopravvissero allo scoppio. Questi 29 fortunati si trovavano nelle stive prodiere e subirono comunque ferite più o meno gravi. Ma il bilancio complessivo delle vittime fu oltremodo più grave se si considera che l'intera banchina brulicava di lavoratori baresi. 

I deceduti, infatti, assommarono a 317 mentre i feriti furono circa 600. Inoltre ben 937 famiglie furono costrette a trasferirsi per avere avuto le loro abitazioni dichiarate inabitabili. A questo bilancio dovettero sommarsi i caduti delle unità alleate presenti nel porto e, in particolare, quelli della Charles Henderson. 


Nello spaventoso scoppio; nel risucchio della nave che colava a picco, furono tanti gli uomini inghiottiti dal mare. Una parte della nave era saltata in aria, i rottami erano caduti sul porto e nella città vecchia. Grida, gemiti, urla e pianti. La città venne attraversata da un improvviso fremito di disperazione. L’accesso al porto fu transennato ed alcuni uomini, sfuggiti al disastro per miracolo, portarono notizie fresche. Sulle banchine i morti non si contavano più. Una massa di gente scalmanata e vociante si dirigeva verso gli ospedali e il cimitero.

Le strade erano deserte, sulla città gravava un silenzio di morte, dappertutto un olezzo pregnante di zolfo e di catrame. 

Sulla «Gazzetta del Mezzogiorno», per effetto di una rigidissima censura, la notizia comparve solo quattro giorni dopo, il 13 aprile. Il quotidiano pugliese fornì i primi e spaventosi dati: 360 morti, tra cui circa cinquanta membri dell’equipaggio della nave americana e 1730 feriti, in gran parte civili italiani, soprattutto portuali. I danni furono ingentissimi nella città vecchia: dall’Ospedale consorziale (accanto a Santa Scolastica) alle case popolari all’Ospizio di mendicità ed alle abitazioni private che si affacciavano su piazza San Pietro, assieme a diverse chiese: San Gregorio, Santa Chiara, la Cattedrale e San Nicola. 

Per un raggio di alcuni chilometri tutti i vetri degli edifici pubblici e delle abitazioni private andarono in frantumi e scene di panico si registrano nelle scuole che si svuotarono in pochi minuti. 
Una pioggia di nafta e detriti si riversò su Bari, sovrastata da una altissima colonna di fumo. 

Una vera e propria gara di solidarietà si sviluppò nella città.

L’esplosione della Henderson avvenne nel corso delle operazioni di scarico dell’ingente materiale bellico, soprattutto bombe d’aereo, che rifornivano le diverse basi americane dislocate in Puglia, molto attive in quelle ultime settimane di guerra. In una approfondita ricerca storica si sostiene che gli americani sperimentarono proprio in quel periodo il «Napalm», un nuovo tipo di bombe incendiarie (tristemente note nella guerra del Vietnam) con micidiali effetti distruttivi ad ampio raggio; la nuova arma fu infatti impiegata tra marzo ed aprile 1945 su alcune zone dell’Emilia e del Nord-Est contro i reparti nazisti. 

Il riserbo delle autorità alleate sulla natura del carico del piroscafo americano saltato in aria il 9 aprile era probabilmente connesso all’impiego di nuove armi tra cui il «Napalm» e gli «aggressivi chimici». I resti di questi ultimi, fino ad oggi sconosciuti eroi, furono ricomposti e riposano in una tomba senza nomi e che i baresi conoscono bene, nel cimitero della città. Dell' equipaggio della nave, composto da 35 civili e 13 militari della riserva navale degli Stati Uniti, si salvarono soltanto l'ufficiale addetto al carico ed il direttore di macchina, entrambi assenti da bordo nell'istante dell'esplosione. Il comandante militare della Charles Henderson, perito nell'incidente, era il guardiamarina Eugene Ebert

Questo tragico evento fu uno degli ultimi episodi della guerra, che si sarebbe definitivamente conclusa nel luglio successivo. 

La versione ufficiale su quella esplosione parlava di «incidente». 

Tuttavia nel 1946 una speciale commissione dell’U.S. Army diresse tutte le operazioni di recupero del pericoloso carico e di localizzazione dei fondali a largo della costa pugliese (Molfetta) per «il gettito in mare di queste bombe considerate troppo pericolose per essere conservate a terra o maneggiate come necessario per scopi di demilitarizzazioni»

Al porto le fiamme consumavano corpi e oggetti: troppi!

Di tanto in tanto il rogo sembrava quietarsi, poi, alimentato da olio, benzina, gomma di copertoni, riprendeva con alte fiammate. Tanti uomini che al momento del disastro si trovavano sulla nave americana o nel porto a lavorare erano spariti, senza lasciare alcuna traccia. 
Nella zona portuale erano accatastati mucchi di sacchi con dentro resti umani sanguinanti.

All’alba del 10 aprile 1945, finalmente si chiuse un giorno terribile per la città di Bari.

I morti accertati furono 317, i dispersi 142, migliaia i feriti. Queste cifre riguardano le perdite civili. 

I comandi militari italiani e gli Alleati, al momento, non fecero conoscere le loro perdite. 

Le case della città vecchia dichiarate inabili furono circa mille.

La nave “Charles Henderson” quasi certamente era carica anche di ordigni all’iprite (potente aggressivo chimico tossico vescicante). 
Quando all’improvviso saltò in aria, con un forte boato, in pochi minuti Bari fu letteralmente sconvolta da uno dei maggiori disastri della guerra nel Mediterraneo. Il piroscafo americano, per fortuna, esplose solo in parte. La nave si spezzò in due tronconi, uno dei quali s’inabissò. Dal cielo pioveva nafta e cadevano detriti di ogni genere. Esplosero i vetri delle abitazioni e degli edifici pubblici del lungomare e del quartiere murattiano. Le ferite più frequenti riportate dalle vittime furono quelle al volto ed alla testa. Le strutture portuali vennero completamente distrutte. Furono demoliti molti stabili nel borgo antico e più di mille famiglie rimasero senza tetto. I danni al patrimonio artistico ed alle chiese, tra cui San Nicola e la Cattedrale, furono incalcolabili.

A poche settimane dalla fine della guerra, gli anglo-americani stavano ancora accumulando enormi quantitativi di armi e munizioni per l’esercito. Anche la nave “Henderson”, al pari di quelle colpite il 2 dicembre 1943 dal bombardamento tedesco, custodiva nelle sue stive bombe con aggressivi chimici. Una rigorosa censura sul carico della nave venne imposta dalle autorità alleate, ma anche da quelle italiane. Si voleva nascondere la preparazione della guerra chimica. 

Dopo lo sbarco in Sicilia e l’arrivo in Puglia, gli Alleati scoprirono ingenti depositi nazisti di iprite e di fosgene. 

Dunque gli Alleati si preparavano per tempo - e se ce ne fosse stato bisogno - a rispondere ad un eventuale attacco nemico con gas bellici da parte dei tedeschi.

Le tragiche conseguenze della guerra riemergono ancora oggi, e devono esser da monito alle generazioni future: 

“””Non c’è futuro per noi senza la memoria del passato”””!

(fonti: Web, Google, Wikipedia, Barinedita, Pugliareporter, La Gazzetta del Mezzogiorno, dott. Vito Antonio Leuzzi etc…)

Nico Vernì























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