lunedì 17 dicembre 2018

Le Officine Meccaniche Italiane S.A., meglio note come Officine Meccaniche Reggiane: un pezzo di storia dell’industria manifatturiera italiana.



Le Officine Reggiane sono un pezzo significativo della storia di Reggio e dell’industria manifatturiera italiana. 
Le Officine Meccaniche Italiane S.A., meglio note come Officine Meccaniche Reggiane, o più semplicemente Reggiane, oppure Reggiane OMI, erano un'azienda italiana nata all'inizio del Novecento per produzione ferroviaria e di proiettili d'artiglieria, e divenuta famosa sul finire degli anni trenta, per la famiglia di aerei da caccia.

Gli esordi

Fondata a Reggio Emilia nell'agosto del 1901 ad opera dell'Ingegner Romano Righi sotto il nome di Officina Meccanica e Fonderia Ing. Romano Righi e C. Nel dicembre del 1904 il nome della ditta muta in Società Anonima Officine Meccaniche Reggiane (OMR) con Giuseppe Menada azionista e presidente. Essendo Menada prima direttore e poi presidente della SAFRE (Società Anonima delle Ferrovie di Reggio Emilia), si preoccupò di garantire commesse all'azienda della quale era azionista ordinando dapprincipio 20 carri chiusi per trasporto di merci e bestiame e 7 carri aperti.

Nel 1908 l'azienda si espande nel settore ferroviario assorbendo la ditta Clemente Nobili di Bologna ed acquisendo quote della Società Anonima Metallurgica Ossolana e della Anonima Celeste Longoni di Reggio Emilia. Nel 1912 continua l'espansione mediante l'acquisizione della Società Officine Ferroviarie Italiane Anonima, inoltre, lo stesso anno, la ditta diventa Reggiane Officine Meccaniche Italiane Spa.

La prima guerra mondiale

La prima guerra mondiale favorì il ramo d'attività militare, le Reggiane, oltre ad espandere l'attività, nel 1918 assorbì il Proiettilificio di Modena. All'inizio del 1918 la Reggiane entra in contatto con il mondo aeronautico e con la Caproni, che successivamente rileverà la ditta negli anni trenta. Le Officine Meccaniche Reggiane, erano infatti tra le ditte impegnate nel massiccio ordine per i biplani trimotori da bombardamento della famiglia dei Caproni Ca.44, Ca.45 e Ca.46 (Ca.5 con la designazione del Regio Esercito). Di questa massiccia commessa di 300 esemplari ne venne solo avviata la produzione, e forse soltanto un esemplare venne assemblato negli stabilimenti di Reggio Emilia, con parti provenienti da altri stabilimenti.

Fra le due guerre

Nel 1920 la crisi non risparmia neanche le Reggiane che vedono i propri stabilimenti subire una occupazione operaia. Per diversificare l'attività, con i profitti di guerra, viene assorbita la Società Anonima Meccanica Lombarda (SAML) di Monza che opera nel settore dei mulini, pastifici e laterizi. Le difficoltà economiche si aggravano. Nel 1928 la ristrutturazione passa attraverso l'ulteriore diversificazione con l'ingresso nel settore cerealicolo (costruzione di silo) e con la cessione degli stabilimenti di Modena e di Monza.
La crisi economica mondiale del 1930 mette definitivamente fine agli sforzi di salvare l'azienda (che intanto aveva giocato la carta delle macchine agricole). Nel 1933 l'Istituto per la Ricostruzione Industriale (I.R.I.) acquisisce la maggioranza azionaria consentendo il salvataggio almeno degli impianti di Reggio Emilia.
Nel 1935, intuendo il buon momento per il riarmo fascista, il conte Giovanni Caproni acquisisce dall'IRI il pacchetto azionario di maggioranza delle Reggiane.

Lo sviluppo aeronautico

Nel 1936 viene costituita a Reggio Emilia la Società Studi e Brevetti Gruppo Caproni guidata dall'Ingegner Giovanni Pegna (già progettista alla Piaggio) al fine di concepire e sviluppare velivoli sperimentali e soluzioni tecnologiche da applicare al Settore Avio Reggiane. La prima realizzazione della Società Studi e Brevetti Gruppo Caproni è il bombardiere bimotore Piaggio P.32bis, evoluzione del Piaggio P.32.

Inoltre le Reggiane costituiscono il settore Motori Avio con la riproduzione in serie, su licenza Piaggio, del radiale P.VII C.16. Sempre su licenza Piaggio verranno successivamente prodotti le versioni C 35 e C 45 del P.VII, il P.VI bis, il P.XI bis, il P.XV mentre su licenza Fiat sarà prodotto l'A.74. Il successo del settore aeronautico sarà marcato dal fatto che a fine 1936 fattura il 60% del totale.

Nel 1937, su licenza SIAI-Marchetti, viene avviata la linea di produzione del trimotore da bombardamento S.79 Sparviero e a causa del rallentamento delle commesse (a fine anno il settore aeronautico scende al 45% del fatturato totale) viene ristrutturata l'azienda mediante l'incorporazione della Società Studi e Brevetti Gruppo Caproni.

Il 23 febbraio 1937 vola per la prima volta il prototipo del P.32 bis pilotato dal com. Mario Gamna. Il 19 maggio vola il suo derivato sportivo: il primo prototipo del Caproni Ca.405. Nell'intenzione dell'azienda due Ca.405 avrebbero devono partecipare alla gara del "Nastro Azzurro" che si sarebbe tenuta tra il 20 ed il 21 agosto 1937 ma, per diversi motivi, nessuno dei due prototipi poté partecipare.

Il fatturato del settore aeronautico riprende quota il 1938 e 1939 si chiudono rispettivamente con il 55% e l'80% del fatturato totale.

Il 24 maggio vola il primo prototipo del Re.2000 (MM 408), pilotato dal Comandante Mario de Bernardi, nel novembre viene allestita la linea intercettori Re.2000 serie 1 per la Regia Aeronautica, ma i pochi esemplari realizzati diverranno effettivamente operativi solo nel 1941.

L'aereo raccoglie un discreto successo anche internazionale tanto che una commissione britannica, incaricata di acquisire materiale militare, tratta con Reggiane per la fornitura di circa 300 esemplari di Re.2000 (ovviamente per l'ingresso in guerra dell'Italia a fianco della Germania l'ordine non verrà mai formalizzato). Al contempo manifestazioni d'interesse arrivano da Svezia, Jugoslavia, Spagna, Finlandia, Svizzera ed Unione Sovietica (anche in questo caso, per le stesse motivazioni di sopra, l'interesse non poté tradursi in una commessa). Solo con l'Ungheria l'interessamento poté essere concluso con un ordine. Infatti, il 27 dicembre, viene stipulato un contratto per la fornitura di 70 Re.2000[1] alla Magyar Királyi Honvéd Légierő (MKHL) l'allora denominazione dell'aeronautica militare ungherese. Inoltre, nel marzo del 1940, viene accordata la licenza di produzione alla ditta MÁVAG di Budapest.

Sempre nel maggio del 1940, viene avviata la produzione degli intercettori Re.2000 Heja per la MKHL ungherese.

In giugno e ottobre volano rispettivamente i primi prototipi del Re.2001 (MM 409) e del Re.2002 (MM 454), pilotati dal Comandante de Bernardi.

Il 28 novembre 1940 viene stipulato un accordo per la fornitura alla Svenska Flygvapnet (KSF), l'Aeronautica svedese, per la fornitura di 60 Re.2000. I velivoli localmente denominati J20 verranno consegnati tra il 1941 ed il 1942.

Il 18 dicembre vola il secondo prototipo del Re.2001 (MM 468), pilotato dal Comandante Pietro Scapinelli di Leguigno e l'anno si conclude per il settore aeronautico con una quota dell'80% rispetto al fatturato totale.

Nel marzo del 1941 viene avviata la produzione degli intercettori Re.2000 per la KSF svedese ma il mese è infausto in quanto il 14, il secondo prototipo del Re.2001 (MM 468) pilotato dal Comandante Scapinelli, precipita causando la morte del collaudatore a causa di un'avaria al motore occorsa nella fase di atterraggio.

Il 22 marzo il primo Re.2000 operativo viene consegnato alla Regia Aeronautica, ma solo pochi altri esemplari, nelle diverse versioni, verranno impiegati dalla Regia Aeronautica e dalla Regia Marina.

Nell'aprile del 1941 vengono avviate la produzione della versione Grande Autonomia Re.2000 serie 2 per la Regia Aeronautica e la produzione in serie del Re.2001 per la Regia Aeronautica.

Il 27 giugno vola il primo esemplare della versione catapultabile Re.2000Cat. per la Regia Marina.

Nel luglio del 1941 la Reale Aeronautica Svedese (KSF) esprime il suo interesse per una consistente fornitura di Re.2001; ma, a causa dello stato di guerra e delle prioritarie esigenze della Regia Aeronautica, l'operazione non verrà finalizzata. Il 1º luglio e il 29 volano per la prima volta il Re.2001bis, e il primo prototipo del Reggiane Re.2003 pilotati dal Comandante Francesco Agello. Vengono seguiti, l'8 novembre dal primo esemplare della versione Grande Autonomia Re.2000GA (MM 8059).


Il 1942 inizia con il progetto del motore in linea Re.105 RC 100 e con il prototipo del motore in linea Re.103 RC 50. Nessuno dei due vedrà mai la produzione in serie.
Nel febbraio viene realizzato il primo (dei pochi esemplari) della versione anti-nave Re.2001 GV (MM 7226), mentre in maggio il 9 e il 18 volano rispettivamente il primo prototipo del Re.2005 (MM 494) e il secondo prototipo del Re.2002 (MM 7309), pilotati dal Comandante Tullio De Prato (quest'ultimo fungerà da testa di serie per l'avviamento produttivo). La MAVAG inizia le consegne all'Aeronautica ungherese del Re.2000 prodotto localmente (meglio noto come Héja II). In settembre e ottobre, in rapida successione, volano lo sperimentale RE 2001 Delta (MM 9920), pilotato dal Comandante Alessandro Beretta, il secondo prototipo del Re.2005 (MM 495), il primo (dei pochi) Re.2001OR realizzati in vista dell'impiego a bordo delle poi mai costruite portaerei, l'unico Re.2003 di serie (MM 12415), pilotato dal Comandante Alfonso Caracciolo.


In novembre viene avviata la produzione in serie del Re.2002 e il 20 presentato lo studio del RE 2005 R (un aereo sperimentale a propulsione mista che non venne mai realizzato).
In dicembre il Re.2005 inizia ad essere prodotto in serie e il 23 vola per la prima volta il prototipo di caccia-silurante Re.2001 G, pilotato dal com. Caracciolo.
Ancora una volta l'anno si chiude con il fatturato aeronautico all'80% del totale.
Il 27 gennaio del 1943 il motore dello sperimentale Re.2001 Delta (MM 9920), pilotato dal Comandante Beretta, s'incendia durante un volo di prova e l'aereo precipita (senza conseguenze per il pilota che riesce a lanciarsi).
Il 23 febbraio vola il primo caccia notturno Re.2001CN (MM 08075) che costituirà la testa di serie della versione CN.


In marzo e luglio il primo prototipo Re.2005 diventa operativo con la Regia Aeronautica (ad esso seguiranno gli esemplari della Serie 0) e viene realizzato lo sperimentale Re.2002bis (MM 7327).
L'autunno del 1943 costituisce un punto di svolta negativo della Reggiane in quanto le autorità d'occupazione tedesche fermano, di fatto, l'attività legata al settore aeronautico.
Il 7 e 8 gennaio 1944 gli stabilimenti di Reggio Emilia vengono rasi al suolo nel corso di due bombardamenti alleati. I macchinari salvatisi dal disastro sono immagazzinati nelle vicinanze di Reggio Emilia ed in altre località del nord Italia. Inoltre per sfuggire ai bombardamenti alleati che si intensificano vieppiù la produzione viene decentrata in numerose località del nord Italia: Vicenza, Torbole, Gavirate, Cocquio, Besozzo, Gemonio.
Data l'occupazione nazista e il blocco della progettazione e dello sviluppo dei velivoli, le Reggiane cercano di prepararsi al dopoguerra ipotizzando la riconversione dell'apparato produttivo verso l'aviazione civile: viene avviato, ma mai realizzato, il progetto dell'idrovolante per voli transatlantici Ca.8000.


Intanto in marzo, presso le officine decentrate, riprendono, seppur con difficoltà, le attività produttive. Si tratta ora di subforniture per ditte tedesche (Messerschmitt AG, BMW e altre), motori P.VII e P.XI bis e Daimler-Benz DB 605(quest'ultimo in collaborazione con Piaggio, Isotta Fraschini ed Alfa Romeo). Inoltre, per conto della Luftwaffe, viene ripresa la produzione di alcuni Re.2002 oltre all'attività di revisione e riparazione velivoli.
Nell'agosto del 1944 le Reggiane subiscono le requisizioni di macchinari e materiali dei tedeschi accompagnata dal "trasferimento" di una trentina di tecnici in Germania con il compito di fornire assistenza ai Re.2002 incorporati nella Luftwaffe.
Nell'autunno viene completato il prototipo del Re.2006 (MM 540) che non prenderà mai il volo.


Per quanto riguarda il progetto denominato Re.2007 (o Caproni reggiane Re.2008) con l'ala a freccia, sembra fatto "sulla base" dei caccia americani e sovietici della fine degli anni '40.

Sembra ovvio che questo progetto è stato sviluppato per un motore più piccolo dello Jumo. Un simile motore poteva essere a disposizione degli italiani solo molto più tardi del 1944.

Questo sviluppo si riferisce probabilmente agli anni 1949-50; ma per qualche ragione di natura legale e/o di mercato, è stato necessario "ridisegnarlo", indicando una data molto precedente. Un possibile motivo ha un nome: Re.2008.  Questo progetto di caccia ad ala a freccia fu sviluppato dall’ing. Longhi negli Stati Uniti nel 1947-48 con il supporto tecnico del Laboratorio Aeronautico Cornell, dove c'era una galleria del vento ad alta velocità, che all'epoca non era disponibile in Italia.

Ovviamente, Longhi contava di avviare la produzione di Re.2008 in Europa dopo che la Reggiane avrebbe ripreso le sue normali operazioni produttive e commerciali.

Questi piani purtroppo non si materializzarono per ragioni prettamente politiche.

Agli statunitensi non piaceva un tale trasferimento tecnologico, soprattutto da quando l'ing. Longhi, a loro parere, aveva copiato il suo Re.2000 dal velivolo Seversky R-35.

Il Re.2008 era chiaramente ispirato all'aereo statunitense - questa volta l'F-86 Sabre!

Naturalmente, gli americani non erano gli inventori dell'ala spazzata a freccia, ma consideravano questa tecnologia tedesca come un loro trofeo di guerra.

Forse per tale motivo il progetto fantasma "Re.2007" - pur nato prima - fu ufficialmente "creato nel 1944" - come "prova" che gli italiani avevano ricevuto informazioni sulle ali a freccia dai tedeschi già nel corso della guerra…
Il Re.2007 o 2008 (in altre fonti indicate come Caproni- Reggiane Ca.2008 ) era un caccia a reazione ad ala a freccia con un tipo sconosciuto di razzo di propulsione da 2265 kgf. con un compressore assiale.
L'ala aveva un bordo a freccia lungo il bordo anteriore di 36° e un angolo V trasversale negativo (-5°), quattro lamelle sul bordo d'attacco e le creste aerodinamiche a circa metà della campata. Profilo dell'ala - NACA ad alta velocità 66.
La fusoliera del Re.2008 era divisa in 3 sezioni: ciò avrebbe facilitato la sostituzione del motore; inoltre, sulla fusoliera erano ubicati gli aerofreni. Il pozzetto di pilotaggio era sigillato, anche se i suoi vetri avevano un design alquanto arcaico.

Armamento:

quattro cannoni da 20 mm Mauser MG 151, posizionati attorno alla presa d'aria nasale. Sotto l'ala potevano essere trasportati 12 razzi tipo HVAR non guidati.

Caratteristiche prestazionali stimate del Re.2007 con ala a freccia (tra parentesi - Re.2008):

Apertura alare, m - 9.5 (9.0)
Lunghezza, m - 9,0 (12)
Altezza, m - 3,0 (2,75)
Superficie alare, m2 - 17 (16)
Peso a vuoto, kg - 2500 (2400)
Peso al decollo, kg - 3540 (3900)
Il numero massimo di Mach. - 0.85 (0.95)
Tangenza operativa, m - 15.000 (20.000).

L'anno si chiude con il fatturato del settore aeronautico precipitato al 40% del totale.
Nel 1945, in seguito alle distruzioni di guerra e alle condizioni di pace imposte dagli alleati, la divisione aeronautica delle Reggiane cessa di esistere.
I volti, i documenti, le formule stringate dell’addetto amministrativo che indicano il giorno di assunzione, il reparto di assegnazione e le mansioni, il licenziamento e la riassunzione, un permesso, le ferie… Piccole grandi tracce del lavoro e della vita di 22.000 persone: operai, impiegati, progettisti, dirigenti che dal 1904 al 1994 hanno speso i loro giorni, i loro ideali, la loro competenza e perizia, la loro fatica nei 600.000 metri quadrati di capannoni, uffici e servizi a Santa Croce di Reggio Emilia, nelle Officine Meccaniche Reggiane.
Quelle 22.000 cartelle personali sono state al centro di un intervento di riordino recentemente conclusosi con la loro catalogazione e inventariazione ed ora, nel rispetto delle leggi in materia archivistica e di privacy, dal prossimo 2 novembre sono consultabili – su richiesta con un apposito modulo reperibile al Polo archivistico di Reggio Emilia o sul Sito internet dello stesso Archivio Officine Reggiane - da parte di studiosi, ricercatori e famigliari degli stessi ex dipendenti.
Il modulo di consultazione, compilato, andrà consegnato al Polo archivistico che - qualora la documentazione esista ancora: non vi è certezza assoluta, i documenti hanno attraversato un secolo e, la maggior parte di essi, due guerre mondiali con bombardamenti pesantissimi - metterà a disposizione la Cartella richiesta nell’arco di 5 giorni lavorativi.
E’ l’esito recente forse più significativo della prosecuzione del progetto di salvaguardia, riordino e valorizzazione dell’Archivio storico delle Officine Reggiane – disegni tecnici, lucidi, fondo fotografico, cartelle del personale, libri sociali, video e oggetti – donato dall’imprenditore Luciano Fantuzzi, ultimo proprietario delle Officine Reggiane, al Comune di Reggio Emilia.

Le schede.

Gli oltre 22.000 fascicoli individuali sono collocati in ordine alfabetico e distinti fra operai, quadri e dirigenti. Ciascuno di essi racconta la storia personale e lavorativa del dipendente. Le schede individuali che documentano gli stati di servizio, assieme ai singoli fascicoli, rappresentano una fonte di informazione significativa per la quantità e la varietà delle registrazioni riportate e costituiscono lo strumento primario e corrente di informazione sui lavoratori, che l’organizzazione aziendale tiene costantemente aggiornati.

Le foto.

C'è poi un'affascinante percorso fotografico. Le Officine Reggiane, tra il 1937 e il 1981, hanno raccolto un ingente numero di scatti fotografici che testimoniano e raccontano la vita dell'azienda e dei propri dipendenti. Il fondo è costituito da 21.124 immagini, tra negativi su lastra e su pellicola, fotografie a colori e fotografie in bianco e nero, contenuti in 65 scatole di legno e 2 scatoloni, che documentano visivamente la storia secolare dell’azienda.

I disegni tecnici.

In 13 casse di legno e 3 cassettiere sono conservati migliaia di disegni tecnici realizzati dalle Reggiane in quasi 100 anni.

La storia delle Officine Meccaniche Reggiane è una storia del ‘900. La sua genesi, l’epopea e la sua fine si sovrappongono a snodi storico-tematici rilevanti della storia di Reggio Emilia e d’Italia, segnano il percorso di modernizzazione che una città città periferica ha assunto nel corso del secolo scorso.

La storia di questa fabbrica combacia spesso con la storia di una moltitudine di uomini e donne che l’hanno abitata, che hanno ricevuto una educazione politica e lavorativa (dai licenziamenti degli anni ‘50 nasce la piccola-media industria locale e quindi il boom), che vi hanno gioito, combattuto e sofferto. A volte vi sono morti. Questa storia industriale permette di incrociare la storia cittadina con quella italiana in alcuni turning point epocali: il primo e secondo conflitto mondiale, il fascismo con la sua propaganda e la produzione bellica, la Resistenza, la difficile transizione democratica che porta al ridimensionamento della grande fabbrica sino alla storia di lotte e sconfitte operaie e sindacali.

L’Archivio che raccoglie la storia ormai terminata delle Officine Reggiane sarà il progetto per il futuro di Reggio Emilia: all’interno di una enorme aerea industriale dismessa troverà posto l’Archivio del ‘900 della città, accanto al nuovo Polo Tecnologico e di ricerca. Il mito delle Reggiane, insomma, continua.

La nascita, lo sviluppo e il declino delle Officine Meccaniche Reggiane in un arco temporale che si è svolto per quasi l’intero XX secolo sono state l’oggetto della creazione di un autentico mito locale, che fa delle Reggiane “la fabbrica” per antonomasia. E’ stata la più grande industria dell’Emilia Romagna. Rivaleggiava con colossi come Fiat, Breda e Caproni, in alcuni casi condividendone la sorte amara, fino al fallimento. Nei suoi capannoni hanno lavorato decine di migliaia di persone. Quasi non c’è famiglia a Reggio Emilia e nelle città vicine che non abbia avuto un operaio alle Officine. La famiglia che aveva un operaio o impiegato delle Reggiane apparteneva a una élite socio-culturale riconosciuta.

La storia delle Reggiane si sviluppa attorno a cinque aspetti fondamentali: i treni che stanno all’origine della fondazione stessa della fabbrica; gli aerei da guerra che ne costituiscono l’aspetto più famoso; la Resistenza con i suoi martiri del 1943 così come i tanti operai-partigiani; l’epica lotta per la salvezza della fabbrica con la sua occupazione nel 1950-’51; infine la storia dei quartieri operai del Cairo e di Santa Croce.

I treni

Le Reggiane nascono nel 1904, in un’epoca di forte espansione industriale, le ferrovie sono il motore trainante di questo sviluppo. L’iniziativa spetta al modenese Romano Righi e al piemontese Giuseppe Menada, un vero e proprio padre fondatore delle ferrovie italiane, che colgono la sfida di aprire un’officina in un territorio quasi esclusivamente agricolo e di dedicarsi non ai macchinari agricoli, ma ad un settore nuovo ed in pieno sviluppo per il nostro paese.
Le Reggiane costruiscono decine di migliaia di carrozze, locomotive e vagoni merci e si inseriscono pienamente nel tessuto economico e sociale locale: basta citare la fondazione in quegli anni anche del Consorzio Cooperativo delle Ferrovie Reggiane e la costruzione della linea Reggio-Ciano. Si tratta in effetti della produzione di più lunga durata nella storia aziendale, terminata di fatto solamente negli anni ’80 del secolo scorso.

Gli aerei

Nel 1935 la Società Aeronautica Caproni acquista le Reggiane dall’IRI1 e inizia una sua radicale trasformazione da azienda ferroviaria ed agricola in grande complesso militare e aeronautico in particolare. E’ il periodo più famoso e fortunato della fabbrica che arriva ad occupare fino a 12.000 dipendenti nel 1942: le Officine Reggiane sono ora la più importante fabbrica di tutta l’Emilia Romagna ed una delle principali del nostro paese. I suoi aerei da caccia della serie RE equipaggiano oltre all’aeronautica italiana [doc.3] anche quella svedese e ungherese e perfino i tedeschi non disdegnano di armare la Luftwaffe con gli aerei prodotti a Reggio Emilia. [doc.4] Come in tutte le medaglie c’è però un rovescio costituito dai bombardamenti degli angloamericani che nel 1944 demoliscono lo stabilimento e provocano centinaia di morti. Non è un caso che siano state la prima fabbrica aeronautica dell’Alta Italia colpita dopo l’8 settembre 1943: per assicurarsi di raggiungere l’obiettivo gli Alleati inviano 135 bombardieri Lancaster e B 17 nelle giornate del 7 e 8 gennaio 1944.

La lotta per la salvezza

Le Reggiane non si sono di fatto mai più riprese dalla guerra. Per alcuni anni si è tentato di ricostruire gli stabilimenti e di riavviare una produzione efficiente. Nell’estate 1950 la direzione decide di licenziare oltre 2000 dipendenti, circa la metà del totale. Gli operai rispondono con l’occupazione dello stabilimento durata 368 giorni consecutivi, dall’ottobre 1950 a quello successivo. Sarà la più lunga occupazione di una fabbrica nella storia italiana.
Gli operai costruiranno il trattore “R 60” per dimostrare che la “loro” fabbrica era ancora efficiente e che poteva prosperare con nuove produzioni di pace e non più belliche come negli anni precedenti. Nonostante il loro impegno e la solidarietà ottenuta non solo a Reggio Emilia, ma in tutta Italia, l’azienda venne messa in liquidazione. Gli occupanti avranno la soddisfazione di sfilare per le vie cittadine con i primi e unici tre esemplari del trattore “R 60”5, ma alla fine i licenziati saranno migliaia.

I quartieri di Santa Croce e il Cairo

Una necessità che ha sempre avuto l’azienda è stata quella di assumere operai specializzati provenienti da altre città e regioni perché a Reggio Emilia, territorio prevalentemente agricolo, non ve ne erano mai a sufficienza. Per ospitare i nuovi venuti la direzione decise di costruire il primo quartiere operaio reggiano a partire dal 1911: quattro caseggiati uno di fianco all’altro che furono soprannominati “Cairo” perché, dipinti di bianco e isolati rispetto alla fabbrica e alla città, sembravano quasi un villaggio nel deserto. Con l’espansione della fabbrica, accanto a questo primo nucleo, sorse piano piano un complesso urbanistico più ampio che prese il nome di Santa Croce esterna, per distinguerlo dall’omonimo e confinante quartiere interno alle mura del centro storico cittadino. Negli anni del fascismo vennero costruite altre case operaie, il dopo lavoro aziendale, i reparti aeronautici, l’aeroporto, una scuola elementare, una nuova palazzina della direzione a forma di “M” per omaggiare Mussolini, una sede rionale del PNF ed altro ancora. Anche la toponomastica rispecchiava fedelmente la politica del regime.

Presente, passato, futuro

Nonostante l’azienda oggi non esista più, la memoria delle Officine Reggiane è ancora ben viva nella cittadinanza, come dimostra anche il successo numerose iniziative ad esse legate: ogni anno è ancora commemorato l’eccidio del 28 luglio 1943 mentre l’archivio aziendale è costantemente consultato da appassionati, storici, studenti e cittadini. L’area industriale è oggi in gran parte in rovina [doc.12], ma è iniziata una complessa operazione di recupero di alcuni edifici, al termine della quale sarà simbolicamente restituita alla città la sua vecchia fabbrica con spazi sia pubblici che privati.Internet.

(Web, www.archivioreggiane.it, Il Resto del Carlino, novecento.org, Google, Wikipedia)






































Il Reggiane Re 2007, il "Sabre" italiano. 

























































































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