martedì 15 gennaio 2019

La BERETTA “P.M.X.”: la sostituta dell’M 12/S




La BERETTA “P.M.X.”, la sostituta in ordine cronologico dell’M 12/S, è più leggera, più sicura e con un rateo di fuoco quasi doppio.
La nuova PMX da poco tempo è stata consegnata all'Arma dei Carabinieri in un primo lotto di mille pezzi.  E’ l’arma destinata a sostituire gradualmente tutte le pistole mitragliatrici in dotazione alla Guardia di Finanza, alla Polizia di Stato, alla Polizia Penitenziaria etc...
La PM 12/S è stato uno dei più grandi successi della Beretta e tutti noi conosciamo per averla smontata, rimontata e utilizzata in servizio per oltre trent'anni. Un’ eredità pesante quella della PM 12, disegnata nel 1959 dall’ingegnere Domenico Salsa. All’inizio degli Anni 60 venne adottata da oltre 20 paesi: dalla Francia al Venezuela, dalla Tunisia alla Costa Rica, passando per il Vaticano, che ne dotò la sua Gendarmeria. Ancora, venne costruita su licenza, in migliaia di esemplari, in Belgio e Brasile. L’intuizione vincente di Salsa era stata l’”otturatore telescopico” che, avvolgendo la canna per 2/3 della sua lunghezza rendeva la PM12 estremamente compatta e stabile nel tiro. Si tratta sicuramente di una delle più ingegnose realizzazioni della tecnologia armiera del ‘900 ed è considerata unanimemente una delle migliori armi della sua categoria.

Per quanto ancora valida, la PM 12 è un’arma che ha pur sempre più di mezzo secolo di vita e dovrà fisiologicamente lasciare il campo a un nuovo modello. La PMX, pur presentando un design dalle linee decisamente moderne, non si allontana molto dal precedente modello quanto all’estetica, ma se ne distingue per importanti caratteristiche tecniche. 

Innanzitutto il peso: rispetto ai circa 3,4 kg della PM 12, il nuovo modello è più leggero di circa un chilo.  Il peso più leggero si deve al largo uso di polimeri i quali però rivestono solamente l’affusto dell’arma che, per buona parte, è ancora realizzato in acciaio speciale. Al contrario di quanto si potrebbe pensare, la leggerezza dell’arma non inficia minimamente la stabilità e la precisione del tiro, che rimane eccezionalmente controllabile, nonostante il rateo di fuoco quasi raddoppiato. Basti pensare che, a 25 m, è possibile raggruppare cinque colpi singoli con una distanza fra loro di 39 mm. La maggiore precisione si deve anche allo sparo con otturatore chiuso, un’innovazione rispetto a quello con otturatore aperto della PM 12, concezione ancora risalente alle armi della Seconda Guerra mondiale. 

Se la vecchia pistola mitragliatrice poteva sparare circa 550 colpi al minuto, la nuova arma arriva ai 900-1000. Il calibro delle munizioni è rimasto invariato, si tratta del classico 9 mm Parabellum utilizzato anche dalle pistole. 

Novità importanti riguardano anche la leva di selezione che, per passare dalla posizione di sicura al tiro a raffica deve compiere una ampia rotazione. Questo evita il rischio di inserimento involontario del tiro a raffica: un’accortezza voluta dagli stessi Carabinieri, che hanno collaborato attivamente allo sviluppo dell’arma. Soprattutto le Forze dell’Ordine, infatti, abituate a operare in contesti urbani, necessitano particolarmente di un’arma che non riservi «sorprese».  

Inoltre, la sicura è manovrabile su entrambi i lati, così come la manetta di armamento reversibile viene incontro agli operatori mancini. Tutti questi dispositivi, così come il ponticello del grilletto piuttosto ampio, sono stati concepiti per essere azionati anche da una mano con guanto. In generale tutta l’arma è rifinita in modo da poter affrontare climi ostili. Le mire sono ribaltabili per non interferire con eventuali ottiche a riflessione (ma dotate anche in posizione chiusa, di mire d’emergenza) e l’arma può, inoltre, montare lateralmente puntatori laser e luci ad alta intensità.  

Lo smontaggio è facile e non richiede l’uso di attrezzi. Ultimo pregio, il costo dell’arma, che è sicuramente competitivo. Per quanto la PMX non sia dotata di otturatore telescopico, la lunghezza complessiva con calcio ribaltato è identica a quella della PM 12: questa si rivela un’eccellente caratteristica anche per le Forze Armate che, solitamente, utilizzano il ben più ingombrante fucile d’assalto. In particolari ambiti militari e negli spazi ristretti la compattezza della PMX risulta preziosa, ad esempio per gli equipaggi dei carri armati o per i piloti degli elicotteri. 
Per adesso la PMX ha tutti i numeri per bissare a livello mondiale il successo della PM12. 

Si sono rincorse nell'ultimo anno e mezzo le voci secondo cui la Beretta stesse preparando una nuova pistola-mitragliatrice diversa dalla PX4 STORM.
In occasione dell'edizione 2017 del MILIPOL di Parigi, le voci si sono rivelate fondate: Beretta ha infatti presentato al pubblico la pistola-mitragliatrice PMX, ideale rimpiazzo dell'ormai datata Beretta PM12 non solo per i corpi dello Stato italiano ma anche per i mercati internazionali.

Negli ultimi anni abbiamo assistito a una crescita d'interesse per armi ultracorte in calibro da fucile, soprattutto per impieghi di polizia nell'ambito della lotta al terrorismo. Nonostante questo, in tutto il mondo le pistole-mitragliatrici continuano ad avere un ruolo importante in moltissimi impieghi da parte delle Forze dell'Ordine. 
In virtù dei numerosi miglioramenti in termini di funzionalità, maneggevolezza, estetica e tecnica rispetto sia al progetto dell'originale B&T P26 che rispetto agli schemi tecnici di PM12 e Mx4 Storm, e grazie anche all'impiego di materiali estremamente moderni nella costruzione (alluminio macchinato per il semicastello superiore, polimero per quello inferiore) la Beretta PMX rientra appieno nel segmento delle SMG più moderne ed adeguate all'impiego di Polizia sia per usi di controllo del territorio che per unità speciali e protezione ravvicinata.

La Beretta PMX è lunga in tutto 418 mm, che diventano 64 centimetri con il calciolo aperto. Quest'ultimo è in polimero rigido, e garantisce una buona stabilità; in alternativa, in particolar modo per l'impiego da parte di unità speciali, è disponibile un calciolo telescopico in alluminio.
La Beretta PMX funziona a sfruttamento diretto del rinculo, e presenta un otturatore macchinato in acciaio speciale e una doppia molla di recupero. Il ciclo di fuoco avviene ad otturatore chiuso, e il rateo di fuoco nel tiro automatico si attesta sugli 800/900 colpi-minuto circa. Il funzionamento ad otturatore chiuso consente di portare l'arma col colpo in canna e pronta all'impiego in maniera più sicura rispetto a quanto accade con la PM12 e le sue varianti.

La pistola-mitragliatrice Beretta PMX si alimenta tramite caricatori bifilari in polimero traslucido della capacità di trenta colpi calibro 9x19 Parabellum, che consentono un rapido controllo delle munizioni rimaste. A caricatore vuoto, l'otturatore rimane in posizione d'apertura.
Con un caricatore pieno inserito, il peso totale della PMX si attesta sui 2,5 chili: una bella differenza rispetto ai 3,8 chili a pieno carico dell'M12!
Lo spessore dell'arma va da un minimo di 74 ad un massimo di 86 o 100 mm a seconda della posizione del calcio e della manetta d'armamento; un'altra caratteristica che la rende superiore alla PM12 in termini di portabilità ed occultabilità.
Anche la canna della Beretta PMX è in acciaio speciale; è lunga 175 mm e presenta sei rigature destrorse con passo di 1:254 mm; la canna presenta, come tutte le superfici metalliche esterne, un trattamento protettivo resistente ai graffi e alla corrosione, e tre alette in prossimità della volata che la rendono predisposta all'installazione di silenziatori e soppressori di suono per impieghi tattici.

A distinguere nettamente la PMX dai modelli precedenti ci sono anche le caratteristiche di ergonomia e maneggevolezza. La sicura manuale a tre posizioni, che blocca la catena di scatto, è ambidestra, così come lo è il pulsante di sgancio del caricatore; soltanto il pulsante dello Hold-Open si trova sul solo lato sinistro. La manetta d'armamento può essere svitata a mano dalla sua sede e reinserita in posizione speculare per adattare la PMX all'impiego da parte di tiratori destrimani o mancini.
La Beretta PMX presenta una linea di mira di 20 centimetri; viene fornita in dotazione con mire abbattibili della LPA regolabili (quella posteriore per deriva, quella anteriore per elevazione), montate su una rotaia MIL-STD 1913 Picatinny superiore a piena lunghezza che consente l'uso anche di ottiche di puntamento di qualsiasi tipologia. Altre porzioni di rotaia sono posizionate a ore 3, 6 e 9 sull'astina per consentire l'installazione di accessoristica tattica. Sono presenti anche magliette per la cinghia di tracolla su entrambi i lati.

Con la pistola-mitragliatrice PMX, Beretta si lancia nuovamente su un mercato da cui mancava da tempo con un prodotto veramente al passo coi tempi, in grado potenzialmente di guadagnarsi un solido posizionamento in un segmento che, come dicevamo, soffre della concorrenza delle carabine d'assalto in calibro da fucile e delle PDW in calibri proprietari.

Conclusione: non vediamo l'ora di vedere la nuova Beretta PMX in azione, pronta a salvare la vita ai nostri tutori dell’ordine e della sicurezza pubblica!

Qualche prova generale di un rinnovamento in questo segmento di mercato si era visto alcuni anni fa con la pistola mitragliatrice Beretta MX4, versione a raffica della CX4 Storm, prodotta nel 2011 per la polizia di frontiera indiana. 
Ma gli analisti più attenti avevano intuito che non poteva essere quello l’erede della PM12 e infatti al Milipol recentemente svoltosi a Parigi, la Beretta ha presentato il nuovo mitra PMX che anche nell’aspetto fisico ricorda l’illustre predecessore dal quale però si distingue nettamente per il largo impiego di leghe leggere e polimeri che ne riducono il peso. 

Canna e otturatore sono invece ottenute dal pieno in un acciaio speciale in grado di sostenere senza problemi le forti sollecitazioni allo sparo tipiche di un’arma a raffica. 
Anche il trattamento delle superfici è stato curato maniacalmente in modo da preservare il meccanismo dell’arma dai rigori di un ambiente ostile, senza però che questi trattamenti vadano a influenzare negativamente la frizione e i movimenti reciproci delle parti in movimento.

Tutto questo comporta una sostanziale diminuzione del tempo e della frequenza di manutenzione dell’arma.

La PMX è dotata di una sicura a tre posizioni (sicura, colpo singolo, raffica libera) ambidestra, situata sul fusto, facilmente azionabile sia dai tiratori destrorsi sia dai mancini. 
Il comando della sicura manuale agisce sul controcane mentre una seconda sicura automatica intercetta il percussore. L’arma quindi non può sparare accidentalmente in caso di caduta. 
La PMX spara ad otturatore chiuso e quando spara l’ultimo colpo del caricatore, l’otturatore resta aperto, permettendo all’operatore una immediata ed intuitiva ispezione della camera di cartuccia. 
La cadenza di fuoco a raffica libera è di circa 900 colpi al minuto.
Anche il pulsante maggiorato per lo sgancio del caricatore è presente su entrambi i lati dell’arma, assicurando un facile e immediato azionamento anche indossando guanti tattici.
Il caricatore bifilare, che ha una capacità di trenta cartucce, è in plastica trasparente e permette un facile conteggio dei colpi residui, pur garantendo una grande robustezza.
La manetta di armamento è facilmente reversibile da un lato all’altro dell’arma, per adattarsi alla complessione fisica o alle esigenze dell’operatore.
La pistola mitragliatrice Beretta PMX è equipaggiata con quattro slitte Picatinny (MIL-STD-1913) posizionate sopra, sotto e su ciascun lato del receiver, consentendo così il montaggio di illuminatori, puntatori laser e altri accessori come ad esempio una impugnatura supplementare anteriore.
Il calcio è molto leggero ed ergonomico e può essere ripiegato semplicemente premendo un pulsante, portando la lunghezza dell’arma da 640 a 418 millimetri, facilitandone quindi il trasporto e l’occultamento. È disponibile come optional anche un calcio telescopico in alluminio con calciolo in gomma sintetica che permette di controllare meglio il rinculo e accentua la stabilità sulla spalla del tiratore.
Una coppia di magliette presenti alle due estremità della carcassa permettono l’applicazione di una cinghia tattica.
Le mire metalliche della Beretta PMX sono fissate direttamente alla slitta Picatinny superiore e sono facilmente regolabili e amovibili, nel caso si preferisse impiegare sistemi di mira ottici o elettronici. La linea di mira misura 250 millimetri.
Come per tutte le armi per impieghi professionali più moderne, modularità e flessibilità di impiego sono stati considerati come traguardi imprescindibili.
Le procedure per la manutenzione da campo sono state ridotte al massimo in modo da consentire il disassemblaggio in pochi secondi e senza richiedere utensili. 
La Beretta PMX può essere equipaggiata anche con un silenziatore che funziona sia con munizioni subsoniche sia supersoniche. Il peso della Beretta PMX con caricatore vuoto è di 2,5 chilogrammi. Trattandosi di un’arma destinata esclusivamente alle Forze dell’ordine, il prezzo al pubblico è un dato riservato.

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I sottomarini nucleari d’attacco denominati “Victor” in codice NATO



Le classi di sottomarini nucleari d’attacco denominati “Victor” in codice NATO, fanno parte della famiglia di classi di sottomarini nucleari sovietici Progetto 671; essi furono i primi S.S.N. veramente soddisfacenti costruiti in Unione Sovietica. Era composta da 3 diverse generazioni, la migliore delle quali era la terza, la Victor III - Progetto 671RTK. 
Il Victor I era un sottomarino molto idrodinamico, con buone innovazioni rispetto ai progetti precedenti. 



La classe Victor II - Progetto 671PT Semga aveva ricevuto inizialmente la designazione NATO di classe Uniform. Esso nasceva come risposta all'emergenza determinata dal rapporto "Walker": spie americane avevano riferito ai sovietici che i loro sottomarini, pensati per la velocità piuttosto che per la silenziosità, erano tracciabili dal SOSUs e dalle unità della NATO. Il primo tentativo, dopo questo sconcertante rapporto fu proprio questa classe derivata, realizzata in 7 esemplari, che cercava in corso d'opera di rimediare con ridotti risultati all'eccessivo rumore.
I Victor III - 671PTM Ščuka, realizzati in 26 esemplari erano sottomarini d'attacco a propulsione nucleare, molto migliorati, con tanto di sonar rimorchiato in un bulbo posto sui timoni di poppa. Entrati in servizio alla fine degli anni settanta sono rimasti in servizio con successo fino ai tempi d’oggi.
La classe Victor fu originariamente posta in servizio dall'Unione Sovietica intorno al 1967. In URSS furono prodotti come progetto 671 (in russo: Проект 671). Avevano una forma a goccia, che permetteva loro di viaggiare ad alta velocità. Questi SSN furono progettatI principalmente per proteggere la flotta di superficie sovietica e per annientare i sottomarini balistici SSBN della Us Navy. Nel 1959 il compito della progettazione fu assegnato allo SKB-143, uno dei due predecessori (l'altro era OKB-16) del famoso Malachite Central Design Bureau, che sarebbe poi diventato uno dei tre centri di progettazione di sommergibili sovietico-russo, insieme al Rubin Design Bureau e al Lazurit Central Design Bureau.


Victor I

La designazione sovietica Project 671 Yorsh (Ruffe) - è stato il tipo iniziale che è entrato in servizio nel 1967; furono messi in servizio 16 esemplari. Ognuno aveva sei tubi lanciasiluri del tipo 53 e missili da crociera SS-N-15; potevano anche rilasciare mine. I sottomarini avevano una capacità di 24 armi lanciate con tubi o 48 mine; Avevano unalunghezza di 92.5 m.




Victor II

Progetto di designazione sovietica 671RT Syomga (Salmone Atlantico) - entrato in servizio nel 1972; sette esemplari sono stati prodotti negli anni Settanta. Sono stati originariamente designati dalla NATO classe Uniform. Avevano armamenti simili a quelli della classe Victor I. L'Unione Sovietica scoprì attraverso la sua rete di spie che gli americani potevano facilmente seguire i sottomarini della classe Victor II e successivamente arrestò la produzione di questo tipo per progettare la classe Victor III. Erano lunghi 101,8 m.



Victor III

Designazione sovietica Progetto 671RTM/RTMK Shchuka (Pike) - entrato in servizio nel 1979; furono consegnati 25 esemplari entro il 1991. Questi SSN erano più silenziosi dei precedenti, avevano quattro tubi per il lancio di missili SS-N-21 o SS-N-15 e siluri di tipo 53, più altri due tubi per il lancio di missili SS-N-16 e siluri di tipo 65. A bordo potevano essere presenti complessivamente 24 armi lanciate a tubo o 36 mine. La classe Victor III provocò un piccolo terremoto nei servizi segreti della NATO al momento della sua introduzione a causa del particolare pod sul piano di poppa verticale. Si presumeva che fosse l'alloggiamento per una sorta di esotico sistema di propulsione silenziosa, forse un'unità di propulsione magneto-idrodinamica. Un'altra teoria avvalorava la possibilità che si trattasse di una sorta di sistema d'arma. Alla fine, la capsula fu identificata come un alloggiamento idrodinamico per l’array di un sonar passivo trainato e riavvolgibile; il sistema fu successivamente incorporato negli SSN della classe Sierra e Akula. Nell'ottobre 1983 l'array trainato del K-324, un Victor III che operava ad ovest delle Bermuda, si impigliò con l'array trainato della fregata statunitense McCloy. Il K-324 fu costretto ad emergere, permettendo alle forze NATO di fotografare il pod nel suo stato di dispiegamento. La classe Victor III è stata continuamente migliorata durante la costruzione e i modelli di ultima produzione hanno prestazioni acustiche superiori. Erano lunghi 106 m.

Incidenti

Nel 1981 la nave USS Drum si scontrò con un sottomarino di classe Victor III mentre cercava di fotografare la capsula posta sul retro. L'evento fu nascosto alla stampa e mai reso pubblico, anche se costò quasi la vita di alcuni marinai dell’USS Drum.
Il 21 marzo 1984, il K-314 si scontrò con la portaerei USS Kitty Hawk nel mare del Giappone. Nessuna delle due navi fu significativamente danneggiata.
La nave cargo sovietica Bratstvo si scontrò con il sottomarino sovietico K-53 della classe Victor I all'uscita dallo Stretto di Gibilterra nel Mare di Alboran, il 18 settembre 1984.
Il 6 settembre 2006, un Victor III Daniil Moskovskiy subì un incendio alle apparecchiature elettroniche mentre si trovava al largo nel Mare di Barents: persero la vita due membri dell'equipaggio. L’unità aveva 16 anni di servizio ed era in ritardo per la revisione e fu subito trainata nel porto di Vidyayevo.

(Web, Google, Wikipedia, You tube)