Proseguono senza soste i lavori di allestimento della L.H.D. “Trieste” nel cantiere di Castellammare di Stabia (NA).
Nave TRIESTE è dotata di un bacino di sbarco allagabile al di sotto dell'aviorimessa, che consente di utilizzare mezzi anfibi tipo LCM (Landing Craft Mechanized), gommoni a scafo rigido (RHIB), aeroscafi LCAC (noti comunemente come hovercraft), L-CAC e i più innovativi mezzi da sbarco anfibio rapido (L-CAT) in dotazione alle marine NATO ed europee.
A differenza della portaeromobili Cavour, che ha un'unica aviorimessa riconfigurabile in ponte veicoli non allagabile, questa unità dispone, al di sotto del ponte di volo, di due ulteriori ponti, di cui uno è un'aviorimessa di 2300 m² (e 530 metri lineari di corsia per parcheggio mezzi) con paratie rimovibili come nel Cavour (in modo da raggiungere i 2600 m²), collegata ad un ponte inferiore di 2200 m², diviso in un'autorimessa da 700 m² con 253 metri lineari per parcheggio mezzi e in un bacino allagabile (55 m x 15 m), dimensionato per l'ingresso di 4 LCM-1E o 1 LCAC.
Come il Cavour e il Giuseppe Garibaldi, anche il Trieste, sul ponte di volo, è dotato di trampolino di lancio (ski-jump) per facilitare il decollo degli aerei STOVL F-35B, come riportato anche nella scheda tecnica, mantenendo una capacità aerea secondaria da utilizzare in caso di necessità qualora il Cavour non fosse disponibile.
Il gruppo motore ha due assi con eliche pentapala a passo variabile e due timoni compensati a spada, due pinne stabilizzatrici retrattili, due eliche di manovra prodiere ed un'elica di manovra poppiera intubate, che garantiscono una maggiore manovrabilità in spazi ristretti rispetto alla sola accoppiata timoni/eliche.
Il taglio della prima lamiera è avvenuto il 12 luglio 2017 nello stabilimento Fincantieri di Castellammare di Stabia, mentre, poco più di 7 mesi dopo, il 20 febbraio 2018, ha avuto luogo l'impostazione della chiglia sullo scalo del cantiere navale stabiese, dando il via alla costruzione della nave. Essa è stata varata, e contestualmente battezzata il 25 maggio 2019, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, cerimonia cui ha fatto da madrina la figlia.
Si prevede che nave Trieste entri in servizio nel 2022, andando a sostituire il Giuseppe Garibaldi e il San Giusto, che saranno dismessi di conseguenza.
L'unità presenta sistemi d'arma di ultima generazione.
Per quanto riguarda il comparto d'artiglieria, sono presenti:
3 cannoni multiruolo Otobreda 76/62 (due a prua e uno a poppa) del tipo Super Rapido MF Davide, con munizionamento guidato e predisposizione per il nuovo munizionamento Vulcano;
3 torrette mitragliere a controllo remoto OTO Melara 25/80 equipaggiate con un cannone Oerlikon KBA da 25 mm (25x137mm);
2 lanciarazzi OTO Melara ODLS-20 per il lancio di ingannatori (esche elettroniche) subacquei ed aerei.
Il comparto missilistico comprende invece:
predisposizione per 2 lanciatori verticali (VLS Sylver) da 8 celle (uno a prua e uno a poppa) per una capacità totale di 16 missili Aster 15/30.
Anche la sezione sensoristica potrà vantare tecnologie avanzatissime:
PAR SPN-720, radar di approccio di precisione, sistema volumetrico 3D capace di inseguire 300 tracce e 12 bersagli contemporaneamente, portata superiore ai 200 km;
Radar Kronos Power Shield (AESA in banda L), un sistema di sorveglianza multifunzione, con una portata di 1 500-2 000 km;
IFF SIR-M-PA, radar secondario per l'identificazione di navi ed aeromobili;
Radar Kronos bibanda (DBR AESA 4FF): banda C (Kronos Quad - Fitted For) e banda X (Kronos StarFire);
TACAN AN-553/N, per avvicinamenti di precisione ed invio di informazioni agli aerei in volo;
Sistema EWS "Zeus", dotato di un sottosistema di attacco elettronico estremamente potente basato su moduli GaN TRX a stato solido. La componente elettronica di scoperta (EW) è integrata con un RESM (Intercettatore di emissioni Radar), RECM (Ingannatori radar) e CESM (Intercettatore di comunicazioni radio) efficaci sia in alto mare che in acque costiere, con una sorveglianza marittima e valutazione della situazione avanzate tramite ELINT e COMINT avanzati caratteristiche, fino ad un innovativo algoritmo SEI;
Sistema automatico per la direzione delle operazioni di combattimento - SADOC 4.
L'unità presenta un ponte di volo di 230 × 36 m, coprendo così un'area di circa 7400 m², con 9 punti di decollo per elicotteri pesanti o per 4 caccia F-35B.
Inoltre, il ponte può ospitare, in condizioni di piena operatività, circa 14-20 aeromobili in diverse configurazioni (presumibilmente anche 4-6 F-35B a poppa e 8-10 elicotteri a prua). L'aviorimessa di 2600 m² è dimensionata per l'ingresso di massimo 14 aeromobili, anch'essi in diverse configurazioni. Sono infine presenti a poppa due elevatori 15 × 15m per un carico massimo di 42 tonnellate.
Tutte le operazioni di volo sul ponte sono controllate dall'isola di poppa.
Le capacità anfibie della nave sono molto avanzate, essendo queste la principale arma dell'unità.
Il secondo ponte, sotto l'hangar, con un'area di 2300 m², presenta infatti un bacino allagabile 55m x 15m dimensionato per l'ingresso di 4 LCM, denominati LC23, o 1 LCAC / LCAT.
Gli LCM, saranno in grado di trasportare: 1 Ariete, 5 Iveco LMV Lince, oppure 1 Centauro, 1 Freccia o 300 soldati.
Tante polemiche hanno circondato la scelta del nome della nave. In un primo momento infatti si era pensato a Thaon de Revel, un nobile ammiraglio piemontese soprannominato Duca del mare, ma si è preferito il nome “Trieste” in omaggio al centenario del vittorioso esito della Prima guerra mondiale.
Alla più grande ammiraglia navale che l’Italia abbia mai avuto dal dopoguerra si associano anche le sigle LHD, ovvero Landing Helicopter Dock, con l’identificativo ottico L 9890 e, tanto per dare l’idea della sua lunghezza da poppa sino al bulbo di prua. E’ un’unità navale da sbarco e assalto anfibio con una superficie di 2.200 metri quadri, capace di trasportare al suo interno anche i blindati, ruotati o cingolati dell’Esercito con hidro-jet per lo sgancio in mare dalle sue aperture laterali, mentre sull’attrezzato ponte c’è un vero eliporto, ma anche lo spazio per il decollo e l’atterraggio dei tanto discussi F35-B a decollo verticale. Insomma una piattaforma in grado di interagire con molta flessibilità anche con altri aeromobili della coalizione Nato. Sulla falsariga della britannica Queen Elizabet II, la struttura prevede due isole distinte da utilizzare indipendentemente: una novità per le operazioni aeree e navali, certamente un punto in più e non di poco conto rispetto al Garibaldi, al Cavour o alle unità LPD San Giorgio. Sarà anche la sede sul mare del 3. Rgt di Marina San Marco “PER MARE, PER TERRAM”, ma vediamo da vicino le novità: la propulsione rispecchia lo schema CODLAG COmbined Diesel-eLectric And Gas, un sistema già utilizzato sui sommergibili, composto da due motori diesel e turbine a gas in ausilio alla trasmissione elettrica, come prevedono le moderne normative antinquinamento della marina militare. La società Leonardo ha provveduto ad allestire tutta la sofisticatissima componentistica radar, scanner e di ricetrasmissione e avanzatissimi sono i sistemi d’arma di cui dispone, come i tre cannoni Leonardo 76/62 SR, torrette mitragliatrici Oto Melara - Leonardo, e diversi lancia razzi che garantiscono in qualsiasi condizione un’immediata risposta di difesa tra le più avanzate al mondo. Sul ponte e all’interno dell’aviorimessa c’è posto per ben 32 aeromobili, mentre 4.500 metri quadri sono disponibili in un area di coperta per i mezzi ruotati e cingolati. Anche i 50 metri del bacino allagabile, largo 15 dei 47 totali della nave consentiranno una sinergia con tutte le marine della coalizione Nato che potranno ormeggiare all’interno dello scafo della “Trieste” i loro natanti. Nulla quindi da invidiare alla classe Queen Elizabeth, le portaerei della Royal Navy del Regno Unito. Proseguono intanto i lavori di allestimento dei sistemi d’arma e delle componentistiche radar da parte di Leonardo, e la sua definitiva consegna è prevista per il 2022.
Entrando nel merito dei dettagli tecnici, la Trieste (distintivo ottico L 9890) è un’unità LHD (Landing Helicopter Dock) configurata per l’espletamento delle missioni di volo e lo sbarco anfibio, ha una lunghezza di 214 metri estendibili fino a 245 metri, un dislocamento pari a 30mila tonnellate (in condizioni di pieno carico può arrivare intorno le 33mila tonnellate) e dispone di un sistema di propulsione CODLOG (combined diesel electric or gas) in grado di sospingerla ad una velocità massima di 25 nodi.
Il Trieste rappresenta l’unità di superficie italiana più imponente che sia mai stata progettata dal secondo dopoguerra in avanti e pertanto costituisce un grande successo realizzativo per la Marina Militare e l’industria navale nazionale, ed in particolare Fincantieri che ha messo in essere il progetto.
La conduzione delle operazioni aeree è assicurata da un ponte di volo, caratterizzato da una lunghezza di 230 mt ed una larghezza di 36 mt, che permette il dispiego di elicotteri, ma anche di aeromobili V/STOL come gli F35-B, grazie all’integrazione subito dopo il varo di uno ski-jump per agevolare il decollo degli aerei stealth.
Dalla parte di prua è invece presente un bacino allagabile delle dimensioni 50x15mt, adibito all’imbarco dei mezzi anfibi d’assalto della marina italiana e delle marine NATO potendo così agire in un contesto di interoperabilità.
Per quanto concerne le capacità di trasporto, un garage di 4500m², permette di poter sistemare un considerevole quantitativo di veicoli sia gommati che cingolati, nonché ospitare una forza reggimentale da sbarco di 600 uomini, specificamente gli uomini della Brigata San Marco.
Dal punto di vista dell’impiego operativo, per mezzo del suo assetto multiruolo e delle sue capacità dual use è in grado di assolvere una molteplicità di compiti, anche in maniera simultanea, di carattere sia militare che civile, operando in contesti geografici nazionali, regionali ed internazionali.
Date le sue caratteristiche militari la sua principale missione è la proiezione di forza dal mare tramite operazioni di tipo aereo e di sbarco anfibio, ma anche operazioni di tipo logistico come il trasporto di mezzi, uomini e materiali.
Al suo interno è stata predisposta anche una struttura ospedaliera con apposite sale operatorie e stanze per la lunga degenza, che verrà integrata con personale medico imbarcato specializzato nel prestare servizi di primo soccorso ed effettuare interventi di vario genere.
Inoltre potrà prontamente intervenire nei casi di crisi umanitaria, di calamità naturali e in situazioni di emergenza svolgendo attività che rientrano nelle funzioni della protezione civile, quali la fornitura di beni di prima necessità e di medicinali, l’erogazione di energia elettrica e il soccorso medico-sanitario. Nei casi più gravi sarà anche capace di predisporre operazioni di evacuazione di civili dalla terraferma.
Una volta che la Trieste diventerà a tutti gli effetti operativa concorrerà, insieme alla portaerei Cavour e alle altre unità navali della Marina Militare, a ritrovare quella forza e quel prestigio di cui l’Italia necessita per stabilire un ruolo strategico di primo piano nel Mediterraneo.
La LHD TRIESTE è una vera e propria città militare galleggiante, in grado di ospitare più di mille uomini, ma l’aspetto interessante è la sua versatilità che la rende un vero gigante multiruolo.
(Web, Google, Wikipedia, forumfree.it, You Tube)
Il Centauro 2.
Il Freccia
Il LINCE 2
La MM italiana sta seriamente pensando al'imbarco di un converti-plano simile al MH 22 dell'U.S.M.C.
26 aprile 1986, ore 1:23:40 secondi: esplode il reattore nucleare tipo “RBMK” di Černobyl’
“RBMK” è un acronimo, dal russo, per Reaktor Bolšoj Moščnosti Kanalnyj (in russo: Реактор Большой Мощности Канальный) che significa "reattore di grande potenza a canali" e descrive una classe di reattori nucleari che furono prodotti solamente in Unione Sovietica. Nel 2019, 10 reattori di questa tipologia sono ancora operanti in Russia (l'ultimo RBMK-1500 lituano è stato spento il 31 dicembre 2009).
Storia
I reattori RBMK furono il punto culminante del programma sovietico per produrre un reattore di potenza raffreddato ad acqua basato sui reattori militari per la produzione di plutonio moderati a grafite.
Il primo di questi, AM-1 (Atom Mirny atomo pacifico) fu progettato per produrre 5 MWe (30 MW termici) e funzionò a Obninsk dal 1954 al 1959. Malgrado il suo nome, fu progettato sia per produrre plutonio, per impieghi militari, che per produrre energia elettrica.
Usando acqua leggera per il raffreddamento e grafite come moderatore è possibile utilizzare uranio naturale come combustibile. Così si rendeva possibile la costruzione di reattori di grande potenza che non richiedevano uranio arricchito e acqua pesante e quindi con costi di costruzione e gestione decisamente minori rispetto ad altre tipologie.
Il reattore 1 della centrale di Leningrado (Primo RBMK entrato in servizio), è stato disattivato il 21 dicembre 2018, quasi in concomitanza con la connessione alla rete del primo dei 4 VVER-1200 che andranno progressivamente a sostituire i 4 RBMK.
Caratteristiche tecniche
Il tipo di reattore russo “Reaktor Bolšoj Moščnosti Kanalnyj” che significa "Reattore di Alta Potenza a Canali", un reattore moderato a grafite e refrigerato con acqua bollente. Il nocciolo consiste in un cilindro di grafite al cui interno passano numerosi canali, entro alcuni dei quali sono posizionate le barre di combustibile in uranio arricchito[1] raffreddate da acqua leggera in cambiamento di fase, mentre in altri sono fatte alloggiare le barre di controllo, inserendo o estraendo le quali si modula la potenza termica prodotta. L'acqua leggera assorbe i neutroni abbastanza facilmente creando un effetto avvelenante che viene controbilanciato da un effetto moderante: a seconda delle caratteristiche di un nocciolo, la formazione di bolle di vapore ("vuoti") possono portare ad un aumento o ad una riduzione delle reazioni di fissione nel combustibile. In un reattore raffreddato ad acqua leggera di tipologia BWR, ove il moderatore è l'acqua di raffreddamento stessa, la formazione di vuoti porta alla diminuzione dell'effetto moderante dei neutroni; nei reattori RBMK l'effetto di moderazione dell'acqua è modesto, se confrontato con quello della grafite, e prevale la sua funzione di assorbitore, cosicché l'effetto complessivo può essere positivo, cioè all'aumentare del vapore si ha un aumento della reattività e quindi della potenza, che va a generare a sua volta maggiore vapore. Ciò genera un effetto di retroazione tecnicamente detto coefficiente di vuoto positivo, caratteristico anche dei reattori canadesi.
I reattori RBMK vennero progettati con un coefficiente di potenza negativo alle alte potenze ma positivo alle basse potenze: come conseguenza, alle basse potenze termiche possono verificarsi escursioni di reattività.
Tutte queste caratteristiche degli RBMK diventarono di dominio pubblico nel 1986 quando in uno dei quattro reattori RBMK della centrale di Černobyl' avvenne uno dei più gravi incidenti accaduti ad una centrale nucleare civile.
Versioni o modelli derivanti
RBMK1500
Versione potenziata ad un totale di 4800 MW termici con una produzione di 1500 MW elettrici, come l'RBMK-1000 anche l'RBMK-1500 erano costituiti da 1661 canali combustibile e 211 per le barre di controllo, erano state implementate alcune migliorie ai sistemi d'emergenza.
Gli unici RBMK-1500 mai entrati in servizio furono i reattori 1 e 2 della centrale di Ignalina (Lituania) la cui potenza, a seguito di alcuni inconvenienti, fu diminuita a 1185 MW.
Era prevista la costruzione di ulteriori 4 reattori; l'unità 3 (Costruzione abbandonata all'80%) e 4 di Ignalina, e due unità a Kostroma.
EGP-6
Una versione a scala ridotta del modello maggiore.
Struttura di contenimento
I progetti dei reattori RBMK includevano vari tipi di sistemi di contenimento necessari per le normali operazioni. Il contenimento principale era costituito da un guscio metallico a tenuta stagna riempito di gas inerte (azoto) allo scopo di impedire alla grafite (la cui temperatura di fusione è di circa 700 °C) di entrare in contatto con l'ossigeno atmosferico. La grafite formava una serie di schermature che assorbivano le radiazioni provenienti dal nocciolo. Il contenitore esterno era composto da calcestruzzo. Molti dei macchinari interni al reattore erano previsti per essere sospesi alla copertura, incluse le condutture dell'acqua di raffreddamento.
Inizialmente il progetto dei RBMK, prese in considerazione solamente la prevenzione ed il contenimento di incidenti di modesta entità. Dopo l'incidente della centrale nucleare di Three Mile Island venne aggiunto ai RBMK una struttura, solo parziale, per gestire gravi incidenti. Tutti i locali che ospitano condutture di grande diametro al di sotto del reattore sono collegate ad una struttura colma di acqua.
In caso di rottura di queste condutture il vapore viene così convogliato nelle piscine di soppressione.
La scelta di permettere che i reattori RBMK prevedessero il ricambio continuo nel nocciolo sia delle barre di combustibile che del materiale per la produzione di plutonio a scopi militari, senza dover spegnere il reattore, richiese l'inserimento di una grande gru all'interno del contenitore del reattore. Tutto ciò ebbe come risultato che i reattori risultarono molto alti (oltre 70 metri) rendendo difficoltosa la realizzazione di un contenimento.
Miglioramenti conseguenti all'incidente di Černobyl’
Dopo l'incidente di Černobyl' tutti i reattori RBMK rimanenti hanno lavorato con un numero ridotto di elementi di combustibile, ma soprattutto contenenti uranio maggiormente arricchito, permettendo quindi una operatività più sicura. I sistemi di controllo sono stati ugualmente migliorati, in particolare eliminando i terminali di grafite dalle barre di controllo in modo da eliminare l'immediato aumento di potenza che si verificava al momento dell'inizio dell'inserimento. Questa particolarità è una delle cause dell'incidente di Černobyl', quando le barre vennero inserite all'interno del nocciolo subito dopo aver premuto il tasto di scram per l'arresto di emergenza (tasto AZ5) dato che la potenza aumentava notevolmente.
Il reattore MKER
Una evoluzione della filiera è il MKER (in russo: МКЭР, Многопетлевой Канальный Энергетический Реактор, Mnogopetlevoj Kanalnyj Ėnergetičeskij Reaktor che significa Reattore di potenza a tubi in pressione a più loop), che ha aumentato i sistemi di sicurezza e contenimento.
Il prototipo della filiera è il reattore 5 della centrale di Kursk. La cui costruzione, nella versione MKER1000, si è poi interrotta nel 2012. Ulteriori evoluzioni erano prospettate nel MKER800 e nel MKER1500 che erano pianificate per la centrale di Leningrado.
Il disastro di Černobyl' avvenne il 26 aprile 1986 alle ore 1:23:40 secondi, presso la centrale nucleare V.I. Lenin, situata in Ucraina settentrionale (all'epoca parte dell'Unione Sovietica), a 3 km dalla città di Pryp"jat' e 18 km da quella di Černobyl', 16 km a sud del confine con la Bielorussia. È stato il più grave incidente nucleare mai verificatosi in una centrale nucleare, e uno dei due incidenti classificati come catastrofici con il livello 7 (massimo della scala INES) dall'IAEA, insieme all'incidente avvenuto nella centrale di Fukushima Dai-ichi nel marzo 2011.
Le cause furono indicate variamente in gravi mancanze da parte del personale, sia tecnico sia dirigenziale, in problemi relativi alla struttura e alla progettazione dell'impianto stesso e della sua errata gestione economica e amministrativa. Nel corso di un test definito "di sicurezza", il personale si rese responsabile della violazione di svariate norme di sicurezza e di buon senso, portando a un brusco e incontrollato aumento della potenza (e quindi della temperatura) del nocciolo del reattore n. 4 della centrale: si determinò la scissione dell'acqua di refrigerazione in idrogeno e ossigeno a così elevate pressioni da provocare la rottura delle tubazioni del sistema di raffreddamento del reattore. Il contatto dell'idrogeno e della grafite incandescente delle barre di controllo con l'aria, a sua volta, innescò una fortissima esplosione, che provocò lo scoperchiamento del reattore e di conseguenza causò un vasto incendio.
Una nuvola di materiale radioattivo fuoriuscì dal reattore e ricadde su vaste aree intorno alla centrale, contaminandole pesantemente e rendendo necessaria l'evacuazione e il reinsediamento in altre zone di circa 336 000 persone. Nubi radioattive raggiunsero anche l'Europa orientale, la Finlandia e la Scandinavia con livelli di contaminazione via via minori, toccando anche l'Italia, la Francia, la Germania, la Svizzera, l'Austria e i Balcani, fino a porzioni della costa orientale del Nord America.
Un rapporto del Chernobyl Forum redatto da agenzie dell'ONU (OMS, UNSCEAR, IAEA e altre) conta 65 morti accertati e più di 4 000 casi di tumore della tiroide fra quelli che avevano fra 0 e 18 anni al tempo del disastro, larga parte dei quali probabilmente attribuibili alle radiazioni. La maggior parte di questi casi è stata trattata con prognosi favorevoli. Al 2002 si erano contati 15 morti ufficiali: a tutt’oggi alcune fonti parlano di circa 300.000 deceduti a causa dell’esposizione ai micidiali radionuclidi!.
I dati ufficiali sono contestati da associazioni antinucleariste internazionali, fra le quali Greenpeace, che presenta una stima fino a 6.000.000 di decessi su scala mondiale nel corso di 70 anni, contando tutti i tipi di tumori riconducibili al disastro secondo il modello specifico adottato nell'analisi. Il gruppo dei Verdi del parlamento europeo, pur concordando con il rapporto ufficiale ONU per quanto riguarda il numero dei morti accertati, se ne differenzia e lo contesta sulle morti presunte, che stima piuttosto in 30 000-60 000.
La natura dell'incidente
Alle ore 1:23:45 (ora locale) del 26 aprile 1986, il reattore nº 4 esplose. Si trattò di una liberazione di vapore surriscaldato ad altissima pressione che sparò in aria il pesante disco di copertura – oltre 1.000 tonnellate – che chiudeva il cilindro ermetico contenente il nocciolo del reattore. All'esplosione del contenitore seguì il violento incendio della grafite contenuta nel nocciolo. L'incendio, in alcune ore, disperse nell'atmosfera un'enorme quantità di isotopi radioattivi, i prodotti di reazione fissili contenuti all'interno. Fu il primo incidente nucleare a essere stato classificato come livello 7, il massimo livello della scala INES degli incidenti nucleari.
Le esplosioni non furono di tipo nucleare – non si trattò di una reazione a catena incontrollata di fissione nucleare come avviene nelle bombe atomiche – bensì ebbero una causa chimica: il surriscaldamento del nocciolo, dovuto all'improvvisa perdita di controllo sulla reazione nucleare, portò al raggiungimento di una temperatura elevatissima che fece arrivare la pressione del vapore dell'impianto di raffreddamento a un livello esplosivo. Si innescarono, inoltre, reazioni fra le sostanze chimiche contenute (acqua e metalli), inclusa la scissione dell'acqua in ossigeno e idrogeno per effetto delle temperature raggiunte, che contribuirono a sviluppare grandi volumi di gas.
L'istituzione delle Nazioni Unite chiamata UNSCEAR (United Nations Scientific Committee on the Effects of Atomic Radiation, Comitato scientifico delle Nazioni Unite per lo studio degli effetti delle radiazioni ionizzanti) ha condotto per 20 anni una dettagliata ricerca scientifica ed epidemiologica sugli effetti del disastro. A parte i 57 decessi direttamente ascrivibili all'incidente, l'UNSCEAR ha originariamente predetto fino a 4 000 casi di tumori da attribuire all'incidente.
Tuttavia, il tumore della tiroide è generalmente trattabile. Previo un proprio trattamento, il grado di sopravvivenza per tumori della tiroide è del 96% nei primi cinque anni, e del 92% dopo 30 anni. Tali valori suggeriscono fino a circa altri 500 decessi annui per questa patologia.
La centrale
La centrale di Černobyl' è situata vicino all'insediamento di Pryp"jat', in Ucraina, 18 km a nord-ovest della città di Černobyl' e 110 km a nord della capitale, Kiev, e dista 16 km dal confine con la Bielorussia.
L'impianto era composto da quattro reattori, ognuno in grado di produrre 1 gigawatt di energia elettrica (3,2 gigawatt di energia termica); i quattro reattori, insieme, producevano circa il 10% dell'elettricità ucraina. La costruzione dell'impianto ebbe inizio negli anni settanta, il reattore nº 1 fu consegnato nel 1977, e fu seguito dai reattori 2 (1978), 3 (1981) e 4 (1983). Altri due reattori (i 5 e 6, da 1 GW ciascuno) erano in fase di costruzione quando si verificò l'incidente.
I reattori erano di tipo RBMK-1000, un reattore a canali, moderato a grafite e refrigerato ad acqua. Una caratteristica di questo reattore è quella di avere un coefficiente di vuoto positivo alle basse potenze: cioè, con l'aumentare della temperatura del refrigerante, in esso si formano delle sacche di vapore (dette appunto "vuoti") che causano l'aumento, anziché la diminuzione, della reazione a catena. Questa caratteristica è comune anche con alcuni reattori CANDU. In un ipotetico reattore "intrinsecamente sicuro", se il liquido refrigerante manca, il reattore dovrebbe essere in grado di spegnersi autonomamente senza interventi umani o di mezzi meccanici. Nei reattori con uno standard di sicurezza accettabile devono essere comunque evitate le caratteristiche costruttive che implicano un aumento della reazione in caso di malfunzionamento. Il reattore RBMK ha anche un coefficiente di potenza (è la risultante fra il coefficiente di vuoto e il coefficiente di carburante) positivo: cioè, al crescere della potenza termica erogata, si produce anche un aumento della reazione nucleare nel nocciolo. Infatti all'aumentare della temperatura aumenta il coefficiente di carburante che riguarda la sezione d'urto per la cattura di uranio e plutonio; se scende sotto la soglia di 700 MW il sistema diventa instabile.
Lo scopo del reattore era la produzione di elettricità per uso civile e di plutonio per uso militare. Per aumentare l'efficienza del sistema erano state adottate alcune soluzioni tecniche che di fatto ne diminuivano la sicurezza, ad esempio la scelta della grafite come moderatore accoppiata all'uso dell'acqua leggera come refrigerante, soprattutto per migliorare l'economia neutronica e facilitare quindi la produzione di plutonio-239: ai progettisti era noto il fatto che i coefficienti di vuoto e potenza positivi, in aggiunta a un refrigerante che assorbe neutroni come l'acqua e a un moderatore solido (grafite), erano caratteristiche che in determinate condizioni avrebbero potuto rendere instabile il reattore.
Poco dopo il suo completamento, fu aperta un'indagine a cura del KGB per verificare le effettive carenze strutturali e l'eventuale povertà di materiali usati.Lo stesso presidente di allora del KGB, Jurij Vladimirovič Andropov, si assunse la responsabilità di verificare di persona la correzione degli errori strutturali.
L’incidente
Il 26 aprile 1986 alle ore 01:23:45 locali la centrale stava effettuando un esperimento definito come test di sicurezza: si voleva verificare se, in assenza di alimentazione esterna, la turbina accoppiata all'alternatore potesse continuare a produrre energia elettrica sfruttando l'inerzia del gruppo turbo-alternatore anche quando il circuito di raffreddamento non producesse più vapore, per alimentare le pompe di circolazione. Per consentire l'esperimento vennero disabilitati alcuni circuiti di emergenza. Il test mirava a colmare il lasso di tempo di 40 secondi che intercorreva tra l'interruzione di produzione di energia elettrica del reattore e l'intervento del gruppo diesel di emergenza. Questo avrebbe aumentato la sicurezza dell'impianto, che avrebbe provveduto da solo a far girare l'acqua nel circuito di raffreddamento fino ad avvenuto avvio dei diesel.
Le cause
Riguardo alle cause dell'incidente sono state pubblicate due tesi: la prima, contenuta nel rapporto pubblicato dalle autorità nell'agosto 1986, attribuiva la responsabilità interamente agli operatori dell'impianto; la seconda, in un secondo studio pubblicato nel 1991, evidenziava anche il ruolo delle gravi debolezze intrinseche di progettazione del reattore nucleare RBMK; un elemento importante, tra gli altri, risultò essere un errore nella progettazione delle barre di controllo.
Le conclusioni delle inchieste appaiono contrastanti nel giudizio di attribuzione di responsabilità, ma, a prescindere dalle valutazioni di responsabilità riguardo singole persone o azioni umane, i dati comunemente accertati sono che, nel suo complesso, l'evento appare come il risultato di un'impressionante somma di fattori di rischio, ovvero di una catena di errori e mancanze, riguardanti sia le caratteristiche intrinseche fondamentali del tipo di macchina, sia errori di progetto in alcuni particolari meccanici, sia il sistema di gestione economico e amministrativo (per cui la centrale elettrica risultava priva di personale qualificato sulle caratteristiche tecniche dell'impianto), infine per la scelta del personale direttivo di effettuare un rischioso "esperimento" che, essenzialmente, portò all'incidente mentre veniva effettuato con errori di coordinamento e manovre particolarmente incaute e sfortunate.
Un dato importante è che gli operatori della centrale non erano a conoscenza dei problemi tecnici del reattore. Secondo uno di loro, Anatolij Djatlov, i progettisti sapevano che il reattore era pericoloso in certe condizioni, ma avevano nascosto intenzionalmente tale informazione ai tecnici. Le caratteristiche del reattore RBMK non dovevano essere rese note al pubblico o a operatori civili, essendo trattate dalle autorità come questioni militari. Per giunta, il personale dell'impianto era composto per la maggior parte da operatori non qualificati per il reattore RBMK: il direttore, V. P. Brjuchanov, aveva esperienza di impianti a carbone; anche il capo ingegnere, Nikolaj Fomin, proveniva da impianti convenzionali, e Anatolij Djatlov, capo ingegnere dei reattori 3 e 4, aveva solo un limitata esperienza con reattori nucleari (per lo più su piccoli esemplari di reattori VVER progettati per i sottomarini nucleari sovietici).
I principali fattori determinanti furono:
Il reattore RBMK ha un coefficiente di vuoto positivo: questo significa che le bolle di vapore, che si formano nell'acqua usata come refrigerante, incrementano la reazione nucleare. Ancora peggio, alle basse potenze, il coefficiente positivo di vuoto non è compensato da altri fattori, rendendo il reattore instabile e pericoloso in tali condizioni.
Il reattore RBMK presentava un difetto nelle barre di controllo (oggi corretto). Normalmente inserendo le barre di controllo in un reattore nucleare si riduce la reazione. Nel reattore RBMK le barre di controllo terminano con gli "estensori" (la parte finale lunga circa 1 metro) in grafite, mentre la parte funzionale, che riduce la reazione assorbendo neutroni, è in carbonato di boro. Questo significa che quando si inseriscono le barre, gli estensori rimpiazzano l'acqua refrigerante (che assorbe neutroni) con la grafite (che fa da moderatore di neutroni) e quindi inizialmente, per pochi secondi, si ottiene un significante incremento della reazione. Questo comportamento contro-intuitivo era ignoto agli operatori della centrale. Tale anomalia aveva creato un problema nel 1983 nella centrale nucleare di Ignalina, in Lituania, con un reattore dello stesso tipo.
Le condotte dell'acqua nel nocciolo scorrono in direzione verticale (come peraltro in moltissime tipologie di reattori). Questo crea un gradiente di temperatura (la temperatura dell'acqua aumenta salendo) nei tubi; inoltre il sistema diviene sempre meno efficiente all'aumentare della temperatura (il "tappo" di acqua più calda nella cima delle tubazioni riduce l'efficacia del refrigerante).
Inoltre il direttore dell'esperimento, Anatolij Djatlov, commise diverse gravissime violazioni delle procedure e questo, insieme alla scarsa comunicazione tra gli addetti alla sicurezza e gli operatori che dovevano condurre l'esperimento, contribuì all'incidente. L'operatore Aleksandr Akimov contestò a Djatlov di voler disinserire tutti i sistemi automatici di sicurezza, ma fu minacciato di licenziamento.
Dunque, gli operatori Aleksandr Akimov e Leonid Toptunov:
Disattivarono i sistemi di sicurezza del reattore, il che era proibito dai manuali operativi dell'impianto.
Secondo il rapporto dell'agosto 1986 della commissione governativa, controllato il registro, gli operatori estrassero completamente dal nocciolo 198 barre di controllo delle 211 presenti, lasciando così inserite solo 13 barre. Anche questa condizione è vietata dai manuali operativi che pongono a 15 il numero minimo assoluto di barre per la sicurezza del reattore RBMK-1000 in funzione.
Nel 1982, il reattore nº 1 dello stesso impianto, sempre a causa di manovre errate effettuate dal personale tecnico, aveva subìto la distruzione dell'elemento centrale del reattore. L'esplosione, seppur più piccola di quella del 26 aprile 1986, aveva causato rilascio di radioattività nell'atmosfera. Il fatto non era stato reso pubblico prima dell'incidente del 1986. All'epoca perciò non erano state adottate misure di sicurezza nemmeno sulla scorta del precedente e l'impianto non era stato assolutamente migliorato per far fronte a eventuali futuri problemi.
Gli eventi:
Il 25 aprile 1986 era programmato lo spegnimento del reattore nº 4 per normali operazioni di manutenzione. In occasione di questa prevista fermata si decise di eseguire un test per valutare la capacità del gruppo turbine/alternatore di generare, attraverso l'energia cinetica della rotazione per inerzia delle turbine, elettricità sufficiente per alimentare i sistemi di sicurezza e di raffreddamento anche in assenza di produzione di vapore dal reattore nella primissima fase di transizione in attesa dell'attivazione dei generatori di emergenza, simulando uno scenario di improvvisa mancanza dell'alimentazione elettrica esterna. I reattori come quello di Černobyl' (ma normalmente anche le altre tipologie di impianto) hanno dei generatori diesel di emergenza a questo scopo, che però non sono avviabili istantaneamente e richiedono circa 40 secondi perché entrino in funzione. Il test era già stato condotto su un altro reattore, ma con tutti i sistemi di sicurezza attivi e in condizioni operative differenti, e aveva dato esito negativo, cioè l'energia elettrica prodotta sfruttando la sola inerzia delle turbine era stata insufficiente ad alimentare le pompe. Erano state apportate quindi delle migliorie alle turbine, che richiedevano un nuovo test di verifica.
La potenza del reattore nº 4 doveva essere ridotta, dai nominali 3,2 GW a circa 1 GW termico, per condurre il test in sicurezza. Si cominciò a ridurre gradualmente la potenza fino al 50% della nominale, ma il test fu interrotto da un imprevisto: una centrale elettrica regionale ebbe un guasto e fu richiesto di non ridurre ulteriormente la fornitura di energia elettrica fino a quando la centrale guasta non fosse stata ripristinata, cosa che avvenne dopo circa 9 ore.
Fu dunque fissato un nuovo orario per il test, l'una di notte, ma mentre gli operai del turno di giorno erano stati ben istruiti e preparati alle procedure del test, il turno di notte avrebbe solamente dovuto controllare i sistemi basilari di raffreddamento in una centrale essenzialmente spenta; nessuno fra gli operatori del turno di notte aveva una chiara idea di ciò in cui consisteva la prova né era addestrato a condurla. Inoltre, la squadra di ingegneri elettrici che avrebbe dovuto supervisionare le operazioni era esausta e poco lucida per la lunga attesa. L'idea stessa di un incidente nucleare era peraltro inconcepibile per gli operatori che, si può dire, avevano "troppa fiducia" nel reattore, e non si fecero scrupoli a disabilitare i dispositivi di sicurezza e correre dei rischi non necessari. Infine, durante la notte non vi era in sala controllo un ingegnere che avesse piena conoscenza di tutte le caratteristiche specifiche di questa tipologia di reattore.
Per motivi non chiariti, il responsabile di turno dell'operatività del reattore commise un errore e introdusse le barre di controllo troppo in profondità, causando conseguentemente un crollo della potenza oltre il previsto, raggiungendo il livello bassissimo di soli 30 MW termici. Intervenne quindi un effetto di feedback dovuto alla produzione di xeno-135 nella fase di bassa potenza del reattore. Normalmente lo xeno-135, un assorbitore di neutroni che si crea durante il funzionamento del reattore come prodotto di fissione primario (e dal decadimento del tellurio-135), è in una concentrazione di equilibrio proporzionale alla potenza del nocciolo (o meglio al flusso neutronico termico) e tende invece ad aumentare in quantità (e quindi nella capacità di assorbimento neutronico) nella prima fase di riduzione della potenza per poi, con la prevalenza del decadimento rispetto alla sua produzione, a scomparire. Come conseguenza del calo della potenza, la concentrazione di xeno-135 aumentò considerevolmente e insieme quindi all'assorbimento dei neutroni, facendo crollare ulteriormente la potenza generata e creando allo stesso tempo il pericoloso effetto di mascherare la reale reattività del nucleo (che si sarebbe successivamente rapidamente manifestata quando la concentrazione di xeno avesse cominciato a diminuire).
Sebbene il calo di potenza fosse vicino al massimo ammesso dalle norme di sicurezza (l'instabilità del reattore alle basse potenze era nota), si decise di non eseguire lo spegnimento completo e di continuare l'esperimento. Probabilmente gli operatori non erano al corrente del comportamento dello xeno-135, e pensavano che il crollo della potenza fosse dovuto al malfunzionamento dei regolatori automatici di potenza. All'1:05 del 26 aprile, come previsto dalla pianificazione del test, furono attivate delle pompe di alimentazione extra, ma la quantità di acqua immessa superò all'1:19 i limiti di sicurezza, con l'effetto di ridurre ancor di più la potenza del reattore per le proprietà avvelenanti dell'acqua leggera. Con una manovra contraria alle procedure corrette, per accelerare la risalita della potenza e quindi affrettare la conclusione dell'esperimento, furono estratte tutte le barre di controllo eccetto 7, incluse molte barre di controllo manuali, ben oltre i limiti delle norme di sicurezza che prevedono di lasciare almeno 30 barre di controllo inserite. La potenza fu così fatta risalire gradualmente fino a 200 MW termici (comunque meno di un terzo del minimo richiesto).
L'azione di rimozione delle barre di controllo manuale aveva portato il reattore in una situazione molto instabile e pericolosa, all'insaputa degli operatori. La reale attività del reattore era mascherata dall'eccesso di xeno-135 e dell'acqua di raffreddamento, e non era riportata in alcun modo sui pannelli di controllo; nessuno degli operatori in sala controllo era conscio del pericolo. Come se non bastasse, l'aumento di acqua oltre i limiti di sicurezza aveva portato a una diminuzione critica della produzione di vapore e ad altri cambiamenti di parametri che normalmente avrebbero causato lo spegnimento automatico del reattore; tuttavia, anche lo spegnimento automatico era stato disabilitato manualmente. Furono disattivati anche diversi altri sistemi automatici (ad esempio il raffreddamento di emergenza del nocciolo, la riduzione di emergenza della potenza, e via dicendo).
Alle 1:23:04 si iniziò l'esperimento vero e proprio. Venne staccata l'alimentazione alle pompe dell'acqua, che continuarono a girare per inerzia. La turbina fu scollegata dal reattore; con la diminuzione del flusso dell'acqua e il conseguente surriscaldamento, i tubi si riempirono di sacche di vapore. Il reattore RBMK, nelle delicate condizioni in cui venne portato, ha un coefficiente di vuoto positivo e quindi la reazione crebbe rapidamente al ridursi della capacità di assorbimento di neutroni da parte dell'acqua di raffreddamento, diventando sempre meno stabile e sempre più pericoloso. Il coefficiente di vuoto positivo crea così un circolo vizioso: aumentando la temperatura dell'acqua aumentano le sacche di vapore che accelerano la reazione creando ancora più calore che a sua volta fa aumentare ancora la temperatura dell'acqua.
Alle 1:23:40 gli operatori azionarono il tasto AZ-5 (Rapid Emergency Defense 5) che esegue il cosiddetto "SCRAM", cioè l'arresto di emergenza del reattore che inserisce tutte le barre di controllo incluse quelle manuali incautamente estratte in precedenza. Non è chiaro se l'azione fu eseguita come misura di emergenza, o semplicemente come normale procedura di spegnimento a conclusione dell'esperimento, giacché il reattore doveva essere spento comunque per la manutenzione programmata. Di solito l'operazione di SCRAM viene ordinata a seguito di un rapido e inatteso aumento di potenza.
A causa della lenta velocità del meccanismo d'inserimento delle barre di controllo (che richiede 18-20 secondi per il completamento) e dell'estremità (estensori) in grafite delle barre, lo SCRAM causò un rapido aumento della reazione. Infatti nei primi secondi le estremità in grafite delle barre rimpiazzarono nel reattore un uguale volume di acqua di raffreddamento. Ora, l'acqua refrigerante assorbe neutroni mentre la grafite funge da moderatore portando i neutroni alla velocità ottimale per la reazione. La conseguenza fu che all'inizio dell'inserimento delle barre la reazione venne accelerata improvvisamente producendo un aumento enorme di potenza nel reattore. L'improvviso aumento di temperatura deformò i canali delle barre di controllo che stavano scendendo, al punto che le barre si bloccarono a circa un terzo del loro cammino, e quindi non furono più in grado di arrestare una reazione in cui l'aumento di potenza diveniva incontrollato a causa del coefficiente di vuoto positivo.
Così, dopo soli sette secondi dall'inizio dell'inserimento delle barre - alle 1:23:47 - la potenza del reattore raggiunse il valore di 30 GW termici, dieci volte la potenza normale. Le barre di combustibile cominciarono a fratturarsi bloccando le barre di controllo con la grafite all'interno, quindi il combustibile cominciò a fondere; inoltre, alle alte temperature raggiunte, l'acqua all'interno del reattore reagì chimicamente con lo zirconio, di cui sono in genere fatte le tubazioni degli impianti nucleari, dissociandosi e producendo grandi volumi di idrogeno gassoso.
La pressione del vapore aumentò fino a causare la rottura delle tubazioni e causò l'allagamento dei sotterranei. Quando il corium formatosi raggiunse l'acqua di raffreddamento, avvenne la prima esplosione di vapore (all'1:24); dall'interno del nocciolo il vapore risalì lungo i canali e generò un'enorme esplosione che fece saltare la piastra superiore del nocciolo. Tale piastra, in acciaio e cemento, pesante circa 1 000 tonnellate, fu proiettata in aria con le tubazioni dell'impianto di raffreddamento e le barre di controllo, e ricadde verticalmente sull'apertura lasciando il reattore scoperto. La seconda esplosione fu causata dalla reazione tra grafite incandescente e l'idrogeno gassoso.
Ci sono alcune controversie sulla sequenza degli eventi dopo le ore 1:22:30, a causa di incongruenze fra i testimoni oculari e le registrazioni. La versione comunemente accettata è quella descritta sopra. Secondo questa ricostruzione la prima esplosione avvenne intorno alle 1:23:44, sette secondi dopo il comando di SCRAM. A complicare la ricostruzione alle ore 1:23:47 fu registrato, nell'area di Černobyl', un debole evento sismico di magnitudo 2,5. Inoltre il tasto di SCRAM fu premuto più di una volta, ma la persona che l'ha fatto materialmente è deceduta due settimane dopo l'incidente per l'esposizione prolungata alle radiazioni. Talvolta però è stato detto che l'esplosione avvenne prima o immediatamente dopo lo SCRAM (questa era la versione di lavoro della commissione sovietica di studio sull'incidente). La distinzione è importante poiché, se il reattore fosse esploso diversi secondi dopo lo SCRAM come risulta dall'ultima ricostruzione accertata, il disastro sarebbe da attribuirsi principalmente al progetto delle barre di controllo. Se l'esplosione fosse invece da anticipare allo SCRAM, la causa sarebbe da imputarsi maggiormente alle azioni degli operatori. Nel 1986, l'AIEA aveva indicato negli operatori la causa principale dell'incidente. Nel gennaio 1993 la stessa AIEA ha tuttavia rivisto l'analisi dell'incidente, attribuendo la causa principale al progetto del reattore, piuttosto che agli operatori.
Fu distrutto il solaio, gran parte del tetto dell'edificio crollò e fu danneggiato il tetto dell'adiacente locale turbine, il che causò la prima morte della catastrofe: Valerij Chodemčuk, addetto al locale turbine che rimase sepolto sotto le macerie e il cui corpo non fu mai recuperato. Egli, come Vladimir Šašenok (che invece fu investito dall'onda radioattiva dell'esplosione e morì poco dopo all'ospedale di Pryp"jat'), non era minimamente a conoscenza del fatto che si stesse eseguendo il test; i frammenti di grafite si sparsero nella sala principale e intorno all'edificio. Il nocciolo del reattore si trovò così scoperchiato e all'aperto, a contatto con l'atmosfera. Dalle esplosioni si sollevò un'alta colonna di vapore ionizzato. Al contatto con l'ossigeno dell'aria, per le altissime temperature dei materiali del nocciolo, nel reattore divampò un violento incendio di grafite che coinvolse anche i materiali bituminosi di copertura del tetto e altre sostanze chimiche presenti. Secondo il progetto della centrale, il tetto del reattore doveva essere costruito con materiale ignifugo, ma all'epoca di costruzione tale materiale non esisteva; fu fatto quindi uso di catrame infiammabile, e i pezzi proiettati sul tetto del reattore adiacente causarono almeno altri cinque incendi. Gli incendi contribuirono in misura enorme alla diffusione di materiali radioattivi nell'atmosfera. Un effetto secondario dello scoperchiamento del reattore, d'altra parte, fu che il movimento d'aria contribuì al raffreddamento del nocciolo liquefatto.
L'impianto, a causa della sua doppia natura civile e militare, era stato costruito con un sistema automatico di sostituzione delle barre di combustibile (indispensabile per la produzione di plutonio che esige cicli di sostituzione delle barre di pochi giorni) sospeso mediante gru a ponte, e questa scelta aveva determinato l'impossibilità di costruire un contenimento in cemento armato abbastanza alto poiché il reattore misurava 30 metri di altezza e almeno altrettanti erano necessari sopra di esso per il robot colonnare di sostituzione delle barre, lunghe quanto il reattore stesso, cui doveva aggiungersi lo spazio per la gru destinata a manovrare la colonna robotizzata. A causa dell'altezza complessiva di circa 70 metri dell'impianto, del tutto inusuale per le centrali nucleari occidentali, ma possibile nell'ex Unione Sovietica, si decise quindi di realizzare solo un contenimento parziale, che escludeva la sommità del reattore. Questa scelta contribuì alla dispersione dei contaminanti radioattivi nell'atmosfera.
Condizioni atmosferiche
Nelle ore successive al disastro insistevano sull'area due zone ad alta pressione, una a forma di cuneo sull'Europa Centrale e una sul Mediterraneo. Sabato 26 e domenica 27 aprile il vento soffiava verso nord, investendo la Bielorussia e le tre repubbliche baltiche, per girare poi verso nord-ovest il lunedì successivo, su Svezia e Finlandia, e infine verso ovest, su Polonia, Germania settentrionale, Danimarca, Paesi Bassi, Mare del Nord e Regno Unito.
Da martedì 29 aprile a venerdì 2 maggio un'area depressionaria sul Mediterraneo si spostò a sud, richiamando un flusso d'aria da nord-est su Cecoslovacchia, Ungheria, Jugoslavia, Austria e Italia settentrionale, scivolando poi in parte sull'arco alpino, investendo Svizzera, Francia sud-orientale e Germania meridionale, e in parte sull'arco appenninico, investendo l'Italia centrale. Da domenica 4 a martedì 6 maggio, il vento girò verso sud, investendo di nuovo Ucraina, Russia meridionale, Romania, Moldavia, Penisola balcanica, fino alla Grecia e alla Turchia.
L'emissione di vapore radioattivo cessò sabato 10 maggio 1986. Al fine di valutare la contaminazione radioattiva nelle varie zone è importante sapere dove è piovuto, perché gli elementi radioattivi hanno raggiunto e sono depositati al suolo a seguito delle precipitazioni. Il portale Humus riporta mappe tematiche, europee e italiane, sulla contaminazione proveniente da Černobyl. È possibile riscontrare questo deposito ancor oggi, misurando la radioattività emessa dagli isotopi di cesio (137Cs), dal plutonio (239Pu e 240Pu) e dal piombo (210Pbxs) presenti nei livelli di terreno risalenti al 1986.
Gestione della crisi
Livello delle radiazioni
Solo una piccola parte degli strumenti di rilevazione a disposizione era in grado di effettuare misure fino a 360 000 röntgen/ora ed erano indisponibili, chiusi in cassaforte; quelli impiegabili arrivavano a un massimo di 3,6 R/h, che era il valore di fondo scala. I contatori Geiger della sala di controllo indicavano 3,6 röntgen/ora, un valore del tutto accettabile così il vicecapoingegnere Anatolij Djatlov suppose che il reattore fosse ancora intatto. Questi riferì al direttore della centrale Viktor Brjuchanov che i contatori Geiger della sala di controllo indicavano 3,6 röntgen/ora, ma questo era un valore solo apparentemente rassicurante perché 3,6 röntgen/ora era il valore di fondo scala dei contatori, che non erano quindi in grado di visualizzare valori maggiori. Djatlov era sicuro che il valore effettivo fosse più alto.
Immediatamente furono mandati operatori della centrale per effettuare rilevamenti, attrezzati di contatori Geiger con fondo scala a 360 000 röntgen/ora e mascherine chirurgiche. Un operatore incaricato tornò con dei dati sconcertanti: le radiazioni nei pressi del reattore misuravano ben 20 000 röntgen/ora (R/h), valori così inverosimilmente alti che i dirigenti pensavano che fossero gli strumenti di misura a non funzionare correttamente.
In alcune zone, visto che la propagazione delle radiazioni è a macchia di leopardo, i valori stimati superavano di oltre 5 000 volte il valore riportato dagli strumenti meno efficienti. Basti considerare che, in una città europea, il fondo misura circa 20 micro-röntgen, ovvero 0,00002 röntgen, il valore rilevato nei pressi della centrale era 1 miliardo di volte superiore a quello naturale. Sono sufficienti 500 röntgen distribuiti in un lasso di 5 ore per uccidere un essere umano. Molti operatori furono esposti a una dose mortale di radiazioni nell'arco di pochi minuti.
Intanto Aleksandr Akimov e Leonid Toptunov (responsabile in quel momento della sala di controllo del reattore nº 4), andarono ad aprire a mano le valvole nei sotterranei che immettevano acqua per il raffreddamento del reattore, senza alcuna tuta protettiva, consapevoli di esporsi a un rischio che li avrebbe condotti alla morte per radiazioni nel giro di due settimane. Per questo Akimov e Toptunov vennero insigniti dell'Ordine ucraino di terzo grado per il coraggio.
Le misure di sicurezza adottate immediatamente dopo il verificarsi dell'esplosione coinvolsero migliaia di vigili del fuoco e militari accorsi immediatamente sul luogo del disastro. Benché la situazione apparisse nell'immediato critica, la città di Pryp"jat' non venne evacuata immediatamente. Il mattino del 26 aprile 1986 è stato documentato da Vladimir Ševčenko che, non consapevole dei rischi a cui era sottoposto, si avventurò nella zona fortemente contaminata senza alcuna precauzione, arrivando addirittura a filmare a pochi metri sopra il reattore in fiamme. A causa delle radiazioni Ševčenko si ammalò e morì anch'egli dopo lunga malattia. Nel suo filmato sono visibili le migliaia di mezzi dell'esercito accorsi sul luogo. Peraltro quel 26 aprile gli operai impegnati nella costruzione dei reattori 5 e 6 andarono regolarmente al lavoro; nessuno li aveva avvertiti.
L’incendio
La squadra capitanata dal tenente Vladimir Pravik arrivò sul luogo del disastro per prima con il comando di spegnere un incendio causato da un corto circuito. Non erano stati informati della tossicità dei fumi e del materiale radioattivo caduto dopo l'esplosione nell'area circostante la centrale, perché nemmeno i responsabili della centrale si rendevano conto dei livelli mortali di radioattività, perché la misuravano con dei contatori geiger con un fondo scala inappropriato. I pompieri spensero gli incendi camminando sui detriti altamente radioattivi senza alcuna protezione. Alle 5:00 del mattino alcuni incendi sul tetto e attorno all'area erano stati estinti. Pravik morì l'11 maggio 1986, 15 giorni dopo l'esplosione e così morirono di malattia acuta da radiazione altri vigili del fuoco in azione la mattina del 26 aprile 1986. Le loro divise sono ancora oggi abbandonate nei sotterranei dell'ospedale di Prypjat e hanno ancora altissimi livelli di radioattività, specialmente gli scarponi, che calpestarono direttamente i detriti, la grafite e le tracce di combustibile fuori dalla centrale nel tentativo di spegnere l'incendio all'edificio.
Il reattore continuò a bruciare per giorni finché un gruppo di scienziati decise di spegnerlo con l'ausilio di elicotteri che sganciarono migliaia di tonnellate di boro, silicati, sabbia e dolomia, materiali adeguati per soffocare un incendio di tale natura poiché particolarmente efficaci nella schermatura delle radiazioni e soprattutto secchi, così da non produrre colonne di vapori radioattivi. Si ricordano le vittime dell'elicottero precipitato durante una manovra di sgancio materiali il cui equipaggio era composto da quattro giovani piloti: Volodymyr Kostjantynovyč Vorobjov, Oleksandr Jevhenovič Junhkind, Leonid Ivanonovyč Chrystyč e Mykola Oleksandrovič Hanžuk.
Nei giorni a seguire si deciderà più o meno maldestramente di continuare a raffreddare il reattore ormai esploso, ovvero scoperchiato a cielo aperto, inondandolo d'acqua il che genererà ulteriore vapore radioattivo in dispersione nell'atmosfera.
Dichiarazioni
Il governo sovietico inizialmente cercò di tenere nascosta la notizia di un grave incidente nucleare. Impiegarono diversi giorni per rendersi conto della gravità del fatto ma nonostante la situazione risultasse subito disperata un velo di omertà si stese sull'URSS.
La mattina del 27 aprile, nella relativamente vicina Svezia, alcuni lavoratori in ingresso alla centrale di Forsmark fecero scattare l'allarme ai rilevatori di radioattività. Si suppose, visto l'elevato livello dei dati, che vi fosse una falla all'interno della centrale e i responsabili cominciarono immediatamente a fare controlli in tutti gli impianti. Assicuratisi che le loro centrali fossero perfettamente in sicurezza, cominciarono a cercare altrove la fonte delle radiazioni e giunsero così fino in Unione Sovietica. Chiesero spiegazioni al governo domandando perché non era stato avvisato nessuno. Dapprima il governo sminuì la cosa ma ormai gli svedesi, con i loro controlli, avevano messo al corrente l'Europa intera che un grave incidente era occorso in una centrale sovietica. Il mondo intero cominciò a fare pressione e finalmente i sovietici rilasciarono le prime e scarne dichiarazioni sull'incidente che fecero il giro del mondo.
Evacuazione
La commissione d'inchiesta capitanata da Valerij Legasov giunse a Pryp"jat' la sera del 26 aprile. Viste le condizioni di numerose persone già sotto terapia decisero la notte del 27 aprile l'evacuazione della città. Fu detto ai cittadini di portare con sé pochi effetti personali, che sarebbero stati trasferiti in misura precauzionale e che in breve tempo avrebbero potuto far ritorno alle loro abitazioni. Le autorità sovietiche cominciarono a evacuare la popolazione dell'area circostante Černobyl' 36 ore dopo l'incidente.
Giunsero da Kiev decine di autobus che successivamente vennero abbandonati in una sorta di cimitero nella zona interdetta, dove ancora oggi si possono osservare migliaia di mezzi utilizzati per lo sgombero e la gestione della zona. Molti sono veicoli militari. L'evacuazione è stata documentata da Michail Nazarenko e si può notare la sottile calma che quel giorno era in città. Nessuno era realmente conscio di ciò che stava accadendo. Decine di persone si soffermarono fino a tardi, la notte dell'esplosione, per ammirare la luce scintillante sopra il reattore.
Nel maggio 1986, circa un mese dopo, tutti i residenti nel raggio di 30 km dall'impianto, circa 116 000 persone, erano stati trasferiti.
Come già detto in precedenza, al 2002 si erano contati 15 decessi ufficiali: a tutt’oggi alcune fonti parlano di circa 300.000 morti a causa dell’esposizione diretta o indiretta ai micidiali radionuclidi della centrale nucleare del tipo RBMK di Černobyl'!.