giovedì 28 maggio 2020

Per la “Yamato” 大和型戦艦 furono necessari 10 siluri e 23 bombe



Per la “Yamato” 大和型戦艦  furono necessari 10 siluri e 23 bombe. 

Le corazzate giapponesi erano macchine belliche impressionanti, ma vulnerabili senza un'adeguata difesa aerea. Il costo ed i 2500 uomini di equipaggio, e la tracciabilità che il nemico poteva farne, le rendevano sempre in pericolo da attacchi di sottomarini e aerei, che ne decretarono la distruzione.


La corazzata Bismarck costava da sola 50 volte il valore di un sommergibile Type VII. Le Yamato costavano probabilmente quanto decine di battelli oceanici giapponesi, e la loro resa operativa fu drammaticamente inferiore, ancorché simbolo di potenza.


La Yamato fu la nave dell'Ammiraglio Yamamoto, comandante della flotta giapponese. Nel dicembre 1943 fu silurata dal sommergibile americano Skate, subendo lievi danni. 

Nella battaglia di Samar, dell'ottobre 1944, affondò una portaerei americana e tre cacciatorpediniere. Il 7 aprile 1945 fu attaccata da aerei partiti da portaerei americane. Questo attacco dimostrò inconfutabilmente l'inutilità di questo tipo di nave perché la nave fu distrutta da bombe e siluri di aerei, senza che potesse opporre altra difesa, che non l'enorme capacità di incassare i colpi nemici. 





La gemella Musashi aveva invece ricevuto 11 siluri e 20 bombe.

Il nome "Yamato", restando ancora oggi nell'orgoglio nipponico come simbolo ed espressione di potenza, viene richiamato anche nella letteratura “manga".

La classe Yamato, a cui appartenevano le navi Yamato e Musashi, è stato il più potente e pesante tipo di corazzata mai realizzata.


Entrambe queste navi, che potevano superare teoricamente qualunque avversaria in uno scontro diretto a colpi di cannone, vennero tuttavia affondate da aerei statunitensi durante la seconda guerra mondiale nel Pacifico.



Il progetto di queste nuove navi da battaglia ha un'origine nell'espansionismo militare che il Giappone riuscì a concretizzare nel XX secolo. La serie di trattati navali postbellici, quello di Washington in primis, siglato nel 1922, e poi quello di Londra nel 1930 riconobbe negli Stati Uniti e nella Gran Bretagna le sole potenze navali superiori al Giappone. Il programma di costruzioni navali, iniziato nel 1907 e modificato nel 1912, per ottenere 8 corazzate e altrettanti incrociatori da battaglia venne posto in essere a partire dal 1916 ma in questa forma venne bloccato già nel 1922, e la maggior parte degli scafi già impostati venne demolita, oppure trasformata in portaerei. Uno degli scafi non ebbe nessuno dei due destini e venne invece usato come nave bersaglio per provare le soluzioni destinate a proteggere le navi di nuova generazione. Questo scafo era quello della corazzata Tosa, e sarebbe stato di molto aiuto nel progetto delle future Yamato.


La Marina giapponese tentò di aggirare i limiti del dislocamento costruendo navi veloci, ben armate e poco protette. Queste risultarono instabili alle condizioni di mare grosso, specialmente considerando i tifoni che imperversavano nel Pacifico. A parte queste unità navali vennero progettate navi veramente complete, ma non realizzabili senza andare a violare i trattati navali internazionali.

Il motivo della realizzazione delle corazzate della Classe Yamato era dato dalla constatazione che qualunque confronto con gli USA non avrebbe avuto speranze in termini quantitativi, cosicché le nuove corazzate dovevano essere talmente potenti da surclassare qualitativamente qualunque nave gli americani tentassero di costruire, specialmente considerando il pesante limite delle chiuse del Canale di Panama, che non avrebbe potuto lasciare passare navi più grandi di una certa dimensione laterale. Questo avrebbe reso la flotta USA, almeno per quanto riguarda le navi più grandi, di fatto tagliata in due tra Atlantico e Pacifico. La stima sulle navi di massimo dislocamento che potessero passarvi attraverso venne fatta, dai giapponesi, con un risultato di circa 60 000 tonnellate, 23 nodi, 10 cannoni da 406 mm. Con questi parametri venne iniziata la progettazione delle supercorazzate giapponesi di nuova generazione.

Le prime stime vennero fatte con i seguenti requisiti:
  • Cannoni di 460 mm o superiore, 
  • 12 da 155 mm secondari, 
  • o alternativamente 8 da 203 mm, 
  • 30 nodi di velocità, 
  • 8000 miglia a 18 nodi di autonomia,
  • Immunità ai proiettili da 460 mm su distanze di 20–35 km.
I programmi per il riequipaggiamento, una volta che il Giappone uscì dalla Società delle nazioni e non rinnovò i trattati (1936) arrivarono ben presto a livelli previsti di grande importanza e impegno. Si programmarono sette 'Yamato' entrando in servizio a partire dal 1941, seguite da 4 super Yamato a partire dal 1946. 



Queste ultime avrebbero avuto 6 cannoni da 508 mm installabili anche sulle navi precedenti, e sarebbero dovute entrare in servizio a partire dal 1946. In questo modo i giapponesi intendevano surclassare gli americani in quanto questi ultimi avrebbero avuto corazzate con cannoni da 406 mm e poi, dal 1946, da 457 mm e con i 508 mm solo a partire dal 1951. Questo, almeno, era nelle previsioni dei giapponesi. Notare che sebbene razionale (costruire una supercorazzata era visto come più efficace ed economico che, per esempio, un paio di dimensioni normali), gli USA erano invece convinti che il futuro fosse appannaggio delle portaerei, e avessero invece in programma, per il 1946, 5 portaerei classe Essex. Stranamente, pur avendo una poderosa flotta anche di portaerei, i giapponesi persistettero nel non far decadere le corazzate dal ruolo di navi principali di qualunque scontro, e nelle specifiche iniziali non vi era traccia dell'armamento antiaerei che pure si sarebbe dimostrato di vitale importanza.



La progettazione delle navi continuò nella massima segretezza, in quella che venne definita 'cortina di bambù'. Così le navi giapponesi classe Yamato continuarono, anche a guerra inoltrata, ad essere considerate armate solo di cannoni da 406 mm.
Come realizzare in dettaglio queste corazzate venne approfonditamente studiato, con un primo progetto presentato dal Capitano Kikuo Fujimoto, architetto navale della Marina Imperiale.



Questo progetto, del 1934, aveva le seguenti caratteristiche:
  • dislocamento: 50 000/59 000 max
  • dimensioni: lunghezza 289,3 m, larghezza 37, 9 m, immersione alle prove 9,8 m (dislocamento leggero)
  • armamento principale: 4 torri trinate da 508 mm, secondario 6 da 155 mm, antiaereo 10 da 127 mm, 12 aerei con 3 catapulte.
  • corazzatura: 406 mm verticale, 279 orizzontale.
  • motori: turbine a vapore e diesel, 140 000 hp e 30 nodi, 12 000 miglia a 16 nodi.
Questi dati erano persino più impressionanti di quanto venne realmente realizzato, a cominciare dai cannoni da 508 mm. Ma Fujimoto ebbe un problema personale, quando accadde una tragedia con una delle navi che lui aveva progettato: la torpediniera Tomozdura era una nave potentemente armata, ma di dislocamento ridotto per via delle limitazioni dell'armamento. Questo la rendeva meno stabile di quanto desiderato e così, nel corso di una violenta tempesta accadde il rovesciamento dell'unità, avvenuto il 12 marzo 1934. Anche se i pesi in alto erano troppo elevati, per via delle esigenze di armi manifestate dalla Marina giapponese, fu Fujimoto a pagare e venne allontanato dall'ufficio progettazione.
Al suo posto arrivò il vice-ammiraglio Keji Fokuda, che iniziò una brillante carriera con cinque classi di navi approntate in pochi anni. Un problema da risolvere era la pressione che i cannoni di grosso calibro esercitano quando sparano. Un paio di cannoni da 406 mm sono capaci di generare, a 15 m dalla volata una pressione di 3,5 kg/cm2, mentre i cannoni da 460 mm, oltre a stressare notevolmente le strutture, erano capaci di generare 7 kg/cm2. Una pressione di un sesto di tale valore era capace di stordire un uomo o di distruggere una scialuppa di salvataggio, cosicché fu necessario trovare un modo di sistemare i cannoni, specie con la previsione di arrivare al 508 mm, in un ponte libero da ogni oggetto allo scoperto. Per fare questo si pensò al modello Nelson, ovvero tutte le torri in avanti, malgrado che questo comportasse l'impossibilità di fare fuoco su tutto l'orizzonte.



Il progetto elaborato dal vice ammiraglio Yuzuru Hiraga, direttore del laboratorio tecnico per la ricerca navale era in tal modo arrangiato:
  • dislocamento: 69 000 max
  • dimensioni: lunghezza 294 m, larghezza 41,2 m, immersione 10,4
  • armamento principale: 9 da 460 mm, secondario 4 torri trinate da 155 mm, antiaereo 6 torrette binate da 127 mm.
  • corazzatura: 410 mm verticale, 356 (due ponti corazzati) orizzontale.
  • motori: 200 000 hp e 31 nodi, 8 800 miglia a 18 nodi.
Questo progetto del 1935 era oltremodo ambizioso e il dislocamento apparve infatti eccessivo: si dovette rinunciare a qualcosa, che fu in dettaglio, l'enorme potenza dei motori previsti, necessaria per le alte velocità. La riprogettazione della nave in una sistemazione convenzionale prese tempo e passò attraverso altri 23 stadi, ma nel 1936 le Yamato, come le si sarebbe poi realizzate, presero forma.
Durante la costruzione si era preso in considerazione il motore diesel, che erano all'epoca relativamente nuovi come applicazione a grandi navi. Il peso specifico rispetto alla potenza erogata è inferiore rispetto ad una turbina, anche del tipo a vapore, ma il consumo in crociera è inferiore. Ma i motori da 10 000 hp in prova su alcune navi appoggio sommergibili dimostrarono dei problemi e così, non potendo ritardare la costruzione della nave aspettando la messa a punto di questi sistemi, né mettere mano all'apparato motore dopo avere posto il ponte corazzato da 200 mm si adottò direttamente i motori a vapore originariamente previsti.


Le infrastrutture per la costruzione delle Yamato erano necessariamente di grandi dimensioni e potenza. Non esistevano in Giappone e così vennero realizzate appositamente. Non vi erano scali abbastanza grandi e con sufficiente pescaggio, così l'arsenale di Kure, dove la Yamato venne costruita, venne rialzato di un metro per permettere alla nave di galleggiare al suo interno. La costruzione inoltre sarebbe avvenuta nella massima segretezza, con una mimetizzazione ottenuta con il sisal. Venne realizzata una gru a cavalletto da 100 tonnellate, mentre a Nagasaki, dove venne realizzata la Musashi si ebbero altre modifiche, e gru galleggianti da 150 e 350 tonnellate, con l'aggiunta di una speciale imbarcazione per il trasporto di carichi pesanti.
Al 1937 oramai i disegni erano definiti e la costruzione procedette, dopo anni di polemiche e di dibattiti sul progetto (come avvenuto anche in altre nazioni, per esempio la Germania), le Yamato vennero iniziate. La Yamato fu impostata in 4 novembre e varata l'8 agosto 1940 alla presenza del principe Narohiko. Entrò in servizio il 16 dicembre 1941.
La Musashi fu impostata a Nagasaki il 29 marzo 1938 presso i cantieri Mitsubishi, varata il 1º novembre 1940 ed entrò in servizio il 5 agosto 1942. La rapidità dell'evolversi degli eventi bellici e l'evoluzione dottrinale lasciò ben presto in un vicolo cieco le corazzate, così costose e superate dalle portaerei, ma nondimeno le prime due navi vennero completate come previsto.



Costruzione

Lo scafo delle navi presentava un accentuato cavallino di prua e un grande bulbo sottostante, che consentiva di ridurre di circa l'11% la resistenza idrodinamica ad alta velocità. Il pescaggio era di oltre 10 metri, nonostante la larghezza dello scafo, e impose di dragare varie parti dei porti vicini ai principali scali. L'altezza del bordo libero era di 10 m a prua e 6,4 m a poppa.
La costruzione vide l'uso di giunti a sovrapposizione, invece dei tradizionali giunti a tenone. Questo era necessario per aumentare la resistenza strutturale, anche se a scapito dell'idrodinamica. La parte centrale dello scafo venne così costruita, poiché la resistenza idrodinamica è più bassa in tale parte dello scafo, essendo la pressione dell'acqua più ridotta in questo settore.
La corazzatura venne usata, per quanto possibile, come elemento strutturale per risparmiare peso. Questo fatto aveva un precedente, l'incrociatore Furutaka, e riguardava specialmente le corazzature laterali. Un altro espediente fu la saldatura, in cui il Giappone fu all'avanguardia per le costruzioni navali (mentre la tralasciò per i carri armati). Nel 1932 venne utilizzata per la nave posamine Yaemana, e poi per l'appoggio sommergibili Taigei, da 10 000 t che venne completata nel 1935 come prima nave giapponese con scafo totalmente saldato. Comunque per evitare che il mare grosso potesse danneggiare le saldature, potenzialmente molto più esposte a tali problemi, almeno per gli elementi longitudinali strutturali venne mantenuta la rivettatura.
In termini di progettazione interna, la nave aveva una larghezza dello scafo inusitata, che venne sfruttata per migliorare la compartimentazione laterale e così assicurare il controllo danni in caso di colpi a bordo, soprattutto se siluri o altre armi esplodenti sott'acqua. Infatti l'esplosione ha bisogno di essere lasciata sfogare attraverso uno spazio sufficiente prima di incontrare le strutture vitali, a meno di non prevedere una protezione estremamente pesante per tutta la parte inferiore dello scafo. La nave aveva una doppia paratia longitudinale che serviva anche per sostenere il peso della corazza del ponte, e per proteggere tra le sue paratie il circuito principale dell'impianto elettrico, sistemato nel compartimento stagno là ricavato.
La nave aveva un ponte di coperta ininterrotto, per utilizzare elementi strutturali continui e risparmiare in peso mantenendo la robustezza strutturale necessaria. Le sovrastrutture erano raggruppate al centro della nave, in una sorta di isola. Un alto torrione svettava fino a circa 40 metri di altezza, e alla sua sommità vi era la direzione di tiro principale, con un telemetro da 15 metri di eccellente livello tecnico.
Le torri principali, tre, erano a prua e a poppa, mentre le torri secondarie erano sui quattro punti cardinali, e le torrette antiaeree erano concentrate il più lontano possibile dai 460 mm, a mezza nave, attorno all'unico fumaiolo inclinato all'indietro, e all'albero poppiero, molto ridotto in dimensioni. Dietro ancora vi era un'altra direzione del tiro, più bassa del torrione. La zona poppiera era dall'aspetto inconfondibile, essendo lì raggruppati, ad un livello inferiore rispetto al ponte di coperta le attrezzature aeronautiche, con due catapulte e 7 idrovolanti come massimo.
La resistenza ai danni era garantita da varie misure, come la possibilità di compensare gli sbandamenti di 13,8 gradi con il pompaggio di liquido da un lato ad un altro della nave, ed altri 4,5 gradi potevano essere compensati utilizzando anche le casse del combustibile. L'abbassamento del bordo libero prodiero poteva essere tollerato anche se questo calava a 4,5 metri di altezza sul mare e lo sbandamento della nave, non compensabile, arrivasse a 20 gradi.



Il motore delle Yamato non era particolarmente potente ma nondimeno aveva circa 150 000 hp. Esso era costituito da 12 caldaie e 4 turboriduttori, con altrettante eliche, del tipo Kanpon. Le caldaie erano su 4 file di tre, in locali separati e collegati ad un unico turboriduttore, in modo da isolare al meglio possibile ogni danno a bordo.
La velocità massima era di 27,4 nodi e non era elevata, ma si dovette concedere una riduzione del 10% rispetto a quanto desiderato per venire incontro a tutte le esigenze. Il combustibile ammontava a 6300 t e consentiva 7200 miglia di autonomia a 16 nodi.
Quanto alla controllabilità si prese in esame anche la possibilità che singoli colpi mettessero fuori uso il timone, cosicché venne realizzato un timone secondario, per consentire il controllo. Questo da solo non si dimostrò peraltro in grado di permettere il controllo della nave. La maneggevolezza delle Yamato si dimostrò comunque eccellente, tanto che era possibile virare (timone alla massima inclinazione di 35 gradi) in un diametro di 640 metri alla velocità di 26 nodi. L'angolo di sbandamento massimo arrivava a 9 gradi, basso in quanto l'altezza metacentrica delle Yamato arrivava a 2,88 metri. Questo garantiva una buona capacità di evitare siluri e bombe in caso di manovre evasive.
Infine, al riguardo dell'abitabilità complessiva della nave, le Yamato erano state pensate per assicurare un buon standard abitativo per i 2500 uomini di equipaggio, i cui alloggi erano principalmente a prua e a poppa del ridotto corazzato, come si poteva notare dai numerosi oblò laterali. La qualità della cucina era migliore della media, lo spazio per persona era di 10 m² circa, un valore da mini appartamento, mentre sui cacciatorpediniere, per via e nonostante il loro potente armamento, vi erano 2–3 m². Inoltre le corazzate di questa classe avevano una novità assoluta per la Marina giapponese, un impianto di condizionamento dell'aria, certamente utile per le condizioni di caldo e umidità tipiche dei mari tropicali. Il sistema era costoso e complesso, e nonostante questo non serviva tutti i locali della nave. Anche così le Yamato avevano la migliore abitabilità della flotta giapponese per opinione comune dei marinai, che amavano anche la bellezza delle forme armoniose e l'armonia del disegno complessivo, oltre che l'armamento possente delle torri primarie.
In termini di elettronica vi erano sistemi radio di lunga portata ed elevata potenza, sufficienti anche per ricoprire il ruolo di navi comando della flotta e presto comparve un radar di scoperta aerea Type 21, sistemato sopra i telemetri da 15 metri del torrione.

Corazzatura

Dopo avere studiato per anni i migliori tipi di acciai speciali concepibili con le tecnologie d'allora, i giapponesi provvidero ad usare diverse leghe di acciaio per le corazzate Yamato. Le piastre vennero fatte più grandi possibili perché si vide dai test che esse tendevano a rompersi con i colpi ricevuti prevalentemente sulle linee di congiunzione. 

Parte delle corazze venne usata anche per funzioni strutturali per risparmiare pesi. Il Vickers VH venne usato per le corazze della cintura da 410 mm. Esse avevano un carico di snervamento di 40 kg/mm², e di rottura di 67-82.5 kg/mm². La realizzazione delle strutture meno protette avvenne, per spessori fino a 50 mm con acciaio tipo Ducol, mentre altri tipi usati erano il MS, il HTS e il DS.


Il peso totale delle corazzature arrivò al totale di oltre 23 000 tonnellate, circa il 34% del peso strutturale. Questa corazza era pensata per avere una resistenza tale da impedire la penetrazione di cannonate da 406 mm su distanze tra i 20 e i 35 km, nel senso che in questo margine la capacità di perforazione orizzontale (ponti corazzati) non era ancora sufficiente mentre quella verticale non lo era più a tali distanze. 

Le corazze da 410 mm erano le strutture più impressionanti, con piastre di 5,9 × 3,6 × 0,41 m pesanti 68,36 t, ognuna ben più pesante di un singolo carro armato M1 Abrams, il che provocò problemi di movimentazione facilmente immaginabili. 


Le piastre della cintura corazzata erano inclinate di 20 gradi per migliorare la resistenza ai proiettili, e decrescevano in spessore fino a 250 mm sotto il livello dell'acqua, per poi continuare fino alla chiglia rastremandosi progressivamente a 50 mm. La metà di corazza che si trovava sotto la linea di galleggiamento era inserita dietro le paratie antisiluro poiché era necessario consentire alle esplosioni dei siluri di sfogarsi prima di incontrare la protezione principale, che altrimenti avrebbe dovuto essere molto più spessa e pesante.
I compartimenti stagni erano 1147, ma solo 82 erano sopra il ponte corazzato essendo questo interamente sopra il livello di galleggiamento. La corazza era integrata da controcarene esterne, che erano vuote. La ragione era data anche dal fatto che in tal modo era possibile ridurre la massa e utilizzarle per riequilibrare eventuali allagamenti provocati da siluri. Si stimava che la nave avesse una stabilità garantita fino a 20 gradi. I sistemi di pompaggio erano capaci di funzionare talmente bene da consentire di stabilizzare la nave, una volta colpita da un siluro, entro 5 minuti, mentre un secondo siluro poteva essere compensato con un ritardo di 30 minuti.
La corazza della nave, data dalla protezione della cintura corazzata, era lungo il 53% della lunghezza. Paratie corazzate da 300 mm inclinate di 25 gradi chiudevano trasversalmente tale ridotto. Il ponte corazzato era spesso 200 mm (75%) e nei punti più sensibili 226,5 mm (25%), con una piastra inferiore di 9 mm antischegge. Questi spessori, senza precedenti rimasero imbattuti anche successivamente da ogni genere di corazzata. La corazzatura del torrione arrivava a 500 mm sia orizzontali che verticali. La corazzatura della base del fumaiolo era di 50 mm, mentre corazze leggere erano in altri punti della nave. Il ponte di coperta era protetto da 30–50 mm di acciaio.
Le corazze comprendevano anche pavimenti dei depositi munizioni spessi 50–80 mm, in caso di mine, minaccia mortale per molte vecchie corazzate (2 vecchie corazzate pre-dreadnought giapponesi erano state affondate da mine all'inizio del '900 durante la guerra Russo-Giapponese). La corazzatura delle torri principali arrivava a 650 mm sulla parte anteriore, 250 laterali, tetto di 200 e retro di 180, e le barbette erano spesse 560 mm. Anche il condotto di scarico del fumaiolo era dotato di una piastra forata con buchi di 180 mm, nonostante esso fosse inclinato all'indietro, per evitare bombe e granate perforanti entranti nell'apparato motore in maniera casuale ma efficace. Tra le altre strutture, la cintura corazzata al di fuori del ridotto corazzato era di 76 mm, mentre i locali del timone erano pure protetti, con 350 mm per quello principale e 200 per quello secondario.



Armamento

Per ottenere la massima potenza di fuoco, i giapponesi elaborarono il progetto di un cannone capace di superare persino le artiglierie calibro 406 mm che le navi americane avrebbero potuto imbarcare dopo la fine del Trattato di Washington sulla limitazione degli armamenti.
Il 40 cm/45 Type 94, costruito per la prima volta nel 1938, era il più potente cannone navale apparso fino ad allora e destinato a restare tale, almeno sulle navi che entrarono in servizio. Esso era da 460 mm di calibro, e possedeva una complessa costruzione, tale che, causa le complesse operazioni per sfilare il tubo interno che costituiva l'anima del cannone, era considerato più conveniente rimpiazzare direttamente l'arma in toto con un nuovo cannone. La lunghezza era relativamente ridotta, pari a 45 calibri, quando altre marine si allineavano sui 50 e passa. Ma dato il calibro dell'arma, la massa totale arrivava a un valore senza precedenti: 198 tonnellate, 90 in più delle artiglierie americane da 406 mm. Anche per tale ragione fu necessario lasciar cadere la versione di questo cannone con una lunghezza di 50 calibri, che sarebbe stato anche più potente. La sua capacità distruttiva sarebbe stata anche maggiore, ma le strutture necessarie per movimentare tale arma erano già al limite con la versione da 45 calibri.


L'artiglieria aveva una gittata massima di 42.030 m e riusciva a sparare con precisione a 25.000 m grazie al sistema di controllo del fuoco mk2 mod 2. La granata era pesante 1460 kg se si trattava del modello APC Type 1 o Type 91, 1360 kg se HE. Le dimensioni erano date da una lunghezza rispettivamente di 2 e 1,6 m. Il carico di esplosivo era rispettivamente 33,8 e 61,7 kg circa. Sparate a 780 e 805 m/s rispettivamente, con una pressione di esercizio della camera di scoppio di 3 000 kg/cm², arrivavano alla massima gittata in un tempo piuttosto lungo, che per l'APC arrivava a 98 secondi circa. La velocità della granata era ridotta in quanto questa era molto pesante, scelta che permetteva un maggior carico esplosivo interno. La penetrazione con la munizione perforante era di 864 mm di acciaio a 0 metri, e poteva perforare una cintura corazzata di 360 mm anche a 30 km, arrivando così alla massima distanza utile di tiro ancora efficace contro le corazze tipiche delle più moderne corazzate, che in genere non superavano i 350 mm (Nelson: 356 mm, Littorio, 350, Iowa, 310).
Le munizioni erano 300 per torre d'artiglieria, 180 delle quali nei depositi rotanti posti sotto la barbetta. Le torri d'artiglieria avevano telemetri ottici per il tiro indipendente, sistemati nella parte posteriore, e la cadenza di tiro era di circa 1,3 colpi al minuto. Anche a causa dell'enorme quantità di propellente necessario-360 kg in sei sacchetti- la vita utile dell'anima del cannone ammontava a circa 200-250 colpi. La sovrapressione che la deflagrazione di circa 1000 kg di propellente provocava era tale da non potere sistemare alcun affusto contraerei nelle immediate vicinanze. La sovrappressione era talmente elevata da superare anche i cannoni USA da 406 mm, già sufficienti a strappare i vestiti e sfasciare scialuppe entro distanze di almeno 20 metri dalla bocca da fuoco. Per questo i potenti cannoni da 460 mm non ebbero nelle immediate vicinanze alcun affusto contraerei leggero, e quelli che vennero inizialmente installati erano di tipo speciale, con una scudatura protettiva.
I cannoni erano sistemati in grandi torri d'artiglieria, il cui peso, a causa della pesante corazza protettiva, studiata per proteggerle da cannoni di similari caratteristiche, ammontava a circa 2 500 tonnellate, una massa che superava ampiamente le 1 700 t delle torri delle Iowa, le più dirette equivalenti tra le navi USA, così nonostante la potenza disponibile la velocità di brandeggio era solo di 2 gradi al secondo, mentre l'alzo era di 10 gradi.
Una munizione particolare era la Sankaidan (alveare), un tentativo di usare i cannoni principali come armi contraerei. A circa 1 000 m di distanza dalla bocca da fuoco questi proiettili esplodevano espellendo circa 900 spezzoni incendiari alla termite, capaci di bruciare anche a 3 000 °C per un massimo di 5 secondi, con una scia di fiamme lunga circa 5 metri. Essi non ebbero molto successo, pare che quando la Musashi provò ad usarli uno esplose prematuramente distruggendo un cannone. In ogni caso, erano un tentativo di aumentare la difesa delle navi dalle incursioni aeree, effettivamente le più pericolose per le grandi unità giapponesi nella guerra del Pacifico.
I cannoni secondari erano anzitutto i 15,5 cm/60 Type 3, cannoni pensati e progettati dal 1930 per gli incrociatori dell'epoca del Trattato di Washington. Essi erano quindi del massimo calibro possibile, il 155 mm, che consentiva significativi vantaggi rispetto del 152 mm standard. Essi entrarono in servizio in cinque torrette trinate con gli incrociatori come i Classe Mogami, che tuttavia vennero poi riequipaggiati con cannoni da 203 mm appena le limitazioni sugli armamenti vennero superate. Questi cannoni pesavano 12,7 t, erano lunghi 60 calibri e sparavano granate AP Tipo 91, HE tipo 0 e illuminanti. La carica esplosiva era di circa 1,13 kg e 3,1 kg, nonostante il peso fosse, complessivamente, di oltre 55 kg. La carica propellente di 19,5 kg consentiva di spararli a velocità iniziali estremamente elevate (oltre 920 m/s) e far loro raggiungere gittate di circa 27 400 m come massimo. Con tali prestazioni, la loro capacità di affrontare anche incrociatori armati con i 203 mm era reale, grazie anche ad una cadenza di tiro di 5-6 colpi al minuto. La torretta era disegnata per assicurare anche il tiro contraerei, con un alzo di 75 gradi, che assicurava fino a 18 km di gittata in verticale. La scarsa cadenza di tiro era insufficiente per assicurare, specialmente con granate prive di spoletta di prossimità, un'efficace azione antiaerea contro aerei veloci, ma nondimeno essi avevano la possibilità almeno di effettuare un tiro di sbarramento.
La capacità di perforazione era di circa 100 mm a 20 km con le granate perforanti. L'affusto triplo arrivava a pesare 177 t, con 150 colpi per cannone, 5-6 gradi/s di brandeggio e 10 per l'alzo. La corazzatura protettiva era assai ridotta, anche a causa dei requisiti specifici della lotta antiaerea. Rimosse dai Mogami, queste torri, con un armamento che costituiva un eccellente potenziale antinave e di supporto ai cannoni di calibro minore, venne riutilizzato per le Yamato, con 4 torri sistemate una sul davanti e una a poppa delle sovrastrutture, mentre altre due erano ai lati.
I cannoni da 127 mm Tipo 89 erano armi con una lunghezza di 40 calibri, capaci di eseguire un tiro antiaereo e antinave con una maggiore velocità di reazione, anche se con una gittata e potenza minore. Erano buone armi in installazione binata, scudata e chiusa. Esse avevano una gittata di 15 km per granate di 23 kg, sparate a circa 725 m/s con una cadenza di 8-14 colpi per minuto. Gli affusti usati erano di diversi tipi, e quelli più efficienti e veloci come brandeggio ed azionamento erano chiamati B1. Le Yamato avevano ancora gli A1 dell'ultimo modello, capaci di brandeggiare le armi a 5-6 gradi al secondo invece di 16. La gittata antiaerea era di circa 9 km. Prodotti in oltre 1300 esemplari erano le armi standard giapponesi per le navi di grande e medio tonnellaggio.
La loro capacità comprendeva anche granate illuminanti con una gittata massima di 15 km ed effettiva di 8, e una capacità di 640 000 candele. Esisteva peraltro anche la granata ASW, capace di una gittata massima di 4 km e minima di 800 m. Essa aveva una carica esplosiva di 4 kg invece di 1,9 e consentiva di reagire con rapidità contro eventuali sottomarini avvistati in prossimità della nave. Se in collaborazione con sensori di scoperta validi potevano avere una potenzialità elevata nella lotta ASW e non vi erano equivalenti mondiali a queste granate. L'alzo dei cannoni era tra −7 e +90 gradi.
12 cannoni erano sistemati in sei affusti, ciascuno pesante 28 t e dotato mediamente di 400 o più colpi.
I cannoni da 25 mm Type 96 erano le armi standard per la difesa antiaerea giapponese a corto raggio. Quest'arma era un progetto francese Hotchkiss, pensata per sostituire i vecchi cannoni Vickers da 40 mm. La vecchia mitragliera inglese aveva una gittata e cadenza di tiro insufficienti, una struttura complessa, pesante, costosa e soggette a malfunzionamenti. La scelta di un'arma più piccola e leggera, con alta velocità iniziale e cadenza di tiro era sulla carta una scelta logica, e divenne rapidamente il cannone antiaereo giapponese standard. Esso venne prodotto in oltre 33 000 esemplari e quindi ebbe una grande diffusione, con i cacciatorpediniere che inizialmente ne avevano giusto 2 affusti binati, ma che alla fine della guerra ne ebbero anche 50 (sostituendo una delle tre torri da 127 mm per motivi di peso), mentre la Yamato sarebbe arrivata ad oltre 100. La loro efficacia, però, non era pari alle attese. Benché più leggeri dei Bofors da 40 mm e di altre mitragliere da 37, nonché più potenti di armi da 20 mm, essi avevano in effetti controindicazioni piuttosto pesanti. Essendo un calibro intermedio rispetto alle mitragliere da 20 e da 37 mm, ma molto più vicine al primo, in pratica impedivano di installare cannoni più pesanti in maniera ben armonizzata. Gli affusti trinati erano leggermente scudati, pesavano 1800 kg nel modello triplo, e avevano un'elevazione tra -10 e +85 gradi. Le munizioni avevano una balistica potente e precisa, potendo raggiungere una gittata pratica di 3 km antiaerea e teorica, 5,5 km. La gittata sull'orizzonte arrivava a 7,5 km. La granata pesava 260 g di cui circa 10 di esplosivo, con 110 g di carica di lancio. La granata poteva essere AP o HE. I limiti erano diversi: la manovra era solo manuale anche se alcuni sistemi erano dotati di apparato motore, capace di imprimere 12 gradi/s alzo e 18 brandeggio. La dotazione dei proiettili pronti, sistemati in un caricatore ad astuccio erano solo 15 e soprattutto con gli affusti tripli non era agevole rimpiazzarli. La cadenza di tiro teorica, di 260-200 colpi al minuto, era così limitata a 100-120 pratica. La dotazione di proiettili era di 2 000 per cannone.
Quando, nel 1944, le navi giapponesi ebbero finalmente una dotazione di cannoni antiaerei sufficiente, la velocità degli aerei americani e la loro potenza di fuoco e robustezza erano troppo elevate per essere agevolmente contrastate in mancanza di cannoni come i Bofors da 40 mm. In pratica, erano ingaggiati soprattutto quando erano già in fase di attacco finale, spesso sbucando dalle nuvole (come accadde con la Yamato) a sorpresa.
La dotazione iniziale delle Yamato era di 8 affusti tripli, sistemati tutti sulle sovrastrutture.
Infine, vi erano 4 mitragliere Type 93, una mitragliatrice pesante da 13 mm anch'essa di progetto Hotchkiss francese, capace di circa 500 colpi al minuto, pratica di 250, con proiettili da 51 grammi. Il raggio arrivava teoricamente fino a 6 km. Quest'arma era più potente delle M2 Browning ma non era sufficiente contro gli attacchi aerei di macchine moderne, così ebbe solo un impiego limitato sulle Yamato.

Sviluppi

La terza unità venne impostata a Yokosuka om 4 maggio 1940, ma essa era ancora ben lungi dall'esser completata al tempo di Pearl Harbor, che segnò la svolta anche per la Marina Giapponese, con il massacro delle navi da battaglia americane. Questi ed altri successi, oltre alla battaglia di Midway 6 mesi dopo, quando 4 portaerei giapponesi andarono perse vide la sospensione dei lavori, che nonostante l'ottimismo manifestato al riguardo della velocità costruttiva, era prevista per il 1945. La mancanza di manodopera dovuta all'impiego bellico e le perdite di Midway risultò determinante per il fato della Costruzione 110, che era ancora completata solo al 45% al giugno 1942. La nave, battezzata Shinano sarebbe stata una portaerei con ponte corazzato, nonostante questo, forse per la velocità relativamente ridotta non avrebbe avuto un ruolo di primo piano, e nonostante l'abbondanza di spazio interno, utilizzato soprattutto per portare una quantità elevata di materiali di ricambio e attrezzature per la manutenzione degli aerei. La sua dotazione di aerei, solo 20 caccia, 20 bombardieri, 7 aerosiluranti, era praticamente giusto per l'autodifesa. La maggior parte della corazzatura di scafo era conservata, e questa nave era l'unica, assieme alla Taihō, tra le portaerei giapponesi dotate di ponte di volo corazzato, grazie all'elevato peso delle tre torri d'artiglieria e del torrione, rimossi e sostituiti. La nave ebbe più fortuna della quarta costruzione, la 111, che venne impostata a Kure dopo la Yamato, nel novembre 1940, ma mentre i lavori erano ancora solo al 30% la nave, un anno dopo, venne annullata e demolita.
La costruzione delle due nuove corazzate avrebbe permesso dei miglioramenti nel progetto base. La dotazione di carburante venne diminuita perché l'autonomia era giudicata eccessiva, mentre la ridistribuzione delle corazzature vide la riduzione della cintura corazzata a 400 mm, e anche il ponte principale venne ridotto a 190 mm, in entrambi i casi 10 mm inferiore al valore precedente. La corazzatura protettiva vedeva una migliore protezione per l'armamento secondario contro le bombe. e una corazzatura aggiuntiva di 35 mm più altri 12 spaziati in una paratia interna, a beneficio dei locali macchine. Anche lo spessore delle barbette principali, che originariamente ammontava a ben 560 mm, venne ridotto a 540. Infine, tra la prima serie di Yamato migliorate ve n'era una quinta, che però non venne mai impostata. Essa prevedeva, durante la costruzione a Yokosuka come Costruzione 110 modificata o 787, l'installazione di macchinari e armamenti migliorati, mentre le migliorie della corazzatura erano quelle della terza e quarta nave della serie. L'armamento contraereo sarebbe stato drammaticamente migliorato, con la sostituzione della metà dei 155 mm laterali, e delle sei torrette da 127 mm con un totale di 10 complessi binati da 100 mm, le migliori artiglierie antiaeree giapponesi con un'eccellente gittata e cadenza di tiro, nonostante la mancanza di un caricatore automatico.
Oltre a quest'armamento antiaereo vi era il potenziamento dell'apparato propulsivo, che avrebbe consentito di rimediare alla principale limitazione, la velocità più bassa rispetto alle altre corazzate di ultima generazione, portandola a 29 nodi, praticamente al loro livello.
A parte questi progetti avanzati e non realizzati, vi era la possibilità di migliorare l'esistente e questo fu fatto, principalmente migliorando l'armamento contraereo. La Yamato, nell'aprile 1944 ritornò in servizio dopo essere stata silurata dal sommergibile USS Skate, situazione in cui alcune piastre di corazza avevano ceduto in maniera anomala, dovuta al tipo di mensole usate per ospitarle. In tale situazione la nave venne riequipaggiata con 12 cannoni extra da 127 mm in sostituzione delle due torri laterali da 155, migliorando così l'armamento contraereo. La Musashi avrebbe dovuto fare altrettanto dopo che anch'essa venne silurata dal sommergibile USS Tunny, ma le torri non erano al momento disponibili (maggio 1944) e forse anche per questo la nave non riuscirà poi a salvarsi durante la Battaglia di Leyte. La dotazione di armamento contraereo venne migliorata con le mitragliere da 25 mm con un totale di ben 30 complessi trinati e 25 singoli, questi ultimi considerati di maggiore facilità d'uso e sistemabili praticamente ovunque. Molte di queste armi non potevano essere alloggiate sull'isola centrale e così vennero messe pericolosamente esposte vicine ai cannoni da 460, con l'assunto che la nave non li avrebbe usati durante gli attacchi aerei, e questo nonostante la presenza dei proiettili antiaerei speciali anche per queste armi.
Il totale pertanto giunse a 115 armi, da 24 che erano in otto complessi trinati. Un'altra avrebbe dovuto aggiungersi ma la nave venne affondata prima, sebbene verosimilmente questo ulteriore modesto miglioramento sarebbe stato irrilevante. La Yamato ebbe invece i cannoni da 127, in attesa che si rendessero disponibili i 100 mm, ma le armi da 25 mm rimasero meno numerose: 16 trinate e 26 singole per un totale di 98 ai tempi di Leyte, ma il raddoppio dei 127, sia pure a scapito dei 155 aiutò a sopravvivere a tale battaglia. La successiva azione di potenziamento vide l'installazione, nel novembre 1944 (appena dopo la battaglia) si arrivò ad un totale di 54 complessi trinati da 25 mm, arrivando a quel punto a ben 162 cannoni da 25 mm, un totale insuperato di armi automatiche installate a bordo di una qualunque nave, capaci di erogare tutti insieme un volume di fuoco di circa 17 800 colpi al minuto su un raggio di 2,5 km.
La dotazione di radar, al tempo di Leyte era di 2 Type 21 per la ricerca in superficie e di un Type 13 per quella aerea. Nonostante questo (il Giappone negli ultimi anni di guerra produsse numerosi tipi di radar ed ECM, per un totale di migliaia di apparati) la nave rimase senza proiettili da 127 con spoletta di prossimità radar.



Classe Super Yamato

Già nel 1938-39 iniziarono i piani per la l'erede della classe Yamato, nome di progetto A-150, nota anche come classe Super Yamato. La costruzione avrebbe dovuto iniziare nel 1942 ma, dopo la battaglia delle Midway, il ruolo delle corazzate iniziò a rivelarsi marginale ed il progetto fu cancellato per dirottare maggiori risorsi alla costruzione di altri tipi di navi, in particolare portaerei.
Sebbene il progetto fosse praticamente completo già nel 1941, alla fine della guerra i documenti relativi al progetto A-150 furono quasi tutti distrutti, come successe anche per altri navi, compresa la classe Yamato. Gli unici dati certi erano l'armamento principale, composto da 6 cannoni da 510 mm, e la corazzatura della scafo che avrebbe avuto uno spessore di 460 mm. L'armamento secondario, non definitivo, era composto da un numero non specificato di cannoni da 100 mm. Il dislocamento finale di circa 71.000 t sarebbe risultato simile a quello della Yamato.



ENGLISH

The Yamato-class battleships (大和型戦艦, Yamato-gata senkan) were two battleships of the Imperial Japanese Navy (IJN), Yamato and Musashi, laid down leading up to World War II and completed as designed. A third hull laid down in 1940 was converted to an aircraft carrier, Shinano, during construction.
Displacing 72,000 long tons (73,000 t) at full load, the completed battleships were the heaviest ever constructed. The class carried the largest naval artillery ever fitted to a warship, nine 460-millimetre (18.1 in) naval guns, each capable of firing 1,460 kg (3,220 lb) shells over 42 km (26 mi).
Due to the threat of American submarines and aircraft carriers, both Yamato and Musashi spent the majority of their careers in naval bases at Brunei, Truk, and Kure—deploying on several occasions in response to American raids on Japanese bases.
All three ships were sunk by the U.S. Navy, Musashi while participating in the Battle of Leyte Gulf in October 1944, as part of Admiral Kurita's Center Force, lost to American carrier aircraft; the still incomplete Shinano was torpedoed ten days after her commissioning in November 1944 by the submarine USS Archerfish; and Yamato, also ravaged by carrier planes, in April 1945 during Operation Ten-Go.



Background

The design of the Yamato-class battleships was shaped by expansionist movements within the Japanese government, Japanese industrial power, and the need for a fleet powerful enough to intimidate likely adversaries. Most importantly, the latter, in the form of the Kantai Kessen (“Decisive Battle Doctrine”), a naval strategy adopted by the Imperial Japanese Navy prior to the Second World War, in which the Japanese navy would win a war by fighting and winning a single, decisive naval action.
After the end of the First World War, many navies—including those of the United States, the United Kingdom, and Imperial Japan—continued and expanded construction programs that had begun during the conflict. The enormous costs associated with these programs pressured their government leaders to begin a disarmament conference. On 8 July 1921, the United States' Secretary of State Charles Evans Hughes invited delegations from the other major maritime powers—France, Italy, Japan, and the United Kingdom—to come to Washington, D.C. and discuss a possible end to the naval arms race. The subsequent Washington Naval Conference resulted in the Washington Naval Treaty. Along with many other provisions, it limited all future battleships to a standard displacement of 35,000 long tons (36,000 t; 39,000 short tons) and a maximum gun caliber of 16 inches (406 mm). It also agreed that the five countries would not construct more capital ships for ten years and would not replace any ship that survived the treaty until it was at least twenty years old.
In the 1930s, the Japanese government began a shift towards ultranationalist militancy. This movement called for the expansion of the Japanese Empire to include much of the Pacific Ocean and Southeast Asia. The maintenance of such an empire—spanning 3,000 miles (4,800 km) from China to Midway Island—required a sizable fleet capable of sustained control of territory. Although all of Japan's battleships built prior to the Yamato class had been completed before 1921—as the Washington Treaty had prevented any more from being completed—all had been either reconstructed or significantly modernized, or both, in the 1930s. This modernization included, among other things, additional speed and firepower, which the Japanese intended to use to conquer and defend their aspired-to empire. When Japan withdrew from the League of Nations in 1934 over the Mukden Incident, it also renounced all treaty obligations,  freeing it to build warships larger than those of the other major maritime powers.
Japan's intention to acquire resource-producing colonies in the Pacific and Southeast Asia would likely lead to confrontation with the United States, thus the U.S. became Japan's primary potential enemy. The U.S. possessed significantly greater industrial power than Japan, with 32.2% of worldwide industrial production compared to Japan's 3.5%. Furthermore, several leading members of the United States Congress had pledged "to outbuild Japan three to one in a naval race." Consequently, as Japanese industrial output could not compete with American industrial power, Japanese ship designers developed plans for new battleships individually superior to their counterparts in the United States Navy. Each of these battleships would be capable of engaging multiple enemy capital ships simultaneously, eliminating the need to expend as much industrial effort as the U.S. on battleship construction.
Yamato was ordered in March 1937, laid down 4 November 1937, launched 8 August 1940, and commissioned 16 December 1941. She underwent training exercises until 27 May 1942, when the vessel was deemed "operable" by Admiral Isoroku Yamamoto. Joining the 1st Battleship Division, Yamato served as the flagship of the Japanese Combined Fleet during the Battle of Midway in June 1942, yet did not engage enemy forces during the battle. The next two years were spent intermittently between Truk and Kure naval bases, with her sister ship Musashi replacing Yamato as flagship of the Combined Fleet. During this time period, Yamato, as part of the 1st Battleship Division, deployed on multiple occasions to counteract American carrier-raids on Japanese island bases. On 25 December 1943, she suffered major torpedo damage at the hands of USS Skate, and was forced to return to Kure for repairs and structural upgrades.
In 1944—following extensive antiaircraft and secondary battery upgrades—Yamato joined the Second Fleet in the Battle of the Philippine Sea, serving as an escort to a Japanese Carrier Division. In October 1944, as part of Vice Admiral Takeo Kurita's Center Force for the Battle of Leyte Gulf, she used her naval artillery against an enemy vessel for the only time, helping sink the American escort carrier Gambier Bay and the destroyer Johnston before she was forced away by torpedoes from Heermann, which put her out of combat. Lightly damaged at Kure in March 1945, the ship was then rearmed in preparation for operations. Yamato was deliberately expended in a suicide mission as part of Operation Ten-Go, sent to use her big guns to provide relief to Japanese forces engaged in the Battle of Okinawa. She never came close, sunk en route on 7 April 1945 by 386 American carrier aircraft . After receiving 10 torpedo and 7 bomb hits she capsized, taking 2,498 of the 2,700 crew-members with her, including Vice-Admiral Seiichi Itō. The sinking of Yamato was seen as a major American victory, and Hanson W. Baldwin, the military editor of The New York Times, wrote that "the sinking of the new Japanese battleship Yamato ... is striking proof—if any were needed—of the fatal weakness of Japan in the air and at sea".

(Web, Google, Wikipedia, You Tube)


























































mercoledì 27 maggio 2020

Esercito Italiano: IL “SISTEMA SOLDATO SICURO”



Esercito Italiano: IL “SISTEMA SOLDATO SICURO”


Dalla sinergia tra industria nazionale e l’Esercito Italiano è stato messo a punto il “Sistema Soldato Sicuro”, cioè un vero e proprio sistema d’arma integrato con al centro il soldato, a cui viene garantita la migliore protezione, nonché l’incremento delle capacità di sopravvivenza, comando e controllo, mobilità notturna, letalità.  Il sistema consente, tramite i dispositivi di C2 digitalizzati, l’impiego interforze della piattaforma, assicurando la massima operatività in tutti gli scenari, dal combattimento al supporto alla popolazione, rimanendo sempre “connesso” all’architettura net-centrica.

IL SISTEMA DI PUNTAMENTO INDIVIDUALE “MIRA 640”

Definito inizialmente come ICWS (Individual Combat Weapon System), è la capacità volta allo sviluppo di 3 dispositivi idonei alla funzione di designazione, puntamento e ingaggio di un obiettivo in ogni condizione di visibilità (diurna e notturna). Pertanto, tali sistemi sono: ottica diurna, sistema di puntamento a punto rosso (visibile/infrarosso) e camera termica.

IL VESTIARIO

Il vestiario del Soldato Sicuro è costituito da diversi pacchetti che garantiscono un adeguata protezione nelle diverse situazione climatiche ed operative. I capi sono studiati con materiali leggeri, traspiranti e anti umidità che migliorano il comfort. Gli indumenti sono distribuiti nella versione “base” e nella versione “Flame Resistant”.

L’ELMETTO DI PROTEZIONE 

L’elmetto balistico garantisce la protezione della fronte, della regione temporale, della nuca e delle orecchie.  Assicura inoltre un'ottima visibilità periferica e l’indossabilità per un lungo periodo di tempo.  I rigonfiamenti delle zone auricolari, con gli spigoli arrotondati, forniscono la necessaria rigidità laterale ed un naturale alloggiamento per le cuffie dei sistemi di comunicazione.

IL GIUBBETTO ANTIPROIETTILE

Il giubbetto assicura la protezione del soldato ed è indossabile con facilità al di sopra dell'uniforme di servizio e combattimento. Grazie alle diverse possibilità di regolazione, assicura la libertà di movimento e l’impiego in modo efficace delle armi individuali e di reparto.  Al fine di consentire un’agevole e rapida rimozione del manufatto nel caso di primo soccorso ed evacuazione dei feriti, il giubbetto è dotato di un dispositivo che consente la scomposizione rapida (quick release) e la successiva ricomposizione.

LA RADIO “SDR”

La SDR HH EVO in dotazione ai reparti della Forza Armata è una radio multibanda basata su tecnologia Software Defined Radio in grado di fornire servizi voce e dati sicuri idonei a soddisfare stringenti requisiti operativi.)

IL SISTEMA INDIVIDUALE PER LA VISIONE NOTTURNA “TM-NVG”

Il TM-NVG (Tactical Mobility-Night Vision Goggle) è un sistema binoculare di visione notturna ad Intensificazione di Luce (IL) ad elevate prestazioni, che consente la mobilità del soldato in condizioni operative estreme.).



IL FUCILE BERETTA  ARX 200 cal. 7,62 x 51 NATO

Il fucile ARX 200 è un sistema d’arma di nuova generazione che offre performance balistiche elevate ed il suo impiego è rivolto a tiratori esperti. La carcassa del fucile, in alluminio anodizzato e sovrastampata con tecnopolimero nella parte centrale e posteriore, offre caratteristiche di robustezza, leggerezza ed ergonomia, mirate a favorire l’handling e le posizioni di tiro specifiche per l’impiego a lunga distanza. L’arma è integrata dall’ottica ICS (Innovative Combat Sight) STEINER che consente il calcolo automatico del punto di impatto con compensazione balistica in funzione della distanza del bersaglio e del munizionamento utilizzato.



IL FUCILE BERETTA  ARX 160 A1 e A3

Il fucile BERETTA ARX 160 A1 e A3 cal. 5,56 mm è stato sviluppato nell’ambito di uno specifico programma di ammodernamento, al fine di dotare il combattente di un’arma di nuova generazione più performante di quella in servizio (BERETTA 70/90). Il fucile (con struttura in polimero) è estremamente maneggevole, leggero e compatto, completamente ambi-destro mediante semplici operazioni che lo stesso tiratore può effettuare. Il calciolo telescopico, regolabile su quattro diverse posizioni, consente di adattare l’arma alle esigenze di ogni singolo operatore, mentre le 4 slitte Picatinny posizionate sull’affusto garantiscono la possibilità di innestare facilmente qualsiasi apparato/sistema di puntamento diurno e notturno (laser, ottico, flash light).  Nell’ambito della II fase di Concept Development & Experimentation (CD&E) del Programma Forza NEC, la soc. BERETTA ha ulteriormente sviluppato il fucile d’assalto ARX 160, apportando all’arma una serie di modifiche e migliorie tese a recepire le richieste degli operatori. Da tale attività nasce la versione A3 del fucile.



IL SISTEMA DI SORVEGLIANZA DEL CAMPO DI BATTAGLIA

Il radar “Arthur” (Artillery Hunting Radar) è un sistema in grado di garantire le capacità di ricerca, individuazione e identificazione delle sorgenti di fuoco attive avversarie, determinando punto di origine e di impatto delle traiettorie, consentendo di erogare, in tempo reale, l'eventuale fuoco di risposta. Inoltre, l'impiego di assetti controfuoco consente l'osservazione strumentale del fuoco erogato dalle artiglierie amiche, concorrendo, nel contempo, allo sviluppo dell'attività informativa nell'ambito della sorveglianza del campo di battaglia. In tale contesto, la disponibilità di tali sistemi radar contribuisce alla realizzazione della picture informativa ed alla comprensione generale dell'ambiente operativo. Il primo esemplare è entrato in servizio nel dicembre 2013.



LUCE VERDE

Come noto agli appassionati del settore, di recente sono stati rivelati nuovi dettagli circa il programma Soldato Sicuro che, in realtà, si chiama ufficialmente SIC (Sistema Individuale per il Combattimento) - Soldato Sicuro e costituisce la prosecuzione del SIC (Sistema Individuale per il Combattimento) - Soldato Futuro a sua volta spin-off del Soldato Futuro inserito nell'ambito degli sviluppi paralleli al progetto Forza NEC (in realtà la CD&E, ovvero Concept Development and Experimentation, di Forza NEC). L'Esercito ha formulato agli organi preposti una esigenza complessiva per 68.900 sistemi individuali per circa 1,635 miliardi di €. 
Il progetto “Sistema Soldato Sicuro” viene gestito dall’omonimo consorzio formato da Leonardo (65%), e Beretta, (35%). Il consorzio si occupa della promozione e della commercializzazione di tale sistema. Il primo contratto sottoscritto da questa nuova realtà è stato firmato a dicembre 2019 dal Direttore degli Armamenti Terrestri: si tratta di un accordo, del valore di 532 milioni di € per 9 anni (dal 2019 al 2027); attualmente solo la Fase 1 del programma è stato approvato approvato dagli organi parlamentari. Le commissioni di Camera e Senato hanno di recente dato il via ad un progetto più ampio, del valore di circa 755 milioni di €, che sarà suddiviso in 2 fasi.




ENGLISH

From the synergy between the national industry and the Italian Army, the "Sistema Soldato Sicuro" (Safe Soldier System) has been developed, that is a real integrated weapon system with the soldier at the centre, who is guaranteed the best protection, as well as the increase in survival, command and control, night mobility, lethality.  The system allows, through the digitalized C2 devices, the inter-force use of the platform, ensuring maximum operativeness in all scenarios, from combat to population support, always remaining "connected" to the net-centric architecture.



THE INDIVIDUAL TARGETING SYSTEM "MIRA 640".

Initially defined as ICWS (Individual Combat Weapon System), it is the ability to develop 3 devices suitable for the function of designating, aiming and engaging a lens in all visibility conditions (day and night). Therefore, these systems are: daylight optics, red dot aiming system (visible/infrared) and thermal chamber.

THE VESTIARY

The Safe Soldier's clothing consists of several packages that provide adequate protection in different climatic and operational situations. The garments are designed with light, breathable and moisture resistant materials that improve comfort. The garments are distributed in the "basic" version and in the "Flame Resistant" version.

THE PROTECTIVE HELMET 

The ballistic helmet provides protection for the forehead, temporal region, neck and ears.  It also ensures excellent peripheral visibility and wearability over a long period of time.  The bulges in the ear zones, with rounded edges, provide the necessary lateral rigidity and a natural housing for the headset of communication systems.

THE BULLETPROOF VEST

The vest ensures the protection of the soldier and is easily worn over the service and combat uniform. Thanks to the various adjustment options, it ensures freedom of movement and the effective use of individual and department weapons.  In order to allow an easy and quick removal of the artifact in case of first aid and evacuation of the wounded, the vest is equipped with a device that allows quick release and subsequent reassembly.

SDR" RADIO

The SDR HH EVO supplied to the Armed Forces departments is a multi-band radio based on Software Defined Radio technology capable of providing secure voice and data services to meet stringent operational requirements).

THE INDIVIDUAL "TM-NVG" NIGHT VISION SYSTEM

The TM-NVG (Tactical Mobility-Night Vision Goggle) is a high performance Light Intensification (IL) binocular night vision system that allows the mobility of the soldier under extreme operating conditions).

THE ARX 200 cal. 7.62 x 51 NATO BERETTA ARX rifle

The ARX 200 rifle is a new generation gun system that offers high ballistic performance and its use is aimed at experienced shooters. The rifle casing, made of anodized aluminium and overmoulded with technopolymer in the central and rear part, offers characteristics of sturdiness, lightness and ergonomics, aimed at favouring handling and specific shooting positions for long distance use. The weapon is integrated with the STEINER ICS (Innovative Combat Sight) optics which allows the automatic calculation of the point of impact with ballistic compensation according to the distance of the target and the ammunition used.

THE ARX 160 A1 and A3 BERETTA ARX Rifle

The BERETTA ARX 160 A1 and A3 rifle cal. 5.56 mm has been developed as part of a specific modernization program, in order to equip the fighter with a new generation weapon more powerful than the one in service (BERETTA 70/90). The rifle (with polymer structure) is extremely handy, light and compact, completely ambi-right through simple operations that the shooter himself can perform. The telescopic recoil pad, adjustable to four different positions, allows the rifle to be adapted to the needs of each individual operator, while the 4 Picatinny sleds positioned on the barrel guarantee the possibility of easily engaging any day and night aiming apparatus/system (laser, optical, flash light).  As part of the second phase of Concept Development & Experimentation (CD&E) of the Forza NEC Program, BERETTA has further developed the ARX 160 assault rifle, making a series of modifications and improvements to the weapon in order to meet the demands of the operators. From this activity was born the A3 version of the rifle.

THE BATTLEFIELD SURVEILLANCE SYSTEM

The "Arthur" (Artillery Hunting Radar) is a system able to guarantee the ability to search, detect and identify enemy active fire sources, determining the point of origin and impact of the trajectories, allowing to deliver, in real time, any response fire. In addition, the use of counter-fire arrangements allows the instrumental observation of the fire provided by friendly artillery, contributing, at the same time, to the development of information activity in the field surveillance of the battlefield. In this context, the availability of such radar systems contributes to the creation of the information picture and to the general understanding of the operational environment. The first example entered into service in December 2013.

GREEN LIGHT

As known to fans of the sector, new details have recently been revealed about the Safe Soldier program which, in reality, is officially called SIC (Sistema Individuale per il Combattimento) - Soldato Sicuro and is the continuation of the SIC (Sistema Individuale per il Combattimento) - Soldato Futuro in turn spin-off of the Soldato Futuro inserted in the context of developments parallel to the Forza NEC project (actually the CD&E, or Concept Development and Experimentation, of Forza NEC). The Army has formulated a total requirement for 68,900 individual systems for a total of approximately € 1.635 billion. 
The "Safe Soldier System" project is managed by the consortium of the same name formed by Leonardo (65%) and Beretta (35%). The consortium is responsible for the promotion and marketing of this system. The first contract signed by this new reality was signed in December 2019 by the Director of Terrestrial Armaments: it is an agreement worth €532 million for 9 years (from 2019 to 2027); currently only Phase 1 of the programme has been approved by the parliamentary bodies. The House and Senate committees have recently launched a larger project, worth about €755 million, which will be divided into 2 phases.

(Web, Google, Esercito.difesa, RID, Wikipedia, You Tube)