domenica 21 aprile 2019

Il laser Qinetiq (Leonardo - MBDA - GKN - Arke - BAE Systems - Marshall ADG) "Dragonfire" sta ultimando i test operativi



La società britannica Qinetiq sta ultimando i test operativi del "Dragonfire", una nuova arma a energia diretta laser britannica.
Il primo stadio del progetto del consorzio DRAGONFIRE britannico sarà nella messa a punto di un nuovo impianto di prove laser Dragonworks ove avverrà l'assemblaggio e il collaudo dell'arma a energia laser diretta (LDEW) attualmente in fase di sviluppo.
I componenti sono arrivati all'inizio del 2018 e la Qinetiq inizierà a costruire la sorgente laser dell'arma nella camera asettica appositamente costruita. 
Nei mesi successivi, la sorgente laser subirà un processo di valutazione e regolazione prima di essere integrata con il sistema di puntamento “beam director” messo a punto dalla società italiana Leonardo.
Il progetto culminerà nel funzionamento a piena potenza in condizioni di test all'interno di una struttura, prima di essere trasportato a MOD Shoeburyness per le prove all'aperto a lunga gittata.
I dati raccolti utilizzando appositi strumenti di valutazione valuteranno la reale riflettività degli obiettivi in campo aperto e ogni eventuale rischio di progetto.
Questa struttura sarà un passo fondamentale nella realizzazione del progetto Dragonfire e rifletterà pienamente gli investimenti del MOD britannico, supportato da ingenti finanziamenti dell’industria italo-britannica.



Il Ministero della Difesa britannico ha assegnato un contratto da 30 milioni di sterline (circa 36 milioni di dollari) per la produzione di prototipi di armi laser, al fine di realizzare le prime armi laser entro la metà degli anni Venti.
L'accordo è stato finalizzato con un consorzio di aziende europee della difesa, noto come UK Dragonfire e composto da MBDA, Qinetiq, Leonardo-Finmeccanica GKN, Arke, BAE Systems e Marshall ADG, ha riferito oggi BBC News.
Il prototipo non è stato sviluppato con una minaccia specifica in mente, ma per valutare se questo tipo di armi, utilizzando la tecnologia dell'energia diretta, potrebbe andare a beneficio delle forze armate, ha detto il portavoce del ministero.
Tuttavia le armi ad energia diretta possono essere utilizzate, in generale, per distruggere droni, missili, missili, mortai, bombe lungo la strada e molte altre minacce.
L'arma prototipo sarà valutata sulla sua capacità di raccogliere e tracciare gli obiettivi a diverse distanze, in diverse località e condizioni meteorologiche. In caso di successo, il progetto potrebbe portare a una dimostrazione del sistema nel 2019 e le prime armi laser potrebbero entrare in servizio entro la metà degli anni Venti.
Il tipo di armi potrebbe essere utilizzato per colpire droni, missili e mortai, tra le altre minacce.



L'obiettivo a lungo termine del progetto sarà quello di produrre un'arma laser ad alta energia che può essere montata su navi e veicoli di terra.
I cannoni laser funzionano stimolando gli elettroni di alcuni materiali che emettono onde luminose, che possono essere amplificate e fatte viaggiare insieme in un fascio stretto e bruciante.


Il progetto britannico Dragonfire è supportato da un consorzio di aziende che stanno lavorando con il Ministero della Difesa per produrre un'arma laser completamente operativa.
Sia gli Stati Uniti, la Russia, la Cina e la Germania sono molto avanti nello sviluppo del laser.



La prima fase del programma del MOD britannico è assicurata dal nuovo contratto da 30 milioni di sterline; nelle prime fasi la ricerca testerà il laser di potenza nelle diverse condizioni meteorologiche.



Il consorzio italo-britannico Dragonfire svilupperà una road map per l'introduzione in massa della nuova arma e per lo sviluppo di una versione dimostrativa per il 2019.
Se il prototipo avrà successo, le prime armi laser entreranno in servizio entro la metà del 2020.

(fonte: WEB, GOOGLE, UK DEFENCE JOURNAL, DEFENSE WORLD)
















IL LASER DI POTENZA RHEINMETALL: il futuro è già qui!



La tedesca Rheinmetall ha testato un nuovo sistema d'arma che può operare armi laser fino a 100 kW di potenza e può essere integrata anche su veicoli da combattimento cingolati e ruotati. 
In test recenti, il sistema ha impegnato con successo droni e colpi di mortaio a distanze rilevanti dal punto di ingaggio. 
La nuova arma laser è adatta ad essere impiegata in operazioni di terra, aeree e navali; gli assemblaggi del sistema sono modulari e scalabili nel design, per soddisfare le diverse applicazioni.



Il nuovo sistema modulare d'arma è composto da quattro componenti principali: 
  • la sorgente laser, 
  • il beam director con il telescopio
  • Il tracker o stazione d'arma. 

Il sistema utilizza un beam director che è già stato testato da Rheinmetall con altri laser ad alte prestazioni con un laser da 20 kW prodotto dalla Rheinmetall.



Nel dicembre 2018 l'azienda ha condotto con successo prove del nuovo sistema dimostrando il regolare funzionamento del laser, insieme alla velocità e precisione di assemblaggio del sistema d'arma. 
I test sono stati condotti presso il centro di prova di Ochsenboden, vicino a Zurigo, Svizzera.

La stazione d'arma mobile ha il compito di puntare meccanicamente il laser verso il bersaglio. Ciò che differenzia questo sistema da altri sistemi similari è:
  • la funzione di puntamento meccanico estremamente precisa, 
  • una zona di spostamento illimitato a 360°,
  • un campo di elevazione superiore a 270°. 



La società costruttrice Rheinmetall ha confermato di avere a disposizione tutti gli assiemi principali per un futuro sistema d'arma laser pienamente operativo e funzionale.

L'architettura del sistema (EN DIN 61508) è strettamente orientata al sistema di difesa aerea MANTIS contro-razzo, artiglieria e missilistica (C-RAM), attualmente in servizio presso la Bundeswehr, e offre quindi anche interfacce per il collegamento con sistemi di difesa aerea di alto livello.

La Rheinmetall sta sviluppando diverse soluzioni di difesa aerea a corto raggio basate su cannoni e missili; un'arma laser di questo tipo può integrare significativamente i sistemi attualmente in uso. 

L'azienda collabora anche con la statunitense Raytheon per migliorare e integrare il sistema di difesa aerea Patriot con il proprio sistema laser a corto raggio.

(fonte: Defense Update)




sabato 20 aprile 2019

Le fregate classe Type 21 o classe Amazon



Le fregate classe Type 21 o classe Amazon, dal nome della capoclasse, sono state una classe di fregata missilistica costruite per la Royal Navy britannica, realizzata in 8 esemplari agli inizi degli anni settanta, e che venne impiegata con un ruolo importante durante la Guerra delle Falklands. L'entrata in servizio della capoclasse ebbe luogo nel 1974. Sei navi della classe sono state vendute al Pakistan dopo essere state radiate dalla flotta britannica.



Progettazione

Il progetto delle nuove fregate verteva su di unità multiruolo di buone caratteristiche, anche se senza prestazioni di particolare rilievo. Avrebbero dovuto sostituire le 2 vecchie classi di navi Type 41 e Type 61, ormai obsolete, ma siccome i costruttori civili e militari non trovarono accordo sui criteri della progettazione, ne derivarono navi senza spazi di crescita per ospitare armamenti ed equipaggiamenti migliorati, sebbene fossero molto manovrabili, dato l'apparato su 2 assi e il ridotto rapporto lunghezza-larghezza.
Si trattava di navi tuttofare, capaci di combattere in prima linea e di eseguire azioni di scorta senza particolari problemi; navi robuste, con costruzione basata su di un elevato bordo libero, sovrastrutture massicce parzialmente separate, con la plancia a prua e un grande e basso fumaiolo a poppa. In pratica erano pensate per le difficili condizioni di navigazione in pieno oceano. A prua erano presenti 2 alberi con i radar principali, e un altro albero era a poppa, davanti al fumaiolo, con antenne elettroniche varie.
L'apparato di propulsione verteva, per la prima volta nelle fregate inglesi, su di un complesso di turbine a gas, in configurazione COGOG (COmbined, Gas Or Gas), 2 Olympus per l'andatura a massima velocità (max oltre 30 nodi) mentre per la crociera erano presenti 2 Tyne, con un massimo di 18 nodi, e che consentivano di ottimizzare il consumo di carburante. Esse non potevano essere azionate tutte insieme, ma solo con gruppi alternati (la terza ‘O' sta per ‘Or').
Per quello che riguarda l'armamento le Type 21 disponevano costituito da un cannone a doppio scopo di nuova concezione, il Vickers Mk. 8 da 114/55 mm, con una cadenza di tiro abbastanza elevata e peso ridotto. Un radar Selenia RTN-10X Orion veniva usato per il controllo del tiro de cannone, cosa che è rimasta unica nella storia della Royal Navy inglese in quanto il radar era di provenienza italiana. Un altro RTN-10X Orion era posizionato a poppa, per controllare il tiro dei missili superficie-aria a corto raggio Shorts Sea Cat, dotati in questo caso di un sistema di tiro ognitempo. Quattro missili superficie-superficie Aérospatiale MM.38 Exocet erano posti a prua, dietro la torretta del cannone, racchiusi in contenitori-lanciatori singoli.
Era disponibile anche due lanciasiluri tripli Plessey STWS-1, posti a mezzanave su ciascun lato, per siluri leggeri antisommergibili Honeywell Mk 46, poi sostituiti o integrati con altri modelli. A poppa vi era un hangar e un ponte di volo per un elicottero antisommergibile medio o leggero, come i Wessex, lo Scout oppure il più moderno Lynx, tutti di produzione Westland Aircraft.



Navi

"Venne sottoscritto un contratto con la Vosper Thornycroft il 27 febbraio 1968 per la preparazione del progetto di una fregata da pattugliamento in piena collaborazione con la Yarrow Ltd." Queste vennero "progettate per rimpiazzare le fregate delle classi Leopard e Salisbury. Il costo iniziale doveva essere di 3,5 milioni di sterline ma la Amazon alla fine venne a costare £16.8 milioni."





Impiego

Royal Navy

Le navi di questa classe hanno servito con compiti vari nella flotta inglese per circa 20 anni, partecipando alla Guerra Fredda come la terza classe di navi per ordine di importanza (dopo i Type 42 e le vecchie ma versatili Leander. Esse parteciparono a missioni di caccia ASW, ombreggiamento di unità sovietiche, esercitazioni.
La loro grande occasione fu però all'estremità opposta dell'Atlantico, con la Guerra delle Falkland, dove queste navi vennero inviate, in forza alla flotta inviata a riconquistare le isole perse per causa degli argentini. Le Type 21 erano navi prevalentemente ASW, sebbene non di eccelse qualità, e secondariamente capaci di eseguire compiti antinave e di superficie. Solo per terza veniva la lotta antiaerei, relegata alla sola autodifesa o poco oltre. Siccome gli argentini erano troppo inferiori per cercare lo scontro diretto con la RN, e non possedevano molti sottomarini, la loro azione principale venne data dall'uso di un'efficiente aviazione, che diede il meglio di sé proprio durante le missioni di attacco antinave. Le Type 21 parteciparono in 7 esemplari al conflitto, e tornarono in 5, condividendo con le Type 42 il primato delle perdite tra le unità inglesi.
La loro azione vide molte operazioni di rilievo, come i continui bombardamenti delle coste eseguiti durante la campagna, tra cui il supporto della Arrow alla battaglia di Goose Green, la più importante e sanguinosa della Guerra. Inizialmente il cannone si era inceppato, e la nave accumulò un ritardo pericolosissimo nel bombardare i vari bersagli programmati, ma poi riuscì a recuperare e a contribuire alla vittoria britannica, ottenuta con un'inferiorità di 2:1 sui difensori argentini, tra l'altro pesantemente armati e supportati dall'aviazione.
Il 10 maggio la Alacrity era impegnata nel pattugliare il canale tra le due isole principali, alla ricerca di campi minati, quando rilevò una nave sconosciuta, alla quale intimò di fermarsi. Era il trasporto Isla de los Estados, con 375.000 litri di carburante avio, munizioni e altri materiali. La fregata inglese lo inquadrò con proiettili illuminanti, poi sparò munizioni spolettate con la funzione di prossimità, per fermarla senza gravi danni, infine la colpì ripetutamente con proiettili a scoppio ritardato. La nave argentina non si era subito fermata, e divenne la prima nave affondata dalla RN nel dopoguerra, esplodendo in fiamme e scomparendo tra le onde.
Il 21 maggio, la flotta inglese eseguì lo sbarco, inaspettato, a San Carlos. Scoperta la flotta alla fine della giornata precedente, l'Aeronautica argentina non poté fare niente. Attaccò in forze il giorno dopo, perdendo tra i 10 e i 17 aerei, ma causando danni rilevanti, tra cui la distruzione della fregata Ardent, colpita da 2 bombe in un primo attacco, e poi, mentre cercava di manovrare per uscire dalla rada, con la poppa in fiamme e il Sea Cat distrutto, da altre 2. L'unità venne a quel punto devastata e il comandante, Alan West, ordinò di abbandonarla. I superstiti vennero presi a bordo dalla Yarmouth, che si era affiancata per prestare soccorso. La nave inglese affondò poco dopo piegata a dritta, con la poppa e l'hangar ancora in fiamme. Non andò comunque persa senza aver strenuamente tentato di difendersi, ma essa dimostrò anche quanto il suo armamento antiaereo, nonostante i radar di tiro moderni in suo possesso, non fosse sufficiente: pare che prima di venire colpita, sparò un totale di 180 colpi da 114mm (equivalenti a circa 7 minuti di fuoco continuato alla massima cadenza), centinaia di proiettili da 20mm e 5 Sea Cat, senza nessun successo, e senza salvarsi. Le perdite, 22 oltre a 30 feriti, erano state gravi ma non pesantissime vista la virtuale demolizione a suon di bombe della nave (molto spesso le perdite umani delle navi britanniche si sono dimostrate assai inferiori che in altre marine, e le Falklands non hanno fatto eccezione). Anche l'elicottero Lynx presente a bordo venne distrutto, uno dei tre moderni velivoli di questo tipo perduti, tutti a bordo di navi affondate.
Il 23 maggio, un episodio meno cruento accadde all’Antelope, colpita vicino alla baia di San Carlos da 2 bombe da 454 kg, le quali, come capitava spesso durante quegli attacchi, poiché lanciate ad una altezza inferiore al necessario non si armarono abbastanza in fretta da esplodere all'impatto con le strutture della nave. Ma il tentativo di disinnescarle, essendo rimaste a bordo, diventò una tragedia allorché una esplose, uccidendo un artificiere. La potenza dell'esplosione delle bombe da 454 kg, rispetto a quelle da 227, era molto maggiore, e si formò un cratere tra il livello di galleggiamento e il fumaiolo. Le fiamme che si svilupparono aggredirono con violenza la nave e fecero esplodere il deposito da 114mm, con immagini che fecero il giro del mondo, e a quel punto l'incendio, diventato ancora più violento, distrusse totalmente la nave il cui scafo cedette e si spezzò in 2, affondando il giorno dopo.
Tra le altre azioni, oltre a continui bombardamenti costieri, le navi ebbero anche modo di difendersi in mare aperto da attacchi argentini: il 30 maggio, durante l'ultimo attacco aero-missilistico argentino, la fregata Alacrity sparò con il cannone Mk 8, attribuendosi addirittura la distruzione di un missile AM.39 Exocet, l'ultimo dei temibili ordigni del genere in possesso dell'Argentina.
Alla fine del conflitto, si scoprì che lo scafo delle Type 21 aveva riportato serie lesioni strutturali, a causa della violenza delle onde dell'Atlantico meridionale e del lungo permanere in mare delle unità inglesi. Ma le lesioni subite dalle Type 21 diedero luogo a critiche, perché inaspettate e gravi, e addirittura si dubitò che convenisse riparare le fregate reduci dal conflitto. Alla fine, mentre quasi tutta la flotta inglese che aveva partecipato alla guerra venne venduta negli anni seguenti, le Type 21 vennero riparate e restarono in servizio, sebbene le loro capacità operative le relegavano sempre più in seconda linea. I loro siluri di bordo ebbero almeno in parte la sostituzione con i nuovi siluri ‘intelligenti', gli Stingray della Marconi.



Marina pakistana

All'inizio degli 90 del XX secolo, con la fine della Guerra Fredda, la Royal Navy poste in riserva le 6 superstiti unità della classe Type 21, rinunciando ai previsti piani di ammodernamento, e di lì a poco, le navi furono vendute alla Pak Bahr'ya, la marina militare del Pakistan, insieme a sei elicotteri Westland Lynx HAS Mk.3. Qui hanno avuto una nuova vita, venendo ammodernate tra il 1994 e il 1998 con modifiche ai sistemi d'arma e alla dotazione elettronica, con l'installazione di nuovi radar e direzioni di tiro di provenienza olandese e cinese. Tre unità hanno ricevuto al posto dei 4 contenitori-lanciatori singoli per missili superficie-superficie MM-38 Exocet, 2 lanciamissili quadrupli per missili superficie superficie McDonnell-Douglas RGM-84 Harpoon, mentre il sistema antiaereo Sea Cat è stato sostituito con un CIWS Vulcan Phalanx a sei canne rotanti calibro 20/76 mm. Le rimanenti tre unità hanno ricevuto un lanciatore a sei celle per missili superficie-aria LM-60N. Nel 2014 la fregata Badr è stata definitivamente ritirata dal servizio è destinata a fornire parti di ricambio alle superstiti unità. Esse sono a tutto il 2017 in servizio e compongono una forza importante della marina del Pakistan, che si confronta con la potenziale rivale di sempre, la Marina Indiana.



(Web, Google, Wikipedia, You Tube)


































venerdì 19 aprile 2019

Si vis pacem, para bellum (lat. «se vuoi la pace, prepara la guerra») - I peacekeeper italiani



Si vis pacem, para bellum (lat. «se vuoi la pace, prepara la guerra»). – Sentenza latina anonima in questa forma, ma presente, in modo poco diverso nella formulazione o nella sostanza, in varî autori; si cita soprattutto per affermare che uno dei mezzi più efficaci per assicurare la pace è quello di essere armati e in grado di difendersi, in modo da scoraggiare eventuali propositi aggressivi degli avversarî.
(fonte TRECCANI)




Pensavate di aver finalmente finito di studiare e invece no: vi siete imbattuti nella frase "si vis pacem para bellum" ma non ne conoscete la traduzione e tanto meno il significato.
Iniziamo con il dire che, come è facile intuire, si tratta di una locuzione latina, una di quelle che sono ancora in vita e che mantengono alto l’onore della lingua dalla quale deriva l’italiano moderno.
Questa notizia, però, suona un po’ come un’amara consolazione: non ci dice molto, non risponde alle nostre domande, non ci fornisce ulteriori indizi per arrivare a ciò che stiamo cercando, ovvero determinare il significato e la traduzione di “si vis pacem para bellum”.
Entriamo allora nel merito della questione e vediamo nel dettaglio di trovare una risposta definitiva a questi diffusi interrogativi.




Traduzione e significato di “si vis pacem para bellum”

Prima di arrivare al nodo della questione, ovvero conoscere la traduzione e il significato della locuzione latina “si vis pacem para bellum”, diciamo che l’autore sembrerebbe essere ignoto e che il suo utilizzo risale alle Leggi di Platone.
In queste ultime, infatti, si trova proprio la locuzione in oggetto mentre oggi, nonostante non sia difficile trovarla in giro, quest’ultima ha conosciuto un’altra variante, ovvero Ergo qui desiderat pacem, praeparet bellum.
Ad ogni modo la traduzione letterale di “si vis pacem para bellum” è «se vuoi la pace, prepara la guerra» mentre il significato della sua variante appena citate è “chi aspira alla pace, prepari la guerra”.
Quest’ultima è divenuta famosa grazie al prologo del libro III dell’Epitoma rei militaris di Vegezio, un’opera composta alla fine del IV secolo.
A riprendere il concetto altri autori conosciuti nel mondo della letturatura come Cornelio Nepote e Cicerone che, seppur come qualche parola diversa, hanno reso bene l’idea calcando la mano sul fatto che uno dei modi più efficaci per assicurare uno stato di pace, anche se sembra strano, è proprio quello di essere armati per difendersi all’occorrenza.
Non manca, inoltre, chi sottolinea come sia possibile individuare un significato più sottile: coloro che imparano a combattere saranno più capaci di comprendere il valore della pace.
Infine “si vi pacem para bellum” allude anche ad un terzo significato: un nemico all’interno o all’esterno potrebbe essere l’espediente per tenere unito e concorde un popolo, così da governarlo meglio.

(fonte SoloLibri.net)




Si vis pacem, para bellum (in latino: «se vuoi la pace, prepara la guerra») è una locuzione latina di autore ignoto ma presente in molti autori con alcune varianti poco differenti.
Usata soprattutto per affermare che uno dei mezzi più efficaci per assicurare la pace è quello di essere armati e in grado di difendersi[1], possiede anche un significato più profondo che è quello che vede proprio coloro che imparano a combattere come coloro che possono comprendere meglio e apprezzare maggiormente la pace.
Può anche significare, in maniera più sottile, che un espediente per tenere unito e concorde un popolo, e quindi poterlo governare meglio, è di avere (o addirittura di creare) un nemico all'esterno, o al suo stesso interno (vedi anche divide et impera), facendo leva su quello che lo storico Sallustio definiva metus hostilis «paura del nemico».




Storia e significato

L'uso più antico è contenuto probabilmente in un passo delle Leggi di Platone.[3] La formulazione in uso ancora oggi è invece ricavata dalla frase: Ergo qui desiderat pacem, praeparet bellum, letteralmente "Dunque, chi aspira alla pace, prepari la guerra". È una delle frasi memorabili contenute nel prologo del libro III dell'Epitoma rei militaris di Vegezio, opera composta alla fine del IV secolo.
Il concetto è stato espresso anche da Cornelio Nepote (Epaminonda, 5) con la locuzione Paritur pax bello, vale a dire "la pace si ottiene con la guerra", e soprattutto da Cicerone con la celebre frase Si pace frui volumus, bellum gerendum est tratta dalla Settima filippica, che letteralmente significa "Se vogliamo godere della pace, bisogna fare la guerra", che fu una delle frasi che costarono la vita al grande Arpinate nel conflitto con Marco Antonio.




Utilizzo

Alleanza tra Francia e Russia 1892

Si vis pacem para bellum è il celeberrimo motto latino a corredo della stampa che celebra l'incontro avvenuto a Pietroburgo nel 1898 tra lo zar Nicola II e il presidente francese Faure. L'alleanza tra le due potenze, cercata dai russi per attirare capitali da Parigi e dai francesi in funzione antitedesca, non evitò - ammesso che questo fosse lo scopo - il conflitto mondiale ma contribuì a ritardarlo di 16 anni.




Nella cultura di massa

Questa frase che compariva sul portone di ingresso della fabbrica Deutsche Waffen und Munitionsfabrik (DWM) passò a identificare le cartucce prodotte da questa con il nome di "Parabellum".
Una frase nel testo della canzone dei Metallica del 1991 "Don't Tread on Me" è "to secure peace is to prepare for war" (per assicurarsi la pace bisogne prepararsi alla guerra).
La locuzione è diventata anche il motto di Punisher, un personaggio dei fumetti della casa editrice statunitense Marvel comics; viene citata nella mini Year One, e viene ripresa nel film The Punisher, oltre che nell'adattamento fumettistico del medesimo.
Nel videogioco Tom Clancy's EndWar questa locuzione rappresenta il motto degli Enforcer Corps d'Europa, soldati d'elite appartenenti all'esercito di una futura e ipotetica Federazione Europea.
Codesta locuzione è presente anche nel videogioco Tom Clancy's Rainbow Six Siege in occasione del operazione che aggiunge due operatori italiani, derivanti dal famoso G.I.S., schierati come difensori ovvero: Alibi e Maestro.




Variante Si vis bellum para pacem

L'inversione dei termini della locuzione è dovuta al segretario particolare di Napoleone Bonaparte, suo ex compagno di Accademia militare, Bourrienne che nelle sue Memorie scrisse: 
«Tutti conoscono l'adagio [...]. Se Napoleone fosse stato un'autorità nella lingua latina, avrebbe probabilmente invertito il detto in Si vis bellum para pacem (Se vuoi la guerra prepara la pace)».

(fonte Wikipedia)




I peacekeeper italiani, pur riconoscendo l’egida internazionale delle varie missioni umanitarie e pur trovandosi a proprio agio in questo nuovo variegato contesto, conservano ed affermano sempre la propria identità nazionale.

I soldati italiani si trovano a proprio agio nel contesto operativo multinazionale che caratterizza la gran parte di queste missioni. 

Essi lavorano disinvoltamente insieme a commilitoni di altri contingenti. 



Alcune volte scorgere la diversità nazionale fra i vari soggetti che compongono la scena è più difficile. 
Si vedono dei soldati che lavorano insieme, e solo ad un’osservazione più attenta, che si soffermi su alcuni particolari come i dettagli della divisa o i cognomi che i soldati hanno appuntati sul petto, queste diversità diventano più lampanti. 

Esiste dunque un’identità militare che fa riferimento ad un patrimonio culturale che si basa su codici comunicativi afferenti alla «comunità» dei militari che travalica i confini nazionali e che consente lo svolgersi regolare di missioni multinazionali. 

Il soldato italiano è cordiale, comunicativo, collaborativo e non ha problemi ad interagire con persone di razza o sesso diverso dal proprio. 

Nonostante questa apertura però, l’identità nazionale è ben presente nel contingente italiano ed è continuamente ribadita dal simbolo che più di ogni altro connota l’appartenenza ad una nazione: la bandiera, inossidabile indicatore di uno «stile» italiano di militarità. 

Sia che sventoli accanto ad altre insegne, sia che si erga solitaria a testimoniare una presenza italiana, anche nell’ambito del peacekeeping, il binomio Esercito-bandiera appare irrinunciabile.

Nico Vernì