mercoledì 30 gennaio 2019

Il Northrop F-20 Tigershark (in italiano "squalo tigre")



Il Northrop F-20 Tigershark (in italiano "squalo tigre") è stato uno dei caccia più promettenti degli anni ottanta, ma per varie cause ha fallito la sua sfida con il concorrente diretto F-16 Fighting Falcon, il quale ha finito per accaparrarsi conseguentemente tutto il mercato dei caccia leggeri monomotore americani e la gran parte di quello mondiale.




Origini

Il progetto dell'F-20 nacque dallo sviluppo dell'F-5E Tiger II dotato di radar, a sua volta derivato e sviluppato dall'F-5 Freedom Fighter e raggiungse il suo culmine con il progetto F-5G, ridenominato poi F-20.
Si trattava di una "private venture" che vedeva l'idea di coniugare la leggera ed economica fusoliera di base del popolare supersonico leggero Northrop con il nuovo motore F-404, che, sebbene necessario in due esemplari nel caso del McDonnell Douglas F/A-18 Hornet, poteva dar vita ad un efficace caccia monomotore se ragionevolmente leggero. Tutto questo venne elaborato attorno alla metà degli anni settanta, il che comportò la successiva costruzione di 3 prototipi, il primo dei quali venne portato in volo nel 1982.




Tecnica

Il nuovo aereo da caccia era un derivato dell'F-5E Tiger II, dotato di un motore F404 nella parte posteriore della fusoliera al posto dei due precedenti General Electric J85, mentre le linee squadrate e semplici delle ali, il muso appuntito e la fusoliera progettata secondo la regola delle aree erano pressoché immutati. Il nuovo caccia aveva i piani di coda maggiorati del 30%, ma curiosamente il timone verticale era leggermente ridotto. Il motivo è che, data la già ben nota impossibilità degli F-5/T-38 di cadere accidentalmente in vite per via della parte ventrale della fusoliera piatta, la stabilità sarebbe stata addirittura eccessiva e non avrebbe consentito al rielaborato progetto di manovrare con la grande velocità tipica delle macchine da combattimento aereo moderne. Il principale motivo di interesse strutturale nel campo aerodinamico, era dato dalla presenza di LERX sul bordo d'attacco dell'ala, che permettevano al velivolo di incrementare la controllabilità del velivolo nelle manovre ad alto angolo d'attacco.




Il sistema di comandi di volo era fly-by-wire, ovvero a comandi elettrici come sull'F-16, ma esisteva un sistema di comandi d'emergenza meccanici. Il rivestimento esterno permetteva di sopportare 9 g di accelerazione, essendo ora molto irrobustito.
Il motore era la principale innovazione del progetto: si trattava del General Electric F404, un robusto turbofan a basso rapporto di diluizione, pesante 1.011 kg a secco, con rapporto di compressione di 25:1 e rapporto potenza-peso di 7,62:1. Gli sviluppi successivi dell'F404 avrebbero consentito di incrementare la spinta statica da 7.433 kg a 8.165 kg (nel modello F-20C, con turbogetto del Saab JAS 39 Gripen), e giungere sull'F-20E a circa 8.500 kg ed oltre.
Quanto all'avionica, il radar principale era pensato in origine per essere in una versione "economica" l'APQ-159 dell'F-5E, mentre nel modello "top" esso verteva sul multimodale radar doppler General Electric APG-67, il più piccolo apparato dell'epoca della categoria. Esso poteva operare in un raggio operativo di circa 148 km in condizioni assolutamente ottimali, anche se la portata pratica raggiungeva i 50–70 km nell'esplorazione aerea e i 50 km contro bersagli navali di 50 m². Presentava funzioni di ricerca avanzate quali la VS e il TWS, ovvero la ricerca veloce (a lungo raggio) e la ricerca e l'inseguimento contemporanei, mentre le funzioni comprendevano anche l'illuminazione ad onda continua per gli AIM-7 Sparrow, l'esplorazione sul mare e la funzione cartografica. Se si pensa alla estrema compattezza dell'apparato e dell'antenna, le possibilità di questo apparato erano davvero sorprendenti.
Gli altri dispositivi erano un avanzato IFF APX-101, radio UHF, piattaforma inerziale laser, TACAN, ECM ALQ-171 e RWR ALR-46, HUD.
I comandi di volo dell'abitacolo comprendevano manette e cloche del tipo HOTAS (Hands On Throttle And Stick) come sull'F-16, ma erano presenti anche due schermi multifunzione della Bendix. Oltre a questo, il tettuccio era migliorato in termini di visibilità complessiva, con un buon compromesso rispetto ad una impossibile riprogettazione del velivolo per il tettuccio "a goccia" del più grande F-16.
Infine, l'armamento si basava su due cannoni M39 da 20 mm, armi che costituivano una continuità con il precedente, non essendoci spazio per l'M61 Vulcan. I cannoni M39 hanno una cadenza di tiro di ben 1.500 colpi al minuto e una disponibilità di 560-900 proiettili, che costituiscono ancora oggi una rilevante potenza di fuoco. Carichi opzionali erano presenti in 5 agganci subalari e sotto la fusoliera, oltre a 2 rotaie di lancio per missili alle estremità alari. Il carico ammontava a circa 3.800-4.700 kg e poteva comprendere missili come lo AIM-7 Sparrow e l'AGM-65 Maverick. Erano persino previsti i nuovissimi AIM-120 AMRAAM, ma solo con il radar APG-67.




Fine del programma

Il primo prototipo andò in volo nell'agosto del 1982, decollando dalla base aerea di Edwards, raggiungendo al primo volo già Mach 1,03. In seguito volò ancora raggiungendo i 35 gradi di angolo d'attacco ad appena 124 km/h. La velocità di virata raggiungeva gli 11,5 gradi al secondo a 4.570 metri, con una velocità di salita di circa 275 metri al secondo e un tempo per raggiungere i 12.200 m di 225 secondi, compresi 55 per l'avviamento e 25 per l'allineamento della piattaforma inerziale. In termini di accelerazione un F-20 poteva passare in 29 secondi da 0,9 a 1,2 Mach alla quota di 9.100 m.
Inoltre l'F-20 raggiunse prima dell'F-16 la compatibilità con i missili Sparrow, abbattendo un drone MQM proprio con i missili AIM-7F. Il celebre pilota collaudatore Chuck Yeager affermò che l'F-20 era il migliore caccia che avesse mai collaudato.
Ma sfortunatamente niente di tutto questo, né le prestazioni elevate, né la suite avionica moderna, né i colori accattivanti scelti per i prototipi, come il rosso bordato di bianco, salvarono il Tigershark dal fallimento. Il caccia ebbe il disinteresse totale dell'USAF, mentre all'estero i clienti non si dimostrarono ben disposti ad accettarlo come successore della diffusissima famiglia degli F-5 A/E.




Il successo dell'F-16, vero "jolly" o "assopigliatutto" che ha sostituito aerei come l'A-4 Skyhawk, A-7 Corsair II, F-4 Phantom II, F-5 e F-104 Starfighter, annullò di fatto la "biodiversità" tra i caccia leggeri monomotore del mercato mondiale, lasciando salvo soltanto il lontano e assai dissimile Dassault Mirage 2000.
Tra i clienti esteri era stato suggellato soltanto un ordine da parte degli Emirati Arabi Uniti per soli 4 esemplari, un numero assolutamente insufficiente per avviare la produzione del Tigershark. Inizialmente, la forza aerea di Taiwan era interessata all'acquisizione dell F-20 Tigershark, ma l'iniziativa venne bloccata nel 1982 a causa della decisione del governo statunitense di non esportare il nuovo caccia nello stato insulare per evitare l'incrinarsi dei rapporti con la Repubblica Popolare Cinese. Anche l'Egitto era interessato, ma non abbastanza da immettere in servizio un altro aereo da caccia oltre agli F-16 e i Mirage 2000 già in servizio, nonostante fosse stata offerta perfino la licenza di produzione dell'F-20 all'industria aeronautica egiziana di Helwan.
L'USAF, soprattutto, non mostrò alcun interesse per l'F-20 e il governo statunitense non supportò la promozione per i mercati esteri del caccia e anche del più economico F-16/79, versione dell'F-16 motorizzato con il turbogetto General Electric J79. Nel 1986 la Northrop propose all'USAF un lotto di F-20 a condizioni di prezzo stracciato, ma la General Dynamics propose subito un contratto altrettanto economico per l'F-16C. Infine, quando la Air National Guard bandì un concorso per il nuovo caccia da difesa aerea per il territorio americano con ben 300 unità in ballo, venne dichiarato vincitore l'F-16 ADF, che ottenne l'operatività con gli Sparrow solo alla fine degli anni '80, quando invece l'F-20 aveva già tale possibilità dal 1983.
Nell'ottobre 1986 venne così annunciato l'ordine per 270 velivoli F-16A modificati in versione da difesa aerea, chiamati ADF (Air Defence Variant) e a quel punto la fine del programma F-20 fu inevitabile.

Valutazioni postume

L'F-20 può essere considerato una grande occasione persa perché aveva una struttura semplice, leggera, con un'ottima comunanza (nonostante vi fossero anche molte differenze) con i precedenti F-5. La facilità di manutenzione e l'elevata prontezza operativa del velivolo erano ampiamente pubblicizzate dalla Northrop e avevano un pieno fondamento nelle caratteristiche del velivolo.
Ovviamente, si può solo discutere per deduzione sui costi operativi del caccia una volta in servizio, ma sia la struttura, sia il motore sono molto conosciuti ed affidabili, per quanto si è visto sull'F-5 e sull'F-18, e l'F-20 era concepito per essere un velivolo sostanzialmente semplice ed economico.
Questo è precisamente quanto manca nel periodo moderno dei caccia. Anche gli F-16 sono macchine decisamente esigenti in termini di manutenzione e l'elevata operatività ottenibile riesce ad essere tale solo con spese e costi elevati per ora di volo, e un'alta specializzazione del personale tecnico. L'F-20 era invece un velivolo concepito con criteri di economia ed efficienza paragonabili a quelli del Gripen, pur non essendo un velivolo totalmente nuovo.
Se si considera che persino i vecchi e subsonici A-4 sono stati aggiornati proficuamente con motori e avionica moderni, si capisce come quello che era sostanzialmente un F-5 ampiamente aggiornato avrebbe potuto recitare una parte rilevante nel mercato dei cacciabombardieri moderni, ma come la vicenda dell'F-17/18 insegna (l'originario progetto Northrop venne praticamente usurpato dalla McDonnell Douglas, che relegò la meno influente ditta primigenia al solo 40% del programma) l'influenza delle ditte aeronautiche che godono di "maggiori appoggi", come la General Dynamics, può stracciare letteralmente la concorrenza anche quando il prodotto è sostanzialmente valido.
Il piccolo F-20, tuttavia, non era privo di limitazioni. Aveva la migliore maneggevolezza possibile per un caccia con i comandi meccanici tradizionali (sia pure come back-up), ma la rapidità delle sue manovre era piuttosto sconcertante, con un grave rischio di G-LoC (G-force induced Loss of Consciousness), ovvero perdita di coscienza del pilota a causa dell'eccessiva accelerazione, anche se i limiti massimi non erano apparentemente superiori a quelli di altre macchine.
Il raggio d'azione era scarso, il carico ridotto, entrambi probabilmente non superiori ai due terzi del rivale F-16, mentre la capacità di sostenere manovre ad elevata accelerazione era certamente inferiore, dato il minore rapporto potenza-peso. Il costo unitario previsto per l'F-20 era di circa 7 milioni di dollari, che però salì pericolosamente a circa 11,4, contro i 11,2 dell'F-16/79, i 12,3 per l'F-16A, i 13,8 per l'F-16C, i 17 dell'F-18 e i 12,5 dell'AMX.
Soprattutto, deve essere prevalsa la tesi che l'F-16 era una macchina che, sebbene indiscutibilmente più costosa, era totalmente nuova e moderna, mentre l'F-20 era "solo" un caccia aggiornato della generazione precedente. L'USAF, che già in Vietnam aveva provato l'F-5 (nell'operazione "Skoshi Tiger") con lusinghieri risultati, non diede luogo ad ulteriori ordinativi e si tenne alla larga da tale progetto, pur avendo già appoggiato il concetto di "mix" di macchine di diverse categorie, pesanti e leggere, ma la McDonnell Douglas e la General Dynamics, poi Lockheed Martin, erano evidentemente dotate di spalle più "robuste", come dimostrato anche dalla scelta, nell'ambito del concorso ATF (Advanced Tactical Fighter - caccia tattico avanzato), dell'F-22 Raptor che prevalse sul Northrop F-23 Black Widow II. L'F-23 perse la competizione a beneficio dell'F-22, il quale poi ha finito per assomigliare progressivamente al rivale nell'evoluzione successiva al 1992 (ovvero un progressivo interesse nelle doti stealth piuttosto che nella manovrabilità) ed il sospetto che la scelta sia stata fatta per motivi politici ed economici è sempre stata molto forte.
Comunque sia andata, l'F-20 avrebbe potuto certamente rimpiazzare l'F-5, come anche i vari MiG-21, J-6 ed F-104 presso un ben maggior numero di clienti, con costi minori per l'acquisto e la gestione rispetto al rivale Fighting Falcon. Invece, si è lasciato che molte forze aeree dovessero scegliere tra l'indebitamento per l'acquisto di velivoli moderni ma costosi, ed il mantenimento di una flotta di macchine obsolete, magari aggiornate con programmi vantaggiosi solo se comparati con quanto il mercato aveva da offrire.
L'F-16 è stato prodotto in oltre 4.000 esemplari; non ci sarebbe stato alcun problema ad assicurare uno spazio ad entrambe le macchine ma con differenti ruoli (per esempio, all'F-20 i compiti di intercettazione, all'F-16 quelli di attacco in superficie), ma la "standardizzazione" ha prevalso e ha portato alla perdita di "biodiversità" del panorama dei caccia leggeri, costringendo le forze aeree mondiali ad adattarsi a quanto disponibile in quel momento.

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La famiglia dei radar aero-portati “Grifo”




La famiglia dei radar aero-portati “Grifo” è abilitata principalmente al controllo del tiro. E’ stata consegnata in oltre 450 esemplari a numerosissime Forze Aeree nel mondo e adottato da sette diversi velivoli; ciò grazie alla sua tecnologia e al modico prezzo in rapporto alle prestazioni di controllo del tiro avanzate. Il sensore,  flessibile e modulare, è ideale per velivoli da attacco leggeri ed anche per caccia più grandi e prestazionali; può essere facilmente integrato su una vasta gamma di piattaforme. La famiglia dei radar GRIFO è stata progettata e sviluppato negli stabilimenti di Nerviano (Milano) e di Edimburgo - Gran Bretagna; è sicuramente una serie di prodotti totalmente europei, pronti per essere esportati in tutto il mondo.



RADAR GRIFO “E” AESA

il nuovo radar Grifo-E, il più recente tra i sensori a scansione elettronica della società. 

Il Grifo-E rappresenta l’evoluzione del Grifo a scansione meccanica, un radar di controllo del tiro. Grazie alla comprovata tecnologia radar a scansione elettronica di Leonardo, abbinata a capacità avanzate basate su un array a multi-apertura e un ricevitore multi-canale, il Grifo-E offre prestazioni di controllo del tiro avanzate in un sistema competitivo, leggero e a basso consumo.
Il sensore verrà qualificato sarà pronto per le prime consegne nel 2020.
Il Grifo-E si basa sulla riconosciuta esperienza di Leonardo nelle tecnologie a scansione elettronica. Offre diverse nuove modalità operative in un sistema flessibile e competitivo
Il piano industriale 2018-2022 di Leonardo è focalizzato su prodotti ad alto contenuto di innovazione come il Grifo, che consentono di reinvestire in selezionate aree tecnologiche per una crescita sostenibile di lungo periodo.
Leonardo ha presentato al Salone di Farnborough 2018 il nuovissimo radar flessibile e modulare, ideale per velivoli da attacco leggeri e per caccia più performanti; il Grifo-E può essere facilmente integrato su una vasta gamma di piattaforme. Il nuovo radar è stato progettato e sviluppato negli stabilimenti di Nerviano (Milano) e di Edimburgo: si tratta di un prodotto totalmente europeo, pronto per essere esportato in tutto il mondo. 
Il Grifo-E utilizza la tecnologia a scansione elettronica attiva (AESA – Active Electronically Scanned Array) che prevede una matrice di centinaia di piccoli moduli radar che consentono di guidare un fascio elettronico verso l’obiettivo, invece di puntare fisicamente l’intera antenna. Questo significa che il fascio può essere mosso molto velocemente permettendo al radar di eseguire diversi compiti simultaneamente. Dal momento che le tecnologie di base del Grifo-E sono ampiamente sperimentate e mature, Leonardo ha potuto investire nello sviluppo di una gamma di modalità operative avanzate per il radar, sfruttando completamente le capacità AESA, il ricevitore multi-canale e le unità multi-processore.

GRIFO-346 

Di recente è stato presentato e ufficializzato anche il Grifo-346 a scansione meccanica previsto per l’M-346FA. Il radar è al momento in uno stato di integrazione avanzato sul velivolo e contribuirà alle sue capacità di effettuare missioni, sia di addestramento sia operative. Il Grifo-346 integra una serie di modalità operative aria-aria, aria-superficie e di navigazione, sperimentate sul campo, comprendendo capacità SAR (Syntetic Aperture Radar) e ISAR (Inverse Syntetic Aperture Radar) ad alta risoluzione. È inoltre in grado di tracciare fino a dieci bersagli simultaneamente nella modalità Track-While-Scan (TWS) e ha un raggio operativo di oltre 92 km.
Il radar per il controllo del fuoco in volo è un radar multimodale Doppler a impulsi coerente che opera in banda X. La sua architettura modulare consente l'installazione su un'ampia gamma di velivoli e la facile integrazione in moderne Avionic Suites e interfaccia tramite comando HOTAS. Con oltre 150.000 ore di volo nelle Forze aeree di cinque paesi diversi, la famiglia di radar GRIFO offre prestazioni avanzate per applicazioni nuove e retrofit.

IL RADAR GRIFO “HS” e il rapporto con la società Draken International 

Leonardo ha collaborato nei mesi scorsi con Draken International, società statunitense con sede in Florida specializzata in servizi di training, nella consegna di sistemi di training e simulazione per la Nellis Air Force Base in Nevada, una delle più grandi e importanti basi di addestramento al mondo per piloti di caccia. Una parte fondamentale del training per l’Aeronautica USA prevede il combattimento simulato contro veri caccia, in questo caso velivoli L-159E ALCA forniti da Draken International ed equipaggiati con i radar Grifo di Leonardo.
Leonardo mette così a fattor comune l’esperienza nei servizi di supporto e di logistica e le competenze tecnologiche, per assicurare la disponibilità delle dotazioni ogni volta che ce ne sia bisogno. Si tratta di una soluzione efficace per società come Draken International che vengono pagate in base alle ore di attività realmente effettuate. I contratti di supporto tradizionali prevedono un determinato livello di disponibilità degli apparati, che comporta spesso interruzioni nell’utilizzo degli stessi per le necessarie riparazioni, garantendo la possibilità di impiego degli asset grazie alle parti di ricambio e alla gestione della filiera logistica. Con Draken International, con cui è ora in trattativa per firmare un accordo pluriennale, in passato Leonardo ha installato i radar Grifo a scansione meccanica sui jet da combattimento L-159E ALCA dell’Aeronautica militare ceca. Di questi velivoli, 21 sono stati successivamente acquisiti da Draken e messi a disposizione per le attività di addestramento.
Dopo una fase iniziale di test effettuata nel 2017 con Draken International, la società statunitense con sede in Florida specializzata in servizi di training, Leonardo ha dimostrato la validità di un nuovo modello di supporto logistico che garantisce ai clienti una completa disponibilità degli equipaggiamenti. Leonardo ha collaborato nei mesi scorsi con Draken International nella consegna di sistemi di training e simulazione per la Nellis Air Force Base in Nevada. Una parte fondamentale del training per l’Aeronautica USA prevede il combattimento simulato contro veri caccia, in questo caso velivoli L-159E ALCA forniti da Draken International ed equipaggiati con i radar Grifo di Leonardo. In passato, Leonardo ha installato i radar Grifo a scansione meccanica sui jet da combattimento L-159E ALCA dell’Aeronautica militare ceca. Di questi velivoli, 21 sono stati successivamente acquisiti da Draken e messi a disposizione per le attività di addestramento. Durante le sessioni di training con l’USAF, i radar hanno volato con la velocità e la durata delle missioni reali, vale a dire al massimo delle loro capacità e per un periodo di tempo prolungato. In questo contesto, Leonardo ha dimostrato la propria capacità di fornire elevate prestazioni in termini di supporto ed è ora in trattativa con Draken per firmare un accordo pluriennale. 
L’azienda ha un posizionamento di assoluto rilievo nella fornitura di questa tipologia di servizi, che includono il supporto avionico per le flotte di Eurofighter Typhoon dell’Aeronautica Militare Italiana e della Royal Air Force, quest’ultimo in collaborazione con BAE Systems.  Alla base di questa capacità di supporto c’è l’esperienza decennale di Leonardo nella tecnologia radar.
Leonardo con l’M-345 e l’M-346 è in grado di coprire l’intero percorso addestrativo. Alle avanzate piattaforme si affianca un Ground Based Training System (GBTS) completo, integrato e in grado di assicurare una elevata qualità nell’addestramento insieme a notevoli efficienze gestionali.

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IL NAUFRAGIO DEL VASCELLO DA GUERRA SVEDESE “VASA” SUBITO DOPO IL VARO



Ecco in sintesi a storia di uno dei più grandi fallimenti progettuali della Svezia. 

Il vascello Vasa nelle intenzioni del Re Gustav II Adolf Vasa era destinato a diventare il simbolo della potenza militare della Svezia che in quel periodo era coinvolta nella guerra dei 30 anni, una delle più complesse guerre di religioni fra cattolici e protestanti. Ci vollero ben due anni per costruirla (dal 1626 al 1628), una nave da guerra con 64 cannoni. Il progetto e la realizzazione non aveva limitazioni circa i costi.



Per il progetto fu chiamato l’olandese  Henrik Hybertsson, un esperto costruttore di navi. Hybertsson non vide mai la fine della sua opera (morì prima della sua ultimazione) e già nel 1626 fu delegato il suo assistente Henrik Hein Jacobsson. Lunga 69 metri e costruita secondo lo stile olandese con scafo poco profondo e una base piatta, la nave era stata “personalizzata” su specifica richiesta del Re che era parte attiva nella progettazione del vascello. Per volere del Re i due ponti che alloggiavano i cannoni erano stati rinforzati per resistere alle cannonate ed era stato aggiunto un grande castello di poppa, aumentandone così problemi di stabilità.



Sostanzialmente l’equilibrio della nave e la disposizione dei carichi erano sbagliate. Nel tentativo di correggere l’equilibrio del vascello fu aumentata la zavorra nella parte bassa della nave, in modo da abbassare la linea di galleggiamento del vascello portandola molto vicina alla linea inferiore dei cannoni.
A quei tempi in Svezia non si realizzavano né progetti cartacei né calcoli matematici per la realizzazione delle navi. Per verificarne la stabilità si  effettuavano delle “prove di stabilità” nel corso della costruzione e quando la costruzione della Vasa era ormai in stato avanzato, l’ammiraglio Fleming eseguì questo test. Il test consisteva nel far correre 30 marinai da un lato all’altro della nave e dopo soli 3 giri il test venne interrotto perché fallito. Nonostante il fallimento del test, il Re che con questa opera voleva dimostrare la forza bellica svedese,  mandò una lettera premendo sul varo del vascello, cosicché la nave, nonostante i chiari problemi di stabilità, fu dichiarata pronta.



Per il giorno dell’inaugurazione, il peso della nave aumentò ulteriormente a causa di tutte le paratie decorative che snelle intenzioni dovevano essere rimosse alla fine della parata. Vi erano su entrambi i lati delle statue lignee, coloratissime e alcune addirittura ricoperte con foglie d’oro,  raffiguranti gli imperatori romani da Tiberio a Settimio Severo ma anche statue di leoni (simbolo svedese per eccellenza), statue raffiguranti eventi mitologici nordici e una persino statua del re.  Almeno 6 artisti, e relativi aiutanti, presero parte a questa colossale opera di scultura e pittura, ma non vi è alcuna firma su di essa.
La sera del 10 agosto 1628 l’imponente nave da guerra “Vasa” prendeva il largo nel suo viaggio inaugurale nelle acque di Stoccolma sotto gli occhi dei 10.000 abitanti di Stoccolma che stavano sulle sponde del porto. Lo specchio di mare antistante il porto pullulava di piccole imbarcazioni di curiosi che speravano di godersi lo spettacolo del varo della nave da vicino. I marinai avevano avuto il permesso di portare i parenti. La navigazione sarebbe poi proseguita con 300 soldati (che avrebbero costituito i due terzi dell’equipaggio della nave) ma momento del naufragio c’erano solo 150 persone. La missione era raggiungere la Polonia dove si sarebbe combattuta una sanguinosa battaglia. L’idea era che  i parenti sarebbero dovuti scendere a Vaxholm. Tuttavia i soldati non misero mai piede sulla nave ….



Il vascello era in pompa magna, completo di tutto quello che serviva a mostrare la grandezza del regno di Svezia e del suo Re Gustav II Adolf della dinastia Vasa.
Dopo aver sparato con un cannone a salve, la Vasa spiegò 4 delle sue 10 vele e prese il largo uscendo dal porto. Tutto sembrava procedere bene.  Il vento che fino ad allora si era mostrato quasi nullo, diede una folata che fece inclinare la nave, ma prontamente il timoniere riuscì a raddrizzarla, purtroppo però non poté fare la stessa cosa con la seconda folata di vento che inclinò il Vasa talmente tanto che l’acqua entrò dai portelli dei cannoni che il capitano Söfring Hansson aveva fatto lasciare aperti per magnificare il vascello, cosicché la nave sprofondò in brevissimo tempo. La nave era affondata dopo solo 1300 metri (circa 15 minuti di navigazione) quando ancora si trovava nel porto di Stoccolma e si adagiò a circa 32 metri di profondità.



Gran parte dei marinai si lanciarono dal vascello in mare. Dato il fondale basso gli alberi principali del vascello spuntavano e molti si salvarono aggrappandosi a questi. Le piccole imbarcazioni venute per assistere all’inaugurazione del vascello si trovarono a dover soccorrere i naufraghi, altri si aggrapparono ad oggetti galleggianti caduti dalla nave. Inoltre si trovavano ad appena 120 metri dalla costa e molti si salvarono a nuoto.
La maggior parte dell’equipaggio si salvò ma una trentina di marinai morirono. La maggior parte di questi si trovavano all’interno del vascello quando iniziò ad affondare e non riuscirono ad uscirne. Dopo il recupero del relitto sono stati recuperati gli scheletri di circa 15 persone.
Non esisteva una lista con i nomi dei marinai ma di certo si sa che il capitano della nave Söfring Hansson soppravvisse al naufragio. Pare che abbia lasciato l’imbarcazione tra gli ultimi (come dettano le regole nautiche) ma che si sia impigliato in una corda degli alberi maestri e che sia stato trascinato verso il fondo. Alla fine riuscì a sbrogliarsi ed a mettersi in salvo. Anche il suo vice, l’ammiraglio Erik Jonsson si salvò per un pelo. Al momento del naufragio si trovava nel ponte inferiore per assicurarsi che i cannoni fossero saldamente legati dopo che la nave si era inclinata la prima volta. Jönsson fu colpito da uno sportello di legno in testa quando cercò di risalire. Venne salvato ma rimase per parecchio tempo appeso ad un filo tra la vita e la morte.
Il capitano Hans Jonsson invece morì. Si trattava  di uno dei comandanti più esperti salito sulla nave forse per dare consigli oppure semplicemente come ospite.
Immediatamente il re Gustav II Adolf fece aprire un’inchiesta per capire di chi fosse la responsabilità del naufragio, vennero interrogati il capitano della nave, molti dei marinai e i costruttori, e tutti dissero esattamente la stessa cosa, ossia, che la nave era troppo instabile e che i portelli dei cannoni sarebbero dovuti rimanere chiusi. Per quel che riguarda la costruzione della nave, invece, fu detto soltanto che il vascello fu costruito secondo le indicazioni del Re.
Nessuno fu accusato per il naufragio e di conseguenza non ci fu nessun colpevole.

Nel 1956, dopo più di 300 anni, un archeologo esperto in relitti Carl Gustav Anders Franzén insieme al subacqueo Per Edvin Fälting  riuscirono a recuperare il relitto che, grazie alla particolarmente bassa salinità delle acque di Stoccolma, si trovava in condizioni eccellenti.


Con il recupero della nave avvenuto nel 1961, iniziarono anche i lavori di restauro che nel 1990 portarono il relitto nella condizione di essere esposto nell’omonimo museo che gli fu costruito intorno, situato nella zona di Djurgården nella città di Stoccolma.

Il museo Vasa ospita la nave restaurata e moltissime ricostruzioni di sezioni di essa, diventando in pochi anni una delle attrazioni principali della città, se non proprio di tutta la Svezia: il museo Vasa si trova a Djurgården, una delle tante isole di Stoccolma, via Galärvarvsvägen n°14.

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