sabato 2 dicembre 2023

LA SPADA DEI CAVALIERI TEMPLARI: l’Ordine dei Templari fu fondato nel 1118 per assicurare la custodia dei Luoghi Sacri e proteggere le vie di pellegrinaggio. L'ordine raggiunse il massimo splendore nel XIII secolo. La spada aveva la lama in acciaio decorato in nero fino ad un terzo e fornimento con decorazioni in metallo bronzato.






https://svppbellum.blogspot.com/

Blog dedicato agli appassionati di DIFESA, storia militare, sicurezza e tecnologia. 





I Cavalieri portaspada

I Cavalieri portaspada (in latino: Fratres militiae Christi, in tedesco: Schwertbrüder) furono un ordine monastico militare tedesco costituito nel 1202 da Alberto di Riga. La regola era fondata su quella dei Cavalieri templari. Furono chiamati anche "Cavalieri di Cristo" e "Fratelli della spada", poi confluiti nell'"Ordine livoniano".







Nome dei cavalieri in varie lingue:
  • Latino: Fratres militiae Christi de Livonia ("Fratelli dell'Esercito di Cristo di Livonia”);
  • Tedesco: Schwertbrüderorden ("Ordine dei Fratelli di Spada”);
  • Estone: Liivi ordu o Liivimaa Ordu ("Ordine livoniano”);
  • Lettone: Zobenbrāļu ordenis ("Ordine dei Fratelli di Spada") e Livonijas ordenis ("Ordine livoniano”);
  • Lituano: Kalavijuočių ordinas ("Ordine degli Spadaccini”);
  • Polacco: Zakon kawalerów mieczowych ("Ordine dei Fratelli della Spada”);
  • Russo: Ливонский орден ("Ordine livoniano”).

Fondazione e operazioni militari

Alberto, vescovo di Riga, fondò l'ordine con lo scopo di cristianizzare le popolazioni pagane insediate nei territori intorno al golfo di Riga: curi, livoni, selonici, semigalli e letgalli. L'ordine doveva coadiuvare l'azione evangelizzatrice dei missionari e dipendeva dal vescovo secondo un patto feudale. Fin dalla fondazione l'ordine mostrò di ignorare il suo presunto vassallaggio nei confronti del vescovo e nel 1218 Alberto chiese assistenza al sovrano Valdemaro II di Danimarca; questi si alleò invece con l'ordine e invase il nord dell'Estonia.
La sede dell'ordine si trovava nella città estone di Viljandi (Fellin) dove le mura del castello sono tuttora visibili: altre roccaforti erano sorte a Cēsis (Wenden, futura roccaforte centrale), Sigulda (Segewold) e Aizkraukle (Ascheraden). I comandanti di Viljandi, Kuldīga (Goldingen), Alūksne (Marienburg), Tallinn (Reval), e il balivo di Paide (Weissenstein) costituivano l'entourage più stretto del maestro dell'ordine.
L'ordine venne quasi annientato dai lituani e dai semigalli nel 1236 nel corso della battaglia di Šiauliai. Il 12 maggio 1237 l'ordine fu incorporato nell'Ordine teutonico e da quel momento fu, di fatto, un braccio autonomo dell'Ordine teutonico continuando a mantenere un proprio gran maestro (che de iure dipendeva dal gran maestro dell'Ordine teutonico) e abbigliamento e regola propri.
Prese dunque il nome di Ordine livoniano.

Ordine livoniano

Tra il 1237 e il 1290 l'ordine conquistò la Curlandia, la Livonia e la Semgallia e nel 1346 acquistò dal sovrano danese Valdemaro IV il rimanente territorio estone.
Il declino dell'Ordine teutonico, cui faceva riferimento l’ordine di Livonia, iniziò in seguito alla sconfitta nella battaglia di Grunwald nel 1410 e alla secolarizzazione dei territori della Prussia da parte di Alberto di Prussia nel 1525. Nel 1413, l'Ordine dei portaspada riuscì a tornare indipendente. Durante la guerra di Livonia, fu sconfitto in modo perentorio dalle truppe russe nel corso della battaglia di Ergeme (1560). L'ordine cercò allora l'appoggio del sovrano polacco Sigismondo II che già nel 1557 era intervenuto in una guerra tra l'ordine e il vescovo di Riga.
In seguito al Trattato di Vilnius (1561), l'ultimo gran maestro Gotthard Kettler secolarizzò l'ordine convertendolo al luteranesimo. Nella parte meridionale dei territori dell'ordine venne creato il ducato di Curlandia e Semigallia (vassallo del Granducato di Lituania), sul quale venne insediata la dinastia Kettler. Il territorio rimanente entrò a far parte dell'Unione Polacco-Lituana, mentre la parte settentrionale dell'Estonia fu divisa in una parte danese e una parte svedese.
Secondo alcuni documenti storici, custoditi dalla Chiesa Ortodossa, l’Ordine dei Cavalieri Portaspada sarebbe sopravvissuto ai secoli, passando sotto la protezione proprio della Chiesa Ortodossa, molto diffusa nei territori di origine dell’Ordine. Attraverso le decisioni del Sinodo ortodosso, viene ancora nominato il Gran Maestro reggente.







La Spada dei Cavalieri Templari

L’elemento fondamentale del cavaliere templare era la spada. Il Cavaliere non era tale solo perché possedeva la spada e il cavallo, ma perché accettava delle regole e si obbligava a dei doveri entrando a far parte di quello che era un vero e proprio ordine: la cavalleria.
La sua sottomissione ai principi della cavalleria veniva sottolineata, durante l'investitura, dalla "collata", l'ultimo colpo che il cavaliere accetterà di ricevere senza rispondere all'offesa. La solenne cerimonia si concludeva con la consegna della spada che d'ora in avanti sarebbe servita per difendere la fede, la giustizia e ogni altra nobile causa. 
Durante il combattimento il cavaliere si fida della propria spada come di un prolungamento del proprio braccio, che allo stesso tempo è anche un'entità a sé stante e come tale ha il diritto ad acquisire personalità per mezzo del nome. L'invincibilità del guerriero è legata alla sua spada. L'ispirazione cristiana della cavalleria ne influenza anche la simbologia. La spada, arma principe del cavaliere, se impugnata dalla lama, assume la forma dello strumento della passione del Salvatore, riaffermando in questo modo lo scopo per il quale egli è chiamato ad operare. Nella guerra o nella fede, la spada assurge a simbolo più di qualsiasi altra arma in quanto il suo impegno comporta competenze e destrezza particolari: in essa c'è una nobiltà di fondo che passa attraverso i secoli e che viene affermata dalle complesse regole della scherma e del suo cerimoniale, cosa che conferma e rafforza anche in epoca moderna il suo valore mitico. Le caratteristiche della spada templare sono: lama dritta a doppio filo e a punta arrotondata, la punta arrotondata ci induce a pensare che venisse usata solo come arma difensiva; il pomolo a disco con inciso la croce patente o il sigillo templare.

La “Spada da combattimento”

Questa bellissima spada templare presenta una lama in acciaio temperato, decorato con tre croci pattée. Il codolo è battuto al pomolo. La scanalatura si estende quasi fino alla punta della lama, il che non solo garantisce un’elevata flessibilità, ma riduce anche il peso della spada cavalleresca a una mano.
La guardia croce era forgiata in acciaio e reca incisa l’iscrizione latina “IN HOC SIGNO VINCES” (Ing.: In questo segno vincerai). Questa frase, che si dice sia apparsa in cielo sotto forma di croce al primo imperatore romano cristiano Costantino il Grande durante la battaglia contro Massenzio (312 d.C.), è oggi il motto dell’ordine massonico americano dei Cavalieri Templari.
L’impugnatura in legno rivestita in pelle è ricoperta da un pomolo piatto in acciaio a forma di disco (o pomo a ruota) inciso su entrambi i lati con un motivo a croce templare. Lo splendido fodero con anima in legno è rivestito in pelle e viene fornito completo di una cintura di trasporto.

La Spada dei Templari (dorata)

Spada in stile medievale ispirata all'Ordine monastico-cavalleresco dei Cavalieri Templari fondato a Gerusalemme tra il 1119 e il 1120 dal nobile francese Hugues de Payns assieme ad altri otto compagni per difendere i pellegrini sulle strade della Terrasanta. I racconti fioriti poi negli anni sul conto dei Templari hanno decretato la popolarità dell'Ordine, oggi alla ribalta delle cronache storico-leggendarie. La spada dei Templari ha lama in acciaio, decorata per il primo terzo in oro e rosso. Il fornimento, molto elaborato, è in metallo dorato fuso con figure in rilievo e inserti in metallo brunito raffiguranti simboli templari. Il pomolo a disco ha infine una croce rossa patente al suo interno.

LA SIMBOLOGIA DELLA SPADA

Apparentemente la spada è solo uno strumento, un oggetto freddo e metallico, ma in realtà, come il fuoco, sembra avere per l’uomo un significato atavico, un valore ancestrale.
La spada è espressione di forza e di coraggio e, come tale, è il simbolo più noto della condizione militare, tanto è vero che nella Bibbia viene spesso utilizzata per rappresentare un esercito, come ad esempio “le spade egizie”. La sua potenza è da un lato distruttiva ma dall’altro costruttiva, quando essa diventa simbolo di Giustizia se associata alla bilancia dell’equanimità o strumento atto a mantenere la pace e i valori morali più alti, come nella Cavalleria. Alla spada sono state spesso attribuite proprietà magiche, tanto da vedersi dare un nome proprio, sempre femminile, che poteva identificarla tra mille. Spade non comuni erano dunque capaci di fare di un semplice uomo un paladino o un eroe.

Eccone alcune:
  • DURLINDANA o DURENDAL - era la spada di Orlando, paladino di Carlo Magno - Nella “Chanson de Roland” si narra che conservasse nel pomo alcune reliquie: un dente di San Pietro, il sangue di San Basilio, i capelli di San Dionigi e un pezzo del vestito della Vergine Maria,
  • EXCALIBUR - È la spada magica per eccellenza della Tradizione Occidentale. Il suo nome deriva dall’essere stata forgiata con il ferro di un meteorite (ex-caliburus). Nella “Mort d’Arthur”, Re Artù morente getta Excalibur in un lago perché non cada nelle mani dei malvagi, ma dalle acque sorge la mano della Maga Viviana, la Signora del Lago, che porta la spada con sé nelle profondità. Da lì Excalibur è destinata a tornare nelle mani del Re solo quando un grave pericolo minaccerà l’Inghilterra.
  • ANA NO MURAKUMO - Letteralmente “La spada del Paradiso” è una spada leggendaria della mitologia shintoista giapponese, paragonabile per importanza a Excalibur. Ha uno specchio ottagonale e una gemma, simbolo del Dio Anaterasu. È uno dei Tre Tesori Sacri di Yamato, ossia del Giappone e sarebbe custodita nel Tempio di Atsuta. I monaci sono molto gelosi delle reliquie e non permettono a nessuno di far fotografie o estrarla dalla teca in cui è chiusa; la mostrano solo alla famiglia reale e a pochi eletti, per lo più monaci di alto grado. La spada è lunga circa 84 cm, forgiata in un metallo di colore bianco e ad oggi risulterebbe ben mantenuta nonostante abbia più di 1400 anni. L’ultima apparizione della spada risalirebbe al 1989, quando Akihito salì al trono imperiale. In quell’occasione sembra che l’imperatore abbia seguito un particolare rituale nel quale avvolse la spada e gli altri due Doni Imperiali (lo Specchio di forma ottagonale e la Gemma) in teli sacri e li ripose sopra l’altare, come voto agli Dei nella speranza della loro benedizione. Come è noto, i Samurai consideravano la loro spada come espressione del proprio Ki: la volontà spirituale che accompagnava l’affondo con un caratteristico suono gutturale: il Kiai (letteralmente: la mente guida la mano) suono rituale e distruttivo capace di annichilire l’avversario.

Inoltre, si possono citare:
  • ARADONIGHT, la spada di Lancillotto;
BALISARDA, la spada di Ruggiero;
COLADA, la spada di El Cid;
BALMUNG, la spada di Sigfrido;
NAEGLING, la spada di Beowulf.

Anche la forma dell’arma rivestiva un significato simbolico: le spade dei Cristiani ricordavano la Croce, quelle dei Musulmani la Mezza Luna.

L’ARMA PREFERITA

La spada era, per ogni cavaliere, l’arma preferita e la più prestigiosa perché obbligava al combattimento ravvicinato con il nemico. Era dunque simbolo di coraggio e sprezzo del pericolo.
Il Cavaliere Medievale ed il Templare in modo particolare doveva usare la sua spada sempre a fin di bene, non solo per liberare i luoghi santi dagli infedeli, ma anche a difesa dei deboli dai prepotenti, della giustizia contro gli ingiusti. In particolare per il Cavaliere Templare, monaco-guerriero, la forza doveva essere prima quella interiore e poi quella fisica. I Templari erano infatti consapevoli di combattere una guerra Santa, combattuta con la certezza di lottare contro il “male” incarnato dai musulmani, per cui fu creato il termine di “Malicidio” che assolveva il Templare dal peccato di omicidio. Pertanto la spada del Templare veniva simbolicamente brandita dal cuore e non dal braccio.
La spada ha due significati: tagliare, distruggere, conquistare oppure riguadagnare, fare ritorno a uno stato perduto attraverso l’immissione di nuova energia. Inoltre ha due tagli, che sottolineano la sua natura duale e può essere tenuta in due modi: nel Tai-Chi la spada è tenuta con la punta verso il cielo, nel mondo militare è nel fodero, con la punta verso terra. Una posizione è vita, l’altra è morte.
Nel mito della “Spada nella roccia” l’energia della Nazione è bloccata; non c’è un Re, non c’è nessuno capace di sollevare la spada e solo Artù, il predestinato, potrà estrarla e puntarla verso il cielo. Da quel momento sarà Merlino (o nella grafia celtica originale Myridd’in), Mago e simbolo del Grande Iniziato a prendersi cura con saggezza dell’educazione del giovane Re.
Il Re è il nostro cuore, la spada simboleggia la nostra colonna vertebrale con l’elsa nel sacro (un nome, non a caso. speciale per questo osso) e la punta nella testa, libera di muoversi.
È interessante in questo senso l’analogia con la Kundalini dello Yoga Tantrico Tradizionale, il serpente che dorme dentro di noi, la testa nel sacro e il corpo lungo la spina dorsale, con la coda all’interno del cervello. Lungo il suo tragitto si diramano i Chakra, nodi energetici fondamentali.
Questa energia quiescente è immaginata e simboleggiata come un serpente che giace arrotolato su sé stesso: kuṇḍalinī significa infatti "arrotolata", "ricurva". L'attivazione è visualizzata dal serpente che si drizza come all'improvviso, liberando calore e permettendo ad altre energie sopite, ai "soffi" altrimenti bloccati (prāṇa), di circolare. I chakra sono immaginati come fiori di loto (padma) variamente colorati che sbocciano in tutta la loro bellezza, liberando potenzialità celate.
«Kundalini è insieme un serpente, un'energia intima e una dea: l'esoterismo del linguaggio crepuscolare risiede in questa simultaneità di significati in una stessa parola.»
L’età del ferro, che seguì quella della pietra e del bronzo, segnò un enorme passo in avanti per l’evoluzione della specie umana. La capacità di domare il ferro e cambiarne le caratteristiche mediante i processi di forgiatura e tempra, poneva il fabbro in un ruolo sociale rilevante e in un rapporto speciale con gli Dei.
Il fabbro veniva visto come una figura demiurgica, capace per mezzo del fuoco e dell’acqua di plasmare a suo piacimento la materia. Ciò non sorprende se si pensa che alla capacità della spada forgiata di non spezzarsi nel corso di un combattimento il combattente doveva la sua incolumità in battaglia e la possibilità di assurgere a un grande prestigio, militare e sociale. Era nato così l’”homo faber”, produttore di armi, ma anche di oggetti per la vita quotidiana, ammantato da un’aura magica che derivava dalla sua capacità di creare il ferro dal minerale ferroso, renderlo liquido e malleabile grazie al fuoco, elemento magico per eccellenza. Nella Bibbia è presente la figura di Tubalkain, il fabbro primordiale, che insegnò agli uomini l’arte della lavorazione del ferro. Secondo una tradizione, Tubalkain si salvò dal Diluvio Universale nascondendosi, non visto, nell’Arca costruita da Noah e poté far sopravvivere i suoi segreti alla distruzione.
Secondo Mircea Eliade, l’antica figura del fabbro/mago si sarebbe in seguito evoluta in quella dell’alchimista. Anche l’alchimista, in un certo senso, è un fabbro perché lavora i metalli ed è un Mago, praticante di quella che Cornelio Agrippa chiamava “Magia Naturalis” e signore del fuoco, filosofo seguace di quella particolare filosofia detta “Philosophia per ignem”.
A questo proposito è utile citare il contributo di Michele Leone dedicato proprio sulla Filosofia per ignem:
“Questi philosophi per ignem, se erano alchimisti erano probabilmente eredi della filosofia presocratica di Eraclito, i figli di Ermete Trismegisto, i genitori dei mitici Rosa+Croce e progenitori di tutti moderni iniziati che nel fuoco della carità, della speranza e della purificazione ardono da secoli. Agrippa ci dice: le proprietà del fuoco supremo sono il calore che feconda tutte le cose e la Luce, che a tutto dà vita”.
Naturalmente Vulcano era non solo il Dio dei fabbri, ma anche quello degli alchimisti.













LA SPADA NELLA ROCCIA DI SAN GALGANO

La leggenda della spada nella roccia non è propria solo della mitologia nordica e anglosassone in particolare. Esistono epigoni della stessa storia anche in terra d’Italia. Si narra che San Galgano, già cavaliere, decise di rinunciare al potere rappresentato dalla spada per dedicarsi totalmente alla croce, simbolo di amore. Così: “In terram pro cruce spatam fixit” cioè conficcò la spada in una roccia come una croce.
La spada è tutt’ora visibile nella rotonda dell’abbazia di Montesiepi, nei pressi di San Gimignano e nessuno è ancora riuscito ad estrarla. È quanto meno curioso il fatto che “Galgano” sia la traslitterazione italiana del sassone Gawain, uno dei cavalieri della Tavola Rotonda di Re Artù.
Sul Lago di Valbondone, in provincia di Bergamo, si trova una spada infissa nella roccia fino all’elsa. Su di essa sono incise le iniziali del fonditore (Matteo) e di suo padre (Modesto) e la data: 1415.
Sul Monte Terminillo in Lazio, infine, esiste una spada conficcata in una roccia, legata questa ai Cavalieri Templari. La leggenda narra che nel dicembre 1307 cinque cavalieri templari guidati dal Maresciallo del Tempio Guy de la Roche si accamparono sulle pendici del monte, in fuga dalla Francia ove Filippo il Bello, spalleggiato dal Papa Clemente V, aveva emanato quell’ordine di cattura che avrebbe sterminato gran parte dei Cavalieri Templari. Nel giorno del solstizio d’inverno, 21 dicembre 1307, Guy de la Roche infisse la sua spada in una roccia, invocando la giustizia divina e sciolse dal giuramento templare i suoi confratelli.
Esiste infine un altro significato simbolico della spada: la spada di Damocle. Essa pendeva sul capo del Re Dionigi I di Siracusa appesa solo a un crine di cavallo. In questo caso la spada simboleggia la responsabilità che deriva dal possedere un grande potere e al contempo l’esposizione al pericolo mortale conseguente.
La figura del fabbro ha avuto caratteri soprannaturali in Europa fino al XIX secolo. In Gran Bretagna i fabbri erano denominati “incantatori del sangue” cioè guaritori e si credeva che potessero compiere magie e predire il futuro.
Questa fama era dovuta alla persistenza della figura mitologica di Efesto, Dio del fuoco e degli Inferi, che nella sua fucina posta nel cuore dell’Etna aveva forgiato armi di ineguagliabile perfezione per gli Dei. Omero lo descrive come un uomo brutto, zoppo e di pessimo carattere, molto temuto anche da Zeus. Figlio di Zeus ed Era, a causa della sua deformità fu cacciato dall’Olimpo ma divenne il patrono dei fabbri, dei falegnami, degli scultori e della metallurgia. Per tale motivo era venerato ad Atene e in tutte le città della Grecia in cui venivano praticate attività artigianali.
È curioso che tutti gli Dei Mitologici dei Fabbri, come Efesto in Grecia. Weyland nelle saghe Norrene, Sarog in India e Ptah in Egitto venissero raffigurati come storpi o deformi. Alcuni studiosi ritengono che ciò sia dovuto alla loro costante esposizione all’arsenico che veniva aggiunto al rame per produrre il bronzo.
Un breve excursus infine sull’evoluzione della spada. I legionari romani utilizzavano una spada corta, il gladius, molto utile e maneggevole negli scontri corpo a corpo dietro la protezione dello scudo rettangolare. Dall’incontro/scontro con i Celti nacquero interessanti modifiche, destinate a perdurare nei secoli a venire. Si passò alla spatha, lunga ed elastica, che servì da modello per la cosiddetta spada vichinga che divenne l’arma tipica del cavaliere medievale dall’anno mille in poi e che fu progenitrice di due altri tipi: la Claymore scozzese e la flamberga dei Lanzichenecchi del basso MedioEvo.
Finisce qui questo viaggio affascinante, che ci ha portati molto lontani nel tempo e nello spazio a visitare diverse culture, tutte accomunate dalla spada come oggetto carico di significati simbolici, non ultimi la rettitudine, l’onore, il coraggio e la disciplina.
Nel corso della cerimonia di investitura il cavaliere medievale si inginocchiava davanti al suo Signore che, impugnata la spada, lo toccava sulla testa e poi sulle spalle, pronunciando la formula rituale: “In nome di Dio, di San Giorgio e di San Michele io ti costituisco cavaliere”.
Nel porsi “all’ordine” o “sull’attenti” il cavaliere in piedi poneva la sinistra sull’impugnatura della sua spada e la destra sul cuore. Ancora una volta, simbolicamente “il cuore guida la spada”.





IL TERMINILLO E LA SPADA NELLA ROCCIA

Le vette e i borghi appenninici nascondono numerose tracce del passaggio dei Cavalieri Templari, l’ordine religioso-militare creato nel 1119 da Ugo di Payns a Gerusalemme, allo scopo di proteggere i pellegrini che si recavano nella Città Santa. Lo sanno bene gli appassionati di misteri. Di leggende che si mescolano alla verità storica. Di quelle storie di cui talvolta ci nutriamo per sognare un po’ e allontanarci dalla realtà. E quanto ne avremmo bisogno in questi tempi cupi! Se poi capita in calendario un venerdì 13 la necessità si fa sentire ancora più forte. Una giornata secondo superstizione sfortunata, in cui viene spontaneo, con un pizzico di ironia, alzarsi dal letto pensando “e che altro può succedere quest’anno?”.
Un personale venerdì 13 novembre è iniziato esattamente così. Ed è finito con la scoperta di una spada templare infissa nella roccia, avvolta dalla leggenda. Vorrei condividere con voi questa esperienza che in un certo senso mi ha portato a tornare bambina, consigliandola come escursione (colori delle regioni permettendo) a tutti coloro che vogliano ricaricarsi di magia per un giorno.
Venerdì 13 novembre 2020, ore 9.00. Il sole splende su Rieti. O meglio dire, splende in alto nel cielo reatino, ma la città è ancora coperta dal suggestivo mare di nebbia mattutina che ci fa compagnia da settimane. Verrebbe voglia di poter volare in alto, al di sopra di quella coltre bianca, e ancora più su, verso lo spazio infinito, per fuggire dalla triste realtà che ci troviamo ad affrontare da quasi 10 mesi. “Hai detto spazio?”, sembra domandarmi la coscienza. E ripesca dalla memoria l’immagine del Sentiero del Planetario del Terminillo. Un percorso escursionistico di circa 8 km, lungo il quale è possibile “studiare” i Pianeti. Perché no?
Tempo di fare un salto al rifugio Rinaldi per inebriarmi del mare di nebbia dall’alto e si parte alla ricerca dell’accesso del sentiero. Niente di più facile. Si parcheggia comodamente a Pian de’ Valli, si raggiunge il Piazzale Tre faggi al termine della discesa del Belvedere Tre faggi, ed eccolo lì, ben riconoscibile grazie alla palla rossa che simboleggia il Sole: l’inizio del Planetario.
Il percorso si sviluppa su asfalto, in un primo tratto ad uso esclusivo dei pedoni. Una passeggiata rigenerante, in cui si avanza circondati dai faggi e accompagnati dal cinguettio degli uccelli. Unico rumore nell’aria è quello dei propri passi. E dei propri pensieri, interrotti qui e là dallo spuntare di un Pianeta colorato. Senza rendersene conto si arriva al Campo d’Altura del Terminillo. Per me una prima volta. Ne avevo sentito parlare, ma nelle mille ascese in vetta, non avevo mai pensato prima di andare a guardare cosa ci fosse intorno, oltre il mio naso. Quest’anno ci sta in fondo insegnando a scoprire la nostra stessa casa. Le bellezze delle montagne che ci circondano, senza necessità di viaggiare lontano.
Il Campo d’Altura segna un bivio. Su un palo è posizionato un cartello che sa un po’ di Matrix. Pillola blu o pillola rossa? Solo che qui la scelta è: Spada nella Roccia o Plutone?. “Una spada nella roccia!”, grida la bambina che è dentro di me. “Ma non dovevamo seguire i Pianeti?”, cerca di ricordarle la controparte più matura. Mi fermo 15 secondi a riflettere ma sento che i piedi si stiano già orientando verso sinistra. Spada nella roccia sia!
Mi incammino alla sinistra del Campo, sempre seguendo la comoda strada asfaltata. Di fronte ai miei occhi, in alto come una macchia bianca e rossa sotto il cielo blu perfettamente terso, si staglia il Rifugio Rinaldi. Passano pochi minuti ed ecco un nuovo cartello. Spada nella roccia, con una freccia che invita chiaramente a salire lungo il pendio alla mia sinistra. Tempo di orientare lo sguardo a sinistra e leggo su un cippo ligneo “Luogo del Termine”. Qualche grado ancora più a sinistra ed ecco lì la spada nella roccia, con accanto una evidente croce templare.
Nel dicembre del 1307 cinque templari si trovavano accampati sulle pendici del Terminillo. Il luogo del termine, la vetta che segnava il confine tra Stato Pontificio e Regno di Napoli. Si trattava del Maresciallo del Tempio Guy de La Roche e quattro cavalieri suoi confratelli. Il gruppo era in fuga da settimane. Il Re di Francia Filippo IV, di fronte alla ingombrante potenza economica dell’Ordine, aveva infatti diramato un ordine di cattura di tutti i Cavalieri Templari il giorno 13 ottobre 1307, che era un venerdì. Proprio così, venerdì 13. La superstizione che continua a legarsi a tale data in tempi odierni nasce in epoca templare per ricordare lo sventurato giorno.
Il 22 novembre dello stesso anno, Papa Clemente V, vinto dagli eventi, aveva emesso a sua volta un Decreto che invitava tutti i Principi cristiani ad arrestare i templari.
I cinque cavalieri cercarono di sfuggire alla persecuzione muovendosi verso il Regno di Sicilia, e trovarono temporaneo rifugio sul Terminillo. Ben coscienti di essere braccati, aspettarono il 21 dicembre del 1307, giorno del solstizio d’inverno, per separarsi. Guy de La Roche infisse la sua spada in una roccia. Poi, invocata la giustizia divina, sciolse i confratelli dal giuramento templare. Dopo un ultimo abbraccio e deposti i mantelli nella neve, i cinque cavalieri di dispersero in direzioni diverse, promettendo di non rivelare mai la propria identità.
La loro storia è stata raccontata nel testamento di Fra Bernardo, nuovo nome assunto da Guy de La Roche dopo aver deciso di seguire la regola francescana presso il Santuario della Foresta di Rieti:
“Io Bernardo, che fui Guido de’ Roche di Francia de’ duchi di Grecia, nell’anno 74 di mia vita, né l’ora di verità, che per volontà del Signore mio fui povero compagno d’armi di Cristo e del tempio di Salomone e co’ li mie confratelli fuggendo sopra li Monti di Rieti. Vedemmo l’orrore e furia del boia del Re di Francia. Né la neve, pregammo pei’ fratelli, pel tradimento de’ lo Papa indegno. Ora sorella morte si appressa su questo sajo di povero frate, tengo il segno di Francesco pel mano, né la chiesa Foresta, ove trovai lo rifugio e lo nome novo di Bernardo. Che’ soffio di vita mia, torni a chi dette. Lo pensiero a li confrateli che già stanno nel Signore e mandai a’ quattro venti ne’ lo giorno di Santo Giovanni. Tenni per me, la via stretta di frate Francesco che sola acquietava mio core. Lascio lo sajo ai frati, lo corpo a madre terra e spirito mio a la Spada di pace al monte. Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam”.
Secondo la leggenda i cinque confratelli non si allontanarono di molto. Uno di loro partecipò alla fondazione di Cittaducale. Gli altri si nascosero nelle comunità di Micigliano, Castel Sant’Angelo e Borgo Velino. Sempre secondo la leggenda, finché la spada resterà infissa nella roccia, i 5 Comuni (Rieti, Cittaducale, Micigliano, Borgovelino e Castel Sant’Angelo) che sul luogo del Termine vedono incontrarsi i propri confini, resteranno uniti e invincibili.
La storia raccontata da Fra Bernardo, che oggi fortunatamente si trova anche sul web, per generazioni è stata tramandata soltanto oralmente. La famosa spada nella roccia in questo racconto non era però ben chiaro dove fosse, finché due escursionisti del CAI nel 1978 non fecero una sosta in località “Cinque Confini”, come oggi è chiamato il luogo del Termine. Casualmente videro una roccia all’interno della quale appariva conficcata una spada metallica arrugginita. Difficile, data la esposizione agli agenti atmosferici in quota, che si tratti dell’originale. Su un lato si vede l’iscrizione leggibile INIO (In Nomine Iesu Omnipotentis), sull’altro lato si riconosce l’iscrizione A.D. 1307. È plausibile che la vera spada sia stata sostituita con una fedele riproduzione, la cui datazione però non è nota.



Ripensare la guerra, e il suo posto
nella cultura politica europea contemporanea,
è il solo modo per non trovarsi di nuovo davanti
a un disegno spezzato
senza nessuna strategia
per poterlo ricostruire su basi più solide e più universali.
Se c’è una cosa che gli ultimi eventi ci stanno insegnando
è che non bisogna arrendersi mai,
che la difesa della propria libertà
ha un costo
ma è il presupposto per perseguire ogni sogno,
ogni speranza, ogni scopo,
che le cose per cui vale la pena di vivere
sono le stesse per cui vale la pena di morire.
Si può scegliere di vivere da servi su questa terra, ma un popolo esiste in quanto libero, 
in quanto capace di autodeterminarsi,
vive finché è capace di lottare per la propria libertà: 
altrimenti cessa di esistere come popolo.
Qualcuno è convinto che coloro che seguono questo blog sono dei semplici guerrafondai! 
Nulla di più errato. 
Quelli che, come noi, conoscono le immense potenzialità distruttive dei moderni armamenti 
sono i primi assertori della "PACE". 
Quelli come noi mettono in campo le più avanzate competenze e conoscenze 
per assicurare il massimo della protezione dei cittadini e dei territori: 
SEMPRE!
….Gli attuali eventi storici ci devono insegnare che, se vuoi vivere in pace, 
devi essere sempre pronto a difendere la tua Libertà….
La difesa è per noi rilevante
poiché essa è la precondizione per la libertà e il benessere sociale.
Dopo alcuni decenni di “pace”,
alcuni si sono abituati a darla per scontata:
una sorta di dono divino e non, 
un bene pagato a carissimo prezzo dopo innumerevoli devastanti conflitti.…
…Vorrei preservare la mia identità,
difendere la mia cultura,
conservare le mie tradizioni.
L’importante non è che accanto a me
ci sia un tripudio di fari,
ma che io faccia la mia parte,
donando quello che ho ricevuto dai miei AVI,
fiamma modesta ma utile a trasmettere speranza
ai popoli che difendono la propria Patria!
Signore, apri i nostri cuori
affinché siano spezzate le catene
della violenza e dell’odio,
e finalmente il male sia vinto dal bene…

(Fonti: https://svppbellum.blogspot.com/, Web, Google, TerminilloTV, Delta6017, Wikipedia, You Tube)























 

venerdì 1 dicembre 2023

ESERCITO ITALIANO: gli eventi politici, economici e militari che hanno aumentato notevolmente la complessità e l’instabilità dell’attuale scenario internazionale e il programma AICS (Armored Infantry Combat System) del Consorzio Iveco-Oto Melara.





https://svppbellum.blogspot.com/

Blog dedicato agli appassionati di DIFESA, storia militare, sicurezza e tecnologia. 



L’INSTABILITA’ NEL CUORE DELL’EUROPA

Nel 2022 si sono verificati una serie di eventi politici, economici e militari che hanno aumentato notevolmente la complessità e l’instabilità dell’attuale scenario internazionale. Provocheranno inevitabilmente un cambiamento radicale negli equilibri mondiali. Per la sua intensità e per le sue implicazioni socio-economiche, il significato storico della crisi russo-ucraina può essere simbolicamente paragonato a ciò che la costruzione del muro di Berlino nel 1961 rappresentò per l’intero sistema mondiale. Lo scoppio di un conflitto “simmetrico” all’interno dei confini del continente europeo ha portato, da un lato, ad aumentare significativamente l’attenzione mondiale sui temi della difesa e della sicurezza. Dall’altro, ha fatto sì che gli Stati e le principali organizzazioni internazionali sentissero l’urgente necessità di migliorare le capacità di combattimento delle loro forze militari. Esiste un richiamo alla necessità di ritornare all’addestramento bellico, reso più attuale che mai dagli eventi che hanno portato alla crisi ucraina. 
Di conseguenza, nel corso del 2022, l’Esercito Italiano ha intrapreso un ambizioso processo di sviluppo, formazione e ammodernamento delle capacità volto a consolidare, all’interno del sistema Paese, il ruolo vitale dell’Esercito come forza militare credibile, efficace e capace di affrontare le molteplici sfide che caratterizzano gli eterogenei scenari del il cosiddetto “Mediterraneo Allargato”, area di primario interesse strategico nazionale. 
Per fare questo, è necessario disporre di assetti, materiali e sistemi d’arma tecnologicamente avanzati e competitivi. Devono garantire che il futuro Esercito mantenga e migliori le sue capacità operative uniche e generi effetti nel contesto multi-dominio. L'ammodernamento è un fattore strategico per la capacità operativa delle forze militari terrestri, le cui priorità saranno principalmente rinnovare la componente pesante, adattare la protezione delle forze alle diversificate minacce provenienti soprattutto dalla 3a dimensione, potenziare il supporto di fuoco e l'Aviazione dell'Esercito, e, non ultimo, sviluppare la logistica distribuita introducendo processi automatizzati.

IL PROCESSO DI MODERNIZZAZIONE E IL PROGRAMMA A.I.C.S.

Il programma Armored Infantry Combat System (AICS) catalizzerà questo processo di modernizzazione. Si tratterà di un innovativo “sistema di impianti” che, grazie alla modularità delle sue attrezzature e all'elevata connotazione tecnologica, andrà ad equipaggiare la componente pesante. Le nostre unità dovranno necessariamente fare un significativo salto di qualità nella loro capacità operativa. Avranno un’adeguata potenza di fuoco, protezione, mobilità e flessibilità, tutte caratteristiche essenziali, soprattutto in un contesto reso sempre più complesso dall’avvento delle tecnologie emergenti e dirompenti e dalla crescente importanza acquisita dai domini cyber e spaziale. Le diverse versioni che comporranno la famiglia devono essere tutte cyber-native, in grado di acquisire, trasmettere e gestire informazioni da tutte e cinque le dimensioni operative. 
Dovranno essere connessi in modo sicuro e ridondante, in grado di gestire veicoli e aeromobili semi-autonomi e a pilotaggio remoto. 
Tutte le versioni dovranno essere dotate di sistemi di protezione diversificati e integrati e, infine, inserite in un sistema logistico in grado di gestire autonomamente le esigenze primarie delle singole piattaforme. 
Deve essere un obiettivo impegnativo che non possiamo mancare! L’adeguamento tecnologico delle forze militari terrestri alle rinnovate esigenze operative nazionali e internazionali potrebbe non essere sufficiente. È necessario comunque continuare a promuovere adeguate politiche di reclutamento, impiego del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Italiano e del personale addestrativo, che da sempre costituiscono una risorsa centrale dell'intera organizzazione. In particolare, l’introduzione del nuovo modello professionale basato sul Volontario Iniziale (VFI) e sul Volontario Triennale (VFT), unitamente alla valorizzazione delle specificità e all’adeguamento dell’organico, garantiranno all’Esercito una sempre maggiore efficienza e versatilità. di occupazione. Per soddisfare i requisiti operativi del Nuovo Modello di Forza della NATO recentemente approvato e dalla Bussola Strategica dell’UE, sarà fondamentale ottimizzare la specializzazione delle donne e degli uomini dell’Esercito italiano. La nostra organizzazione difensiva sta quindi sviluppando un percorso formativo altamente professionale per sfruttare appieno le potenzialità dei moderni sistemi di simulazione. Allo stesso tempo, non verranno accantonate le attività svolte nei poligoni di tiro e nelle aree di allenamento. Sono strumenti preziosi per garantire il realismo concreto della formazione. A questo proposito, l’aumento del personale dispiegato nelle missioni Enhanced Vigilance Activity (eVA) e Enhanced Forward Presence (eFP) mira a garantire alla NATO deterrenza e difesa sul fianco orientale. 
Tali missioni hanno anche un elevato valore operativo e costituiscono una fondamentale opportunità formativa per le nostre unità in un contesto spiccatamente interforze, multinazionale e multi-dominio. È infine necessaria un’attenta riflessione sulle politiche infrastrutturali dell’Esercito, adottando un nuovo paradigma di gestione delle infrastrutture. Il doveroso miglioramento della qualità della vita del personale e l'efficienza energetica previsti dalla “Difesa Verde” ne saranno le caratteristiche principali, prestando adeguata attenzione alle crescenti esigenze operative, formative e logistiche. In conclusione, il Rapporto ITA Esercito 2022 riassume le principali tappe dell’ambizioso processo di trasformazione ordinativa, organizzativa e operativa che l’Esercito ha intrapreso. Questo processo di trasformazione consentirà all’E.I. di essere una risorsa moderna, affidabile ed efficiente per il Paese, fornendo un contributo indispensabile alla tutela degli interessi strategici nazionali e internazionali.

IL RUOLO DEGLI UFFICIALI E DEI SOTTUFFICIALI

Cercando l’esatta definizione di Capo Plotone nelle fonti più autorevoli, potremmo scoprire che ancora oggi, nell’era del Mission Command e della super-specializzazione del personale d’armi, il ruolo del Plotone Leader è spesso legato esclusivamente agli Ufficiali. "Nel gergo militare, un plotone è una suddivisione di una compagnia, o di un'unità autonoma, composta da due o più squadre di soldati (soprattutto di fanteria, di cavalleria o di alcune specialità del genio), il cui comando spetta a un ufficiale subalterno", escludendo soprattutto il ruolo dei sottufficiali senior. È una definizione azzardata e ancorata a criteri vecchi e ormai obsoleti. Oggi, grazie al complesso percorso formativo presso la Scuola Sottufficiali dell'Esercito e all'ormai riconosciuto ruolo centrale svolto dai Sottufficiali, tale definizione è stata ampiamente superata dai fatti. Essere un capo plotone oggi è senza dubbio la più grande aspirazione di tutti i sottufficiali senior. Solo una volta terminato un intenso e faticoso periodo formativo, al termine di rigorose selezioni psico-attitudinali e continue prove per accertare il possesso di tutti i requisiti fisici necessari, un solido quadro di valori e particolari qualità caratteriali, hanno l'onore di entrare nei ranghi dell'Esercito. Si assumeranno immediatamente responsabilità che la maggior parte dei colleghi non immagina nemmeno lontanamente. Questo delicato compito è affidato ai sottufficiali senior non solo per l'altissima professionalità ormai consolidata degli odierni sottufficiali ma nasce soprattutto dall'esigenza di demoltiplicare l'esecuzione di compiti tattici complessi e decisivi in scenari operativi sempre più congestionati e interconnessi, che tuttavia sono allo stesso tempo sono estremamente dispersi e richiedono decisioni rapide, efficaci e solide. Il Capo Plotone di oggi è moderno, preparato, motivato e particolarmente consapevole del suo ruolo nella sua unità. Egli è, quindi, con i suoi soldati, perennemente orientato a compiere tutti i compiti che gli sono affidati, sempre e ovunque, e a preparare se stesso e il personale sotto il suo comando per contribuire al compimento della missione con prontezza e decisione.

IL CAPO PLOTONE

Leader "per sua stessa natura", il Capo plotone è una donna o un uomo le cui qualità carismatiche si riverberano sui fanti, sugli zappatori o sugli autisti militari ai loro ordini e di cui sentono il peso e l'onore della responsabilità. Il capo plotone è quel soldato che ha assunto consapevolmente il ruolo di guida e mentore, soprattutto per i più giovani della sua unità, dimostrandosi costantemente all'altezza del compito assegnato. Il capo plotone è quel professionista che, pur avendo raggiunto il ragguardevole traguardo dell'ambito gradino "binari" da indossare, è sempre alla ricerca coraggiosa del miglioramento suo e del suo Plotone. Soprattutto è consapevole che nessuno è mai nato “leader” e che a questa posizione corrisponde un incommensurabile impegno quotidiano e una costante dedizione al servizio a costo di sacrificare gran parte dei propri interessi privati. Il delicato contesto geopolitico internazionale a poche centinaia di chilometri da noi ci dà ogni giorno una certezza: oggi il Platoon Leader costituisce l’asse portante della manovra delle forze di terra più che nel recente passato, caratterizzato da operazioni di Peacekeeping e Homeland Security. Ci si aspetta che gli attuali Comandanti di Plotone abbiano la capacità di prendere decisioni con completa autonomia in ambienti operativi complessi e altamente dispersi, condividano le intenzioni dei Superiori, strettamente legate alla loro vocazione militare, e abbiano un background professionale che va oltre l'ambito educativo - standard formativi, per quanto elevati possano essere. Queste sono solo alcune delle caratteristiche uniche del Capo Plotone. E, se mai ce ne fosse bisogno, la professione di Capo Plotone non è per tutti! Al contrario, chi ritiene che la carriera da Sottufficiale sia più semplice e proficua rispetto ad altre categorie potrebbe ritrovarsi incapace di sopportare il peso delle responsabilità, delle scelte e delle decisioni da Capo Plotone che deve prendere senza vacillare nei momenti concitati e drammatici. È proprio in questo senso che la Scuola Sottufficiali dell'Esercito prima e la vita nei reparti poi sono le palestre dove allenare la propria forza d'animo, dove riconoscere i propri limiti e superarli, dove imparare ad alzarsi dopo essere caduto. Solo chi riuscirà a superare le fitte maglie della infinita selezione (da parte degli istruttori prima e, ancor più, del personale ai loro ordini poi) potrà aspirare a questo prestigioso e delicato incarico. I leader avranno l’onere di poter influenzare il proprio staff con la propria autorità piuttosto che scegliere di comandare con autoritarismo; dovranno convincere gli uomini e le donne ai loro ordini, mostrando loro che passione, disciplina e senso di appartenenza sono gli unici strumenti di cui dispongono per affrontare le giornate di duro allenamento o i periodi trascorsi oltre i confini nazionali.
I leader dovranno contribuire a rafforzare quella naturale differenza tra le parole "comando" e "Leader": tutti, infatti, in virtù del loro grado, potrebbero essere chiamati a "comandare" e impartire ordini, ma pochi invece sono coloro che possono essere considerati Leader tout court. Ciò avviene solo ed esclusivamente quando i militari, con particolare riferimento ai giovani sottufficiali, credono fermamente in ciò che fanno, a prescindere da ciò che hanno scelto di essere. Non vanno tuttavia trascurati i rischi che questo arduo compito nasconde nel labirinto della sua interpretazione oggettiva e soggettiva. Essere Capo Plotone comporta innumerevoli caratteristiche e qualità che derivano dal carattere, dalla dimensione fisica, dalla formazione professionale e dai valori etici acquisiti nel tempo e devono essere costantemente curati, ampliati e consolidati. Basterebbe che anche uno solo degli elementi citati si incrinasse per testimoniare l'evidente distacco tra l'essere e il saper essere, tra il fare e il saper fare. In tali circostanze, spesso si cerca rifugio dietro giustificazioni inverosimili che poco hanno a che fare con il sacro giuramento prestato o, di fronte alle preoccupazioni delle madri e dei padri che hanno affidato loro i loro figli piccoli e tutte le loro speranze. In questi contesti gli uomini perderanno fiducia non nel soldato indicato come loro “Capo di plotone” ma nell’intero sistema, a sottolineare il ruolo cardine dei Capi di plotone per l’intera organizzazione militare. Pertanto, alla luce degli sforzi profusi dall’Esercito volti ad elevare la qualità dei sottufficiali in generale, ed in particolare quella dei Capi Plotone, oggi più che mai l’obiettivo dell’Esercito deve essere quello di salvaguardare i risultati di assoluto rilievo conseguiti fino al oggi adottando il criterio del merito nella promozione e, ove necessario, avvalendosi di soggetti che costantemente si dedicano, più degli altri, alla quotidiana osservanza del giuramento prestato.




IL PROGRAMMA “Armored Infantry Combat System”

Torniamo a parlare ancora una volta del programma AICS (Armored Infantry Combat System) dell’Esercito Italiano e lo facciamo con un obbiettivo ben preciso: farne capire l’importanza e la rilevanza strategica. Sì perché dal programma AICS, per il quale è previsto un fabbisogno complessivo di 15 miliardi di euro, a fronte di 5,2 miliardi di euro già stanziati, dipende il futuro dell’EI e del suo sforzo di modernizzazione.
Il CIO (Consorzio Iveco-Oto Melara), un consorzio composto dalla società italiana Leonardo e Iveco, parzialmente di proprietà statale (30,2%), ha rivelato un primo rendering 3D della sua offerta per il programma AICS (Armored Infantry Combat System) dell'Esercito italiano. L'obiettivo di questo programma è quello di sostituire i veicoli da combattimento della fanteria Dardo (IFV) e i venerabili veicoli corazzati da trasporto truppa (APC) M113 con una soluzione nuova e moderna. 
L'Esercito Italiano ha emesso la richiesta per un totale di 679 veicoli. I costi previsti del progetto AICS saranno di circa sei miliardi di euro, ma allo stato attuale sono stati approvati solo pochi milioni di euro per il prossimo anno; tuttavia, per il programma fino al 2035 sono già garantiti complessivamente 2,141 miliardi di euro.







Il requisito numerico dell’Esercito fissa a 679 i veicoli da acquistare in versioni: 
  • IFV, 
  • Combat Support, 
  • Posto Comando, 
  • Ambulanza-Medevac, 
  • con cui dotare le Brigate Corazzate e Meccanizzate, più scuole e riserva.

I nuovi IFV dovranno: 
  • essere in grado di condurre operazioni in varie condizioni climatiche, 
  • essere dotati di sistemi elettronici avanzati che permetteranno di operare all’interno di unità miste, costituite da veicoli con e senza equipaggio,
  • avere a bordo sistemi di auto diagnosi delle avarie che consentiranno al personale di bordo e tecnico di risolvere rapidamente i problemi, alleggerendo la logistica, sempre più informatizzata, e le attività di manutenzione,
  • essere dotati di sistemi di protezione attiva (APS), resi indispensabili dalla minaccia portata dai missili anticarro a testata multipla con profilo d’attacco dall’alto e dal sempre più frequente impiego di munizioni “loitering” e/o droni “suicidi”,
  • rappresentare un “punto di rottura” con i Dardo grazie all’ampio ricorso alla tecnologia “fight -by-wire” ed alla capacità MUM-T o Manned Unmanned Teaming,
  • introdurre una nuova torretta “telecomandata”, ovviamente con l’opzione del controllo manuale di emergenza,
  • utilizzare l’impiego di munizionamento programmabile integrato da missili con capacità “fire and forget” ed un sistema d’arma laser,
  • avere ottime capacità di spostamento e movimento su ogni tipo di terreno, 
  • utilizzare un propulsore ibrido-diesel-elettrico, con possibilità di guidare il mezzo in modalità esclusivamente elettrica,
  • utilizzare la modalità full electric solo ad andature a bassa velocità, peraltro utili nel caso di movimenti a bassa “osservabilità termica ed audio” nei pressi delle linee nemiche o per operazioni di ricognizione; oltre un certo limite di velocità, subentrerà la propulsione mista elettrica-termica o esclusivamente termica, a seconda della tipologia di sistema ibrido prescelto,
  • adottare batterie particolarmente potenti e performanti che dovranno operare non solo a favore del sistema propulsivo ma anche per il funzionamento dei sistemi di bordo e della torretta,
  • avere un’equipaggio di 2-3 uomini,
  • trasportare una squadra di fanteria formata da un massimo di 8 fucilieri assaltatori completamente equipaggiati; la squadra di fanteria dovrà avere anche a disposizione micro UAV e UGV per allargare il raggio di sorveglianza e ricognizione del teatro d’azione e questi mezzi dovranno e potranno essere comandati da remoto.

L’I.F.V. proposto dal CIO ha un layout molto convenzionale: è dotato di un power pack montato anteriormente con il conducente seduto accanto al motore, uno spalto ben inclinato, una torretta a due uomini situata al centro dell'IFV, e un ampio vano di smontaggio nella parte posteriore che include una grande rampa per l'ingresso e l'uscita. Il nuovo progetto del CIO utilizza una trasmissione contenente sette ruote stradali ed è dotato di cingoli in acciaio con pattini in gomma; su molti altri progetti IFV, i produttori hanno optato per cingoli compositi con elastici più leggeri. In modo simile ad altri IFV come il CV90, il Dardo, il Marder e il Lynx IFV, il sistema di scarico del nuovo design del CIO per il programma AICS si trova nella parte posteriore. Uno scarico posteriore rende la disposizione del veicolo un po' più complicata, ma ha un impatto positivo sulla firma termica quando il veicolo è visto dalla parte anteriore.
Il nuovo IFV del CIO è dotato di una variante della torretta Hitfist di Leonardo, simile a quella già schierata sull'IFV ruotato Freccia 8×8. Dato che si prevede che questa torretta offra punti in comune con i progetti Hitfist già in campo, si ritiene che sia sostanzialmente più economica – soprattutto se si considera l'aspetto logistico – rispetto ad un design di torretta nuovo di zecca. Curiosamente il CIO ha proposto di utilizzare l’Hitfist OWS senza pilota per la prossima versione del Freccia IFV, ovvero il cosiddetto Freccia Evo.
La torretta Hitfist dell'attuale progetto del CIO è apparentemente dotata di un cannone statunitense Mk 44 Bushmaster II della Northrop-Grumman completamente stabilizzato, o della nuova arma sviluppata da Leonardo, camerata nel calibro 30 x 173 mm. Quando montato su una torretta Hitfist, il cannone ha una depressione massima di -10° e un'elevazione massima di 60°. Anche la mitragliatrice Mk 44 Bushmaster è stata proposta come potenziale armamento principale per il Freccia EVO. Nella torretta, oltre al cannone principale, si trova anche una mitragliatrice coassiale di tipo attualmente non specificato. Sulla base delle immagini estremamente limitate, il cannone Bushmaster Mk 44 da 30 mm montato sul nuovo IFV del CIO include una bobina magnetica sulla punta della canna, che viene utilizzata per impostare la spoletta dei proiettili ABM (Air Burst Munition) programmabili. Il veicolo sembra non essere dotato di lanciatori di missili guidati anticarro (ATGM), in linea con l'attuale IFV italiano. Solo un piccolo numero della flotta IFV italiana è stata dotata di lanciatori ATGM Spike-LR: venti dei Dardo IFV cingolati e 36 Freccia IFV su ruote nella versione Combat controcarro (Combattimento anticarro) hanno ricevuto tali sistemi. Due lanciagranate quadrinati fumogeni forniscono ciascuno alla torretta Hitfist una capacità di autodifesa.
Inoltre, sulla parte superiore della torretta sono installati un alto tagliafili e un albero meteorologico.  Il sensore optronico JANUS RSTA di Leonardo verrà fornito come ottica indipendente per il comandante, dotato di un telemetro laser sicuro per gli occhi con una portata di 20.000 metri, una termocamera di terza generazione basata su un Focal Plane Array (FPA) MCT da 640 x 512 elementi e una telecamera CCD per luce diurna per una risoluzione di 530 linee TV, che fornisce un'uscita in il formato PAL standard. Questo sensore ottico consente all’equipaggio di rilevare un bersaglio delle dimensioni di un carro armato a quasi 15 chilometri di distanza, riconoscere lo stesso bersaglio a circa 5 chilometri di distanza e identificarlo a quasi 2,5 chilometri di distanza. Il CIO utilizzerà quasi sicuramente una versione aggiornata dello Janus; almeno le prestazioni della telecamera per la luce diurna non sono ancora all'altezza degli standard degli attuali prodotti offerti da Leonardo e dalla sua concorrenza.

IL LIVELLO DI PROTEZIONE DEL MEZZO

Allo stato attuale, la dotazione di sette coppie di ruote stradali e l'utilizzo di cingoli in acciaio convenzionali suggerisce un peso di combattimento più elevato rispetto a Dardo e Freccia, il che suggerirebbe anche che l'IFV proposto per l’AICS raggiunga un livello più elevato di protezione balistica e antimine rispetto a i veicoli precedenti. Non sorprende che si desideri un livello di protezione balistica secondo STANAG 4569 livello 6 e un livello di protezione antimine secondo STANAG 4569 livello 4a/b; almeno questo sembra essere il requisito abituale in numerosi programmi IFV attualmente in corso.
Il nuovo IFV offerto dal Consorzio Iveco-Oto Melara potrebbe utilizzare il motore FPT V20 realizzato dall'azienda italiana FPT Industrial SpA; una versione più piccola di questo motore è già in campo sul sistema di cannoni mobili/cacciacarri Centauro II. Il FPT V20 è dotato di otto cilindri disposti a V di 90° e ha una cilindrata di 20 litri. Utilizza l'iniezione Common Rail e un turbocompressore per raggiungere una potenza massima di 670 kW (911 cavalli) a 1.800 giri/min. Il motore può fornire una coppia massima di 4.100 Nm a 1.500 giri/min. L'FPT V20 ha un peso di 1.600 chilogrammi. Potrebbe essere accoppiato a una trasmissione ibrida elettrica.
L'Italia ha una storia di acquisto di veicoli prodotti localmente: la mancanza di concorrenza contro i progetti stranieri e la progettazione rigorosa per i requisiti nazionali ha portato l'Esercito italiano a mettere in campo una serie di veicoli corazzati da combattimento (AFV) unici con un successo di esportazione solo limitato: l'LMV di Iveco è la grande eccezione a questa regola. 

LA PROPOSTA RHEINMETALL E L’ACCESSO AL PROGRAMMA M.G.C.S.

Tuttavia vale la pena notare che Rheinmetall Italia ha proposto il Lynx KF41 IFV come alternativa al design del CIO. Il veicolo viene offerto con il coinvolgimento dell’industria locale (inclusa l’“italianizzazione” utilizzando componenti fabbricati localmente) e come parte di un accordo di cooperazione in materia di difesa italo-tedesca, che potrebbe anche portare l’Italia ad ottenere l’accesso al programma Main Ground Combat System (MGCS). Nell'ambito del programma MGCS è in fase di sviluppo un sistema di combattimento multipiattaforma di prossima generazione, che nel prossimo futuro sostituirà i principali carri armati da battaglia (MBT) Leclerc e Leopard 2.
L’AICS, deve per prima cosa, portare alla riqualificazione del parco cingolati dell’EI, con piattaforme di nuova generazione basate sul concetto di piattaforma nodale, ovvero di piattaforme connesse e cooperative capaci di operare secondo la logica multidominio. 
Poi, deve consentire di sviluppare tutta una serie di nuove tecnologie basate sui seguenti abilitanti: AI, super calcolo, combat cloud e realtà aumentata. La “bolla” AICS, infatti, dovrà raccogliere e analizzare grandi quantitativi di informazioni e ricavarne valore da distribuire in maniera selettiva ai fini del conseguimento dell'effetto ricercato sul campo di battaglia. 
Inoltre, l’AICS dovrà inserirsi nell’esperienza dei programmi ARIETE C2 e CENTAURO 2 per potenziare ulteriormente, e rendere ancor più competitiva, una filiera nazionale terrestre della Difesa comprendente i grandi player – Leonardo, IDV e CIO – le PMI, i centri di ricerca e le università. 
Deve essere uno sforzo sistemico di ampio respiro per la realizzazione di un sistema con il quale l’EI dovrà calarsi nella modernità di un continuum conflittuale che non prevede più la pace ma una competizione permanente intervallata da crisi/situazioni ibride e da guerre su larga scala. 
L’Esercito Italiano dovrà essere più flessibile, adattabile e capace di proiettare effetti letali e non letali in tutti quei contesti nei quali è necessario tutelare il benessere e la sicurezza nazionale. 
Il futuro AICS rafforzerà la cooperazione anche in chiave nazionale ed europea, l’importante design authority e la nostra sovranità tecnologica, intesa come libertà di intervento e modifica.



Ripensare la guerra, e il suo posto
nella cultura politica europea contemporanea,
è il solo modo per non trovarsi di nuovo davanti
a un disegno spezzato
senza nessuna strategia
per poterlo ricostruire su basi più solide e più universali.
Se c’è una cosa che gli ultimi eventi ci stanno insegnando
è che non bisogna arrendersi mai,
che la difesa della propria libertà
ha un costo
ma è il presupposto per perseguire ogni sogno,
ogni speranza, ogni scopo,
che le cose per cui vale la pena di vivere
sono le stesse per cui vale la pena di morire.
Si può scegliere di vivere da servi su questa terra, ma un popolo esiste in quanto libero, 
in quanto capace di autodeterminarsi,
vive finché è capace di lottare per la propria libertà: 
altrimenti cessa di esistere come popolo.
Qualcuno è convinto che coloro che seguono questo blog sono dei semplici guerrafondai! 
Nulla di più errato. 
Quelli che, come noi, conoscono le immense potenzialità distruttive dei moderni armamenti 
sono i primi assertori della "PACE". 
Quelli come noi mettono in campo le più avanzate competenze e conoscenze 
per assicurare il massimo della protezione dei cittadini e dei territori: 
SEMPRE!
….Gli attuali eventi storici ci devono insegnare che, se vuoi vivere in pace, 
devi essere sempre pronto a difendere la tua Libertà….
La difesa è per noi rilevante
poiché essa è la precondizione per la libertà e il benessere sociale.
Dopo alcuni decenni di “pace”,
alcuni si sono abituati a darla per scontata:
una sorta di dono divino e non, 
un bene pagato a carissimo prezzo dopo innumerevoli devastanti conflitti.…
…Vorrei preservare la mia identità,
difendere la mia cultura,
conservare le mie tradizioni.
L’importante non è che accanto a me
ci sia un tripudio di fari,
ma che io faccia la mia parte,
donando quello che ho ricevuto dai miei AVI,
fiamma modesta ma utile a trasmettere speranza
ai popoli che difendono la propria Patria!
Signore, apri i nostri cuori
affinché siano spezzate le catene
della violenza e dell’odio,
e finalmente il male sia vinto dal bene…

(Fonti: https://svppbellum.blogspot.com/, Web, Google, Esercito.difesa, RID, Wikipedia, You Tube)