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I Cavalieri portaspada
I Cavalieri portaspada (in latino: Fratres militiae Christi, in tedesco: Schwertbrüder) furono un ordine monastico militare tedesco costituito nel 1202 da Alberto di Riga. La regola era fondata su quella dei Cavalieri templari. Furono chiamati anche "Cavalieri di Cristo" e "Fratelli della spada", poi confluiti nell'"Ordine livoniano".
Nome dei cavalieri in varie lingue:
- Latino: Fratres militiae Christi de Livonia ("Fratelli dell'Esercito di Cristo di Livonia”);
- Tedesco: Schwertbrüderorden ("Ordine dei Fratelli di Spada”);
- Estone: Liivi ordu o Liivimaa Ordu ("Ordine livoniano”);
- Lettone: Zobenbrāļu ordenis ("Ordine dei Fratelli di Spada") e Livonijas ordenis ("Ordine livoniano”);
- Lituano: Kalavijuočių ordinas ("Ordine degli Spadaccini”);
- Polacco: Zakon kawalerów mieczowych ("Ordine dei Fratelli della Spada”);
- Russo: Ливонский орден ("Ordine livoniano”).
Fondazione e operazioni militari
Alberto, vescovo di Riga, fondò l'ordine con lo scopo di cristianizzare le popolazioni pagane insediate nei territori intorno al golfo di Riga: curi, livoni, selonici, semigalli e letgalli. L'ordine doveva coadiuvare l'azione evangelizzatrice dei missionari e dipendeva dal vescovo secondo un patto feudale. Fin dalla fondazione l'ordine mostrò di ignorare il suo presunto vassallaggio nei confronti del vescovo e nel 1218 Alberto chiese assistenza al sovrano Valdemaro II di Danimarca; questi si alleò invece con l'ordine e invase il nord dell'Estonia.
La sede dell'ordine si trovava nella città estone di Viljandi (Fellin) dove le mura del castello sono tuttora visibili: altre roccaforti erano sorte a Cēsis (Wenden, futura roccaforte centrale), Sigulda (Segewold) e Aizkraukle (Ascheraden). I comandanti di Viljandi, Kuldīga (Goldingen), Alūksne (Marienburg), Tallinn (Reval), e il balivo di Paide (Weissenstein) costituivano l'entourage più stretto del maestro dell'ordine.
L'ordine venne quasi annientato dai lituani e dai semigalli nel 1236 nel corso della battaglia di Šiauliai. Il 12 maggio 1237 l'ordine fu incorporato nell'Ordine teutonico e da quel momento fu, di fatto, un braccio autonomo dell'Ordine teutonico continuando a mantenere un proprio gran maestro (che de iure dipendeva dal gran maestro dell'Ordine teutonico) e abbigliamento e regola propri.
Prese dunque il nome di Ordine livoniano.
Ordine livoniano
Tra il 1237 e il 1290 l'ordine conquistò la Curlandia, la Livonia e la Semgallia e nel 1346 acquistò dal sovrano danese Valdemaro IV il rimanente territorio estone.
Il declino dell'Ordine teutonico, cui faceva riferimento l’ordine di Livonia, iniziò in seguito alla sconfitta nella battaglia di Grunwald nel 1410 e alla secolarizzazione dei territori della Prussia da parte di Alberto di Prussia nel 1525. Nel 1413, l'Ordine dei portaspada riuscì a tornare indipendente. Durante la guerra di Livonia, fu sconfitto in modo perentorio dalle truppe russe nel corso della battaglia di Ergeme (1560). L'ordine cercò allora l'appoggio del sovrano polacco Sigismondo II che già nel 1557 era intervenuto in una guerra tra l'ordine e il vescovo di Riga.
In seguito al Trattato di Vilnius (1561), l'ultimo gran maestro Gotthard Kettler secolarizzò l'ordine convertendolo al luteranesimo. Nella parte meridionale dei territori dell'ordine venne creato il ducato di Curlandia e Semigallia (vassallo del Granducato di Lituania), sul quale venne insediata la dinastia Kettler. Il territorio rimanente entrò a far parte dell'Unione Polacco-Lituana, mentre la parte settentrionale dell'Estonia fu divisa in una parte danese e una parte svedese.
Secondo alcuni documenti storici, custoditi dalla Chiesa Ortodossa, l’Ordine dei Cavalieri Portaspada sarebbe sopravvissuto ai secoli, passando sotto la protezione proprio della Chiesa Ortodossa, molto diffusa nei territori di origine dell’Ordine. Attraverso le decisioni del Sinodo ortodosso, viene ancora nominato il Gran Maestro reggente.
La Spada dei Cavalieri Templari
L’elemento fondamentale del cavaliere templare era la spada. Il Cavaliere non era tale solo perché possedeva la spada e il cavallo, ma perché accettava delle regole e si obbligava a dei doveri entrando a far parte di quello che era un vero e proprio ordine: la cavalleria.
La sua sottomissione ai principi della cavalleria veniva sottolineata, durante l'investitura, dalla "collata", l'ultimo colpo che il cavaliere accetterà di ricevere senza rispondere all'offesa. La solenne cerimonia si concludeva con la consegna della spada che d'ora in avanti sarebbe servita per difendere la fede, la giustizia e ogni altra nobile causa.
Durante il combattimento il cavaliere si fida della propria spada come di un prolungamento del proprio braccio, che allo stesso tempo è anche un'entità a sé stante e come tale ha il diritto ad acquisire personalità per mezzo del nome. L'invincibilità del guerriero è legata alla sua spada. L'ispirazione cristiana della cavalleria ne influenza anche la simbologia. La spada, arma principe del cavaliere, se impugnata dalla lama, assume la forma dello strumento della passione del Salvatore, riaffermando in questo modo lo scopo per il quale egli è chiamato ad operare. Nella guerra o nella fede, la spada assurge a simbolo più di qualsiasi altra arma in quanto il suo impegno comporta competenze e destrezza particolari: in essa c'è una nobiltà di fondo che passa attraverso i secoli e che viene affermata dalle complesse regole della scherma e del suo cerimoniale, cosa che conferma e rafforza anche in epoca moderna il suo valore mitico. Le caratteristiche della spada templare sono: lama dritta a doppio filo e a punta arrotondata, la punta arrotondata ci induce a pensare che venisse usata solo come arma difensiva; il pomolo a disco con inciso la croce patente o il sigillo templare.
La “Spada da combattimento”
Questa bellissima spada templare presenta una lama in acciaio temperato, decorato con tre croci pattée. Il codolo è battuto al pomolo. La scanalatura si estende quasi fino alla punta della lama, il che non solo garantisce un’elevata flessibilità, ma riduce anche il peso della spada cavalleresca a una mano.
La guardia croce era forgiata in acciaio e reca incisa l’iscrizione latina “IN HOC SIGNO VINCES” (Ing.: In questo segno vincerai). Questa frase, che si dice sia apparsa in cielo sotto forma di croce al primo imperatore romano cristiano Costantino il Grande durante la battaglia contro Massenzio (312 d.C.), è oggi il motto dell’ordine massonico americano dei Cavalieri Templari.
L’impugnatura in legno rivestita in pelle è ricoperta da un pomolo piatto in acciaio a forma di disco (o pomo a ruota) inciso su entrambi i lati con un motivo a croce templare. Lo splendido fodero con anima in legno è rivestito in pelle e viene fornito completo di una cintura di trasporto.
La Spada dei Templari (dorata)
Spada in stile medievale ispirata all'Ordine monastico-cavalleresco dei Cavalieri Templari fondato a Gerusalemme tra il 1119 e il 1120 dal nobile francese Hugues de Payns assieme ad altri otto compagni per difendere i pellegrini sulle strade della Terrasanta. I racconti fioriti poi negli anni sul conto dei Templari hanno decretato la popolarità dell'Ordine, oggi alla ribalta delle cronache storico-leggendarie. La spada dei Templari ha lama in acciaio, decorata per il primo terzo in oro e rosso. Il fornimento, molto elaborato, è in metallo dorato fuso con figure in rilievo e inserti in metallo brunito raffiguranti simboli templari. Il pomolo a disco ha infine una croce rossa patente al suo interno.
LA SIMBOLOGIA DELLA SPADA
Apparentemente la spada è solo uno strumento, un oggetto freddo e metallico, ma in realtà, come il fuoco, sembra avere per l’uomo un significato atavico, un valore ancestrale.
La spada è espressione di forza e di coraggio e, come tale, è il simbolo più noto della condizione militare, tanto è vero che nella Bibbia viene spesso utilizzata per rappresentare un esercito, come ad esempio “le spade egizie”. La sua potenza è da un lato distruttiva ma dall’altro costruttiva, quando essa diventa simbolo di Giustizia se associata alla bilancia dell’equanimità o strumento atto a mantenere la pace e i valori morali più alti, come nella Cavalleria. Alla spada sono state spesso attribuite proprietà magiche, tanto da vedersi dare un nome proprio, sempre femminile, che poteva identificarla tra mille. Spade non comuni erano dunque capaci di fare di un semplice uomo un paladino o un eroe.
Eccone alcune:
- DURLINDANA o DURENDAL - era la spada di Orlando, paladino di Carlo Magno - Nella “Chanson de Roland” si narra che conservasse nel pomo alcune reliquie: un dente di San Pietro, il sangue di San Basilio, i capelli di San Dionigi e un pezzo del vestito della Vergine Maria,
- EXCALIBUR - È la spada magica per eccellenza della Tradizione Occidentale. Il suo nome deriva dall’essere stata forgiata con il ferro di un meteorite (ex-caliburus). Nella “Mort d’Arthur”, Re Artù morente getta Excalibur in un lago perché non cada nelle mani dei malvagi, ma dalle acque sorge la mano della Maga Viviana, la Signora del Lago, che porta la spada con sé nelle profondità. Da lì Excalibur è destinata a tornare nelle mani del Re solo quando un grave pericolo minaccerà l’Inghilterra.
- ANA NO MURAKUMO - Letteralmente “La spada del Paradiso” è una spada leggendaria della mitologia shintoista giapponese, paragonabile per importanza a Excalibur. Ha uno specchio ottagonale e una gemma, simbolo del Dio Anaterasu. È uno dei Tre Tesori Sacri di Yamato, ossia del Giappone e sarebbe custodita nel Tempio di Atsuta. I monaci sono molto gelosi delle reliquie e non permettono a nessuno di far fotografie o estrarla dalla teca in cui è chiusa; la mostrano solo alla famiglia reale e a pochi eletti, per lo più monaci di alto grado. La spada è lunga circa 84 cm, forgiata in un metallo di colore bianco e ad oggi risulterebbe ben mantenuta nonostante abbia più di 1400 anni. L’ultima apparizione della spada risalirebbe al 1989, quando Akihito salì al trono imperiale. In quell’occasione sembra che l’imperatore abbia seguito un particolare rituale nel quale avvolse la spada e gli altri due Doni Imperiali (lo Specchio di forma ottagonale e la Gemma) in teli sacri e li ripose sopra l’altare, come voto agli Dei nella speranza della loro benedizione. Come è noto, i Samurai consideravano la loro spada come espressione del proprio Ki: la volontà spirituale che accompagnava l’affondo con un caratteristico suono gutturale: il Kiai (letteralmente: la mente guida la mano) suono rituale e distruttivo capace di annichilire l’avversario.
Inoltre, si possono citare:
- ARADONIGHT, la spada di Lancillotto; BALISARDA, la spada di Ruggiero; COLADA, la spada di El Cid; BALMUNG, la spada di Sigfrido; NAEGLING, la spada di Beowulf.
Anche la forma dell’arma rivestiva un significato simbolico: le spade dei Cristiani ricordavano la Croce, quelle dei Musulmani la Mezza Luna.
L’ARMA PREFERITA
La spada era, per ogni cavaliere, l’arma preferita e la più prestigiosa perché obbligava al combattimento ravvicinato con il nemico. Era dunque simbolo di coraggio e sprezzo del pericolo.
Il Cavaliere Medievale ed il Templare in modo particolare doveva usare la sua spada sempre a fin di bene, non solo per liberare i luoghi santi dagli infedeli, ma anche a difesa dei deboli dai prepotenti, della giustizia contro gli ingiusti. In particolare per il Cavaliere Templare, monaco-guerriero, la forza doveva essere prima quella interiore e poi quella fisica. I Templari erano infatti consapevoli di combattere una guerra Santa, combattuta con la certezza di lottare contro il “male” incarnato dai musulmani, per cui fu creato il termine di “Malicidio” che assolveva il Templare dal peccato di omicidio. Pertanto la spada del Templare veniva simbolicamente brandita dal cuore e non dal braccio.
La spada ha due significati: tagliare, distruggere, conquistare oppure riguadagnare, fare ritorno a uno stato perduto attraverso l’immissione di nuova energia. Inoltre ha due tagli, che sottolineano la sua natura duale e può essere tenuta in due modi: nel Tai-Chi la spada è tenuta con la punta verso il cielo, nel mondo militare è nel fodero, con la punta verso terra. Una posizione è vita, l’altra è morte.
Nel mito della “Spada nella roccia” l’energia della Nazione è bloccata; non c’è un Re, non c’è nessuno capace di sollevare la spada e solo Artù, il predestinato, potrà estrarla e puntarla verso il cielo. Da quel momento sarà Merlino (o nella grafia celtica originale Myridd’in), Mago e simbolo del Grande Iniziato a prendersi cura con saggezza dell’educazione del giovane Re.
Il Re è il nostro cuore, la spada simboleggia la nostra colonna vertebrale con l’elsa nel sacro (un nome, non a caso. speciale per questo osso) e la punta nella testa, libera di muoversi.
È interessante in questo senso l’analogia con la Kundalini dello Yoga Tantrico Tradizionale, il serpente che dorme dentro di noi, la testa nel sacro e il corpo lungo la spina dorsale, con la coda all’interno del cervello. Lungo il suo tragitto si diramano i Chakra, nodi energetici fondamentali.
Questa energia quiescente è immaginata e simboleggiata come un serpente che giace arrotolato su sé stesso: kuṇḍalinī significa infatti "arrotolata", "ricurva". L'attivazione è visualizzata dal serpente che si drizza come all'improvviso, liberando calore e permettendo ad altre energie sopite, ai "soffi" altrimenti bloccati (prāṇa), di circolare. I chakra sono immaginati come fiori di loto (padma) variamente colorati che sbocciano in tutta la loro bellezza, liberando potenzialità celate.
«Kundalini è insieme un serpente, un'energia intima e una dea: l'esoterismo del linguaggio crepuscolare risiede in questa simultaneità di significati in una stessa parola.»
L’età del ferro, che seguì quella della pietra e del bronzo, segnò un enorme passo in avanti per l’evoluzione della specie umana. La capacità di domare il ferro e cambiarne le caratteristiche mediante i processi di forgiatura e tempra, poneva il fabbro in un ruolo sociale rilevante e in un rapporto speciale con gli Dei.
Il fabbro veniva visto come una figura demiurgica, capace per mezzo del fuoco e dell’acqua di plasmare a suo piacimento la materia. Ciò non sorprende se si pensa che alla capacità della spada forgiata di non spezzarsi nel corso di un combattimento il combattente doveva la sua incolumità in battaglia e la possibilità di assurgere a un grande prestigio, militare e sociale. Era nato così l’”homo faber”, produttore di armi, ma anche di oggetti per la vita quotidiana, ammantato da un’aura magica che derivava dalla sua capacità di creare il ferro dal minerale ferroso, renderlo liquido e malleabile grazie al fuoco, elemento magico per eccellenza. Nella Bibbia è presente la figura di Tubalkain, il fabbro primordiale, che insegnò agli uomini l’arte della lavorazione del ferro. Secondo una tradizione, Tubalkain si salvò dal Diluvio Universale nascondendosi, non visto, nell’Arca costruita da Noah e poté far sopravvivere i suoi segreti alla distruzione.
Secondo Mircea Eliade, l’antica figura del fabbro/mago si sarebbe in seguito evoluta in quella dell’alchimista. Anche l’alchimista, in un certo senso, è un fabbro perché lavora i metalli ed è un Mago, praticante di quella che Cornelio Agrippa chiamava “Magia Naturalis” e signore del fuoco, filosofo seguace di quella particolare filosofia detta “Philosophia per ignem”.
A questo proposito è utile citare il contributo di Michele Leone dedicato proprio sulla Filosofia per ignem:
“Questi philosophi per ignem, se erano alchimisti erano probabilmente eredi della filosofia presocratica di Eraclito, i figli di Ermete Trismegisto, i genitori dei mitici Rosa+Croce e progenitori di tutti moderni iniziati che nel fuoco della carità, della speranza e della purificazione ardono da secoli. Agrippa ci dice: le proprietà del fuoco supremo sono il calore che feconda tutte le cose e la Luce, che a tutto dà vita”.
Naturalmente Vulcano era non solo il Dio dei fabbri, ma anche quello degli alchimisti.
LA SPADA NELLA ROCCIA DI SAN GALGANO
La leggenda della spada nella roccia non è propria solo della mitologia nordica e anglosassone in particolare. Esistono epigoni della stessa storia anche in terra d’Italia. Si narra che San Galgano, già cavaliere, decise di rinunciare al potere rappresentato dalla spada per dedicarsi totalmente alla croce, simbolo di amore. Così: “In terram pro cruce spatam fixit” cioè conficcò la spada in una roccia come una croce.
La spada è tutt’ora visibile nella rotonda dell’abbazia di Montesiepi, nei pressi di San Gimignano e nessuno è ancora riuscito ad estrarla. È quanto meno curioso il fatto che “Galgano” sia la traslitterazione italiana del sassone Gawain, uno dei cavalieri della Tavola Rotonda di Re Artù.
Sul Lago di Valbondone, in provincia di Bergamo, si trova una spada infissa nella roccia fino all’elsa. Su di essa sono incise le iniziali del fonditore (Matteo) e di suo padre (Modesto) e la data: 1415.
Sul Monte Terminillo in Lazio, infine, esiste una spada conficcata in una roccia, legata questa ai Cavalieri Templari. La leggenda narra che nel dicembre 1307 cinque cavalieri templari guidati dal Maresciallo del Tempio Guy de la Roche si accamparono sulle pendici del monte, in fuga dalla Francia ove Filippo il Bello, spalleggiato dal Papa Clemente V, aveva emanato quell’ordine di cattura che avrebbe sterminato gran parte dei Cavalieri Templari. Nel giorno del solstizio d’inverno, 21 dicembre 1307, Guy de la Roche infisse la sua spada in una roccia, invocando la giustizia divina e sciolse dal giuramento templare i suoi confratelli.
Esiste infine un altro significato simbolico della spada: la spada di Damocle. Essa pendeva sul capo del Re Dionigi I di Siracusa appesa solo a un crine di cavallo. In questo caso la spada simboleggia la responsabilità che deriva dal possedere un grande potere e al contempo l’esposizione al pericolo mortale conseguente.
La figura del fabbro ha avuto caratteri soprannaturali in Europa fino al XIX secolo. In Gran Bretagna i fabbri erano denominati “incantatori del sangue” cioè guaritori e si credeva che potessero compiere magie e predire il futuro.
Questa fama era dovuta alla persistenza della figura mitologica di Efesto, Dio del fuoco e degli Inferi, che nella sua fucina posta nel cuore dell’Etna aveva forgiato armi di ineguagliabile perfezione per gli Dei. Omero lo descrive come un uomo brutto, zoppo e di pessimo carattere, molto temuto anche da Zeus. Figlio di Zeus ed Era, a causa della sua deformità fu cacciato dall’Olimpo ma divenne il patrono dei fabbri, dei falegnami, degli scultori e della metallurgia. Per tale motivo era venerato ad Atene e in tutte le città della Grecia in cui venivano praticate attività artigianali.
È curioso che tutti gli Dei Mitologici dei Fabbri, come Efesto in Grecia. Weyland nelle saghe Norrene, Sarog in India e Ptah in Egitto venissero raffigurati come storpi o deformi. Alcuni studiosi ritengono che ciò sia dovuto alla loro costante esposizione all’arsenico che veniva aggiunto al rame per produrre il bronzo.
Un breve excursus infine sull’evoluzione della spada. I legionari romani utilizzavano una spada corta, il gladius, molto utile e maneggevole negli scontri corpo a corpo dietro la protezione dello scudo rettangolare. Dall’incontro/scontro con i Celti nacquero interessanti modifiche, destinate a perdurare nei secoli a venire. Si passò alla spatha, lunga ed elastica, che servì da modello per la cosiddetta spada vichinga che divenne l’arma tipica del cavaliere medievale dall’anno mille in poi e che fu progenitrice di due altri tipi: la Claymore scozzese e la flamberga dei Lanzichenecchi del basso MedioEvo.
Finisce qui questo viaggio affascinante, che ci ha portati molto lontani nel tempo e nello spazio a visitare diverse culture, tutte accomunate dalla spada come oggetto carico di significati simbolici, non ultimi la rettitudine, l’onore, il coraggio e la disciplina.
Nel corso della cerimonia di investitura il cavaliere medievale si inginocchiava davanti al suo Signore che, impugnata la spada, lo toccava sulla testa e poi sulle spalle, pronunciando la formula rituale: “In nome di Dio, di San Giorgio e di San Michele io ti costituisco cavaliere”.
Nel porsi “all’ordine” o “sull’attenti” il cavaliere in piedi poneva la sinistra sull’impugnatura della sua spada e la destra sul cuore. Ancora una volta, simbolicamente “il cuore guida la spada”.
IL TERMINILLO E LA SPADA NELLA ROCCIA
Le vette e i borghi appenninici nascondono numerose tracce del passaggio dei Cavalieri Templari, l’ordine religioso-militare creato nel 1119 da Ugo di Payns a Gerusalemme, allo scopo di proteggere i pellegrini che si recavano nella Città Santa. Lo sanno bene gli appassionati di misteri. Di leggende che si mescolano alla verità storica. Di quelle storie di cui talvolta ci nutriamo per sognare un po’ e allontanarci dalla realtà. E quanto ne avremmo bisogno in questi tempi cupi! Se poi capita in calendario un venerdì 13 la necessità si fa sentire ancora più forte. Una giornata secondo superstizione sfortunata, in cui viene spontaneo, con un pizzico di ironia, alzarsi dal letto pensando “e che altro può succedere quest’anno?”.
Un personale venerdì 13 novembre è iniziato esattamente così. Ed è finito con la scoperta di una spada templare infissa nella roccia, avvolta dalla leggenda. Vorrei condividere con voi questa esperienza che in un certo senso mi ha portato a tornare bambina, consigliandola come escursione (colori delle regioni permettendo) a tutti coloro che vogliano ricaricarsi di magia per un giorno.
Venerdì 13 novembre 2020, ore 9.00. Il sole splende su Rieti. O meglio dire, splende in alto nel cielo reatino, ma la città è ancora coperta dal suggestivo mare di nebbia mattutina che ci fa compagnia da settimane. Verrebbe voglia di poter volare in alto, al di sopra di quella coltre bianca, e ancora più su, verso lo spazio infinito, per fuggire dalla triste realtà che ci troviamo ad affrontare da quasi 10 mesi. “Hai detto spazio?”, sembra domandarmi la coscienza. E ripesca dalla memoria l’immagine del Sentiero del Planetario del Terminillo. Un percorso escursionistico di circa 8 km, lungo il quale è possibile “studiare” i Pianeti. Perché no?
Tempo di fare un salto al rifugio Rinaldi per inebriarmi del mare di nebbia dall’alto e si parte alla ricerca dell’accesso del sentiero. Niente di più facile. Si parcheggia comodamente a Pian de’ Valli, si raggiunge il Piazzale Tre faggi al termine della discesa del Belvedere Tre faggi, ed eccolo lì, ben riconoscibile grazie alla palla rossa che simboleggia il Sole: l’inizio del Planetario.
Il percorso si sviluppa su asfalto, in un primo tratto ad uso esclusivo dei pedoni. Una passeggiata rigenerante, in cui si avanza circondati dai faggi e accompagnati dal cinguettio degli uccelli. Unico rumore nell’aria è quello dei propri passi. E dei propri pensieri, interrotti qui e là dallo spuntare di un Pianeta colorato. Senza rendersene conto si arriva al Campo d’Altura del Terminillo. Per me una prima volta. Ne avevo sentito parlare, ma nelle mille ascese in vetta, non avevo mai pensato prima di andare a guardare cosa ci fosse intorno, oltre il mio naso. Quest’anno ci sta in fondo insegnando a scoprire la nostra stessa casa. Le bellezze delle montagne che ci circondano, senza necessità di viaggiare lontano.
Il Campo d’Altura segna un bivio. Su un palo è posizionato un cartello che sa un po’ di Matrix. Pillola blu o pillola rossa? Solo che qui la scelta è: Spada nella Roccia o Plutone?. “Una spada nella roccia!”, grida la bambina che è dentro di me. “Ma non dovevamo seguire i Pianeti?”, cerca di ricordarle la controparte più matura. Mi fermo 15 secondi a riflettere ma sento che i piedi si stiano già orientando verso sinistra. Spada nella roccia sia!
Mi incammino alla sinistra del Campo, sempre seguendo la comoda strada asfaltata. Di fronte ai miei occhi, in alto come una macchia bianca e rossa sotto il cielo blu perfettamente terso, si staglia il Rifugio Rinaldi. Passano pochi minuti ed ecco un nuovo cartello. Spada nella roccia, con una freccia che invita chiaramente a salire lungo il pendio alla mia sinistra. Tempo di orientare lo sguardo a sinistra e leggo su un cippo ligneo “Luogo del Termine”. Qualche grado ancora più a sinistra ed ecco lì la spada nella roccia, con accanto una evidente croce templare.
Nel dicembre del 1307 cinque templari si trovavano accampati sulle pendici del Terminillo. Il luogo del termine, la vetta che segnava il confine tra Stato Pontificio e Regno di Napoli. Si trattava del Maresciallo del Tempio Guy de La Roche e quattro cavalieri suoi confratelli. Il gruppo era in fuga da settimane. Il Re di Francia Filippo IV, di fronte alla ingombrante potenza economica dell’Ordine, aveva infatti diramato un ordine di cattura di tutti i Cavalieri Templari il giorno 13 ottobre 1307, che era un venerdì. Proprio così, venerdì 13. La superstizione che continua a legarsi a tale data in tempi odierni nasce in epoca templare per ricordare lo sventurato giorno.
Il 22 novembre dello stesso anno, Papa Clemente V, vinto dagli eventi, aveva emesso a sua volta un Decreto che invitava tutti i Principi cristiani ad arrestare i templari.
I cinque cavalieri cercarono di sfuggire alla persecuzione muovendosi verso il Regno di Sicilia, e trovarono temporaneo rifugio sul Terminillo. Ben coscienti di essere braccati, aspettarono il 21 dicembre del 1307, giorno del solstizio d’inverno, per separarsi. Guy de La Roche infisse la sua spada in una roccia. Poi, invocata la giustizia divina, sciolse i confratelli dal giuramento templare. Dopo un ultimo abbraccio e deposti i mantelli nella neve, i cinque cavalieri di dispersero in direzioni diverse, promettendo di non rivelare mai la propria identità.
La loro storia è stata raccontata nel testamento di Fra Bernardo, nuovo nome assunto da Guy de La Roche dopo aver deciso di seguire la regola francescana presso il Santuario della Foresta di Rieti:
“Io Bernardo, che fui Guido de’ Roche di Francia de’ duchi di Grecia, nell’anno 74 di mia vita, né l’ora di verità, che per volontà del Signore mio fui povero compagno d’armi di Cristo e del tempio di Salomone e co’ li mie confratelli fuggendo sopra li Monti di Rieti. Vedemmo l’orrore e furia del boia del Re di Francia. Né la neve, pregammo pei’ fratelli, pel tradimento de’ lo Papa indegno. Ora sorella morte si appressa su questo sajo di povero frate, tengo il segno di Francesco pel mano, né la chiesa Foresta, ove trovai lo rifugio e lo nome novo di Bernardo. Che’ soffio di vita mia, torni a chi dette. Lo pensiero a li confrateli che già stanno nel Signore e mandai a’ quattro venti ne’ lo giorno di Santo Giovanni. Tenni per me, la via stretta di frate Francesco che sola acquietava mio core. Lascio lo sajo ai frati, lo corpo a madre terra e spirito mio a la Spada di pace al monte. Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam”.
Secondo la leggenda i cinque confratelli non si allontanarono di molto. Uno di loro partecipò alla fondazione di Cittaducale. Gli altri si nascosero nelle comunità di Micigliano, Castel Sant’Angelo e Borgo Velino. Sempre secondo la leggenda, finché la spada resterà infissa nella roccia, i 5 Comuni (Rieti, Cittaducale, Micigliano, Borgovelino e Castel Sant’Angelo) che sul luogo del Termine vedono incontrarsi i propri confini, resteranno uniti e invincibili.
La storia raccontata da Fra Bernardo, che oggi fortunatamente si trova anche sul web, per generazioni è stata tramandata soltanto oralmente. La famosa spada nella roccia in questo racconto non era però ben chiaro dove fosse, finché due escursionisti del CAI nel 1978 non fecero una sosta in località “Cinque Confini”, come oggi è chiamato il luogo del Termine. Casualmente videro una roccia all’interno della quale appariva conficcata una spada metallica arrugginita. Difficile, data la esposizione agli agenti atmosferici in quota, che si tratti dell’originale. Su un lato si vede l’iscrizione leggibile INIO (In Nomine Iesu Omnipotentis), sull’altro lato si riconosce l’iscrizione A.D. 1307. È plausibile che la vera spada sia stata sostituita con una fedele riproduzione, la cui datazione però non è nota.
Ripensare la guerra, e il suo posto
nella cultura politica europea contemporanea,
è il solo modo per non trovarsi di nuovo davanti
a un disegno spezzato
senza nessuna strategia
per poterlo ricostruire su basi più solide e più universali.
Se c’è una cosa che gli ultimi eventi ci stanno insegnando
è che non bisogna arrendersi mai,
che la difesa della propria libertà
ha un costo
ma è il presupposto per perseguire ogni sogno,
ogni speranza, ogni scopo,
che le cose per cui vale la pena di vivere
sono le stesse per cui vale la pena di morire.
Si può scegliere di vivere da servi su questa terra, ma un popolo esiste in quanto libero,
in quanto capace di autodeterminarsi,
vive finché è capace di lottare per la propria libertà:
altrimenti cessa di esistere come popolo.
Qualcuno è convinto che coloro che seguono questo blog sono dei semplici guerrafondai!
Nulla di più errato.
Quelli che, come noi, conoscono le immense potenzialità distruttive dei moderni armamenti
sono i primi assertori della "PACE".
Quelli come noi mettono in campo le più avanzate competenze e conoscenze
per assicurare il massimo della protezione dei cittadini e dei territori:
SEMPRE!
….Gli attuali eventi storici ci devono insegnare che, se vuoi vivere in pace,
devi essere sempre pronto a difendere la tua Libertà….
La difesa è per noi rilevante
poiché essa è la precondizione per la libertà e il benessere sociale.
Dopo alcuni decenni di “pace”,
alcuni si sono abituati a darla per scontata:
una sorta di dono divino e non,
un bene pagato a carissimo prezzo dopo innumerevoli devastanti conflitti.…
…Vorrei preservare la mia identità,
difendere la mia cultura,
conservare le mie tradizioni.
L’importante non è che accanto a me
ci sia un tripudio di fari,
ma che io faccia la mia parte,
donando quello che ho ricevuto dai miei AVI,
fiamma modesta ma utile a trasmettere speranza
ai popoli che difendono la propria Patria!
Signore, apri i nostri cuori
affinché siano spezzate le catene
della violenza e dell’odio,
e finalmente il male sia vinto dal bene…
(Fonti: https://svppbellum.blogspot.com/, Web, Google, TerminilloTV, Delta6017, Wikipedia, You Tube)
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