mercoledì 20 dicembre 2023

REGIA MARINA ITALIANA 1899 - 1915: il Benedetto Brin fu una nave da battaglia italiana appartenente alla classe Regina Margherita. Il 27 settembre 1915 un forte boato scuote la città di Brindisi: sulla corazzata Benedetto Brin, ormeggiata nel porto medio esplode il deposito di munizioni e un forte incendio si sviluppa su tutta la nave, che affonda in poco tempo portando sul fondo 454 marinai.







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La sua costruzione iniziò nel 1899, venne varata nel 1901 a Castellammare di Stabia e, consegnata alla Regia Marina nel 1905, ricevette la bandiera di combattimento il 1º aprile 1906. La corazzata Benedetto Brin fu indiscutibilmente una tra le più belle, efficienti e grandi unità italiane d’inizio secolo.




La nave partecipò a tutte le attività e operazioni che interessarono il nostro Paese nell’arco temporale della sua vita operativa, conclusasi, ma solo in apparenza, il 27 settembre 1915 quando, alla fonda nella rada di Brindisi, alle 8 del mattino affondò per un’improvvisa esplosione del deposito munizioni di poppa.





La torre poppiera da 305 mm lanciata in aria si abbatté sul fianco sinistro della nave e la parte poppiera dello scafo, ridotta ad un ammasso di rottami, si immerse rapidamente, trascinando la nave sul fondo. 9 gli ufficiali e 473 i sottufficiali e i marinai superstiti, un centinaio dei quali feriti; 21 ufficiali e 433 i sottufficiali e i marinai caduti, tra i quali l’ammiraglio Rubin de Cervin e il comandante Fara Forni.
Come ormai acclarato, si trattò quasi sicuramente di una disgrazia non diversa da quelle accadute in altre marine da guerra dell’epoca: la causa dell’affondamento era infatti da attribuire ai nuovi esplosivi utilizzati per le cariche di lancio e di scoppio che, indispensabili e sempre più potenti, erano stati introdotti da troppo poco tempo perché se ne conoscessero tutte le caratteristiche relative alla loro stabilità.
La storia del Brin non fu però improvvisamente spezzata dall’affondamento della nave; una nuova e trasfigurata vita lo attendeva: grazie all’abilità e all’ingegno degli uomini di Marina, vide il recupero ed il reimpiego di alcune sue parti, impiegate strategicamente a difesa della costa italiana durante il primo conflitto mondiale. Infatti, il Brin era da considerarsi superato per l’epoca ma non i suoi cannoni, che andarono ad alimentare un nuovo tipo di unità: i cosiddetti Pontoni Armati inquadrati nel gruppo “E” che, insieme ad altri mezzi del tutto fuori dagli schemi per i progettisti “puri”, avrebbe inciso profondamente sulle sorti della guerra. Una guerra che gli uomini del Brin, a bordo della nave, prima, e attraverso i suoi indistruttibili cannoni, dopo, gloriosamente vinsero!
Durante la guerra italo-turca partecipò allo sbarco a Tripoli nel 1911 e l'anno seguente fu impiegata nel Mar Egeo.

LA TRAGICA FINE

Erano da poco passate le ore 8 del mattino di quel caldo lunedì 27 settembre 1915, ed un forte boato scuote la città. Sulla corazzata Benedetto Brin, ormeggiata nel porto medio (in prossimità della spiaggia di Marimist), esplode il deposito di munizioni e un forte incendio si sviluppa su tutta la nave, che affonda in poco tempo.


Ecco la testimonianza di Fausto Leva, alto ufficiale della Marina: 

“”"Nel fumo densosi distinse per un momento la massa d'acciaio della torre poppiera dei cannoni da 305 mm, che lanciata in aria dalla forza dell'eplosione fino a metà della colonna, ricadde poi violentemente in mare, sul fianco sinistro della nave. Pochi momenti dopo, dissipato il nembo del fumo, lo scafo della B.Brin fu veduto appoggiare senza sbandamento sul fondo di dieci metri e scendere ancora lentamente, formandosi un letto nel fango molle. Mentre la prora poco danneggiata si nascondeva sotto l'acqua che arrivava a lambire i cannoni da 152 della batteria, la parte poppiera completamente sommersa appariva sconvolta e ridotta ad un ammasso di rottami. Caduto il fumaiolo e l'albero di poppa, si erge ancora dritto e verticale l'albero di trinchetto”””.

Si intuisce dal racconto come i gas dell'esplosione, seguendo la direzione di minore resistenza, si siano fortunatamente diretti verso l'alto anzichè espandersi lateralmente e causare gravi danni alle navi vicine: la Giulio Cesare, la Dante Alighieri, la Leonardo Da Vinci, la Nino Bixio, l'Emanuele Filiberto, la Saint Bon e la Regina Margherita.
L'esplosione fece tremare l'intera città e l'onda d'urto provocò la rottura dei vetri e la caduta di intonaci di numerose abitazioni. L'alta colonna di fumo “giallo-rossastro” che si levava dal porto medio fece credere - in un primo momento - che fosse saltato in aria il Castello Alfonsino, solo quando la fitta nebbiolina provocata dall'esplosione si diradò, la triste realtà fu chiara a tutti.
Sui 943 uomini che dell'equipaggio 456 furono i morti, tra loro il CV Gino Fara Forni e il contrammiraglio Ernesto Rubin de Cervin, rispettivamente comandante della corazzata e comandante della divisione navale, insieme ad altri 21 ufficiali quasi tutti riuniti a rapporto nel quadrato di poppa o in servizio nelle sale macchine, solo 8 ufficiali risultarono superstiti. Ben 369 uomini risultarono irriconoscibili o scomparsi. L'unico militare brindisino deceduto nella tragedia si chiamava Cosimo Sindaco.
I funerali delle prime salme recuperate ebbero luogo il giorno successivo alle ore 16, le spoglie dei marinai furono seppellite in un'area cimiteriale messa a disposizione dal Comune, che indisse 3 giorni di lutto cittadino.
Tantissimi i feriti, soccorsi immediatamente dai marinai italiani e francesi e trasportati con i rimorchiatori e le imbarcazioni nelle infermerie delle altre navi presenti nel porto e nell'ospedale della Croce Rossa e quello adibito per l'occasione all'interno dell'albergo Internazionale.
Numerose testimonianze descrivono lo spettacolo raccapricciante dei corpi martoriati e le orribili ferite dei superstiti, delle operazioni di salvataggio che durarono l'intero giorno e la notte, con la cittadinanza riverente che si riversò sulle vie del porto.
La nave fu progettata dall'ingegnere navale e ministro della Marina Benedetto Brin che morì prima del completamento dei lavori; il varo avvenne a Castellammare di Stabia il 7 novembre del 1901 con un costo complessivo per la sua realizzazione di lire 51.350.000. Lunga 138 metri e larga 23, aveva una stazza di 14mila tonnellate ed era dotata di 46 cannoni, 2 mitragliere e 4 lanciasiluri.
Partecipò a diverse battaglie navali nella guerra italo turca del 1911, con il bombardamento dei forti di Tripoli e le operazioni contro Bengasi, la Cirenaica e Rodi. Ha anche partecipato attivamente nella guerra contro gli austriaci.
Le cause dell'esposione non sono mai state chiarite con certezza assoluta, tra le ipotesi formulate con maggiore insistenza c'è quella di un falso prete a servizio dall'Austria, o di un marinaio traditore, che aveva collocato un ordigno nei pressi della "Santabarbara" della nave.
Fu subito esclusa l'eventualità di un'azione dei sommergibili nemici, in quanto il porto era chiuso da una rete metallica risultata integra ai successivi controlli.
La commissione d'inchiesta non ha mai confermato nessuna della cause ipotizzate, tra queste anche la combustione spontanea nella zona degli esplosivi.
Antonio Caputo valorizza la tesi della "tragedia annunciata", ovvero la vicinanza della sala macchine alla Santabarbara (deposito munizioni): il calore prodotto dai motori non veniva sufficientemente disperso dai ventilatori, lenti ed inadeguati, che provocò l'autocombustione della balistite presente nei locali, un potente esplosivo a base di nitroglicerina e cotone collodio che esplode fragorosamente e brucia senza produrre fumo. A conferma di ciò nei giorni seguenti fu ordinato, dal comandante della piazzaforte marittima di Brindisi, lo sbarco della balistite anche dalle altre navi.
La deficienza di ventilazione e della refrigerazione era stata segnalata al Ministero nel luglio del 1914 con una lettera manoscritta del comandante della nave Gino Fara Fondi, al quale non fu dato evidentemente il giusto seguito.
Inoltre già nel 1904 fu segnalata la pericolosità dei tubi di vapore che attraversavano il deposito di munizioni, che furono prontamente coibentati. Ma evidentemente non fu sufficiente.
Il tragico episodio colpì l’intera opinione pubblica nazionale, grande emozione suscitarono le tantissime vittime, i principali giornali a tiratura nazionale dedicarono al disastro tutte le loro prime pagine, come il noto settimanale Tribuna Illustrata che nel numero pubblicato nell’ottobre 1915 propose in copertina il disegno a colori da E. Abbo riguardante il triste evento.
Il relitto della nave fu recuperato dal fondale del porto nel 1924 con l'utilizzo di notevoli gru dalla ditta Venturini e Toffolo. Durante queste fasi furono rinvenuti i resti di altre vittime all'interno della carena che furono raccolti in un unico sarcofago e portati al cimitero locale con una cerimonia solenne il 27 settembre, in occasione del nono anniversario della tragedia.
Lo scafo venne poi smontato e fatto a pezzi. Furono recuperati i cannoni, compresi quelli della torre poppiera saltati in aria durante l'esplosione, e riutilizzati come Pontoni Armati, ovvero pontoni galleggianti semoventi (max 5-6 nodi), che molti danni causarono ai nemici in tutto il nord Adriatico.
Durante i lavori di dragaggio del porto fu recuperata anche la campana della corazzata, conservata nella cappella sacrario del Monumento al Marinaio.
In un'area centrale del cimitero di Brindisi, messa a disposizione appositamente dall'amministrazione comunale, vennero seppellite le oltre 450 salme martoriate dei marinai deceduti nella tragedia, successivamente traslate al cimitero militare di Bari. Sempre nel cimitero di Brindisi fu elevato un cippo funerario in ricordo della Grande Guerra con una statua in bronzo raffigurante una donna (l'Italia) che piange i suoi caduti in guerra, ovvero i morti della corazzata Benedetto Brin, di autore sconosciuto. Sul lato del cippo una lapide ricorda "Il 27 settembre 1915 funestamente affondava in questo porto e andava distrutta la R. Nave Benedetto Brin". L'area, destinata ai morti in guerra, si distingue dalle tante croci bianche, dal monumento bronzeo e dal Famedio Militare fatto costruire successivamente per le vittime della tragedia e dove hanno trovato sepoltura altri caduti in guerra.
In uno dei loculi del Famedio Militare sono ancora oggi conservati i resti del contrammiraglio Ernesto Ferdinando Rubin de Cervin, barone e comandante della 3za Divisione Navale della 2da Squadra, il Ministero della Marina non acconsentì il trasferimento della salma per essere seppellita nella tomba di famiglia a Torino.

Il Benedetto Brin andò perduto alle ore 8:10 del 27 settembre 1915 nel porto di Brindisi, a seguito dell'esplosione della santabarbara.

Nel 2015, a 100 anni esatti dall'evento, la Marina Militare ha ufficialmente dichiarato che:

«Come ormai acclarato, si trattò di una disgrazia non diversa da quelle accadute in altre marine da guerra dell'epoca: la causa dell'affondamento era infatti da attribuire ai nuovi esplosivi utilizzati per le cariche di lancio e di scoppio che, indispensabili e sempre più potenti, erano stati introdotti da troppo poco tempo perché se ne conoscessero tutte le caratteristiche relative alla loro stabilità».




Perirono 21 ufficiali e 433 tra sottufficiali e marinai, tra i quali l’ammiraglio Ernesto Rubin de Cervin, comandante della 3ª Divisione Navale della 2ª Squadra, e il comandante della nave Fara Forni. 


I superstiti furono 9 ufficiali e 473 fra sottufficiali e i marinai.



Ripensare la guerra, e il suo posto
nella cultura politica europea contemporanea,
è il solo modo per non trovarsi di nuovo davanti
a un disegno spezzato
senza nessuna strategia
per poterlo ricostruire su basi più solide e più universali.
Se c’è una cosa che gli ultimi eventi ci stanno insegnando
è che non bisogna arrendersi mai,
che la difesa della propria libertà
ha un costo
ma è il presupposto per perseguire ogni sogno,
ogni speranza, ogni scopo,
che le cose per cui vale la pena di vivere
sono le stesse per cui vale la pena di morire.
Si può scegliere di vivere da servi su questa terra, ma un popolo esiste in quanto libero, 
in quanto capace di autodeterminarsi,
vive finché è capace di lottare per la propria libertà: 
altrimenti cessa di esistere come popolo.
Qualcuno è convinto che coloro che seguono questo blog sono dei semplici guerrafondai! 
Nulla di più errato. 
Quelli che, come noi, conoscono le immense potenzialità distruttive dei moderni armamenti 
sono i primi assertori della "PACE". 
Quelli come noi mettono in campo le più avanzate competenze e conoscenze 
per assicurare il massimo della protezione dei cittadini e dei territori: 
SEMPRE!
….Gli attuali eventi storici ci devono insegnare che, se vuoi vivere in pace, 
devi essere sempre pronto a difendere la tua Libertà….
La difesa è per noi rilevante
poiché essa è la precondizione per la libertà e il benessere sociale.
Dopo alcuni decenni di “pace”,
alcuni si sono abituati a darla per scontata:
una sorta di dono divino e non, 
un bene pagato a carissimo prezzo dopo innumerevoli devastanti conflitti.…
…Vorrei preservare la mia identità,
difendere la mia cultura,
conservare le mie tradizioni.
L’importante non è che accanto a me
ci sia un tripudio di fari,
ma che io faccia la mia parte,
donando quello che ho ricevuto dai miei AVI,
fiamma modesta ma utile a trasmettere speranza
ai popoli che difendono la propria Patria!
Signore, apri i nostri cuori
affinché siano spezzate le catene
della violenza e dell’odio,
e finalmente il male sia vinto dal bene…

(Fonti: https://svppbellum.blogspot.com/, Web, Google, Wikipedia, Marina.difesa, Bridisiweb, You Tube)




































 

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