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lunedì 16 ottobre 2023

REGIA MARINA ITALIANA 1934: in quell’anno l'Italia sentì l’esigenza di naviglio di dislocamento di circa 50 tonn per 30 m di lunghezza, che potesse essere usato sia come unità silurante, sia per compiti antisommergibili e come posamine: la mototorpediniera “STEFANO TURR”.






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Durante i primi anni ’30, l’Italia fu una delle poche nazioni al mondo che aveva in dotazione una potente componente di unità costiere veloci composta da piccoli MAS con un dislocamento di alcune decine di tonn., con una decina di uomini di equipaggio e armamento costituito generalmente da 2 siluri, alcune bombe di profondità, 1 mitragliatrice o 1 cannone di piccolo calibro. Erano molto veloci (fino a 45+ nodi) ma con dislocamenti limitati, forti limitazioni operative e scarsa stabilità in condizioni meteo avverse dovuta alle carene ottimizzate per le alte velocità: erano  utilizzabili come mezzi da combattimento solo in condizioni di tempo favorevole.
Nel 1934 la Regia Marina necessitava di naviglio con un dislocamento maggiore: circa 50 tonn., 30 m. di lunghezza, che potesse essere utilizzato come unità silurante, per compiti antisom e per la posa delle mine. Questo naviglio avrebbe dovuto operare a notevole distanza dalle basi indipendentemente dalle condizioni meteo sostituendo le torpediniere molto più costose per costruzione e per manutenzione, oltre ad essere riproducibile su vasta scala.
L’unità venne presto denominata “mototorpediniera”, evidenziando la differenza di compiti assegnati. 

Il progetto prevedeva: 
  • un’unità di 51,5 t standard, 
  • 68 a pieno carico, 
  • una lunghezza di 32 m, 
  • larghezza di 5,25, 
  • un pescaggio di circa 60 centimetri. 
  • Armamento: 4 siluri da 450m, pesanti 860kg, con una testata di 200kg, capaci di 46 nodi con un raggio di 4000 m, 2/3 mitragliatrici Breda da 13,2, una da 6,5, due lanciatori per 6 bombe di profondità da 50kg, due idrofoni tipo C. 
  • Propulsione: 4 motori diesel Fiat V1616 da 3000 cv complessivi, più un motore ausiliario a benzina Fiat J-108 da 13cv. Il motore Fiat V1616 era un 16 cilindri a V a semplice azione, con cilindri di 160mm di diametro e corsa al pistone di 180mm con avviamento ad aria compressa. Ogni diesel raggiungeva 750 cv a 1800 giri al minuto. Due dei motori, quelli più esterni, avevano la marcia reversibile. Il motore ausiliario Fiat J-108 a benzina fungeva da generatore. 
  • Equipaggio: 16 persone, 2 ufficiali, 4 sottufficiali e 10 marinai.
  • Autonomia operativa: non meno di 2000 miglia a 15 nodi.
  • Velocità max: non inferiore a 35 nodi. 

Il progetto di Baglietto prevedeva uno scafo a V, che si apriva fino a 110º nel fondo. Per garantire robustezza strutturale e al contempo leggerezza, costruito in alluminio. A quell’epoca solo la Germania nazista aveva tentato di costruire unità veloci con motori Diesel.
Purtroppo, non c’era altra scelta, poiché i normali motori a benzina non avrebbero permesso l’autonomia richiesta. 
Un altro progetto del 1938, per una imbarcazione di 50 t, dotata di motori Isotta Fraschini Asso 1000, sebbene proposto anche alla marina Spagnola nel 1940, non ebbe seguito.
Il progetto Baglietto venne così approvato in data 27 maggio 1935 e la nuova unità fu denominata “Stefano Turr”. Nel mese di giugno 1935 ebbe inizio la costruzione presso le Costruzioni Meccaniche Aeronautiche S.A. di  Marina di Pisa. Il materiale per la costruzione fu fornito dalla “Canadian Aluminum Corporation”.
Il 9 maggio 1936 la mototorpediniera Stefano Turr fu varata per essere subito sottoposta alle prime prove a mare. La particolare costruzione permetteva un doppio fondo lungo tutta la lunghezza della scafo. Il materiale usato era uno strato di alluminio puro su lega usato in campo aeronautico denominato “Aclad”, molto resistente. I fogli avevano una superficie piatta al fine di facilitarne la costruzione di guerra da parte dei cantieri minori, ed erano uniti con rivetti di duralluminio aeronautico. I compartimenti stagni erano collocati nelle sezioni 8, 11, 15, 29, 40, 48 e 57, e condividevano la divisione dello scafo in 8 compartimenti:
  • Il primo compartimento era costituito dalla prua e dal pozzetto dell’ancora;
  • Il secondo era il deposito delle munizioni;
  • il terzo i depositi dei materiali; 
  • ed il quarto comprendeva il quadrato ufficiali, quello sottufficiali, la cabina del comandante e del secondo, e gli alloggi ufficiali e sottufficiali;
  • Nel quinto e sesto erano collocati i quattro motori diesel e il deposito del carburante ausiliario; 
  • Nel settimo c’erano gli alloggi dell’equipaggio che dormiva su semplici amache;
  • nell’ottavo compartimento c’erano i depositi di carburante e acqua. 
Per diminuire la forza d’impatto con le onde, a metà scafo c’era un gradino di 0,5 metri. 
La plancia era chiusa, al contrario degli altri Paesi che preferivano una plancia aperta per le motosiluranti e il naviglio minore. 
L’unità era dipinta in grigio cenerino chiaro e grigio scuro nelle parti immerse e riportava sullo scafo a prua la scritta “TU”.
Dalle prime prove emersero problemi all’apparato propulsivo: 
  • il motore diesel Fiat V1616 aveva superato a stento i test di durata al banco e nell’ambiente operativo si rivelò inaffidabile;
  • Nei test del giugno-agosto 1936, la Turr non fu in grado di raggiungere la velocità prevista e il miglior risultato furono 34,62 nodi con un dislocamento di 49t;
  • A pieno carico, la velocità massima era di 30-32 nodi. 
Visti i continui problemi ai motori, in settembre il programma di prove fu sospeso ed i motori spediti alla Fiat per una completa revisione e l’applicazione di possibili miglioramenti. Nell’aprile del 1937, i motori furono reimbarcati, ma le nuove prove portarono a frequenti fratture dell’albero motore. Quindi, i motori furono quindi nuovamente restituiti alla Fiat.
Nel frattempo, furono effettuati miglioramenti allo scafo dell’unità, specialmente alla prua. 
I motori tornarono solo nell’aprile del 1938 e nelle prove a mare fu quindi accertata la reale autonomia dell’unità: con 10t, a 25 nodi, la Turr raggiungeva le 750 miglia con tutti e 4 i motori in funzione, con un consumo di 13,33 kg per miglio. A pieno carico di nafta (16t), superava le 1145 miglia a 17,9 nodi e 4 motori, o 1582 miglia a 13,6 nodi e 2 motori o 3800 miglia a 6,6 nodi con 1 solo motore in funzione.

IL NOME DELLA NUOVISSIMA UNITA’ NAVALE “István Türr, conosciuto in Italia come Stefano Turr”

István Türr, conosciuto in Italia come Stefano Turr (Baja, 10 agosto 1825 – Budapest, 3 maggio 1908), è stato un militare e politico ungherese. Divenne noto in Italia per la grande parte avuta nella campagna dei Cacciatori delle Alpi e nella spedizione dei Mille.
Era nativo della città di Baja, nella provincia ungherese di Bács-Kiskun. Arruolato nell'esercito austriaco, divenne tenente in un reggimento di granatieri ungheresi, con il quale, nel 1848, partecipò alla prima fase della prima guerra di indipendenza italiana. Nel gennaio 1849 passò nel Regno di Sardegna, ove divenne capitano della "Legione ungherese", formata dai molti disertori dell'esercito imperiale. Combatté nella battaglia di Ludwigshafen in supporto ai rivoluzionari tedeschi. La vittoria finale del Radetzky a Novara comportò l'abdicazione di Carlo Alberto e la caduta del governo cosiddetto "democratico". La gran parte degli esuli italiani e stranieri lasciarono il Regno di Sardegna per raggiungere i luoghi ove ancora si combatteva: la gran parte verso Roma, Türr in Germania, nel Baden ancora in fermento.
Nel 1854 passò al servizio nel British Army arruolandosi nella legione anglo-turca. Nel 1855, contando sulla protezione britannica, osò attraversare la Valacchia asburgica e venne arrestato a Bucarest mentre stava acquistando dei cavalli. Le autorità austriache lo consideravano, naturalmente, un disertore ed intendevano eseguire la condanna a morte, ma venne salvato dall'intervento di Londra.
Nel 1859 combatté in Italia come capitano dei Cacciatori delle Alpi di Garibaldi, che lo tenne sempre in grande stima. L'anno successivo lo seguì alla spedizione dei Mille: fu promosso generale di divisione dell'Esercito meridionale e venne gravemente ferito. Scelto da Garibaldi quale governatore di Napoli svolse un certo ruolo nella preparazione e nello svolgimento del plebiscito del 21 ottobre 1860. Nominato generale di divisione dell'esercito sabaudo, fu collocato in aspettativa nel dicembre 1861 e un anno dopo fu nominato Aiutante di campo onorario di re Vittorio Emanuele II.
Massone, fu membro della Loggia "Dante Alighieri" di Torino e Gran maestro del Grande Oriente Ungarico in esilio, di cui Luigi Kossuth fu Gran maestro onorario.
Il 10 settembre 1861 sposò in Mantova Adelina Bonaparte Wyse. Un matrimonio di grande rango, considerato che la sposa era figlia di Thomas Wyse e di Letizia Bonaparte, e quindi nipote di Luciano Bonaparte, fratello di Napoleone I; Adelina era inoltre cugina del nuovo imperatore dei francesi, Napoleone III. A ciò si aggiunga che la sorella, Maria, sposava nel 1863 il 3 febbraio lo statista piemontese Urbano Rattazzi.
Nel 1866, in connessione con la terza guerra di indipendenza italiana e la campagna di Garibaldi nel Trentino, Türr ebbe incarico di preparare l'insurrezione dell'Ungheria, organizzata a partire dal territorio serbo.
La sconfitta austriaca costrinse l'imperatore Francesco Giuseppe a concedere una costituzione ed istituzioni liberali, nonché una rinnovata autonomia per l'antico Regno d'Ungheria. La rinnovata pattuizione venne ricordata come la parificazione (Ausgleich) fra Austria e Ungheria: il nome stesso dello Stato passò da "Impero austriaco" ad "Austria-Ungheria".
Nel mutato clima politico si aprì una nuova fase per i fuoriusciti, fra i quali lo stesso Türr, che assunse un non secondario ruolo politico, distinguendosi per la promozione della canalizzazione del Danubio ed il sostegno ad una nascente industria nazionale. Dal 1881 diresse i lavori per il completamento del canale di Corinto, sull'omonimo istmo.

L’ENTRATA IN SERVIZIO NELLA 1^ FLOTTIGLIA MAS


In data 9 gennaio 1939 la mototorpediniera “Stefano Turr” entrò in servizio nella Regia Marina e assegnata alla 1ª flottiglia MAS di La Spezia, presso il Dipartimento navale del Tirreno settentrionale. L’unità partecipò a numerosi lanci di siluri e attività di posamine, durante i quali si verificarono ulteriori problemi all’apparato motore e seri problemi di corrosione allo scafo ed alle chiodature che saltavano quando sollecitate dal mare ondoso: tutto questo impedì l’assegnazione di compiti operativi.
La nuova unità, per la sua scarsa affidabilità, non partecipò mai ad operazioni di guerra a causa del totale fallimento progettuale. 
Nell’aprile del 1941, la Regia Marina italiana catturò in Yugoslavia sei motosiluranti ex tedesche, che vennero unite alla flotta italiana: queste prede di guerra superavano l’analoga unità italiana per velocità, armamento, autonomia e tenuta del mare, al punto da essere poi riprodotte nei cantieri italiani. Come immediata conseguenza, nel luglio del 1941, la Stefano Turr fu radiata ed abbandonata nell’arsenale di La Spezia; fu poi demolita nel 1947-48.
L’esperienza della Regia Marina maturata nella II GM dimostrò che questo tipo di unità era superiore ai più leggeri MAS e, pur essendo un progetto visionario e in forte anticipo sui tempi, fallì per essere stato troppo innovativo e non supportato  dai materiali di costruzione inadeguati, e dall’apparato motore che, nel complesso, si dimostrò inaffidabile. 

CONSIDERAZIONI FINALI

Nel 1934, la Regia Marina tentò di sostituire le unità MAS su iniziativa dell'Ammiraglio Domenico Cavagnari, che prestò servizio come Sottosegretario e Capo di Stato Maggiore della Regia Marina dal 1933 al 1940. Il sostituto scelto per soppiantare i MAS era una torpediniera a motore chiamata Stefano Turr, che aveva uno scafo metallico e pesava 61,6 tonnellate. Tuttavia, poiché le imbarcazioni MAS stavano diventando sempre più piccole e veloci, alla fine fu scelto il MAS 500 per la sua velocità e il suo armamento adatto ad ingaggiare vari obiettivi navali nemici. La Stefano Turr dovette invece attendere i nuovi motori, che furono sviluppati solo 20 anni dopo. Di conseguenza, la torpediniera a motore Stefano Turr fu dismessa e demolita subito dopo la seconda guerra mondiale.
La flotta dei Mas italiani era composta da imbarcazioni di piccolo dislocamento, veloci, ma di scarsa autonomia, con poca propensione a tenere il mare e scarsa stabilità in combattimento. Nel 1934 la Regia Marina sentì pertanto l'esigenza di naviglio di dislocamento maggiore che avrebbe potuto operare a notevole distanza dalle basi, indipendentemente dalle condizioni meteo, pur costando meno del relativo naviglio specializzato, sia per la costruzione che per il mantenimento, oltre ad essere riproducibile in larga scala. 
Il progetto venne affidato ai Cantieri Baglietto e prevedeva un'unità di 51,5 t standard, 68 a pieno carico. L'unità era mossa da 4 motori diesel Fiat V1616 da 3000 cv complessivi, più un motore ausiliario a benzina Fiat J-108 da 13cv. La riserva di carburante era di 10t normale, 16t max, più 500kg di lubrificante o 1500kg al massimo carico. L'autonomia stimata era di non meno di 2000 miglia a 15 nodi e velocità max non inferiore a 35 nodi. Il progetto di Baglietto prevedeva uno scafo a V, che si apriva fino a 110º nel fondo. Altra grande innovazione sarebbe stato l'uso di motori diesel. Va notato che, prima degli Italiani, a quell'epoca nessuno (tranne forse la Germania) aveva esperienza sulla costruzione di imbarcazioni veloci con motori Diesel. 
A pieno carico, la velocità massima fu di soli 30-32 nodi. 
Nel luglio del 1941 la Turr fu radiata e rimase abbandonata nell'arsenale di La Spezia, fino a quando fu demolita nel 1947-48. L'esperienza della 2^GM dimostrò che questo tipo di unità era superiore ai più leggeri Mas. 
Il progetto della Turr fu a un passo dalla giusta direzione, ma fallì a causa dei materiali di costruzione, soggetti ad una eccessiva corrosione dell'acqua marina e dei motori inaffidabili. 
Per la stessa ragione, non andò avanti un altro progetto, proposto nel 1938, di una imbarcazioni di 50 t, dotato di motori Isotta Fraschini Asso 1000. Il progetto, proposto alla marina Spagnola nel 1940 non ebbe seguito.
La Stefano Turr era abbastanza veloce per le sue dimensioni. Era armata con tre mitragliatrici da 12,7 mm e un cannone da 6,5 mm, oltre ad un armamento aggiuntivo comprendente quattro siluri e 16 cariche di profondità, che gli consentivano di distruggere efficacemente bersagli nemici. Sfruttando la sua velocità e manovrabilità, la Stefano Turr poteva superare in astuzia le navi nemiche, fiancheggiarle ed eseguire imboscate su navi più grandi utilizzando siluri e bombe di profondità.
Era dotata di due tipi di mitragliatrici per il suo armamento primario: tre mitragliatrici Breda da 13,2 mm disposte in una disposizione molto asimmetrica davanti al ponte e una mitragliatrice Fiat da 6,5 mm a poppa. Nel complesso, le tre mitragliatrici Breda erano sufficienti a scalfire molte navi nemiche ed erano considerate più efficaci dei cannoni automatici da 20 mm di altre stesse unità italiane. Grazie al loro posizionamento non era necessario esporre altro che il proprio fronte al nemico (a differenza di altre piccole unità italiane). I cannoni da 6,5 mm erano molto scarsi e se si veniva fiancheggiati da poppa, era meglio girarsi, piuttosto che ingaggiarli con la mitragliatrice Fiat. Il più grande svantaggio delle mitragliatrici da 13 mm era la cadenza di fuoco, inferiore a quella delle mitragliatrici di altre nazioni, soprattutto tedesche e delle marine alleate.
La motorpediniera Stefano Turr poteva imbarcare anche 4 siluri SI170 da 450 mm che avevano una velocità ragionevole e una forza esplosiva sufficiente per distruggere la maggior parte delle unità nemiche. 
Poteva anche essere equipaggiata con 12 bombe di profondità BTG antisommergibili. 
La Regia Marina tentò di sostituire le unità MAS nel 1934, e su iniziativa dell'Ammiraglio Domenico Cavagnari (Sottosegretario e Capo di Stato Maggiore dal 1933 al 1940), scelse la nuova nave che avrebbe sostituito i piccoli MAS: una torpediniera a motore con scafo metallico e lo scafo Stefano Turr da 61,6 tonnellate; ma il progetto risultò presto, come abbiamo visto, troppo ambizioso per l’epoca. La nave era più grande dei MAS e aveva problemi di propulsione. I quattro motori diesel veloci FIAT V 1616 da 750 HP previsti non erano sufficienti ad alimentare la nave nel 1936 e compromisero il successo del progetto. Un successivo progetto FIAT, proposto nel 1938, in vista della realizzazione di un nuovo tipo di motore diesel veloce da 1.500 CV, fu respinto dal Ministero. 
Nel 1938 fu studiata una Turr modificata basata su 4 motori Isotta Fraschini Asso 1000 adattati a funzionare con nafta a bassa pressione. Mirava a dislocare 50 tonnellate e navigare a 40 nodi, ma i motori in questione furono sviluppati solo vent'anni dopo.



Ripensare la guerra, e il suo posto
nella cultura politica europea contemporanea,
è il solo modo per non trovarsi di nuovo davanti
a un disegno spezzato
senza nessuna strategia
per poterlo ricostruire su basi più solide e più universali.
Se c’è una cosa che gli ultimi eventi ci stanno insegnando
è che non bisogna arrendersi mai,
che la difesa della propria libertà
ha un costo
ma è il presupposto per perseguire ogni sogno,
ogni speranza, ogni scopo,
che le cose per cui vale la pena di vivere
sono le stesse per cui vale la pena di morire.
Si può scegliere di vivere da servi su questa terra, ma un popolo esiste in quanto libero, 
in quanto capace di autodeterminarsi,
vive finché è capace di lottare per la propria libertà: 
altrimenti cessa di esistere come popolo.
Qualcuno è convinto che coloro che seguono questo blog sono dei semplici guerrafondai! 
Nulla di più errato. 
Quelli che, come noi, conoscono le immense potenzialità distruttive dei moderni armamenti 
sono i primi assertori della "PACE". 
Quelli come noi mettono in campo le più avanzate competenze e conoscenze 
per assicurare il massimo della protezione dei cittadini e dei territori: 
SEMPRE!
….Gli attuali eventi storici ci devono insegnare che, se vuoi vivere in pace, 
devi essere sempre pronto a difendere la tua Libertà….
La difesa è per noi rilevante
poiché essa è la precondizione per la libertà e il benessere sociale.
Dopo alcuni decenni di “pace”,
alcuni si sono abituati a darla per scontata:
una sorta di dono divino e non, 
un bene pagato a carissimo prezzo dopo innumerevoli devastanti conflitti.…
…Vorrei preservare la mia identità,
difendere la mia cultura,
conservare le mie tradizioni.
L’importante non è che accanto a me
ci sia un tripudio di fari,
ma che io faccia la mia parte,
donando quello che ho ricevuto dai miei AVI,
fiamma modesta ma utile a trasmettere speranza
ai popoli che difendono la propria Patria!
Signore, apri i nostri cuori
affinché siano spezzate le catene
della violenza e dell’odio,
e finalmente il male sia vinto dal bene…

(Fonti: https://svppbellum.blogspot.com/, Web, Google, ocean4future, Warthunder, Betasom, Wikipedia, You Tube)


























 

giovedì 8 giugno 2023

Regia Nave San Giorgio, un incrociatore corazzato della Regia Marina che partecipò prima alla guerra italo-turca e successivamente, alla prima e alla seconda guerra mondiale e nel ruolo di nave ammiraglia, alla guerra civile spagnola.





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Il San Giorgio fu un incrociatore corazzato della Regia Marina che partecipò prima alla guerra italo-turca e successivamente, alla prima e alla seconda guerra mondiale e nel ruolo di nave ammiraglia, alla guerra civile spagnola.




Caratteristiche

La nave fu progettata dall'Ispettore generale del Genio navale Edoardo Masdea come perfezionamento degli incrociatori corazzati classe Pisa, nell'ambito del programma italiano di ampliamento della flotta della Regia Marina.
All'epoca dell'entrata in servizio era un'imbarcazione moderna e potentemente corazzata, con lo scafo in acciaio cementato ad elevata resistenza a quattro ponti: il ponte di coperta, il ponte di batteria, il ponte di corridoio e il ponte para-schegge. La protezione era assicurata da una cintura corazzata da 203 mm, oltre che dal ponte para-schegge e rivestimenti protettivi sui ponti superiori, che presentavano un rivestimento protettivo in grado di fornire una tra le migliori protezioni dell'epoca. L'armamento era costituito da quattro cannoni da 254/45 mm in due torri binate, otto cannoni da 190/45 Mod. 1908 in quattro torri binate, diciotto cannoni singoli da 76/40 Mod. 1916 R.M., due cannoni singoli da 47/50, due mitragliatrici Colt-Browning M1895 da 6,5 mm e da tre tubi lanciasiluri da 450 mm; le mitragliatrici Colt-Browning M1895 vennero camerate per la cartuccia d'ordinanza 6,5 × 52 mm Mannlicher-Carcano, e convertite per il raffreddamento ad acqua, con l'installazione di uno stretto manicotto d'ottone intorno alla canna.
L'apparato motore era costituito da due motrici alternative verticali a triplice espansione, alimentate da 14 caldaie tipo Blechynden a combustione mista con una potenza di 18.000CV su due assi, che consentivano all'unità una velocità che alle prove risultò di 23 nodi, raggiunta con un dislocamento di 9760 tonnellate e 146 giri alle due eliche.




Storia

La nave, impostata sugli scali del cantiere navale di Castellammare di Stabia il 4 luglio 1905, e varata nel 1908, venne consegnata il 1º luglio 1910. Dopo il varo, e al termine dell'allestimento, la nave venne attraccata a Pozzuoli al pontile dell’Armstrong, dove i tecnici completarono l'installazione dei nuovi e complessi meccanismi elettrici e di puntamento. Primo comandante del "San Giorgio", designato fin dal 1 settembre 1908 con la nave ancora in costruzione, fu il capitano di vascello Guglielmo Capomazza di Campolattaro, che come contrammiraglio, dal 24 maggio 1915 al 18 ottobre 1915, avrebbe ricoperto la carica di aiutante di campo di Vittorio Emanuele III presso il Quartier Generale del Re a Villa Linussa di Martignacco e avrebbe terminato la sua carriera nella Regia Marina con il grado di viceammiraglio.
La nave, dopo aver preso parte alle grandi esercitazioni nel Mediterraneo del 1910, durante le quali fu scelta come Nave Bandiera dal Capo di Stato Maggiore della Marina Viceammiraglio Giovanni Bettolo, ricevette la bandiera di combattimento a Genova, città di cui San Giorgio è simbolo pur non essendone il Patrono, il 4 marzo 1911 dalla Duchessa di Genova, moglie di S.A.R. Tommaso di Savoia Duca di Genova. Il motto della nave, "Tutor et ultor", venne poi cambiato in "Protector et vindicator" nel corso del primo conflitto mondiale.
Poco dopo la consegna alla Regia Marina, il pomeriggio del 12 agosto 1911, dopo una giornata di esercitazioni nel Golfo di Napoli, mentre si apprestava a rientrare in porto a Napoli, andò ad incagliarsi sulla secca della “cavallara” (nelle acque antistanti la Gaiola), subendo ingenti danni e imbarcando 4300 tonnellate d'acqua. L’imprudenza del comandante, Capitano di Vascello Marchese Gaspare Alberga, fu provocata dal capriccio della marchesa Anna Boccardi Doria, ospite del comandante come passeggera, assieme all'avvocato Parascandolo, che voleva ammirare la costa di Posillipo da vicino. La nave rimase in secca oltre un mese, e per essere trainato il San Giorgio dovette essere alleggerito oltre che dall'acqua imbarcata, dalla torre e dai fumaioli prodieri e da numerose piastre della corazzatura. Il 15 settembre la nave da battaglia pre-dreadnought Sicilia, mediante quattro cavi di rimorchio, riuscì a liberare dalla secca l'incrociatore, che venne portato in un bacino napoletano per le opportune riparazioni. Alla fine di quello stesso mese di settembre l'Italia entrò in guerra contro l'Impero ottomano, per la conquista delle regioni nordafricane della Tripolitania e della Cirenaica, ma il San Giorgio, a causa delle riparazioni necessarie in seguito a questo incidente prese parte solo alle battute finali della conflitto, operando davanti alle coste libiche a protezione delle unità che trasportavano truppe e rifornimenti per l'occupazione della Tripolitania. Nonostante il suo impiego tardivo il comando della Regia Marina si ritenne soddisfatto delle prestazioni dell'incrociatore che venne assegnato alla squadra navale del basso Adriatico.
Analogo incidente a quello del 1911 si verificò nel 1913, quando andò ad incagliarsi su un fondale sabbioso nelle acque antistanti Sant'Agata di Militello preso Messina, riportando questa volta danni minimi.
Nel corso del primo conflitto mondiale, operò contro la Marina Austro-Ungarica principalmente in Adriatico meridionale, impegnato tra Brindisi, Otranto, Valona e nella difesa di Venezia. Durante il conflitto l'azione maggiormente significativa fu, nell'ottobre 1918, un'incursione alle infrastrutture portuali di Durazzo, azione alla quale prese parte, insieme al gemello San Marco e al Pisa, partendo da Brindisi, presentandosi davanti al porto ed annientando una flottiglia di navi alla fonda.
Nel periodo successivo al conflitto svolse numerosi viaggi all'estero tra cui un viaggio in America Latina, nell'estate del 1924, in cui ospitò a bordo il principe ereditario Umberto di Savoia.
Nel 1925-26 venne dislocato nel Mar Rosso, quindi, essendo ormai obsoleto per missioni operative, tra il 1930 e il 1935 venne dislocato a Pola per l'attività addestrativa degli allievi delle scuole CREM.
Dal 1936 in seguito allo scoppio della guerra civile spagnola l'intervento italiano in aiuto dei nazionalisti guidati da Francisco Franco, obbligò il comando italiano ad assegnare alcune navi della Regia Marina al trasporto e la scorta armata di truppe verso la penisola iberica, e nonostante fosse stata adibita a nave scuola, il San Giorgio venne assegnato alla divisione impegnata nella guerra civile spagnola in qualità di nave comando. Tra il 1937 e il 1938 il San Giorgio venne radicalmente rimodernato, nei cantieri navali di La Spezia per essere utilizzato come nave scuola per le crociere estive degli allievi dell'Accademia Navale di Livorno.

Ricostruzione

Le modifiche riguardarono gli spazi interni destinati ad ospitare gli allievi, le sovrastrutture e l'apparato motore.
Le modifiche alla propulsione videro la rimozione di sei caldaie, con le otto caldaie rimaste modernizzate ed adattate alla combustione a nafta, e vennero eliminati anche i due fumaioli estremi.
L'armamento fu completamente rinnovato ad eccezione dei cannoni da 254 e da 190, mentre furono eliminati i cannoni da 76, i lanciasiluri e tutte le armi minori.
L'armamento leggero venne modificato in otto cannoni antiaerei da 100/47 OTO Mod. 1928 in quattro torri binate, sei cannoni Breda 37/54, dodici mitragliere da 20/65mm e quattro mitragliatrici Breda Mod. 31 da 13,2mm ed al termine dei lavori, entrato ufficialmente nella divisione navi scuola, effettuò svariate missioni d'addestramento e crociere estive nel Mediterraneo.
Successivamente, alla vigilia del conflitto furono installati un'altra torre binata da 100/47 mm e altre dieci mitragliatrici da 13,2 mm antiaeree.

L’affondamento

Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, la maggior parte delle navi scuola finirono per essere assegnate a compiti minori e dal 10 giugno 1940, giorno dell'entrata in guerra dell'Italia nel secondo conflitto mondiale, il "San Giorgio", evitata la radiazione per la sua eccessiva vetustà tecnologica, venne assegnato, con compiti di difesa aeronavale, al Comando Navale della Libia alla base di Tobruch, dove già si trovava sin dal 13 maggio 1940, proveniente da Taranto, da dove era partito l'11 maggio al comando del Capitano di fregata Rosario Viola, ed adibita al ruolo di batteria costiera ed antiaerea galleggiante, vista l'impossibilità di poter operare in mare aperto per la scarsa velocità.
Posizionato in rada su fondali bassi in uno specchio d'acqua protetto da reti antisiluro, con il ponte ricoperto da sacchetti di sabbia a rinforzo della scarsa protezione orizzontale, il "San Giorgio" svolgeva la doppia funzione di batteria costiera e di terra, e per svolgere tali funzioni, avendo una visibilità limitata venne creata una postazione d'osservazione fissa a terra, chiamata "Torretta San Giorgio", che comunicava via radio con la nave in modo da poter coordinare con più precisione il tiro.
Durante i primi giorni di guerra il "San Giorgio" rispose alle svariate incursioni degli aerei britannici su Tobruk col suo fitto fuoco antiaereo e potrebbe essere stato proprio un cannone antiaereo del San Giorgio ad abbattere accidentalmente il 28 giugno 1940 l'aereo su cui viaggiava il Governatore della Libia e Maresciallo dell'Aria Italo Balbo, un S.M.79, mentre era di ritorno da un volo di ricognizione su Tobruk, causando la morte del governatore, sostituito dal Maresciallo Rodolfo Graziani.
Nel novembre 1940 il comando della nave venne assunto dal capitano di fregata Stefano Pugliese che era stato comandante in seconda dell'incrociatore Garibaldi nella battaglia di Punta Stilo.
Con il crollo della 10ª Armata Italiana in seguito all'offensiva britannica del dicembre 1940, la piazzaforte di Tobruk si trovò investita dall'attacco nemico da terra.
Fatto oggetto di dieci pesanti attacchi con bombe e siluri, ai quali reagì violentemente con tutte le artiglierie di bordo, abbattendo o danneggiando ben quarantasette velivoli nemici, venne colpito solo il 21 gennaio 1941 da tre proiettili che misero fuori uso uno dei cannoni antiaerei da 100 mm. Il comandante Stefano Pugliese chiese a Supermarina l'autorizzazione a lasciare gli ormeggi, affrontare le navi nemiche in mare e successivamente riparare in un porto italiano. L'autorizzazione non fu concessa perché il comando italiano riteneva che il “San Giorgio” in mare aperto sarebbe andato incontro a fine sicura, mentre in rada a Tobruk avrebbe potuto proseguire la sua funzione di batteria costiera costituendo il perno della difesa della città, ed intendeva farlo rimanere sino all'ultimo a contrastare l'8ª Armata britannica, effettuando tiri di sbarramento contro le truppe nemiche in movimento intorno a Tobruk.
Secondo il comandante Pugliese, invece, la nave poteva svolgere solo un ruolo secondario e limitato a difesa di Tobruk in caso di attacco terrestre, essendo stato il “San Giorgio” dislocato nel porto libico essenzialmente per difendere la città da attacchi provenienti dal mare.
Sempre nella giornata del 21 Gennaio la forze britanniche erano ormai concentrate verso Tobruk, e la nave iniziava ad essere oggetto delle attenzioni dei bombardieri nemici, essendo uno degli ultimi ostacoli per i britannici che cercavano di conquistare la piazzaforte italiana. Il "San Giorgio" continuò il suo tiro di controbatteria nonostante le ormai incessanti incursioni aeree che ad ondate si riversavano sulla nave e a bombardare con i suoi grossi calibri le formazioni di carri nemici che si avvicinavano alla città, provocandone l'arresto dell'avanzata per undici ore. Alle 11:00 una bomba nemica distrusse il cavo delle comunicazioni che arrivava a terra, isolando di fatto il "San Giorgio". Dopo le 14:30 i bombardamenti aerei contro la nave ripresero incessanti ed alle 17:00 una bomba colpì lo scafo, riducendo di molto la capacità difensiva della nave. Il comandante, essendo del tutto isolato, non sapeva in che modo si stesse svolgendo il combattimento terrestre, né se i britannici fossero riusciti a penetrare all'interno della piazzaforte, e solo alle 19:00 arrivò finalmente una missiva da parte del comando della piazzaforte, che annunciava praticamente la sua imminente caduta.
All'occupazione della base da parte del nemico, Pugliese, rendendosi conto di essere ormai in condizioni disperate, alle 20:30 si recò a terra per incontrare il contrammiraglio Massimiliano Vietina responsabile della piazzaforte e nonostante un primo momento di disaccordo, fu concesso l'abbandono nave e l'autoaffondamento da effettuarsi il giorno successivo. Tornato a bordo Pugliese iniziò a sbarcare i feriti ed il personale non necessario, in attesa di poter predisporre l'autoaffondamento della nave per evitare la sua cattura da parte del nemico, rimanendo a bordo fino all'esplosione finale. L'autoaffondamento avvenne, non senza difficoltà, in quanto la nave non era in possesso di munizionamento adatto a causa della mancanza di bombe-mine, e venne escogitato un piano alternativo, con una miccia collegata a delle bombe nei depositi munizioni dei pezzi da 254 mm; alle 0:30 del 22 gennaio, sbarcati tutti i membri dell'equipaggio, vennero accese le micce; Pugliese fu l'ultimo a scendere dalla nave, ma all'ora (le ore 01:00 del mattino) nella quale era programmata l'esplosione, non accadde nulla e il comandante, tornato così a bordo insieme ad alcuni membri dell'equipaggio e, constatato che le micce si erano spente, diede l'ordine di gettare della benzina nei locali del munizionamento, con l'incendio che avrebbe poi innescato le esplosioni che avrebbero portato all'affondamento della nave. Durante tali operazioni improvvisamente il locale centrale già inondato di benzina saltò in aria e poco dopo furono udite altre poderose esplosioni. Il comandante Pugliese, ferito, fu ricoverato in ospedale e venne catturato il giorno dopo dagli inglesi e rinchiuso nel campo di concentramento di Yol, in India, per essere rimpatriato solo dopo la fine della guerra. Nell'esplosione persero la vita il Capo silurista di prima classe Alessandro Montagna e il Sottotenente C.R.E.M. Giuseppe Buciuni. Il "San Giorgio" e il comandante Pugliese vennero insigniti con la Medaglia d'oro al valor militare e oltre a Pugliese ottennero la massima decorazione alla memoria il Capo silurista di prima classe Alessandro Montagna e il Sottotenente C.R.E.M. Giuseppe Buciuni dei quali non vennero mai ritrovati i corpi. Il Comandante Pugliese inizialmente creduto morto venne promosso Capitano di vascello per meriti di guerra nel dicembre 1942; la bandiera di guerra venne raccolta e riportata in Italia da alcuni membri dell'equipaggio, sei ufficiali e tre marinai, a bordo del peschereccio requisito Risveglio II mentre il resto dell'equipaggio venne fatto prigioniero.
Nel 1942, quando venne ripresa Tobruk, tre cannoni da 100/47 mm, di cui si era dotato dopo essere stato rimodernato, vennero recuperati, inviati in Italia e rimessi in grado di operare.
Nel 1951, Italia e Libia si accordarono per recuperare il relitto ancora in grado di galleggiare e il recupero venne tentato nel 1952; la nave che poggiava su un metro di fondale venne fatta rigalleggiare e messa al traino del rimorchiatore Ursus ma durante il rimorchio verso l'Italia, in mare aperto, i cavi di rimorchio si spezzarono ed il relitto del “San Giorgio”colò a picco a circa 100 miglia da Tobruk. Durante le operazioni di recupero vennero trovati trentanove siluri impigliati nelle reti poste a protezione della nave.

Onorificenze

Medaglia d’oro al valor militare:  “””Veterano di tre Guerre, fu nell'attuale, per sei mesi baluardo della difesa di Tobruk, sempre pronto ad intervenire per ricacciare con l'infallibile tiro dei suoi cannoni le incursioni degli aerei nemici, sempre incrollabile nel sostenere l'offesa che si abbatteva su di lui. Investita la piazzaforte da soverchianti forze nemiche, profuse tutte le sue energie nella difesa e, piuttosto che cercare scampo sulle vie del mare, si offerse come ultima trincea di resistenza. Quando le colonne avversarie soverchiarono gli ultimi ripari, la indomita nave venne fatta saltare e sprofondare nelle acque, mentre la bandiera che aveva animato ed alimentata la fiera resistenza, raccolta e riportata in Patria, restava fulgida testimonianza dello spirito di combattività, di resistenza, di dedizione dei marinai d'Italia. Rada di Tobruk, 10 giugno 1940 - 22 gennaio 1941””” — Regio Decreto 10 giugno 1943.



Ripensare la guerra, e il suo posto
nella cultura politica europea contemporanea,
è il solo modo per non trovarsi di nuovo davanti
a un disegno spezzato
senza nessuna strategia
per poterlo ricostruire su basi più solide e più universali.
Se c’è una cosa che gli ultimi eventi ci stanno insegnando
è che non bisogna arrendersi mai,
che la difesa della propria libertà
ha un costo
ma è il presupposto per perseguire ogni sogno,
ogni speranza, ogni scopo,
che le cose per cui vale la pena di vivere
sono le stesse per cui vale la pena di morire.
Si può scegliere di vivere da servi su questa terra, ma un popolo esiste in quanto libero, 
in quanto capace di autodeterminarsi,
vive finché è capace di lottare per la propria libertà: 
altrimenti cessa di esistere come popolo.
Qualcuno è convinto che coloro che seguono questo blog sono dei semplici guerrafondai! 
Nulla di più errato. 
Quelli che, come noi, conoscono le immense potenzialità distruttive dei moderni armamenti 
sono i primi assertori della "PACE". 
Quelli come noi mettono in campo le più avanzate competenze e conoscenze 
per assicurare il massimo della protezione dei cittadini e dei territori: 
SEMPRE!
….Gli attuali eventi storici ci devono insegnare che, se vuoi vivere in pace, 
devi essere sempre pronto a difendere la tua Libertà….
La difesa è per noi rilevante
poiché essa è la precondizione per la libertà e il benessere sociale.
Dopo alcuni decenni di “pace”,
alcuni si sono abituati a darla per scontata:
una sorta di dono divino e non, 
un bene pagato a carissimo prezzo dopo innumerevoli devastanti conflitti.…
…Vorrei preservare la mia identità,
difendere la mia cultura,
conservare le mie tradizioni.
L’importante non è che accanto a me
ci sia un tripudio di fari,
ma che io faccia la mia parte,
donando quello che ho ricevuto dai miei AVI,
fiamma modesta ma utile a trasmettere speranza
ai popoli che difendono la propria Patria!
Signore, apri i nostri cuori
affinché siano spezzate le catene
della violenza e dell’odio,
e finalmente il male sia vinto dal bene…


(Fonti: https://svppbellum.blogspot.com/, Web, Google, Wikipedia, La Voce del marinaio, You Tube)
















































 

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