L'Attilio Regolo è stato un piccolo e veloce incrociatore leggero della Regia Marina appartenente alla classe Capitani Romani. Delle dodici unità previste, solo tre entrarono in servizio, prendendo parte al secondo conflitto mondiale: Attilio Regolo, Scipione Africano e Pompeo Magno. Le altre non vennero mai completate.
La nave era intitolata al politico e militare romano Marco Atilio Regolo (in latino: Marcus Atilius Regulus) che è stato Console della Repubblica romana e comandante dell'esercito romano durante la prima parte della Prima Guerra Punica.
Attività bellica
La sua costruzione avvenne nel Cantiere navale OTO di Livorno dove il suo scafo impostato il 29 settembre 1939 venne varato il 28 agosto 1940. Entrato in servizio il 14 maggio 1942, il successivo 7 novembre al rientro da una missione di posa di mine fu colpito da un siluro del sommergibile inglese Unruffled che gli asportò completamente la prora. Dopo essere riuscito a raggiungere Messina venne rimorchiato fino alla Spezia, dove gli venne applicata la prora del Caio Mario, ancora in costruzione.
Secondo alcune fonti nell'estate 1943 venne equipaggiato con radar “Gufo” EC.3ter mentre la maggior parte delle fonti concorda che solamente lo Scipione venne equipaggiato con questo tipo di radar.
Armistizio e affondamento della corazzata Roma
Rientrato in servizio il 4 settembre 1943, il giorno dell'armistizio dell'8 settembre la nave si trovava a La Spezia al comando del Capitano di Vascello Notorbartolo di Sciara, e faceva parte della VII Divisione, insieme agli incrociatori Montecuccoli ed Eugenio di Savoia, nave comando della VII Divisione con insegna dell'ammiraglio Oliva. In quella giornata l'Ammiraglio Bergamini, comandante delle forze navali da battaglia, venne avvertito telefonicamente dal Capo di Stato maggiore della Marina De Courten dell'armistizio ormai imminente, e delle relative clausole che riguardavano la flotta, che prevedevano il trasferimento immediato delle navi italiane in località che sarebbero state designate dal Comandante in Capo alleato, dove le navi italiane sarebbero rimaste in attesa di conoscere il proprio destino, e che durante il trasferimento avrebbero innalzato, in segno di resa, pennelli neri sui pennoni e disegnato due cerchi neri sulle tolde. La proclamazione dell'armistizio giunse via radio nella stessa serata, dopo che qualche ora prima era stata già data notizia via radio da Algeri.
Bergamini era andato su tutte le furie per poi formalmente accettare con riluttanza gli ordini, dopo che ebbe l'assicurazione che era esclusa la consegna delle navi e l'abbassamento della bandiera e dopo essere stato informato che il generale Ambrosio aveva chiesto agli angloamericani che la Flotta per motivi tecnici potesse trasferirsi alla Maddalena, dove tutto era pronto per l'ormeggio delle navi e dove si sarebbero trovati il Re Vittorio Emanuele III e il governo.
Alle 3 del mattino del 9 settembre, dopo concitate riunioni tra ufficiali, dove erano emerse diverse posizioni, quali l'intenzione di salpare per cercare un'ultima battaglia, o di autoaffondare le navi, avendo Bergamini preso in mano la situazione, da La Spezia partì per dirigersi all'isola sarda della Maddalena, il gruppo navale formato dalle corazzate Roma, con l'insegna di nave ammiraglia della flotta, Vittorio Veneto e Italia che costituivano la IX Divisione, dagli incrociatori della VII Divisione, con l'Attilio Regolo che svolgeva il ruolo di conduttore di flottiglia dei cacciatorpediniere di squadra con l'insegna del capitano di vascello Garofalo, dai cacciatorpediniere Mitragliere, Fuciliere, Carabiniere e Velite della XII Squadriglia ed i cacciatorpediniere Legionario, Oriani, Artigliere e Grecale della XIV Squadriglia ed una Squadriglia di torpediniere formata da Pegaso, Orsa, Orione, Ardimentoso e Impetuoso.
Il gruppo, circa tre ore dopo la partenza, si ricongiunse con il gruppo navale proveniente da Genova, formato dalle unità della VIII Divisione, costituita da Garibaldi, Duca degli Abruzzi e Duca d'Aosta, nave insegna dell'ammiraglio Bianchieri, preceduti dalla torpediniera Libra, al cui comando c'era il capitano di Corvetta Riccardi. Dopo il ricongiungimento delle due formazioni navali, per ottenere una omogeneità nelle caratteristiche degli incrociatori, il Duca d'Aosta passò dalla VIII alla VII Divisione, sostituendo l'Attilio Regolo che passò alle dipendenze della VIII Divisione.
La formazione navale, composta da ventitré unità, navigava senza avere issato i pennelli neri sui pennoni e aver disegnato i dischi neri sulle tolde come prescritto dalle clausole dell'armistizio, ma la Roma con a bordo l'insegna dell'ammiraglio Bergamini aveva innalzato il gran pavese. Nel pomeriggio del 9 settembre, quando la formazione stava per raggiungere La Maddalena, Bergamini venne avvertito da un messaggio di Supermarina che l'isola era stata occupata dai tedeschi e gli venne ordinato di cambiare rotta e dirigersi a Bona in Algeria. Bergamini ordinò di invertire subito la rotta di 180º, manovra che venne eseguita a velocità elevata. La formazione, al largo dell'isola dell'Asinara, venne sorvolata ad alta quota da bimotori Dornier Do 217 della Luftwaffe partiti dall'aeroporto di Istres, presso Marsiglia che sganciarono bombe plananti teleguidate Ruhrstahl SD 1400, conosciute dagli alleati con il nome di Fritz X, la cui forza di penetrazione era conferita dall'alta velocità acquistata durante la caduta, essendo prescritto il lancio da un'altezza non inferiore ai 5000 metri. La bomba era munita di un apparecchio ricevente ad onde ultracorte trasmesse dall'aereo, che permetteva di dirigerla verso il bersaglio ed avrebbero potuto essere contrastate solo con disturbi radio, in quanto volando alla quota di 6500 metri gli aerei sarebbero stati irraggiungibili. Per una troppo stretta ottemperanza alle disposizioni del Comando Supremo di osservare la neutralità, non vennero lanciati i caccia che le corazzate classe Littorio portavano a bordo, il solo mezzo che avrebbe potuto contrastare l'azione ad alta quota dei bombardieri tedeschi.
Alle 15.45 la corazzata Roma venne centrata una prima volta da un colpo che apparentemente non produsse effetti devastanti, anche perché l'esplosione avvenne in profondità nello scafo, ma un secondo colpo alle 15.50 centrò la nave verso prua con conseguenze ben diverse per la nave e per gran parte dell'equipaggio: la torre n. 2 saltò in aria, cadendo poi in mare, con tutta la sua massa di 1500 tonnellate. Lo scafo si spaccò dopo pochi minuti. La torre corazzata di comando fu investita da una tale vampata, che venne addirittura deformata e piegata dal calore, abbattendosi in avanti e scomparendo proiettata in alto a pezzi in mezzo a due enormi colonne di fumo: l'ammiraglio Bergamini con il suo stato maggiore, il comandante della nave Adone Del Cima e buona parte dell'equipaggio vennero uccisi pressoché all'istante. La vampata salì almeno a 400 metri di quota, formando il classico «fungo» delle grandi esplosioni.
La nave, alle 16.11, girandosi su un fianco, si capovolse e, spezzandosi in pochi minuti in due tronconi affondò, mentre sul ponte si affannavano i marinai superstiti, molti gravemente feriti ed ustionati. Mentre la nave sprofondava in acqua, dopo che lo scafo si era spezzato in due, chi si trovava a bordo rimase condannato, specialmente chi era a poppa e cinquanta marinai in procinto di gettarsi in acqua vennero travolti. Chi poté farlo, riuscì ad allontanarsi e ad essere salvato dai cacciatorpediniere di scorta.
Senza attendere ordini Mitragliere e Carabiniere invertirono immediatamente la rotta per recuperare i superstiti, seguiti da Regolo e Fuciliere. A queste unità si aggiunsero le torpediniere Pegaso, Orsa e Impetuoso.
I naufraghi della Roma, recuperati dalle unità navali inviate in loro soccorso furono 622, di cui 503 recuperati dai tre cacciatorpediniere, diciassette dall’Attilio Regolo e centodue dalle tre torpediniere.
Successivamente venne colpita gravemente, ma non in maniera mortale, anche l'Italia (ex Littorio), ma essendo la carica di scoppio assai ridotta, la nave da battaglia, nonostante avesse imbarcato circa ottocento tonnellate di acqua continuò, seppure appesantita a navigare in formazione.
A prendere il comando della flotta diretta a Malta, dopo l'affondamento dalla Roma, fu l'ammiraglio Oliva, il più anziano tra gli ammiragli della formazione e comandante della VII Divisione con insegna sull'Eugenio di Savoia, che adempì ad una delle clausole armistiziali, quello di innalzare il pennello nero del lutto sui pennoni ed i dischi neri disegnati sulle tolde.[4] mentre le sette navi si erano fermate a recuperare i morti e i feriti dell'ammiraglia, il resto della squadra proseguì la navigazione dirigendo verso Malta destinazione scelta dagli alleati, dove la formazione si sarebbe ricongiunta con il gruppo proveniente da Taranto guidato dall'ammiraglio Da Zara e costituito dalle Duilio dal Cadorna e dal Pompeo Magno.
Nel frattempo i cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi e Antonio Da Noli, che avevano lasciato La Spezia la sera dell'8 settembre con destinazione Civitavecchia, dove si sarebbero dovuti imbarcare il Re e il governo per raggiungere La Maddalena, essendo stata l'isola occupata dai tedeschi, venne deciso che il Re si recasse a Brindisi e le due unità, ormai in prossimità di Civitavecchia, ricevettero il contrordine di ricongiungersi con la Squadra partita da La Spezia e proseguire per Bona; ma essendo le navi costrette a passare attraverso le Bocche di Bonifacio, le due unità vennero attaccate delle motosiluranti tedesche e subirono il bombardamento delle batterie costiere tedesche posizionate in Corsica, incappando anche in campi minati e naufragando. Le navi impegnate nel salvataggio dei naufraghi della corazzata Roma, ricuperarono anche i sopravvissuti dei due cacciatorpediniere.
Il recupero dei naufraghi si concluse poco prima delle 18 ed a quel punto il Capitano di Vascello Giuseppe Marini, comandante del Mitragliere, caposquadriglia della XII, tenuto conto dei molti feriti gravi a bordo, richiese al Regolo, l'autorizzazione a dirigere ad alta velocità verso Livorno, ma venne informato dal comandante del Regolo, che il comandante del gruppo cacciatorpediniere di squadra, il Capitano di Vascello Franco Garofalo, non era a bordo in quanto era stato autorizzato da Bergamini a imbarcarsi sulla corazzata Italia, a causa di un piccolo ritardo nell'approntamento del Regolo, ma la sua insegna era rimasta sul Regolo e a quel punto il comandante superiore in mare del gruppo di sette navi, come ufficiale più anziano, era proprio Marini, che si trovava all'improvviso a dover prendere delle decisioni, sprovvisto delle informazioni utili a questo scopo. Il gruppo si trovava nella impossibilità di mettersi in contatto con la formazione al comando dell'ammiraglio Oliva e con Supermarina, non ricevendo risposta ai loro messaggi e dalla intercettazione dei messaggi di Supermarina dimostravano l'impossibilità di rientrare in porti italiani per sbarcare i feriti che avevano urgente bisogno di cure ospedaliere per cui era a quel punto necessario raggiungere le coste neutrali più vicine per lo sbarco dei feriti che non era possibile curare a bordo a causa della gravità delle loro condizioni ed inoltre le navi avevano ormai una ridotta autonomia a causa della riduzione delle scorte di nafta.
Il comandante Marini, data la minore velocità delle torpediniere divise il gruppo in due e diede alle torpediniere libertà di manovra sotto il comando del Capitano di Fregata Riccardo Imperiali, comandante del Pegaso, assumendo il comando del resto della formazione composta dal Regolo e dai tre cacciatorpediniere. Marini e Imperiali decisero autonomamente ed indipendentemente di dirigere le loro formazioni verso le Baleari, considerato che la Spagna era neutrale, sperando che avrebbe consentito lo sbarco dei feriti e forniti i necessari rifornimenti di carburante e acqua potabile, senza procedere all'internamento delle navi ed aveva il vantaggio di essere in posizione centrale rispetto a eventuali successivi spostamenti verso l'Italia, verso Tolone o verso l'Africa settentrionale.
L'internamento alle Baleari
I due gruppi giunsero nelle Baleari nella mattinata del 10 settembre, con il gruppo di Marini che attraccò a Porto Mahon nell'isola di Minorca e le tre torpediniere nella baia di Pollensa nell'isola di Maiorca.
Dei 622 naufraghi recuperati, nove decedettero a bordo delle navi e sedici sarebbero deceduti all'Ospedale di Porto Mahon.
Nel primo pomeriggio del 10 settembre vennero sbarcati e trasportati all'ospedale 133 tra feriti e ustionati, mentre la mattina dell'11 settembre le salme di coloro che erano morti durante la traversata vennero deposte su un camion che si avviò al cimitero, seguito da un mesto corteo di marinai italiani, dove venne data loro sepoltura. Nella notte tra il 10 e l'11 settembre a bordo del Regolo per evitare che lasciando le acque spagnole la nave dovesse consegnarsi agli alleati, erano state sabotate le turbine della nave. Nella stessa notte i comandanti del Pegaso e dell'Impetuoso, Imperiali e Cigala Fulgosi, alle 3 del mattino dell'11 settembre, dopo aver lasciato gli ormeggi autoaffondarono le due unità, i cui equipaggi raggiunsero terra con le imbarcazioni e furono internati. Il comandante Marini aveva cercato di avere i rifornimenti di acqua e nafta, che gli spagnoli non concessero con vari espedienti e nel pomeriggio dell'11 settembre le autorità spagnole, senza aver dato il necessario preavviso, previsto dalla Convenzione dell'Aia, comunicarono al Comandante Marini che le navi non avendo lasciato gli ormeggi entro le previste 24 ore erano sotto sequestro per ordine del governo spagnolo.
I mesi che seguirono l'internamento furono carichi di tensione, con molti componenti degli equipaggi delle navi che simpatizzavano apertamente per la Repubblica Sociale Italiana. Nel gennaio 1944 vi fu la diserzione del direttore di macchina del Fuciliere, il capitano del genio navale Alberto Fedele e del direttore di tiro del Regolo, il Tenente di Vascello Mario Ducci, che con l'aiuto dell'ex addetto navale italiano raggiunsero il Nord Italia. A febbraio ci fu un tragico tentativo di fuga da parte 10 marinai del Regolo, che usciti in franchigia non erano più rientrati; la contemporanea sparizione di un peschereccio da 14 tonnellate fece ritenere che i dieci avesse rubato il motopeschereccio per attuare un loro progetto di fuga ed il fatto che quella notte e nei giorni successivi il tempo fu burrascoso con vento e mare agitatissimo fece ritenere che i fuggiaschi fossero naufragati.
Forti tensioni vi furono a causa dell'astio che militari e civili spagnoli di fede falangista covavano verso gli equipaggi delle navi ritenuti badogliani. Il 22 giugno 1944 le autorità spagnole tennero a Caldes de Malavella, dov'erano internati i naufraghi di Roma, Pegaso, Impetuoso ed alcuni superstiti del Vivaldi, una consultazione; ad ogni ufficiale e marinaio venne chiesto di scegliere tra il Regno del Sud e la Repubblica Sociale Italiana. I votanti sarebbero stati poi rimpatriati attraverso la frontiera con la Francia, se avessero optato per la RSI, oppure via nave attraverso Gibilterra, se avessero scelto il Regno del Sud. Su 1013 votanti, 994 optarono per il Regno del Sud e 19 per la RSI.
Dopo molte trattative diplomatiche le navi vennero autorizzate a lasciare le acque spagnole il 15 gennaio 1945, raggiungendo Taranto il 23 gennaio.
Dopoguerra
Nel dopoguerra, in base alle clausole del trattato di pace fu tra le unità che l'Italia dovette mettere a disposizione come riparazione per danni di guerra ed il 27 luglio 1948, la nave venne ceduta alla Francia con la sigla R4.
Châteaurenault (D 606)
Insieme al Regolo anche il gemello Scipione Africano venne ceduto ai francesi. L'attilio Regolo giunse a Tolone il 30 luglio 1948 con equipaggio della marina mercantile italiana, ribattezzato Châteaurenault dal nome di un incrociatore leggero della Classe De Grasse la cui costruzione era stata annullata in seguito alla disfatta francese del 1940 innalzando la bandiera francese il giorno successivo.
Il 21 marzo 1953 entra in cantiere per lavori di ammodernamento e di trasformazione in caccia conduttore negli stabilimenti di La Seyne sur Mer, rientrando in servizio il 9 aprile 1955, per lavori che riguardarono l'armamento e l'elettronica di bordo con la totale rimozione dell'armamento originario che venne totalmente rimosso e sostituito con sei cannoni da 105 mm SK C/33, che costituirono l'armamento principale e dieci cannoni Bofors 57 mm/L60 in cinque impianti binati. I cannoni da 105mm erano gli stessi che costituivano l'armamento antiaereo degli incrociatori tedeschi Classe Hipper sostituirono i cannoni 135/45 originari e nonostante costituivano un armamento più leggero rispetto a quello originario avevano il pregio di essere armi duali avendo la fondamentale capacità di eseguire un efficace tiro contraerei e inoltre questi cannoni avevano il vantaggio di potere utilizzare le tante munizioni di questo calibro che erano state ritrovate in Francia dopo la liberazione. Le quattro torri da 135/45 originarie vennero sostituite da tre torri binate da 105mm mentre la torre in posizione B venne sostituita da un cannone binato Bofors 57 mm/L60 mentre altre quattro torrette binate da 57mm analoghe a quello della torre B completavano l'armamento antiaereo e trovarono posto due per fiancata ai lati del secondo fumaiolo. Tutte le altri armi contraeree vennero rimosse. L'armamento antisom era costituito da dodici tubi lanciasiluri da 550mm in quattro impianti tripli, collocati nella zona prodiera prima dell'insellatura centrale, che sostituirono i due impianti quadrupli da 533 mm originari. La nave venne equipaggiata con radar di scoperta aerea a lungo raggio DRBV20A, radar di scoperta di superficie e di scoperta aerea a medio raggio DRBV11, radar di tiro DRBC11 e DRBC30 e sonar.
Il 24 maggio 1956 dopo una collisione nello stretto di Gibilterra con un cargo battente bandiera liberiana è costretto a riparare in un primo momento a Orano per raggiungere successivamente il 18 luglio Tolone per i relativi lavori di riparazione. Nel 1958-59 la nave venne nuovamente sottoposta a lavori di trasformazione, per essere sede di un comando complesso. Nel corso di questi lavori vennero sbarcati il cannone da 105 poppiero e sei tubi lanciasiluri per ricavare lo spazio necessario alla sistemazione di apparecchiature radar di maggiori dimensioni e nuovi locali per il personale, per ospitare lo stato maggiore di un comando complesso. Il 25 aprile 1957 ha assunto il ruolo di nave comando della Ia Flotille Escorteurs d'Escadre della Squadra Navale del Mediterraneo di base a Tolone, svolgendo tale ruolo fino al 5 aprile 1961.
Il 15 aprile divenne nave ammiraglia della Escadre Légère de l'Atlantique di base a Brest, sostituendo in tale ruolo il gemello Guichen posto in disarmo, partecipando a diverse crociere in Atlantico. Nell'ottobre dello stesso anno la nave si recò negli Stati Uniti dove prese parte nella baia di Chesapeake in Virginia alle celebrazione per il 180º anniversario della Battaglia di Chesapeake del 1781 conclusasi con la sconfitta britannica e la resa, il 19 ottobre 1781 a Yorktown del generale inglese Cornwallis al generale George Washington che pose, di fatto, termine alla Guerra di indipendenza americana.
La nave, posta in disarmo il 16 giugno 1962 venne rimorchiata a Lorient, dove dal successivo 1º ottobre venne utilizzata come nave di addestramento statico per i fucilieri della locale base per essere radiata il 2 giugno 1969 e successivamente demolita a La Spezia nel 1970. Una coppia dei suoi cannoni 10,5 cm SK C da 105/56 è ora esposta nel territorio del comune di Ornavasso.
Lo Scipione Africano è stato un piccolo e veloce incrociatore leggero della Regia Marina appartenente alla classe Capitani Romani. Delle dodici unità previste solo tre entrarono in servizio, prendendo parte alla seconda guerra mondiale: Attilio Regolo, Scipione Africano e Pompeo Magno.
La nave era intitolata al politico e militare romano Publio Cornelio Scipione. Effettuò alcune missioni nel corso dell'estate 1943 e si consegnò poi agli Alleati a Malta. Nel dopoguerra fu ceduto in conto di riparazioni alla Franciache lo ridenominò Guichen (distintivo ottico D 607) e lo classificò come cacciatorpediniere. Servì nella Marine nationale sino al disarmo, avvenuto nel 1963, e fu demolito nel 1982.
Attività bellica
La sua costruzione, iniziata nel 1939, avvenne nel cantiere OTO di Livorno. Varato il 12 gennaio 1941, venne consegnato il 23 aprile 1943 e nel periodo maggio-luglio 1943 ormeggiato nei porti di La Spezia e Genova.
Operazione Scilla
Dopo lo sbarco alleato in Sicilia e visto l'andamento delle operazioni terrestri nell'isola, in previsione di un eventuale blocco da parte Alleata dello Stretto di Messina, all'unità venne affidata la missione di forzare lo Messina e raggiungere Taranto. La missione che prevedeva il passaggio dal Tirreno allo Ionio prendeva il nome di Operazione Scilla.
La nave partita da La Spezia alle 6.30 del 15 luglio 1943 al comando del Capitano di Vascello Ernesto De Pellegrini Dai Coi era proveniente da Napoli, dove era stata costretta a fermarsi perché scoperta in precedenza da aerei da ricognizione alleati. L'incrociatore italiano, equipaggiato con radar EC.3 Gufo, entrato nello stretto di Messina alle 02.00 circa del 17 luglio avvistava quasi subito, davanti alla costa calabra compresa tra Reggio Calabria e capo Pellaro, quattro motosiluranti alleate del tipo Elco (MTB 260, 313, 315 e 316), appartenenti alla 10a Flottiglia, che, salpate da Augusta, si trovavano in missione di pattugliamento nella parte meridionale dello Stretto di Messina e avvistato l'incrociatore italiano lo attaccarono con decisione. L'incrociatore italiano aumentando la velocità al massimo iniziava le manovre, mettendo sotto tiro con tutte le arme di bordo, le unità nemiche, che nel frattempo divisesi, avevano iniziato a loro volta l'attacco fino a breve distanza. Lo scontro a fuoco fu breve ed intensissimo e lo stesso Comandante dello Scipione fu notevolmente sorpreso dalla rapidità di tiro e dalla precisione delle proprie armi. Le quattro motosiluranti britanniche (MTB 260, 313, 315 e 316), appartenenti alla 10a Flottiglia, salpate da Augusta, si trovavano in missione di pattugliamento nella parte meridionale dello Stretto di Messina, quando alle ore 02.15 del 17 luglio avvistarono, all'altezza di Reggio Calabria, l'incrociatore leggero italiano e lo attaccarono con decisione. Lo Scipione si accorse però in tempo della minaccia e prima di allontanarsi a forte velocità, schivando molti siluri provenienti da prora, da dritta e da sinistra, aprì il fuoco con le artiglierie da 135 mm, e con i complessi singoli e binati da 37 e da 20 mm, centrando con precisione e ripetutamente le unità nemiche, giungendo poi senza danni a Taranto. Il fatto che la nave fosse dotata del radar E.C. 3ter "Gufo", rilevò per tempo le motosiluranti inglesi e consentì all'equipaggio di apprestarsi alla difesa. Le motosiluranti inglesi attaccarono suddividendosi, MTB 315 e MTB 316 verso Est per attaccare sulla sinistra l'incrociatore che procedeva verso sud, mentre MTB 260 e MTB 313 manovravano per attaccarlo sulla dritta. L'incrociatore aprì il fuoco sulla sezione di sinistra, colpendo la MTB 316 che saltò, mentre la MTB 315 non essendo stata colpita manovrò per lanciare i suoi siluri. Le motosiluranti che attaccarono l'incrociatore a dritta riuscirono a portarsi in buona posizione e lanciarono i loro siluri e uno della MTB 260, sembrò aver colpito l'incrociatore di poppa a dritta poiché lo Scipione diede l'impressione di essersi fermato per un breve momento prima di riprendere la sua corsa a forte velocità verso Sud. Le batterie di entrambi i lati dello stretto aprirono il fuoco, inquadrandolo, prima che esso per due volte lanciasse i segnali di riconoscimento. La MTB 315 seguì l'incrociatore per un breve tratto attorno a Capo dell'Armi, ma notando che imbarcava acqua a poppa, fermò e raggiunse alle 2,50 la sua posizione. I britannici ritennero di aver silurato lo Scipione Africano, e ne furono convinti per molto tempo.
Nell'azione, da parte Italiana, fu rivendicato l'affondamento di tre motosiluranti: una per esplosione, una per incendio e l'altra per affondamento senza incendio. In seguito all'esplosione di una delle MTB, materiale appartenente ai suoi macchinari e pezzi di fasciame vennero sollevato in aria, e ricaddero sulla coperta dello Scipione, che manovrava a tutta forza per allontanarsi dalla zona dell'attacco con rotta 200° e velocità 36 nodi.
Da parte alleata si dichiarò che avevano partecipato all'azione le MTB 315, 316, 313 e 260 e che solo la 316 era stata persa per esplosione assieme a tutto il suo equipaggio. Il materiale recuperato sullo Scipione fu identificato come appartenente alla MTB 305, che però, secondo le fonti ufficiali inglesi, non aveva partecipato all'azione. Secondo le fonti inglesi la MTB 316, comandata dal Tenente di Vascello R.B. Adams, in seguito ad un incendio che si sviluppò a bordo dopo che l'unità era stata colpita, esplose alle 02.18 ed affondò con la perdita di tutto il suo equipaggio, mentre la MTB 260 (tenente di vascello H.F. Wadds) e la MTB 313 (tenente di vascello A.D. Foster) riportarono soltanto danni superficiali. Oltre alle perdite umane della MTB 316, le altre tre motosiluranti ebbero a lamentare un ufficiale morto ed uno ferito.
La MTB 316, la sola di cui si ha la certezza dell'affondamento nel corso del combattimento, era un'unità del tipo ELCO da 77 piedi, realizzata negli Stati Uniti e trasferita prima di aver completato l'allestimento alla Royal Navy, dove era entrata in servizio il 14 giugno 1942. Anche le altre motosiluranti che avevano partecipato all'attacco erano del tipo Elco da 77 piedi, ad eccezione della MTB 260 che era del tipo Elco da 70 piedi. Per quanto riguarda la MTB 305, non figurando nell'elenco delle motosiluranti britanniche affondate nel Mediterraneo, e neppure di quelle danneggiate nel corso della campagna di Sicilia e operando inoltre sotto le insegne dell'Indian Navy, si può ipotizzare che parti della MTB 305 siano state prese per metterle su un'altra MTB, in quanto pratiche del genere erano molto diffuse a livello di piccole unità.
Il comandante e l'equipaggio dello Scipione Africano ricevettero l'elogio dell'Ammiraglio Bergamini, comandante delle Forze Navali da Battaglia, nell'Ordine del Giorno nº 11 del 18 luglio 1943.
Successivamente tra il 4 ed il 17 agosto lo Scipione svolse alcune missioni di posa di mine nel Golfo di Taranto ed al largo della Calabria, sfidando gli aerei e le navi Alleate che tentavano di impedire l'evacuazione via mare delle forze italo - tedesche dalla Sicilia.
Armistizio
La sera dell'8 settembre quando via radio giunse la notizia dell'armistizio la nave si trovava a Taranto, dove intorno alle 6 del mattino del 9 settembre ricevette da Supermarina l'ordine di raggiungere a più presto Pescara; analogo ordine ricevettero le corvette Scimitarra e Baionetta che si trovavano a Brindisi e a Pola. Verso le ore 14:00 del 9, mentre era in navigazione al largo di Capo d'Otranto alla velocità di ventotto nodi, lo Scipione avvistò due S-Boot (motosiluranti) tedesche, la S 54 e la S 61, le quali all'avvicinarsi dell'incrociatore, temendo fosse stato inviato al loro inseguimento, crearono una cortina di nebbia artificiale per disturbatore il tiro dei cannoni italiani, che però non entrarono mai in azione. Infatti, poiché le motosiluranti non mostravano di assumere atteggiamenti aggressivi verso la sua nave, e anzi manovravano per allontanarsi, il comandante Ernesto Pellegrini fece continuare la navigazione verso Pescara. Lo Scipione giunse poco dopo la mezzanotte a Pescara, dove la corvetta Baionetta al comando del Tenente di Vascello Piero Pedemonti intorno alle 21 aveva imbarcato il capo del governo Badoglio e il Ministro della Marina De Courten ed aveva proseguito per Ortona, dove intorno alle 1,10 del 10 settembre venne imbarcata la famiglia reale, per cui lo Scipione, invertita la rotta, intorno alle 7 del mattino raggiunse la corvetta Baionetta scortandola fino a Brindisi, dove il re Vittorio Emanuele III con il suo seguito giunsero nella stessa giornata del 10 settembre intorno alle 16, alloggiando nella palazzina del Comandante Militare Marittimo ammiraglio Rubatelli.
L'altra corvetta, la Scimitarra, giunta a Pescara da Brindisi, al comando del tenente di Vascello Remo Osti, intorno alle 7 del 10 settembre, non trovando nessuno ripartì circa quattro ore dopo ricevendo in navigazione l'ordine di andare a Taranto, ove sarebbe giunta verso le ore 12 dell'11 settembre.
A Brindisi, mentre avveniva lo sbarco della famiglia reale dalla corvetta, ad un certo punto si videro arrivare sei caccia che puntarono a volo radente sulla direttrice dello Scipione e della corvetta dove c'era il re Vittorio Emanuele III; il fuoco contraereo dello Scipione costrinse gli aerei a cambiare direzione.
Il 29 settembre lo Scipione riprese il mare per scortare il Maresciallo Badoglio e parte del governo a Malta, dove il capo del governo italiano doveva firmare con il generale Eisenhower a bordo della corazzata britannica Nelsonl'armistizio lungo nel quale venivano precisate le condizioni di resa imposte all'Italia già contenute genericamente nell'armistizio corto firmato il 3 settembre dal generale Giuseppe Castellano.
Durante la co-belligeranza effettuò alcuni viaggi ad Alessandria d'Egitto e ai Laghi Amari, dove erano internate le navi da battaglia italiane Vittorio Veneto e Italia.
Dopoguerra
Nel dopoguerra, in base al trattato di pace, lo Scipione Africano fu tra le unità che l'Italia dovette mettere a disposizione come riparazione per danni di guerra e il 9 agosto 1948 venne ceduto alla Francia con la sigla S7.
Guichen (D 607)
Insieme allo Scipione Africano anche il gemello Attilio Regolo venne ceduto ai francesi. Le due unità nella Marine Nationale avrebbero costituirono la Classe Châteaurenault. Sin dal 23 luglio 1948 la nave venne ribattezzata Guichen, giungendo a Tolone il 15 agosto 1948con equipaggio della marina mercantile italiana. Nella stessa giornata sulla nave venne innalzata la bandiera francese e il 7 settembre venne inquadrata nella 2a Division Croiseurs Lègers. Dal 26 al 31 maggio 1949 la nave è stata impiegata in un trasporto di oro per la Banque de France da Orano a Tolone.
Nel 1950 sulla nave venne testato un prototipo di ASDIC, l'antenato del sonar.
Il 14 luglio 1951 entrò in cantiere per lavori di ammodernamento e di trasformazione in cacciaconduttore negli stabilimenti di La Seyne sur Mer, per lavori analoghi a quelli effettuati sul gemello Châteaurenault (distintivo ottico D 606), l'ex Regolo. I lavori riguardarono l'armamento e l'elettronica di bordo con la totale rimozione dell'armamento originario che venne totalmente rimosso e sostituito con sei cannoni da 105 mm SK C/33, che costituirono l'armamento principale e dieci cannoni Bofors 57 mm/L60 in cinque impianti binati. I cannoni da 105 mm erano gli stessi che costituivano l'armamento antiaereo degli incrociatori tedeschi Classe Hipper sostituirono i cannoni 135/45 originari e nonostante costituivano un armamento più leggero rispetto a quello originario avevano il pregio di essere armi duali avendo la fondamentale capacità di eseguire un efficace tiro contraerei e inoltre questi cannoni avevano il vantaggio di potere utilizzare le tante munizioni di questo calibro che erano state ritrovate in Francia dopo la liberazione. Le quattro torri da 135/45 originarie vennero sostituite da tre torri binate da 105 mm mentre la torre in posizione B venne sostituita da un cannone binato Bofors 57 mm/L60 mentre altre quattro torrette binate da 57 mm analoghe a quello della torre B completavano l'armamento antiaereo e trovarono posto due per fiancata ai lati del secondo fumaiolo. Tutte le altri armi contraeree vennero rimosse, L'armemento antisommergibile era costituito da dodici tubi lanciasiluri da 550 mm in quattro impianti tripli, collocati nella zona prodiera prima dell'insellatura centrale, che sostituirono i due impianti quadrupli da 533 mm originari.[13] La nave venne equipaggiata con radar di scoperta aerea a lungo raggio DRBV20A, radar di scoperta di superficie e di scoperta aerea a medio raggio DRBV11, radar di tiro DRBC11 e DRBC30 e sonar.
Dopo i lavori ha effettuato la sua prima uscita il 26 agosto 1953 rientrando in servizio attivo il 9 aprile 1955 riclassificato conduttore di flottiglia con il distintivo ottico D 607, assegnato alla 2a Division Escorteurs d'Escadre, effettuando alcune missioni in Algeria di base a Biserta.
Il 16 luglio 1957 venne sottoposto a nuovi lavori, per essere idoneo a svolgere il ruolo di nave comando de l'Escadre Lègere. Nel corso di questi lavori vennero sbarcati il cannone da 105 poppiero e sei tubi lanciasiluri per ricavare lo spazio necessario alla sistemazione di apparecchiature radar di maggiori dimensioni e nuovi locali per il personale, per ospitare lo stato maggiore di un comando complesso. al termine di questi lavori, il 14 ottobre 1958 ha assunto il ruolo di nave ammiraglia della Escadre Légère de l'Atlantique di base a Brest.
Il 20 giugno 1959 riportò a Lisbona una collisione con il sommergibile Marsouin; i lavori di riparazione vennero effettuati a Brest e il 16 luglio ha preso parte ad una parata navale svolta nelle acque di Brest.
Il 15 aprile 1961 venne ritirato dal servizio, sostituito dal gemello Châteaurenault nel ruolo di nave insegna della Escadre Légère de l'Atlantique, e collocato in riserva, andando in disarmo il 21 giugno 1963; dopo il disarmo è stato utilizzato come piattaforma galleggiante alla scuola navale di Lanvéoc Poulmic.
Dopo la sua radiazione avvenuta il 1º giugno 1976 ebbe assegnata la matricola Q554 e venne rimorchiato in attesa della demolizione a Landévennec, per essere poi venduto per la demolizione nel gennaio 1982.
Il Pompeo Magno è stato un incrociatore leggero della Regia Marina che faceva parte dei Capitani romani, una classe di incrociatori composta da dodici unità costruite nel corso della seconda guerra mondiale, di cui solo tre entrarono in servizio. Sebbene queste navi vennero classificate e impostate come incrociatori leggeri erano, in realtà, delle navi a mezza strada tra incrociatori, esploratori e cacciatorpediniere.
Nome
La nave era intitolata al generale e politico romano Gneo Pompeo Magno (in latino: Gneus Pompeus Magnus) prima alleato e poi avversario di Gaio Giulio Cesare.
Motto
Il motto della nave “Virtute duce, comite fortuna” ("La virtù come guida, la fortuna come compagna") è stato tratto dalle Epistulae ad familiares di Cicerone a Lucio Munazio Planco. In precedenza era stato il motto dei sommergibili Galvani I (1918-38) e Galvani II (1938-40).
Servizio
Il Pompeo Magno fu una delle tre unità di questa classe entrate in servizio attivo nella Regia Marina prima dell'armistizio.
La sua costruzione avvenne negli stabilimenti dei Cantieri Navali Riuniti di Ancona dove il suo scafo venne impostato il 3 settembre 1939. Varato il 24 agosto 1941 e completato il 4 giugno 1943 entrò in servizio il 24 giugno successivo. Assegnato alla base di Taranto, svolse alcune missioni di posa di mine.
Secondo alcune fonti nell'estate 1943 venne equipaggiato con radar “Gufo” EC.3ter mentre la maggior parte delle fonti concorda che solamente lo Scipione venne equipaggiato con questo tipo di radar.
Il Pompeo Magno sarebbe stato protagonista nella notte tra il 12 e il 13 luglio nelle acque dello Stretto di Messina di uno scontro con cinque motosiluranti alleate che avrebbe intercettato con il radar “Gufo” EC.3ter e sulla scorta dei dati rilevati dal radar, che non avrebbe dovuto usare “per ordini superiori”, dopo aver localizzato le unità nemiche ne avrebbe affondato due in rapida successione danneggiandone gravemente una terza che sarebbe colata a picco più tardi, mentre le due rimanenti sarebbero fuggite a tutta velocità. Essendo stato nella notte tra il 16 e il 17 luglio il gemello Scipione Africano protagonista di un analogo scontro con motosiluranti nemiche sempre nelle acque dello stretto di Messina, non si può escludere, essendo stato impossibile consultare i giornali di bordo delle due unità, che si tratti di un unico episodio attribuito, da parte delle fonti, a due diversi incrociatori. Molto più probabile però che si trattasse dello Scipione, che dopo lo sbarco alleato in Sicilia, visto l'andamento delle operazioni terrestri nell'isola, in previsione di un eventuale blocco da parte Alleata dello Stretto di Messina, venne affidata la missione di forzare lo stretto e raggiungere Taranto.
Armistizio
All'armistizio dell'8 settembre la nave si trovava a Taranto e faceva parte insieme al gemello Scipione Africano e al Cadorna del gruppo di incrociatori alle dipendenze della V Divisione, costituita in quel momento solamente dalle Duilio.
La proclamazione dell'armistizio causò molta tensione nelle basi della Marina italiana. Il mattino del 9 settembre, dopo che intorno alle 6 lo Scipione aveva lasciato gli ormeggi dopo avere ricevuto l'ordine di raggiungere Pescara, alle altre navi della base giunse l'ordine di partire per Malta. Tra gli ufficiali della base avvenne una riunione nella quale i comandanti delle varie unità propendevano per la decisione di autoaffondare le navi. La riunione fu particolarmente drammatica: il contrammiraglio Giovanni Galati comandante il gruppo degli incrociatori, essendosi rifiutato di dirigersi a Malta, dichiarando l'intenzione di salpare per il Nord, o per cercare un'ultima battaglia, o di autoaffondare le navi, venne messo agli arresti in fortezza dall'ammiraglio Bruto Brivonesi, suo superiore, che aveva tentato invano di convincerlo ad obbedire agli ordini del Re, al quale aveva prestato giuramento. Alla fine prevalse il sentimento dell'obbedienza agli ordini del sovrano e del governo e il gruppo formato dalle due navi da battaglia, dai due incrociatori e dal cacciatorpediniere Nicoloso da Recco lasciò la base di Taranto fra le 16:00 e le 17:00, mentre era in vista la forza navale inglese che scortava il convoglio di truppe diretto a Taranto. Intorno alle 19:00 la formazione venne attaccata da quattro cacciabombardieri tedeschi che si lanciarono in picchiata sulla corazzata Duilio, sganciando bombe a poche metri dalla nave che non subì danni. Le navi reagirono con il fuoco contraereo. Alle 09:30 del giorno successivo un cacciatorpediniere inglese si mise di prora alla formazione raggiunta nel pomeriggio da otto motosiluranti che scortarono navi italiane fino a Malta, ove giunsero alle 17:50, ormeggiandosi al largo di Madliena Tower. Il gruppo guidato dall'ammiraglio Da Zara venne raggiunto dal gruppo proveniente da La Spezia, il cui comando dopo il tragico affondamento della corazzata Roma era stato assunto dall'ammiraglio Oliva.
Il 4 ottobre salpò da Malta insieme a numerose altre unità per fare rientro in Italia, e inquadrato ella VIII Divisione incrociatori nella base di Taranto, per poi passare il 2 febbraio 1944 alle dipendenze della VII Divisione incrociatori, svolgendo, durante la co-belligeranza, alcune missioni di trasporto.
La ricostruzione
Dopo la guerra in base alle clausole del trattato di pace era previsto che fosse consegnato alla Francia in conto danni di guerra insieme ai gemelli Regolo e Scipione Africano, e il 1º maggio 1948 era stato posto in disarmo in attesa della consegna; in seguito ad un accordo avvenuto nel luglio 1948 tra i due governi vennero apportate alcune modifiche all'elenco delle navi da consegnare e il Pompeo Magno venne escluso in quanto i francesi credevano fosse afflitto da deformazioni dello scafo, che invece riguardavano il gemello Regolo, che era stato silurato nel 1942 perdendo la prora, che venne sostituita con quella del Caio Mario in costruzione, e venne deciso che il Pompeo Magno fosse cannibalizzato a favore delle altre due unità della classe da consegnare.
Evitata la consegna alla Francia, il 15 giugno 1949 completò il suo disarmo e il 15 maggio 1950 venne ufficialmente radiato dai quadri del naviglio militare, ma avendo l'Italia all'inizio degli anni cinquanta iniziato la ricostruzione della propria Marina invece di essere demolito, con Decreto del presidente della Repubblica del 1º marzo 1951, gli scafi dell'ex Pompeo Magno e del gemello Giulio Germanico, vennero nuovamente inscritti nei quadri del naviglio militare ribattezzati rispettivamente San Giorgio e San Marco e avviati nel 1953 a lavori di ricostruzione come cacciatorpediniere rispettivamente presso i Cantieri del Tirreno di Genova e della Navalmeccanica di Castellammare di Stabia. Al termine dei lavori il San Giorgio, rientrò in servizio nella Marina Militare Italiana nel 1955 mentre il San Marco entrò in servizio all'inizio del 1956. Il 10 aprile 1957 le due navi vennero riclassificate cacciaconduttori. Sottoposto nuovamente a lavori di modifica dal 1963 al 1965, il San Giorgio venne trasformato presso l'Arsenale di La Spezia in nave scuola per gli allievi dell'Accademia Navale di Livorno, alternando crociere addestrative ad una ridotta attività di squadra, prestando servizio fino al 1979, anno in cui venne ritirato dal servizio.
Il San Marco (Pennant number D 563) è stato un cacciatorpediniere della Marina Militare Italiana che ha costituito, insieme al gemello San Giorgio, la classe San Giorgio. Entrambe le unità furono ottenute dalla ricostruzione di precedenti incrociatori leggeri della Regia Marina della classe Capitani Romani costruiti all'inizio della seconda guerra mondiale; era previsto che la classe fosse composta da 12 unità, ma solo 3 entrarono in servizio, prendendo parte al conflitto: Attilio Regolo, Scipione Africano e Pompeo Magno. Le altre navi non vennero mai completate ed alcune di esse neanche furono varate.
Giulio Germanico
Il cacciatorpediniere San Marco venne varato per la Regia Marina con il nome di Giulio Germanico, in onore del generale romano della dinastia giulio-claudia. La vicenda del Giulio Germanico, mai entrato in servizio nel corso della seconda guerra mondiale, è stata particolarmente cruenta.
La sua costruzione era iniziata il 3 aprile 1939 negli stabilimenti della Navalmeccanica di Castellammare di Stabia e la nave, varata il 26 luglio 1941 stava ultimando il suo allestimento quando venne siglato l'armistizio.
Le vicende seguenti l'armistizio
L'8 settembre 1943 la nave era praticamente pronta a Castellammare di Stabia, con l'allestimento completato al 94% e l'equipaggio già a bordo.
Il capitano di corvetta Domenico Baffigo era stato designato al comando dell'unità nell'aprile del 1941, assistendone al varo e curandone tutte le fasi dell'allestimento che era pressoché terminato quando venne dichiarato l'armistizio dell'8 settembre 1943; gli ormai ex-alleati tedeschi, appresa la notizia della proclamazione dell'armistizio, reagirono immediatamente attuando l'Operazione Achse ("Asse"), ovvero l'occupazione militare di tutta la penisola italiana.
All'arrivo a Castellammare di Stabia le forze tedesche tentarono di occupare il porto e il cantiere navale, dove c'erano altre unità in avanzato stato di costruzione che costituivano per loro un prezioso bottino, e in particolare diverse corvette della classe Gabbiano.
Domenico Baffigo assunse la difesa del cantiere e i marinai e i carabinieri accorsi in difesa delle strutture portuali respinsero tutti gli attacchi e nella speranza di un soccorso da parte degli alleati gli italiani non tentarono di portare le loro navi in mare. Dopo tre giorni di furiosi combattimenti, il comandante del Germanico fu invitato per una trattativa, ma venne invece catturato e fucilato dagli occupanti a Napoli l'11 settembre. L'unità, che aprendo il fuoco aveva partecipato attivamente nel respingere gli attacchi, cadde in mano ai tedeschi che l'autoffondarono all'interno del porto di Castellammare di Stabia, il 28 settembre 1943, quando furono costretti ad abbandonare la città; il comandante Domenico Baffigo, il cui corpo non venne mai ritrovato, sarebbe stato successivamente decorato di Medaglia d'Oro al Valor Militare alla memoria.
Ricostruzione
Nel dopoguerra il Giulio Germanico venne ufficialmente radiato dai quadri del naviglio militare il 27 febbraio 1947 e contraddistinto dalla sigla FV e, e dopo essere stato recuperato dai cantieri di Castellammare di Stabia nel 1948 visto che lo scafo era ancora in condizioni buone, avendo l'Italia all'inizio degli anni cinquanta iniziato la ricostruzione della propria Marina invece di essere demolito, con Decreto del presidente della Repubblica del 1º marzo 1951, venne nuovamente inscritto nei quadri del naviglio militare ribattezzato San Marco e avviato nel 1953 a lavori di ricostruzione come cacciatorpediniere conduttore presso gli stabilimenti della Navalmeccanica di Castellammare di Stabia.
I lavori di ricostruzione furono gli stessi che riguardarono il gemello Pompeo Magno, ribattezzato San Giorgio, i cui lavori di trasformazione/ricostruzione vennero effettuati presso i Cantieri del Tirreno di Genova.
L'armamento vide la rimozione degli otto cannoni da 135/45 rimossi e sostituiti con sei cannoni da 127/38 mm statunitensi in tre torri binate, una prodiera e due a poppa e un lanciabas triplo Menon al posto della seconda torre di prora, mentre l'armamento antiaereo vide la rimozione degli otto cannoni da Breda 37/54 mm e delle mitragliere da 20/65 mm sostituiti da venti cannoni 40/56mm in quattro impianti quadrupli e due impianti binati. Il fuoco era controllato da una centrale di tiro US Mk 37 con radar Mk 25. Altri apparati elettronici furono i radar SPS-6 e SG-6B e un sonar SQS-11.
Al termine dei lavori di ricostruzione la nave entrò in servizio nella Marina Militare italiana all'inizio di gennaio 1956 con il distintivo ottico D 563 e inquadrata nella II Divisione navale di base a Taranto.
Con la velocità massima di 39 nodi, San Marco e San Giorgio sono state le navi più veloci della Marina Militare italiana, grazie ad un apparato propulsivo dalla potenza di 110.000 HP, più del 50% in più rispetto agli incrociatori lanciamissili Vittorio Veneto, Andrea Doria e Caio Duilio.
Il 10 aprile 1957 le due navi vennero riclassificate cacciaconduttori informalmente detti supercaccia e nello stesso anno effettuarono una crociera di addestramento negli Stati Uniti d'America, partendo da Napoli 19 maggio e facendo rientro a La Spezia il 10 luglio visitando nel corso della crociera Norfolk, New York e Bermuda.
Negli anni successivi la nave ha partecipato attivamente alle esercitazioni e alle manovre delle forze navali italiane e della NATO. Tra il 1962 e il 1963 la nave è stata sottoposta a lavori di ammodernamento presso l'Arsenale di La Spezia, al termine dei quali e rientrata in servizio ricoprendo il ruolo di nave bandiera della II Divisione navale. Nel settembre 1964 il San Marco ha rappresentato l'Italia alle celebrazioni nel giorno dell'indipendenza di Malta. Nel 1966 ha effettuato una nuova campagna navale in Atlantico. Dopo essere stato posto in disarmo il 31 maggio 1970, il San Marco è stato radiato nel 1971 e successivamente venduto per demolizione.
Nome
In precedenza due unità della Regia Marina aveva portato il nome San Marco. La prima era un'unità lacustre ricevuta dall'Austria-Ungheria come risarcimento per danni di guerra nel 1866 dopo la terza guerra di indipendenza, che aveva prestato servizio con il nome Franz Joseph nella flottiglia del Lago di Garda. La seconda unità era un incrociatore corazzato del 1908 della classe San Giorgio che, sopravvissuto sino alla seconda guerra mondiale, nel 1941 venne convertito in bersaglio mobile radiocomandato controllato dal cacciatorpediniere Audace. In seguito alle vicende armistiziali il 9 settembre 1943 venne catturato dai tedeschi nel porto della Spezia e nello stesso mese venne affondato per prevenirne la cattura da parte degli Alleati.
Al 2014 nella Marina Militare italiana a portare il nome San Marco è una nave d'assalto anfibio, entrata in servizio alla fine degli anni ottanta appartenente alla classe San Giorgio.
Fatta eccezione per l'unità lacustre del 1866, le successive navi militari italiane di nome San Marco, compresa quella attualmente in servizio, hanno avuto un'unità gemella di nome San Giorgio.
Il San Giorgio è stato un cacciatorpediniere della Marina Militare Italiana che ha costituito insieme al gemello San Marco la Classe San Giorgio. Entrambe le unità furono una ricostruzione di precedenti incrociatori leggeri classe Capitani romani costruiti all'inizio della seconda guerra mondiale.
Pompeo Magno
Il San Giorgio era entrato in servizio nella Regia Marina con il nome Pompeo Magno poco prima dell'armistizio.
La nave è stata realizzata dai Cantieri Navali Riuniti negli stabilimenti di Ancona dove il suo scafo venne impostato il 3 settembre 1939. Varata il 24 agosto 1941 la nave è stata consegnata alla Regia Marina il 4 giugno 1943 entrando in servizio di squadra il 24 giugno successivo. Assegnata alla base di Taranto svolse alcune missioni di posa di mine.
Il Pompeo Magno sarebbe stato anche protagonista nella notte tra il 12 e il 13 luglio nelle acque dello Stretto di Messina di uno scontro con cinque motosiluranti alleate, affondandone due in rapida successione e danneggiandone gravemente una terza che sarebbe colata a picco più tardi, mentre le due rimanenti sarebbero fuggite a tutta velocità. Essendo stato nella notte tra il 16 e il 17 luglio il gemello Scipione Africano protagonista di un analogo scontro con motosiluranti nemiche sempre nelle acque dello stretto di Messina, non si può escludere, essendo stato impossibile consultare i giornali di bordo delle due unità, che si tratti di un unico episodio attribuito, da parte delle fonti, a due diversi incrociatori e l'impossibilità di consultare i giornali di bordo non consente un'attribuzione certa del combattimento.
All'armistizio dell'8 settembre fece rotta su Malta insieme alle Duilio, al Cadorna e al Nicoloso da Recco. Il gruppo, guidato dall'ammiraglio Da Zara, venne raggiunto dal gruppo proveniente da La Spezia, il cui comando dopo il tragico affondamento della nave da battaglia Roma era stato assunto dall'ammiraglio Oliva.
Il 4 ottobre salpò da Malta insieme a numerose altre unità per fare rientro in Italia, svolgendo alcune missioni di trasporto durante la cobelligeranza.
Dopo la guerra in base alle clausole del trattato di pace era previsto che fosse consegnato alla Francia in conto riparazione danni di guerra insieme ai gemelli Regolo e Scipione Africano e in attesa della consegna il 1º maggio 1948 era stato posto in disarmo in attesa della consegna ai francesi, ma in seguito ad un accordo avvenuto nel luglio 1948 tra i due governi, vennero apportate alcune modifiche all'elenco delle navi da consegnare e il Pompeo Magno venne escluso in quanto i francesi credevano fosse afflitto da deformazioni dello scafo, che invece riguardavano il gemello Regolo, che era stato silurato nel 1942 perdendo la prora, che era stata sostituita con quella del Caio Mario in costruzione, e venne deciso di cannibalizzare il Pompeo Magno a favore delle altre due unità della classe da consegnare.
Ricostruzione
Evitata la consegna alla Francia, il 15 giugno 1949 completò il suo disarmo e il 15 maggio 1950 venne ufficialmente radiato dai quadri del naviglio militare, contraddistinto dalla sigla FV 1, ma avendo l'Italia all'inizio degli anni cinquanta iniziato la ricostruzione della propria Marina invece di essere demolito, con Decreto del presidente della Repubblica del 1º marzo 1951, gli scafi dell'ex Pompeo Magno e del gemello Giulio Germanico, vennero nuovamente inscritti nei quadri del naviglio militare ribattezzati rispettivamente San Giorgio e San Marco e avviati nel 1953 a lavori di ricostruzione come cacciatorpediniere rispettivamente presso i Cantieri del Tirreno negli stabilimenti di Genova e negli stabilimenti della Navalmeccanica di Castellammare di Stabia.
I principali lavori riguardarono l'armamento. Le quattro torri binate con gli otto cannoni da 135/45 Mod. 38, capaci di eseguire tiri assai precisi, ma privi di una soddisfacente capacità antiaerea, vennero sostituiti con sei cannoni da 127/38mm statunitensi in tre torri, meno potenti ma con la fondamentale capacità di eseguire un efficace tiro contraerei. I cannoni erano configurati in tre torri binate, una prodiera e due a poppa. Al posto della seconda torre di prora venne installato un lanciabombe antisommergibile a tre canne di tipo Menon.
Venne riconfigurato anche l'armamento antiaereo con gli otto cannoni da 37/54mm e le otto mitragliere Scotti/Isotta Fraschini 20/70 sostituiti da venti cannoni da 40/56mm L60 in quattro impianti quadrupli e due impianti binati.
Il controllo del fuoco dei calibri principali era affidato a tre centrali di tiro Mk 25 mentre ad ogni impianto antiaereo era asservita una colonnina di direzione di tiro di costruzione U.S.A. modello “Mk 51”, dotato di congegno di mira “Mk 14” girostatico. Altri apparati elettronici erano il radar di scoperta aerea AN/SPS-6, il radar SG-6B per la scoperta di superficie, un radar SMA CFL 3-C 25 e un sonar SQS-11 a scafo.
Per un certo periodo sull'albero di maestra venne imbarcato un radar quotametro per stabilire la quota degli aerei individuati. Lo stesso radar venne installato anche sul Duca degli Abruzzi.
L'armamento antisommergibile era completato da quattro lanciabombe antisommergibili laterali e una tramoggia scaricabombe antisommergibile.
Servizio di squadra
Terminati i lavori il San Giorgio entrò in servizio, nella Marina Militare Italiana il 1º luglio 1955 con il distintivo ottico D 562 mentre l'unità gemella San Marco è entrata in servizio all'inizio del 1956.
Le due unità, con la velocità massima di 39 nodi, sono state le navi più veloci della Marina Militare Italiana grazie ad un apparato propulsore che raggiungeva la potenza di 110.000 HP, oltre il 50% in più rispetto agli incrociatori lanciamissili Vittorio Veneto, Andrea Doria e Caio Duilio.
La due unità furono operative nella base di Taranto e Nave San Giorgio ha anche ricoperto il ruolo di ammiraglia della II Divisione, svolgendo una intensa attività addestrativa di squadra.
Il 10 aprile 1957 le due navi vennero riclassificate cacciaconduttori informalmente detti supercaccia e nello stesso anno effettuarono una crociera di addestramento negli Stati Uniti d'America, partendo da Napoli 19 maggio e facendo rientro a La Spezia il 10 luglio. Nel corso di questo viaggio il "San Giorgio" prese parte il 12 giugno ad una parata navale a Norfolk, visitando anche New York e Gibilterra. Nell'estate del 1960 il "San Giorgio" ha effettuato una crociera in Nordeuropa visitando Lisbona, Portsmouth, Kiel e Brest. Nel novembre 1962 e nel febbraio 1963 la nave ha preso parte alle grandi manovre delle forze navali della NATO.
Nave scuola
Il 1º giugno 1963 il San Giorgio venne trasferito presso l'Arsenale di La Spezia per essere sottoposto nuovamente a lavori di modifica per essere trasformato in nave scuola per le crociere estive degli allievi del secondo anno dell'Accademia Navale di Livorno, sostituendo in tale compito il Montecuccoli messo in disarmo nel 1964.
Per adattare l'unità alla sua nuova funzione di nave scuola vennero ricavati nuovi spazi per ospitare a bordo gli Allievi dell'Accademia Navale. Altre modifiche significative riguardarono la sostituzione dell'apparato motore, l'adeguamento dell'armamento secondo concetti più recenti in merito alla difesa antiaerea e un miglioramento dell'elettronica di bordo. La scelta della nave da sottoporre per la trasformazione in nave scuola, tra il San Marco ed il San Giorgio si concentrò sullo stato dello scafo; trattandosi di unità realizzate nel periodo bellico, in cui spesso i materiali utilizzati per la costruzione non furono sempre di ottima qualità, fu condotto un accurato esame dello scafo e furono individuati e posti in rilievo tutte le zone deteriorate. Lo stato di efficienza dell'apparato motore non poteva avere influenza, in quanto sarebbe stato completamente sostituito.
Per quanto riguarda gli armamenti, vennero eliminati i due pezzi della torretta "X" da 127/38mm e tutti i pezzi da 40/56mm per far posto a tre cannoni da 76/62mm tipo MMI in installazioni singole asserviti a centrali di direzione del tiro Galileo “Orion 3”. Vennero eliminati anche gli antiquati sistemi antisommergibile costituiti dai lanciabombe laterali a corta gittata e dalla tramoggia scarica bombe poppiera sostituiti da sei tubi lanciasiluri da 324mm in due impianti tripli per il lancio di siluri filo-guidati.
La parte più significativa dei lavori fu però l'apparato propulsore.
Le quattro caldaie e le due turbine vennero rimosse e sostituite da un apparato di tipo CODAG costituito da quattro motori diesel Fiat-Tosi da 4.000 hp ciascuno e due turbine a gas Tosi-Metrovick G6 da 7.600 HP ciascuna. Il nuovo apparato motore permise all'unità di raggiungere una velocità di 28 nodi (51,8 km/h) con autonomia di 1.900 miglia con la turbine, o utilizzando solo i motori diesel una velocità di 20 nodi (37 km/h) con autonomia di 5.560 miglia. L'adozione di un apparato motore di tipo CODAG fu la conseguenza dei buoni risultati ottenuti dalla motocannoniera MC 491, che entrata in servizio nel 1963 aveva sperimentato un apparato motore composto da due motori diesel e da una turbina a gas nella combinazione CODAG e la Marina Militare colse l'occasione per sperimentare la stessa soluzione per il San Giorgio, che destinato ad effettuare lunghe crociere addestrative, avrebbe avuto possibilità di effettuare un lungo ed accurato collaudo di questo tipo di propulsione per verificare se avrebbe potuto costituire la soluzione ottimale da adottare per le nuove unità, la cui costruzione era prevista per il decennio successivo.
Al termine dei lavori la nave rientrò in servizio il 15 gennaio 1965 trasferendo la sua base operativa a La Spezia e alternando i compiti di nave scuola ad una ridotta attività di squadra; inoltre all'inizio del periodo estivo, prima di affrontare la crociera per gli allievi dell'Accademia di Livorno la nave svolgeva anche brevi crociere addestrative nel Mediterraneo per gli allievi del Collegio navale "Morosini" di Venezia.
Il 4 giugno 1968 l'unità prese parte alla parata navale svolta nel golfo di Napoli nel quadro delle celebrazioni del 50º anniversario della vittoria nella I guerra mondiale, in quella che è stata la più grande parata navale dopo la seconda guerra mondiale. L'unità nell'occasione ha ospitato a bordo il Presidente della Repubblica Saragat che ha assistito alla parata a bordo del Garibaldi sede del Comando in capo della squadra navale. Nell'occasione il San Giorgio, uscito dal porto immediatamente al seguito della nave ammiraglia, ha ospitato a bordo autorità civili e militari e tutti gli addetti navali e militari esteri accreditati presso il governo italiano.
Tra le crociere estive da menzionare quella del 1966 in Nord Europa, quella del 1967 in Canada e negli Stati Uniti, nel corso della quale attraverso il fiume San Lorenzo raggiunse i Grandi Laghi, quelle del 1968 e del 1975 in Sud America, quella del 1974 ai Caraibi e negli Stati Uniti e quella del 1977, quando si spinse fino alle acque della Malaysia e del Mar di Giava.
Nel 1966 la nave, al comando del capitano di vascello Giovanni Sorrentino partita dal porto di Livorno il 18 luglio rientrò il 21 ottobre avendo toccato i porti di Chatham, Edimburgo, Trondheim, Copenaghen, Göteborg, Amsterdam, Dublino, Bordeaux, Taranto, Trieste, Augusta e Portoferraio, attraversando nel corso della crociera per due volte, sia lo stretto di Gibilterra, sia il canale della Manica; la sosta a Chatham era inizialmente prevista a Londra, ma a causa di uno sciopero dei portuali di Londra, la nave dovette attraccare nella base navale di Chatham sull'estuario del Medway a sudest di Londra.
Nel 1967 la nave fece un viaggio di istruzione in nordamerica visitando Stati Uniti e Canada. Partita da Livorno il 20 luglio, dopo una sosta a Ponta Delgada raggiunse il porto di New York da dove dopo aver navigato lungo la costa orientale degli Stati Uniti e attraverso il fiume San Lorenzo raggiunse Toronto sulle rive dell'Ontario. Dopo avere bypassato le cascate del Niagara attraverso il Canale di Welland prosegui la sua navigazione attraverso il lago Erie, il fiume Detroit, il piccolo Lago St. Clair, il fiume Saint Clair, il Lago Huron, lo Stretto di Mackinac e il Lago Michigan, raggiungendo Chicago. Facendo il percorso inverso raggiunse poi sulle rive del San LorenzoMontréal dove ricevette a bordo il Presidente della Repubblica Saragat che in quei giorni era in visita ufficiale in Canada in occasione dell'Esposizione universale e internazionale Montréal 1967 che si svolse quell'anno nella città canadese dal 28 aprile al 27 ottobre. Proseguendo sulla via del ritorno dopo una visita a Québec e avere attraversato l'Atlantico fece sosta a Gibilterra e da li dopo aver toccato Taranto e Portoferraio il 22 ottobre fece rientro a Livorno avendo percorso 14850 miglia.
Nel 1968 la nave, partita da Livorno il 21 luglio, vi fece rientro il 28 ottobre, dopo aver toccato i porti di Casablanca, Abidjan, Santos, Montevideo, Buenos Aires, Rio de Janeiro, Recife, Caracas, Funchal e Portoferraio.
Nel 1974, la nave, partita dal porto di Livorno il 10 luglio, con a bordo gli allievi del corso Odissea, vi fece rientro il 2 ottobre dopo aver toccato Santa Cruz de Tenerife, Bridgetown, La Guaira, Cartagena, Port au Prince, Port Everglades, Filadelfia, Saint George, Casablanca e Portoferraio.
Nel 1977 la nave lasciata Livorno il 7 luglio al comando del capitano di vascello Benucci, vi fece ritorno il 14 ottobre, dopo aver attraversato due volte il canale di Suez, avendo toccato i porti di Alessandria, Gedda, Bombay, Colombo, Singapore, Giakarta, Madras, Karachi, Bandar Abbas, Aden, Istanbul, Pireo e Portoferraio. La crociera addestrativa del 1977 mise a dura prova le strutture della nave che durante la navigazione nell'Oceano Indiano venne investita dai monsoni, al punto che nel 1978 la crociera di addestramento estiva degli allievi dell'Accademia di Livorno venne svolta sul Vittorio Veneto dove l'hangar venne attrezzato come dormitorio per gli allievi.
Il San Giorgio venne ritirato dal servizio il 31 ottobre 1979 al termine dell'ultima crociera addestrativa effettuata nel Mediterraneo dal 18 luglio al 12 ottobre in cui la nave partita da Livorno ha toccato i porti di Casablanca, Tolone, Orano, Augusta, Pireo, Istanbul, Trieste, Taranto, La Goulette, Barcellona, La Spezia, Portoferraio. La nave ha effettuato l'ultimo ammainabandiera il 1º febbraio 1980 alle 11 del mattino, sotto un pallido sole spezzino. Insieme all'ultimo equipaggio erano presenti il primo comandante dopo la ricostruzione del dopoguerra, quello dell'ultima crociera, Capitano di Vascello Iaccheri, e tutti i comandanti dopo la trasformazione a nave scuola.
Dal 1955 al disarmo aveva percorso 418.000 miglia; dal 1965, dopo i lavori di trasformazione in nave scuola, aveva effettuato 14 crociere per gli Allievi dell'Accademia Navale di cui tre in Sud America, due in Nord America, quattro in Centro-Nord America, una in Asia, due in Nord Europa, una negli Stati Uniti e Nord Europa e una nel Mediterraneo.
Il San Giorgio è stato sostituito nel ruolo di nave scuola dall'incrociatore Caio Duilio opportunamente modificato per svolgere tale compito e dopo essere stato posto in disarmo venne successivamente radiato e demolito nel 1987.
Storia
In precedenza un'altra unità della Regia Marina aveva portato il nome San Giorgio. Si trattava di un incrociatore corazzato del 1908 che, dopo aver partecipato alla guerra italo-turca e alla prima guerra mondiale, era stato assegnato nel 1936 al ruolo di nave scuola presso l'Accademia navale di Livorno. Alla fine degli anni trenta fu convertito in incrociatore antiaereo e stanziato nella colonia di Libia il 10 giugno 1940. Il 21 gennaio 1941, in rada a Tobruch, si mandato a fondo dalla guarnigione italiana per prevenirne la cattura da parte delle avanzanti forze britanniche.
Attualmente nella Marina Militare il nome appartiene a una nave da sbarco, entrata in servizio alla fine degli anni ottanta: si tratta della capoclasse della classe San Giorgio
Le navi militari italiane che hanno portato il nome San Giorgio, compresa quella attualmente in servizio, hanno avuto tutte come unità gemella una nave di nome San Marco.
Il nome, nella Regia Marina, è stato anche di un piroscafo della Società Anonima di Navigazione a vapore Istria varato nel 1914 e iscritto, dal 12 maggio 1940, nei ruoli del Naviglio Ausiliario dello Stato, per poi tornare dopo la fine del conflitto a navigare come nave da carico.
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