domenica 21 agosto 2022

La società AERFER, il suo principale progettista, l'Ing. Sergio Stefanutti, i velivoli sviluppati e quelli progettati….

SI VIS PACEM, PARA BELLUM - “SVPPBELLUM.BLOGSPOT.COM"

….La guerra all’Ucraina ci deve insegnare che, se vuoi vivere in pace, 
devi essere sempre pronto a difendere la tua Libertà….

….Basta con la retorica sulle guerre umanitarie e sulle operazioni di pace. 
La guerra è guerra. Cerchiamo sempre di non farla, ma prepariamoci a vincerla…

…Ho ancora nel naso l’odore che faceva il grasso del fucile mitragliatore arroventato. Ho ancora nelle orecchie e sin dentro il cervello, il rumore della neve che crocchiava sotto le scarpe, gli starnuti e i colpi di tosse delle vedette di guardia, il suono delle erbe secche e delle pietre battute dal vento sulle rive del Tagliamento…


L'Aerfer nacque nel 1955 come erede della IMAM, che dalla Breda era transitata in Finmeccanica, e finì di esistere nel 1969, quando fu integrata con il settore aeronautico della Fiat e con la Salmoiraghi dando vita all’Aeritalia: un quindicennio di vita, quindi, nel periodo del boom economico italiano. Come azienda a partecipazione pubblica, ci si sarebbe aspettata una limitata dinamica; questo pregiudizio è rafforzato dall'altro legato al suo status di impresa meridionale, ma non è stato proprio così: il numero di progetti in cui prese parte e delle attività innovative, condotte in proprio o assieme ad altri, illustrano una notevole attività tecnologicamente avanzatissima per l’epoca.


Gli autobus ed i treni marcati Aerfer entrarono spesso nel paesaggio italiano. Dal punto di vista aeronautico, i progetti più famosi furono quelli legati alla serie di prototipi di caccia a reazione sviluppati dall’ing. Sergio Stefanutti e che dovevano condurre ad un caccia supersonico tutto italiano.



Aerfer - Industrie Meccaniche Meridionali Aeronautiche e Ferrotranviarie S.p.A. era un'azienda aeronautica, in precedenza di proprietà di Finmeccanica e poi Leonardo-Finmeccanica fino al 2016. Venne costituita a Napoli nel 1955 dalla originaria Aerfer e dalla IMAM (Industrie Meccaniche e Aeronautiche Meridionali).
L’azienda raggruppava le attività del polo aeronautico campano, essendo erede diretta delle Officine Ferroviarie meridionali (OFM) e della IMAM. Nel 1936 la IMAM fu acquisita dalla Breda, che nel dopoguerra la cedette a Finmeccanica. Aerfer inaugurò le politiche che sarebbero state caratteristiche dell'industria aeronautica italiana, cioè la produzione su licenza e gli accordi con i grandi produttori (in questo caso la statunitense Douglas, poi McDonnell-Douglas) per la realizzazione di componenti (ad esempio le fusoliere) dei grandi aerei commerciali. Nel 1969 Aerfer si fuse con la sezione aeronautica della FIAT per dare vita ad Aeritalia, mentre gli stabilimenti di Pozzuoli, che producevano rotabili ferroviari, presero il nome Sofer. La linea produttiva Aerfer comprendeva anche autobus e filobus, realizzati a partire dagli studi dell'Ufficio Tecnico Veicoli Stradali (UTVeS), rotabili ferroviari e cabine per camion Alfa Romeo Mille.















Produzione aeronautica:
  • Aerfer AE-130 (Convertiplano) (1957)
  • Aerfer AE 140 W030 (1957)
  • Aerfer Sagittario 2 (1958)
  • Aerfer Ariete (1958)
  • Aerfer Leone (1960).
Produzione ferroviaria:
  • Elettrotreno SEPSA ET.100 (1961)
  • Automotrice FS ALe 803 (1961).
Produzione autofiloviaria:
  • Aerfer AU.107, autobus su meccanica Fiat 642
  • Aerfer AU.110, autobus su meccanica Alfa Romeo 900 AU
  • Aerfer AU.210, autobus su meccanica Fiat 680
  • Aerfer AU.310, autobus su meccanica Fiat 401
  • Aerfer VE.511, autobus su meccanica Fiat 410
  • Aerfer VE.611, autobus su meccanica Alfa Romeo Mille AU7 e Fiat 410
  • Aerfer VE.111 "Metropol", autobus bipiano su meccanica Fiat 412
  • Aerfer VE.1204 "Raedapol", autobus interurbano su meccanica Fiat 309
  • Aerfer FI.110, filobus su meccanica Fiat 668F/200
  • Aerfer FI.711, filobus su meccanica Alfa Romeo 911 AF
  • Aerfer FI.711.2, filobus su meccanica Alfa Romeo Mille F/PD.

UN GRANDE PROGETTISTA: L’ING. SERGIO STEFANUTTI

Sergio Stefanutti (Udine, 27 settembre 1906 – 1992) è stato un ingegnere aeronautico italiano. Fu un progettista aeronautico, autore di alcune delle più interessanti realizzazioni aeronautiche italiane.


Negli anni '20 fu chiamato come progettista dalla SAI Ambrosini. È ricordato come il primo progettista di un aereo da caccia canard italiano, il SAI Ambrosini S.S.4, e poi di un ottimo monoplano da turismo, il SAI Ambrosini 7 e di due interessanti progetti di caccia leggero, arrivati quasi alla produzione in serie.






Questi ultimi erano ancora progettati per l'azienda Ambrosini e presero la denominazione di SAI Ambrosini 207 e 403. Erano velivoli realizzati con struttura in legno (attentamente studiata da Stefanutti in precedenti progetti e realizzazioni, come il già citato SAI 7), di peso ridottissimo e di grande manovrabilità. Il peso ridotto consentiva di usare un motore di ridotta potenza, quindi poco costoso, di ridotti consumi, di minore manutenzione. Le loro prove in volo furono per entrambi entusiasmanti, per cui se ne decise la produzione in serie, non avvenuta poi per le note vicende belliche che portarono l'Italia all'armistizio.
Lo Stefanutti è anche il primo progettista di un velivolo bellico teleguidato di serie, costruito dalla Aerolombarda e pronto alle operazioni all'armistizio. Nel dopoguerra Stefanutti si applicò al volo a getto, arrivando a progettare e realizzare il primo aviogetto da caccia di progettazione nazionale, che prese il nome di Aerfer Sagittario 2. Questo velivolo è visibile nel Museo storico dell'Aeronautica Militare nei pressi di Bracciano (Rm), insieme col successivo sviluppo che prevedeva anche l'uso di un razzo oltre al turbogetto per incrementare la spinta e la velocità di intercettazione. Questo velivolo, nella sua seconda variante, è il primo velivolo italiano ad aver superato la barriera del suono. Il velivolo non venne poi adottato dall'Aeronautica Militare.
Stefanutti era stato a capo della progettazione della società SAI-Ambrosini, una piccola azienda specializzata nelle costruzioni aeronautiche in legno. Quanto di più distante, se vogliamo, dall'obiettivo proposto: Stefanutti sapeva di dover operare con risorse limitate, impiegandole nel modo migliore possibile. In mancanza di valide gallerie del vento, che subito dopo la guerra in Italia non esistevano più, Stefanutti aveva iniziato a studiare l'ala a freccia su un biposto SAI-7 modificato, denominato "Freccia". Aveva successivamente sostituito il motore a pistoni Alfa Romeo con un piccolo turbogetto Turbomeca "Marborè", per poter esplorare un campo di velocità più ampio. Il "Freccia" era stato inoltre trasformato in biposto e l'aerodinamica, in particolare dell'ala, era stata rifinita; modificato in questo modo era stato denominato "Sagittario 1”.

SAI-AMBROSINI “SAI-7 Freccia”

Il SAI Ambrosini S.7 era un monomotore da addestramento ad ala bassa prodotto dalla Società Aeronautica Italiana Ambrosini alla fine degli anni quaranta.


















Derivato direttamente dal SAI Ambrosini 7 del periodo prebellico, fu uno dei velivoli di produzione nazionale che formarono l'ossatura della rinata aeronautica militare della Repubblica Italiana. I 145 esemplari costruiti furono utilizzati dalle scuole di volo militari nelle versioni monoposto e biposto ed affiancarono il più potente North American T-6 Texan nella formazione dei piloti prima di venire dismessi e venduti in minima parte ad aeroclub dove proseguirono la loro opera nell'istruzione di pilotaggio civile.




La possibilità di realizzare un aereo da addestramento derivato direttamente dal SAI 7 fu condivisa dall'ingegner Angelo Ambrosini e dall'allora capo di stato maggiore della Regia Aeronautica, generale Giuseppe Valle che, era il 1939, concordarono di valutare l'aereo in concorrenza con il Nardi FN.315 per il ruolo di formazione dei piloti degli aerei da caccia.
In epoca pressoché contemporanea l'allora tenente colonnello Umberto Nannini suggerì di derivare un aereo da caccia, sempre partendo dalla base del medesimo SAI 7.
Mentre da questa seconda proposta avrebbe avuto origine il caccia leggero SAI 107, il progetto per l'addestratore si concretizzò nelle fattezze del SAI S.7: sostanzialmente molto simile al predecessore, l'S.7 era caratterizzato dal lungo abitacolo vetrato che alloggiava i due membri dell'equipaggio disposti in tandem; mentre il disegno esteriore mostrava evidenti analogie che testimoniavano la diretta correlazione dei due velivoli, le differenze maggiormente evidenti tra i due aerei erano costituite dalla differente motorizzazione e dalle forme del carrello d'atterraggio, per quanto in entrambi i casi di tipo retrattile.
Non fu dato corso alla realizzazione di prototipi, ma i due esemplari di SAI 7 furono modificati al nuovo standard e fu avviata direttamente la realizzazione di un lotto di dieci esemplari di «preserie», il primo dei quali fu consegnato alla Regia Aeronautica nel giugno del 1942.
Secondo parte della storiografia reperita, la denominazione di questi dieci esemplari non cambiò e gli stessi vengono ancora identificati come «SAI 7».
Le successive vicende italiane rendono offuscata la sorte dei dieci S.7, secondo alcuni tutti consegnati entro l'agosto del 1943, mentre altri ritengono che non vi sia indicazione certa della consegna degli ultimi due.
Anche all'estero la sorte del monoplano di Stefanutti non ebbe maggior fortuna: l'interessamento per l'acquisto della licenza produttiva da parte delle autorità svizzere e ungheresi non sfociò in fatti concreti.
L'avvio della ricostruzione segnò però l'inizio di una nuova vita per l'S.7: rivisto ed ammodernato esteriormente, dotato di un nuovo profilo alare e (ancora una volta) di una nuova unità motrice, l'aereo fu scelto dall'Aeronautica Militare come addestratore per i piloti da caccia nel 1948. Nella nuova configurazione, il primo esemplare fu portato in volo nell'estate del 1949 e, questa volta, conobbe un successo incondizionato, prodotto in cinque serie costruttive per un totale di 117 velivoli in configurazione monoposto e 28 in configurazione biposto.
Nella primavera del 1952 fu infine presentato un nuovo prototipo per l'ennesimo sviluppo del monoplano, ulteriore passo evolutivo del progetto originario, ancora una volta ottenuto mediante l'introduzione di un nuovo motore; fu denominato Super S.7.
Il velivolo conservava la tecnica costruttiva del modello originale, ovvero fusoliera ed ala realizzate completamente in legno, quest'ultima montata bassa ed a sbalzo. La cabina di pilotaggio era chiusa, allungata per ricevere il secondo posto in tandem per le versioni biposto e dotata di un ampio tettuccio finestrato. Posteriormente il velivolo terminava in un classico impennaggio mono-deriva. Il carrello d'atterraggio era un classico triciclo posteriore, con gli elementi anteriori completamente retrattili all'interno dell'ala in direzione della fusoliera e completato con un ruotino d'appoggio carenato posto sotto la coda.
Mentre la motorizzazione dei primi dieci aerei costruiti a partire dal 1942 era affidata ad un Isotta Fraschini Beta RC.10 (motore a 6 cilindri in linea e raffreddati ad aria) da 280 CV (206 kW) di potenza, gli esemplari postbellici furono equipaggiati con un Alfa Romeo 115ter, un 6 cilindri in linea raffreddato ad aria, capace di 225 CV (165 kW), abbinato ad un'elica bipala.
Le consegne dei due SAI 7 modificati (matricole MM. 410 e 411) alla Regia Aeronautica, avvennero nel giugno del 1942; gli aerei furono assegnati alla 2ª Squadriglia del Gruppo Autonomo Volo della 3ª Squadra aerea mentre il primo esemplare del nuovo lotto di dieci S.7 (matricola MM. 56633) andò al 1º Reparto Volo del 1° Centro Sperimentale.
Nel dopoguerra l'S.7 venne impiegato, per breve tempo, dal 5º Stormo in attesa che venissero consegnati i caccia P-47 Thunderbolt; il 6º e il 51º Stormo li ebbero in dotazione direttamente nel ruolo originario di addestratori.
A partire dalla prima metà degli anni cinquanta gli aerei furono progressivamente dismessi dall'Aeronautica Militare per entrare a far parte del materiale di volo di diversi aero-club, prendendo parte a numerose manifestazioni sportive nelle quali ebbero modo di aggiudicarsi successi significativi.
Uno di questi velivoli, equipaggiato con motore de Havilland Gipsy Queen da 243 CV (179 kW) e condotto da Leonardo Bonzi, il 21 dicembre del 1951 si aggiudicò il primato mondiale di velocità sulla distanza di 100 km chilometri viaggiando a 367,36 km/h di media e quello sulla distanza di 1000 km alla media di 358,63 km/h.
Versioni:
  • S.7 monoposto - prodotto in 117 esemplari
  • S.7 biposto - prodotto in 28 esemplari.
  • Varianti:
  • SAI Ambrosini Super S.7.
Utilizzatori:
  • Italia - Aeronautica Militare.

AERFER SAGITTARIO I

Il SAI Ambrosini Sagittario o Sagittario I o Turbofreccia è stato il prototipo del primo aviogetto militare italiano del dopoguerra. Fu progettato dall'ing. Sergio Stefanutti e costruito dalla Società Aeronautica Italiana Ambrosini nel 1950. 
Era costruito in legno e montava un motore Alfa Romeo 115Ter da 225 hp; questo prototipo (detto anche prototipo 1) fu portato in volo la prima volta da Ireneo Di Crescenzo tra il 18 luglio e il 1 agosto, 1952. Questo modello venne sviluppato dal modello in legno dell'anteguerra SAI Ambrosini S.7, considerato «l'aereo più bello del mondo».
















Il Sagittario I utilizzava la fusoliera dell'S.7, del quale migliorava l'aerodinamica complessiva per il volo transonico con l'adozione di ali a freccia di 45°. Veniva considerato come modello di transizione in attesa di provare motori più prestazionali. La scelta di usare parti di un velivolo già costruito nasceva dalla necessità di utilizzare elementi collaudati, vista la mancanza nel dopoguerra di gallerie del vento, per effettuare i complessi collaudi di un prototipo completamente nuovo. Questo unico esemplare costruito servì per collaudare le ali a freccia e i fenomeni di compressione aerodinamica a velocità transonica.
Sul prototipo "Freccia" fu montato un Turbomeca Marboré II turbojet da 3,7 kN (840 lbf) di spinta a 22 600 giri/min; questo prototipo venne chiamato Sagittario I o Turbofreccia (o prototipo 2). Il Sagittario I il 26 marzo 1953 effettuò il primo volo a Ciampino. Successivamente nel 1953 da esso fu derivato il Sagittario 2, prodotto dalla ditta Aerfer più esperta in lavorazioni metalliche della SAI Ambrosini.
Fu il primo supersonico che concorse all'esame per l'adozione degli aerei NATO; diventando la naturale conclusione degli studi fatti sulle ali a freccia dalla SAI Ambrosini. Il primo volo del Sagittario fu effettuato a Vigna di Valle il 19 maggio 1956, dall'asso Costantino Petrosellini.
Caratteristico per la presenza di una presa d'aria sul "naso" della fusoliera, mentre lo scarico dei gas avveniva sotto il posto di pilotaggio. L'accesso al motore avveniva con l'apertura del rivestimento della fusoliera con un aspetto a petali. Nel prototipo la fusoliera in legno era allungata rispetto al precedente Freccia, mentre la parte anteriore della fusoliera che ospitava il motore era costruita in metallo.
Il carrello del Sagittario I aveva un alto ruotino posteriore a scomparsa che era schermato dai gas di scarico. Il successivo Sagittario II perderà il ruotino a favore di un più moderno carrello triciclo anteriore. Il Sagittario I ha volato per la prima volta il 5 gennaio 1953.
Utilizzatori: Italia - Aeronautica Militare - Impiegato esclusivamente in prove di valutazione.

AERFER SAGITTARIO II

Completate le prove con successo, il passo successivo richiedeva di realizzare una macchina in grado di velocità transoniche, quindi dotata di un motore più potente e necessariamente realizzata in metallo. La fabbricazione fu assegnata allora alla Aerfer, con finanziamenti NATO. Da qui nacque il "Sagittario 2" che vide la luce a Pomigliano d'Arco ed il cui primo volo fu effettuato a Vigna di Valle il 19 maggio 1956, dall'asso Costantino Petrosellini, uno dei pochi piloti italiani ad avere esperienza sui velivoli a getto, avendo volato sul nuovo Dassault "Mystère" francese.






















































Il "Sagittario 2" conservava la configurazione generale del "Sagittario 1", con il motore collocato nel muso, inclinato di circa 20°, e l'ugello di scarico circa sotto l'abitacolo, ma stavolta si trattava di un Rolls-Royce Derwent 9 da circa 1800 kg di spinta statica. Il velivolo era un po' più grande del predecessore in legno e utilizzava finalmente il carrello d'atterraggio con ruotino anteriore, in modo da non "cuocere" regolarmente il pneumatico, nonostante le protezioni, quasi ad ogni decollo con lo scarico del reattore. L'abitacolo era spostato in avanti ed aveva una cappottina a goccia, d'un sol pezzo. Era previsto anche un armamento ed un'evoluzione come caccia multiruolo.




Le prove di collaudo furono più che soddisfacenti, nonostante qualche momento di tensione. Petrosellini stesso riferisce di piantate improvvise del motore in un volo di prova. Il prof. Mario Calcara dell'Università di Napoli, all'epoca giovane ingegnere membro della squadra tecnica, ha confermato, nel corso di una lezione universitaria, di un volo in cui il caccia finì in vite rovescia e, quando sembrava che nessuna manovra di uscita funzionasse e non ci fosse più nulla da fare, si rimise in assetto quasi da solo. Fu riscontata una lieve instabilità fugoide, non critica per il pilotaggio. Lo stesso prof. Calcara sintetizzò le sue convinzioni in merito: "Abbiamo lavorato come gli artisti: per i musei". Petrosellini era entusiasta della macchina e dichiarò di preferirla all'F-86 statunitense: il fallimento finale del progetto, tutto politico, lo indusse a dimettersi dall’Aeronautica militare italiana. In un video esiste una sua testimonianza diretta.
Il Sagittario 2 è stata la prima macchina di progettazione italiana a superare il muro del suono, il 4 dicembre 1956, al termine di una picchiata. Ai comandi c'era Giovanni Franchini, che aveva preso il posto di Petrosellini nelle prove di collaudo.
Nelle intenzioni, doveva essere un passaggio intermedio per realizzare un caccia pienamente supersonico, ovvero l'Aerfer Leone.
Utilizzatori: 
  • Italia - Aeronautica Militare - Reparto Sperimentale di Volo.

Esemplari attualmente esistenti

L'unico esemplare di Sagittario 2 conservato in Italia è l'esemplare MM 561, il secondo prototipo realizzato, esposto presso il Museo storico dell'Aeronautica Militare. Un motore Derwent Aero è in bella mostra al Reparto Sperimentale di Volo.

Design e sviluppo

Il Sagittario 2 era basato sul precedente Sagittario, che era esso stesso uno sviluppo del velivolo da addestramento con motore a pistoni S.7 che entrò in servizio in piccolo numero con l'Aeronautica Militare Italiana.
Un piccolo aereo interamente in metallo, il Sagittario 2 aveva il suo motore a reazione montato nel muso, con lo scarico sotto la fusoliera centrale. Le superfici delle ali e della coda erano altamente spazzate. L'abitacolo è stato spostato in avanti rispetto alla sua posizione sui predecessori del Sagittario e dotato di un tettuccio a bolle. È stato montato un carrello triciclo, con il carrello anteriore retrattile sotto il motore. Lo sviluppo è continuato nel progetto dell'Ariete.
Operatori: 
  • L’Aeronautica Militare Italiana ha operato due velivoli per il test di valutazione.
Caratteristiche generali:
  • Equipaggio: 1
  • Lunghezza: 9,50 m (31 piedi 2 pollici)
  • Apertura alare: 7,50 m (24 piedi 7 pollici)
  • Altezza: 2,02 m (6 piedi 8 pollici)
  • Area dell'ala: 14,73 m 2 (158,6 piedi quadrati)
  • Proporzioni: 3,82
  • Profilo alare: radice: laminare simmetrico 8,5% di spessore, punta: laminare simmetrico 9,30% di spessore
  • Peso a vuoto: 2.300 kg (5.071 lb)
  • Peso lordo: 3.293 kg (7.260 libbre)
  • Capacità carburante: 1.200 l (320 US gal; 260 imp gal) in quattro serbatoi della fusoliera
  • Motopropulsore: 1 × Rolls-Royce Derwent 9 turbogetto a flusso centrifugo, spinta 16 kN (3.600 lbf).
Prestazioni:
  • Velocità massima: 1.006 km/h (625 mph, 543 kn)
  • Portata: 765 km (475 mi, 413 nmi)
  • Tangenza: 14.000 m (46.000 piedi)
  • Velocità di salita: 42 m/s (8.300 piedi/min)
  • Tempo all'altitudine: 12.000 m (39.370 piedi) in 10 minuti
  • Carico alare: 227 kg/m 2 (46 libbre/piedi quadrati)
  • Spinta/peso: 0,49.
Armamento:
  • Cannoni: 2 × 30 mm (1.181 pollici) Hispano-Suiza HSS 825 L/70 cannone con 300 rpg
  • Hardpoint: 2 con una capacità di 318 kg (701 lb), con disposizioni per trasportare combinazioni di:
  • Bombe: 2 bombe da 227 kg (500 libbre) o 2 carri armati al napalm da 318 kg (701 libbre)
  • Altro: 2 × mitragliatrici o cannoni
  • Razzi: razzi da 12 × 7,62 cm (3 pollici).

L’AERFER ARIETE 2

Il Sagittario II era un prototipo di caccia leggero, il primo sviluppo di quelli che sarebbero poi diventati l'Ariete II e il Leone, voci per un velivolo da attacco leggero che doveva essere prodotto per la NATO e finanziato principalmente dagli Stati Uniti. Solo il Sagittario II e l'Ariete II hanno lasciato il tavolo da disegno con il Sagittario II diventando il primo aereo italiano a rompere la barriera del suono.









Questa serie di velivoli venne progettata dall'Ing. Sergio Stefanutti, ingegnere di talento, noto per i suoi brillanti caccia leggeri della seconda guerra mondiale come il SS.4 e il SAI 207, che grazie a un'attenta progettazione aerodinamica e raffinatezza, fornivano prestazioni eccezionali nonostante la bassa potenza del motore disponibile. 


Al "Sagittario 2" seguì l' "Ariete", che incorporava un secondo motore a reazione in coda (un più piccolo Rolls-Royce Soar), per fornire spinta addizionale in decollo e quando necessaria, alimentato da una presa d'aria retrattile sul dorso. Proprio questo componente fu quello che causò maggiori problemi nel corso delle prove: più volte l'apertura non avvenne in modo regolare o si verificò spontaneamente, nel corso di alcune manovre. Tuttavia l' "Ariete" fornì i dati necessari a mettere a punto la configurazione bimotore.



Il prototipo dell’ “ARIETE” supersonico non fu mai completato e si collocava in questa ambiziosa linea di sviluppo.
Progetto tecnicamente molto avanzato per l'epoca, fu il primo aereo costruito in Italia a raggiungere e superare il muro del suono, il 4 dicembre 1956. Il pilota che compì questa straordinaria impresa fu il tenente colonnello Giovanni Franchini, eroe di guerra, collaudatore che concluse la sua carriera come generale di squadra aerea. Tra le sue particolarità vi era l'ugello di scarico posizionato sotto la fusoliera, mentre la presa d'aria era posta, come in molti aerei dell'epoca, sul muso. Questa configurazione lasciava libero ampio spazio in fusoliera per il carburante, consentendo così, a differenza di altri modelli coevi, una notevole autonomia.
Il primo esemplare, costruito presso lo stabilimento Aerfer di Pomigliano d'Arco, presso Napoli, ed immatricolato MM 560, venne portato in volo per la prima volta il 19 maggio 1956 dal pilota collaudatore Costantino Petrosellini, dall'aeroporto di Pratica di Mare, sede del Reparto Sperimentale di Volo dell'Aeronautica Militare, confermando con le sue caratteristiche di volo l'ottima base di partenza, superiore in prestazioni ai pari ruolo dell'epoca.
Il suo sviluppo venne bloccato dalla scelta NATO di utilizzare il Sabre americano.

L’AERFER “LEONE”

L'ultimo passo di sviluppo, quello decisivo, doveva infatti essere il "Leone". 













Interamente riprogettato, più grande dei suoi predecessori, con ala a freccia molto accentuata, presa d'aria supersonica con cono centrale in grado di ospitare il radar e propulso da un motore a razzo in coda in aggiunta al turbogetto; doveva essere un intercettore supersonico in grado di combinare lunga autonomia e capacità d'intervento rapido. Il turbogetto era un Bristol Siddeley Orpheus B.Or. 12. Il motore a razzo, un De Haviland Spectre, funzionava con lo stesso carburante avio del propulsore principale e con perossido d'idrogeno come ossidante, poteva essere avviato più volte in volo regolando la spinta in base alle necessità e non presentava le complicazioni del turbogetto addizionale. Rispondeva alla logica, rivelatasi corretta nell'impiego pratico, per cui le "puntate" in supersonico avrebbero dovuto essere limitate e per brevi periodi di tempo, durante l'intercettazione e l'attacco, mentre la gran parte del volo doveva avvenire alla velocità transonica.
Pensato per l'Italia ed i suoi lunghi confini, terrestri e marittimi, da sorvegliare, il "Leone" era inoltre meno complesso e costoso di altre macchine contemporanee. 
Nato come evoluzione dell'Ariete, il programma venne cancellato a causa di diverse scelte politiche quando il prototipo era oramai realizzato circa all'80%. L'anno era il 1960.
Dopo l'esperienza condotta con l'Ariete dotato di un turbogetto ausiliario Rolls-Royce Soar, Stefanutti decise di impiegare sul nuovo velivolo un motore a razzo a combustibile liquido di maggiore spinta, in aggiunta al turbogetto principale. Questo motore aveva anche il vantaggio di poter essere acceso e spento più volte, durante il volo. La propulsione ibrida razzo-reattore era all'epoca comune ad altri progetti, quali gli intercettori britannici Saunders-Roe SR.53 e SR-177; anche questo progetto, tuttavia, non raggiunse la produzione di serie.
Il caccia supersonico Aerfer Leone rappresentava la quinta ed ultima fase di tutta la lunga serie di prototipi realizzati per arrivare alla costruzione di un aereo da intercettazione. L'aspetto base rimaneva lo stesso dell'Ariete, ma il muso era notevolmente ingrandito per ospitare un Bristol Orpheus B.Or. 12 da 3.089 kg. di spinta. In coda era montato un motore razzo De Havilland Spectre da 4.100 kg. di spinta; in questo modo era eliminata la scomoda presa d'aria dorsale che molti problemi aveva causato all'Ariete. Nel muso era sistemato un radar da intercettazione. Nel 1958 il Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare Italiana, Gen. Silvio Napoli sospese il programma Leone per mancanza di fondi; presso la AERFER era già stato realizzato un simulacro in legno in scala 1:1 per studiare la collocazione degli impianti interni e di alcune sue componenti era già iniziata la costruzione. L'Aeronautica Militare avrebbe poi dovuto scegliere il Lockheed F-104 Starfighter per dotarsi di un caccia intercettore.
Era un monoplano da intercettazione di costruzione interamente metallica. L'ala era quella già sperimentata con il Sagittario II e l'Ariete ma adattata per le più avanzate caratteristiche di volo: la freccia sul bordo d'attacco passava così da 45° a 50°, lo spessore era uguale a quello dei precedenti velivoli alla radice e si riduceva invece nelle sezioni esterne. La fusoliera era stata ridisegnata a causa delle prestazioni più spinte richieste al Leone: la sezione frontale del turboreattore assiale, più ridotta di quello centrifugo meglio si adattava a questo nuovo compito. Il parabrezza e la capottina erano modificati. La sostituzione del turboreattore ausiliario presente sull'Ariete con un endoreattore, eliminando i problemi connessi con la seconda presa d'aria rendeva più semplice la struttura della fusoliera che risultava essere più lunga. Come nei precedenti aerei,  il carrello anteriore si ritraeva nel muso della fusoliera, ma questa volta veniva anche ruotata su sè stessa di 90°. Anteriormente, uno sportello longitudinale permetteva l'ispezione dei dispositivi di regolazione del reattore. Il carrello era dotato di gomme Dunlop e consentiva il decollo e l'atterraggio su terreni erbosi compatti di media consistenza. Il turboreattore Bristol Orpheus B.Or. 12 da 3.089 kg. di spinta era installato in posizione leggermente arretrata e l'angolo di inclinazione permetteva un migliore raccordo con la presa d'aria e il tubo di scarico. La turbina veniva a trovarsi quasi sotto l'abitacolo e il pilota era protetto verso il basso da una corazzatura contro i rischi di rottura delle palette del turboreattore. Il getto dei gas di scarico era maggiormente inclinato i modo da renderlo più prossimo al baricentro e così separarlo dalla fusoliera in modo da evitare l'installazione della piastra di protezione. La presa d'aria era di tipo supersonico e il cono centrale scorreva assialmente per migliorare le caratteristiche della vena fluida alle varie velocità. Il motore a razzo De Havilland Spectre da 4.100 kg. di spinta a 25.000 metri di quota aveva la linea di spinta quasi baricentrica ed era raffreddato da una camicia d'acciaio con circolazione d'aria esterna alimentata da prese d'aria NACA. Il combustibile impiegato era normale cherosene, mentre l'ossidante era perossido d'idrogeno all'80+-87%. Erano possibili il completo controllo della spinta e più accensioni consecutive. Il combustibile era alloggiato in quattro serbatoi, sia di tipo flessibile che in lega leggera rivettata, per un totale di 1.135 litri, mentre l'ossidante era contenuto in quattro serbatoi di tipo pressurizzato, per 1.015 litri totali. La pressione era ottenuta con bombole di azoto e il gas serviva anche per l'avviamento dell'endoreattore. Serbatoi alari potevano contenere altri 240 litri di cherosene o ossidante. Per i voli di trasferimento, i serbatoi portavano 2.390 litri di cherosene pari alla totale capacità dei serbatoi, non essendo necessario l'uso del motore a razzo. Il cono della presa d'aria alloggiava in un radome pressurizzato e refrigerato alle alte temperature, un radar CSF con antenna di 43 cm. che permetteva le seguenti prestazioni: scansione angolare 30°, raggio d'azione da 200 m. a 30 km., tracciamento da 200 m. a 6 km., direzione del tiro (connessa con il collimatore) da 200 m. a 3 km. Altri dispositivi installati erano: l'IFF, il TACAN e lo smorzatore di oscillazioni (damper). L'armamento era costituito da due missili aria-aria De Havilland Firestreak o Sidewinder, appesi sotto le due semiali. Potevano eventualmente essere aggiunte due armi da 12,7 mm. con 500 colpi ciascuna.
Il nuovo intercettore, pienamente supersonico, rappresentava l'ultima evoluzione della serie di prototipi iniziata con il Sagittario verso un caccia di produzione. Era ampiamente riprogettato rispetto all'Ariete, con fusoliera più lunga, capacità di carburante incrementata, nuovo tettuccio, ala a freccia di 50° e presa d'aria con spina conica contenente il radar.
La propulsione ibrida aveva lo scopo di consentire la massima flessibilità d'impiego, combinando ampia autonomia in crociera con la spinta addizionale necessaria per il volo supersonico e l'intercettazione.
La costruzione del prototipo era prossima al completamento quando i finanziamenti furono dirottati ad un altro importante programma: quello di fabbricazione su licenza del missile terra-aria statunitense Hawk per la cui realizzazione dovette essere potenziata l'industria elettronica nazionale attraverso la creazione della Selenia.
Del "Leone" fu realizzato soltanto un mock-up in legno, necessario a mettere a punto la disposizione di tutti gli impianti di bordo (in mancanza dei CAD si faceva così), poi tutti i finanziamenti, su pressione statunitense, furono cancellati e deviati altrove.

AERFER “AE 140 W030”

L'Aerfer AE 140 W030 era uno studio preliminare di un caccia intercettore supersonico teleguidato ideato dall'azienda aeronautica italiana Aerfer con sede a Pomigliano d'Arco (NA) nel 1957. Le carte dello studio di fattibilità furono sottratte al macero alla metà degli anni ottanta: erano state trovate sulla soglia della galleria del vento dell'Istituto di Progetto Velivoli della Facoltà di Ingegneria Aeronautica dell'Università degli Studi di Napoli "Federico II”. 


L'AERFER era una società del gruppo IRI-Finmeccanica costituita nel 1950 per riprendere le attività aeronautiche sospese a causa della seconda guerra mondiale. Nel 1969 entrò a far parte della neofondata Aeritalia.
Lo studio di fattibilità dell'Aerfer AE 140 W030 è datato 15 gennaio 1958. Sulla base di considerazioni favorevoli all'utilizzo di velivoli teleguidati, l'AERFER, in collaborazione con la Marconi Italiana, elaborò uno studio preliminare da utilizzare come base per definire le specifiche relative al progetto di un velivolo intercettore teleguidato. Questo studio prevedeva un velivolo canard dotato di un'ala a forte freccia e notevole diedro negativo per formare assieme all'impennaggio verticale una base stabile per il supporto del velivolo "con la coda in giù" durante la fase di atterraggio. Le superfici anteriori, del tipo interamente mobili, erano anch'esse a freccia con un diedro positivo; potevano essere azionate simultaneamente per il controllo longitudinale del velivolo e in modo differenziale per assicurare il controllo trasversale.
Il velivolo doveva essere equipaggiato con un radar per l'acquisizione e l'inseguimento del bersaglio ed un elaboratore elettronico per il posizionamento ed il tiro del tipo analogo a quelli installati negli intercettori pilotati dell’epoca.
Per il sistema di guida furono valutate due soluzioni: 
  • una di tipo inerziale;
  • ed una radio guidata del tipo Shanicle ("Short Range Navigation Vehicle") a navigazione iperbolica opportunamente modificata. 
Il sistema di guida Shanicle utilizzava emettitori di microonde basati a terra per generare una griglia iperbolica per la distanza e l'altezza, che veniva utilizzata dal missile per trovare il proprio obiettivo. L'apparato propulsivo previsto era un motore a razzo del tipo de Havilland Spectre con una spinta massima regolabile di 8 000 lbf (35,6 N).
Il booster di lancio a propellente solido aveva una spinta di circa 178.000 N per 4 secondi.
L'atterraggio sarebbe dovuto avvenire a coda in giù sugli ammortizzatori installati alle estremità sulla deriva ed alle estremità alari. La discesa del velivolo, una volta frenato alla velocità desiderata dal motore a razzo, sarebbe stata stabilizzata da un paracadute.
All'epoca l'intercettazione dei bombardieri o dei cacciabombardieri attaccanti era teoricamente orientata secondo due direttrici principali: 
  • velivoli intercettori pilotati 
  • e missili terra-aria. 
Secondo l'analisi descritta nella brochure dell'Aerfer, i progressi delle caratteristiche di volo dei velivoli da combattimento rendevano l'intercettazione di un velivolo pilotato incerta ed estremamente difficoltosa. Questo era dovuto al fatto che nel binomio uomo-velivolo le caratteristiche di velocità dei velivoli crescevano continuamente mentre il tempo trascorso tra l'avvistamento della minaccia e l'azione del pilota rimaneva invariata. 
In sostanza, l'uomo era ancora considerato il punto debole del sistema.

(Fonti: Web, Google, Fremmauno, Wikipedia, You Tube)














 

venerdì 19 agosto 2022

Ing. Secondo Campini (1904 - 1980)

SI VIS PACEM, PARA BELLUM - “SVPPBELLUM.BLOGSPOT.COM"

….La guerra all’Ucraina ci deve insegnare che, se vuoi vivere in pace, 
devi essere sempre pronto a difendere la tua Libertà….

….Basta con la retorica sulle guerre umanitarie e sulle operazioni di pace. 
La guerra è guerra. Cerchiamo sempre di non farla, ma prepariamoci a vincerla…

…Ho ancora nel naso l’odore che faceva il grasso del fucile mitragliatore arroventato. Ho ancora nelle orecchie e sin dentro il cervello, il rumore della neve che crocchiava sotto le scarpe, gli starnuti e i colpi di tosse delle vedette di guardia, il suono delle erbe secche e delle pietre battute dal vento sulle rive del Tagliamento…


Secondo Campini (Bologna, 28 agosto 1904 – Milano, 7 febbraio 1980) è stato un ingegnere italiano. Si occupò di motoristica studiando sistemi di propulsione a reazione per natanti ed aeroplani.



Dopo essersi laureato all'Università di Bologna presso la Scuola d'Applicazione d'Ingegneria, nel 1931 si trasferì coi famigliari a Milano, per mettere in pratica le sue teorie sulla propulsione a reazione fondò la società V.E.N.A.R. (Velivoli E Natanti A Reazione). Il primo progetto ad essere realizzato fu un motoscafo a reazione ordinato dal Ministero dell'Aeronautica e provato con successo a Venezia nel 1932.


Fra il 1931 e il 1934 realizzò un motore a getto per aerei, più precisamente un motoreattore che consisteva di un compressore (formato da tre stadi di giranti a 15 palette ciascuno) azionato da un motore alternativo, un condotto dinamico (Venturi), un gruppo anulare di bruciatori ed un ugello di scarico, regolabile con un comando idraulico, che forniva la spinta di reazione.
I bruciatori servivano a surriscaldare l'aria compressa resa già calda dalla compressione (e dal calore disperso dal motore alternativo e dai gas di scarico dello stesso), aumentando la spinta ottenibile con la sola compressione. Ciò significava che, in linea di principio, il motore poteva funzionare anche senza l'ausilio dei bruciatori, sfruttando unicamente l'aria compressa, con rendimenti, ovviamente, inferiori a quelli di un normale motore alternativo accoppiato a un'elica.









Il motore fu montato su un nuovo aereo, il Campini-Caproni C.C.2, realizzato dalla Caproni fra il 1934 e il 1940. Era lungo 13,12 metri, con un'apertura alare di 15,86 metri, e toccava i 500 km/h a 3.000 metri di quota. Il motore alternativo utilizzato per la costruzione del motore a getto di Campini era l'Isotta Fraschini Asso L.121 RC.40 da 900 CV
Il velivolo effettuò un volo regolare Milano-Guidonia (Roma) nel 1941, ma non ebbe seguito.

Altri progetti di Campini, mai realizzati, furono:
  • Monoplano Stratosferico denominato C.S.3 (Campini Secondo 3), con una variante C.S.4 con diversa sistemazione dei motori e del carrello;
  • Giroplano a reazione C.S.5 / C.S.6 ideati nel 1939;
  • Monoplani bimotore a getto C.S.7 e C.S.8 precursori del C.S.10;
  • l bireattore da caccia pesante del 1942 Campini C.S.10;
  • Bombardiere bimotore a getto C.S.11 di cui furono pensate due versioni, la prima nel 1942 azionato da motori DB605A ed un altro nel 1943 azionato da motori Reggiane RE L103.
Vincitore del premio della Fondazione Marconi istituito dal Gruppo Emiliano dei Cavalieri del Lavoro.
Tra il 1942 e il 1945 elaborò con Mario de Bernardi, già collaudatore del C.C.2, un progetto per un sommergibile tascabile d'assalto, con una turbina a reazione a ossigeno e nafta per la navigazione in immersione. A tale progetto fu interessato anche la Marina imperiale giapponese e dopo il 8 settembre 1943 anche la Kriegsmarine. In tale periodo Campini si trovò a Rovereto dove furono spostati i suoi uffici dopo i continui raid aerei su Milano. Il 22 marzo 1944 la Campini-Caproni stipulò un contratto di fornitura per 50 mini sommergibili con la marina militare tedesca. Gli apparecchi non furono mai forniti, ma almeno un prototipo fu sottoposto ad alcuni test nel Lago di Garda.
Dopo la seconda guerra mondiale si interruppe la collaborazione con Caproni e Campini accettò un incarico di lavoro da Preston Tucker. Nel 1948 si trasferì negli Stati Uniti. Poi lavorò anche su progetti militari del governo, tra cui l'YB-35. 



Non rimase negli Stati Uniti e nel 1951 rientrò a Milano. Fino al suo ritiro dall'attività lavorativa nel 1970 proseguì nello studio e nella progettazione di mezzi innovativi e motori di propulsione, tra cui il volo suborbitale.

LE IDEE

Campini progettò due velivoli tra la fine del 1941 e l'inizio del 1942 utilizzando il suo motore "jet" che in realtà era una ventola intubata ad aria compressa, a volte con postcombustore: era il ”motoreattore". I due progetti furono presentati dal celebre comandante De Bernardi nel marzo 1942 al Ministero dell’Aeronautica e vennero "congelati" il 2 aprile fino al mese di settembre in attesa dei previsti test sul Caproni-Campini. Ad ottobre il rapporto ufficiale sui test fu abbastanza positivo e successivamente fu convocata la Commissione Progetti. Sembrerebbe che l’ing. Campini abbia proceduto da solo nel progetto, raggiungendo un accordo preliminare con la Caproni per la realizzazione di due prototipi e di due nuovi progetti di bombardieri nel marzo 1943. Campini provò a contattare Filippo Zappata (ex CANT, ora Breda) per rimotorizzare il bombardiere BZ-303 con due motoreattori senza postcombustori. 


Come noto, il BZ-303 non volò mai. In alternativa, il BZ-303 era previsto che avrebbe ricevuto in dotazione due turboelica di produzione tedesca o cecoslovacca (!?).

Dati tecnici dei progetti

Bombardiere: 
  • Apertura alare 19,4m, 
  • superficie alare 50 mq, 
  • peso strutturale 4950 kg, 
  • carburante-armamento-piloti-lubrificanti,ecc 3420 kg, 
  • equipaggio 3, 
  • armi difensive sei mitragliatrici 12,7 mm (2400 colpi), 
  • bombe 1000 kg, 
  • velocità massima 750 km/h, 
  • autonomia 1500 km. 

Caccia: 
  • Ap. Alare 12,3 m, 
  • Sup. alare 19,78 mq, 
  • peso strutturale 2140 kg, 
  • equipaggio-ecc 1110 kg, 
  • armi 4 mitragliatrici 12,7 mm (2000 colpi) 2 cannoni 20 mm (150 colpi), 
  • velocità massima 850 km/h, Autonomia 600 km, 
  • equipaggio 1.

I motoreattori erano spinti da un propulsore DB-605 (il caccia) o due (il bombardiere). 
Entrambi gli aerei utilizzavano postcombustori.

IL MOTORE DELL’ING.CAMPINI

La descrizione corretta per il motore di Campini sarebbe “turbo-ramjet”. Alle basse velocità l'aria veniva compressa dal compressore assiale a 3 stadi azionato dal motore L121 o altro. L'aria passava sopra il motore caldo, espandendosi come un normale "getto" prima di fluire indietro lungo un ugello. I postbruciatori venivano accesi alle spalle del motore per dare più spinta. A regimi più elevati Campini intendeva spegnere il motore facendo subentrare una compressione dinamica ed i bruciatori, ottenendo una maggiore efficienza.

Le prestazioni del CC.2

La maggior parte delle fonti fornisce una velocità di 330 km/h a 3000 m con una tangenza di circa 4000 m. Tuttavia Storia Militare afferma che Mario De Bernardi con il CC.2 "toccò facilmente i 500 km/h a 5800 mt durante le prove nel 1942; è probabile che i primi voli nel 1940 dovessero dimostrare che volava bene, non di più.

Motori turboelica cecoslovacchi per il BZ303…

Il rapporto ufficiale del Centro Sperimentale di Guidonia riportava il numero 72 datato 8 ottobre 1942. Forse è più facile trovarlo negli archivi statunitensi che in quelli italiani. Un precedente rapporto del Capitano Prof. Luigi Crocco, datato 22 settembre 1942, affermava che il CC-2 migliorava del 20% la velocità per una data potenza installata ma con un consumo di carburante maggiore.
Ciò che mancava al designer aeronautico italiano erano i motori, poi i motori e infine i motori... E le aziende mancavano di esperienza in strutture interamente metalliche su larga scala e nella gestione di programmi complessi per la produzione in grande serie. I record aeronautici degli anni '20 e '30, fino al 1936 circa, convinsero il grande pubblico e la classe dirigente di essere all'avanguardia in campo aeronautico: venne impostata una velocità di crociera, mentre gli altri stavano accelerando. Già nel 1938 le compagnie aeree italiane stavano cercando di acquistare aerei di linea da una azienda statunitense (e il Ministero dell'Aeronautica considerava seriamente il B-17 come un bombardiere di prima linea). Anche negli idrovolanti fu quasi vicino un accordo con la Convair per la linea transatlantica, mentre in Italia c'erano dei veri geni nella progettazione degli idrovolanti.
La velocità massima dei caccia vicina agli 850 km/h non sembrava troppo lontana: sarebbero stati necessari circa 1000 kgf per raggiungere l’ambita velocità. Il CC.2 erogava 750 kgf da 900 CV, quindi scalandolo fino al DB605 si potevano ottenere facilmente 1000 kgf. Avere due set di bruciatori, uno in ciascuna gondola, rendeva più facile ottenere quel valore. Poco più di una tonnellata in carburante, lubrificanti, idraulica, pilota e munizioni era troppo bassa. Probabilmente era stata ideata una costruzione tutta in alluminio, oppure l’ing. Campini stava semplicemente bluffando... Anche il peso del bombardiere era troppo basso: 1500 Kg per i due DB...

(Fonti: Web, Google, secretprojects, Wikipedia, You Tube)































 

mercoledì 17 agosto 2022

Marina russa: l'SSBN “Arktur”, è stato presentato ai media unitamente ad un drone subacqueo gregario XLUUV “Surrogat-V”


SI VIS PACEM, PARA BELLUM - “SVPPBELLUM.BLOGSPOT.COM"

….La guerra all’Ucraina ci deve insegnare che, se vuoi vivere in pace, 
devi essere sempre pronto a difendere la tua Libertà….

….Basta con la retorica sulle guerre umanitarie e sulle operazioni di pace. 
La guerra è guerra. Cerchiamo sempre di non farla, ma prepariamoci a vincerla…

…Ho ancora nel naso l’odore che faceva il grasso del fucile mitragliatore arroventato. Ho ancora nelle orecchie e sin dentro il cervello, il rumore della neve che crocchiava sotto le scarpe, gli starnuti e i colpi di tosse delle vedette di guardia, il suono delle erbe secche e delle pietre battute dal vento sulle rive del Tagliamento…

L’SSBN russo denominato “Arktur” presenta un nuovo concetto di guida e quelli che sembrano XLUUV gregari “Surrogat-V”.



Un modello di quello che sembra essere un nuovo concetto di sottomarino dall'aspetto elegante è apparso alla mostra Army 2022 in Russia. Il battello, denominato “Arktur”, è stato presentato ai media unitamente ad un drone subacqueo gregario XLUUV “Surrogat-V”.
L’8^ edizione della mostra “Army 2022”, si è aperta quest’anno al Patriot Park di Kubinka, appena fuori Mosca. Il nome Arktur sembra tradursi in inglese come Arcturus, che è la stella più luminosa della costellazione di Bootes, mentre Surrogat-V è semplicemente Surrogate-V.



I dettagli sul sottomarino Arktur sono estremamente limitati, ma un cartello davanti al modello sembra indicare che si tratta principalmente di un sottomarino con missili balistici, o SSBN, ottimizzato per operare nella regione artica. Il modello mostra chiaramente uno scafo idro-dinamico con una vela a basso profilo.
Se il modello è della stessa scala di quello di un SSBN Progetto 955A Borei-A, posizionato accanto ad esso, è possibile che i due possano avere dimensioni e dislocamento simili. Il progetto Borei-A è lungo poco meno di 558 piedi, è largo circa 44 piedi nel punto più largo e disloca circa 24.000 tonnellate in immersione, secondo i dati disponibili al pubblico. Rispetto alla serie Borei, tuttavia, l’Arktur ha uno scafo tozzo e più capiente. Altri paesi, inclusi gli Stati Uniti e la Svezia, hanno esplorato il medesimo design durante la Guerra Fredda.
L'Arktur sembra avere una disposizione del propulsore completamente protetta, che sembra progettata per far entrare l'acqua attraverso quattro condotti separati su entrambi i lati della poppa - in alto e in basso - e quindi essere quindi espulsa attraverso le sezioni degli ugelli nella poppa. Non è chiaro se il progetto implichi o meno “pump-jet” nascosti nella coda del sottomarino, sebbene disposizioni in qualche modo simili che utilizzano “pump-jet” siano state viste su altri progetti di sottomarini avanzati esteri. I “pump-jet” sono in alcuni casi più efficienti delle tipiche eliche e possono ridurre la firma acustica di un sottomarino che può rimanere più tempo in modalità “occulta”; tale stato di cose può fare la differenza per la sopravvivenza o meno di qualsiasi sottomarino.
Non c'è alcuna indicazione in un modo o nell'altro che abbia una sorta di sistema di propulsione più innovativo, come una configurazione completamente elettrica. Evoca pensieri sull'immaginario "bruco" magneto-idrodinamico dal famoso romanzo di Tom Clancy The Hunt For Red October e dal film con lo stesso nome.
Invece di una più tradizionale disposizione del timone e della pinna caudale a croce o a forma di X, l’Arkyur ha anche due serie di pinne caudali verticali inclinate verso l'interno sopra e sotto entrambi i lati della sezione della coda.
In termini di capacità apparenti dell’Arktur, sebbene descritte come un concetto di SSBN, gli elementi visivamente più accattivanti sono i due grandi vani di carico utili con apertura laterale verso poppa, uno dei quali è raffigurato sul modello come contenente un XLUUV gregario “Surrogat-V”.
L'XLUUV ha anche un design a profilo molto basso, con quello che sembra essere un singolo propulsore a getto di pompa nella parte posteriore. Utilizza anche una sorta di schema mimetico, composto da triangoli blu tassellati, sulla parte superiore dello scafo. Lo schema potrebbe rendere più difficile individuare visivamente il sottomarino drone quando naviga in superficie o vicino ad essa, specialmente nelle aree litorali o costiere. L'XLUUV potrebbe dover operare almeno vicino alla superficie di tanto in tanto per altri motivi, inclusa la ricezione di nuove istruzioni, la trasmissione di altri dati, l'implementazione di un qualche tipo di carico utile e l'utilizzo di sensori opto-elettronici montati sull'albero.
Come si vede nell'immagine allegata, il modello stand-alone del Surrogat-V mostra dettagli aggiuntivi, inclusi pannelli piatti verniciati di rosso nella parte anteriore che potrebbero riflettere sonar o altri sistemi di sensori utilizzati per la navigazione. E’ altresì interessante osservare che ha carenature dorsali e ventrali verso l'estremità di prua, ciascuna con più sporgenze rivolte in avanti del tipo che sono spesso associate a sistemi segreti di rilevamento della scia. Questi sistemi hanno lo scopo di rilevare e tracciare i sottomarini nemici e altri oggetti di interesse: dai cambiamenti nella densità dell'acqua lasciati sulla loro scia, piuttosto che dalla loro firma acustica.
Il modello dell’SSBN Arktur mostra che il progetto ha almeno 12 grandi tubi di carico utile lungo lo scafo posteriore: due sono raffigurati come aperti, uno con una copertura superiore piatta che potrebbe riflettere un missile lanciato verticalmente di qualche tipo caricato all'interno, e un altro con un braccio esteso che regge quello che sembra essere un piccolo UUV simile a un siluro. Quest'ultima capacità è molto simile nella forma e nella funzione generale ai sistemi che sono stati sviluppati per i quattro SSBN della classe Ohio della Marina degli Stati Uniti che sono stati convertiti in sottomarini missilistici guidati SSGN, e che ora potrebbero avere capacità multi-missione.
Il sottomarino nucleare Arktur sembra avere in dotazione quattro tubi lanciasiluri, due ciascuno su entrambi i lati della sua prua. Sembra esserci il contorno di un grande portello allungato nella parte centrale superiore della prua che si trova comunemente sui sottomarini russi (e precedentemente sovietici), ed è tipicamente associato al caricamento di siluri e altri carichi utili lanciati da tubi lanciasiluri.
I contorni di una serie di piccoli boccaporti sulla parte superiore della vela sembrano molto probabilmente associati a periscopi completamente retrattili e altri alberi dei sensori.

Capacità di trasportare fino a due XLUUV Surrogat-V

Da ciò che è visibile sul modello e da ciò che si evince dalla descrizione ufficiale, l’Arktur è un concetto molto interessante per un futuro SSBN, in particolare per la sua potenziale capacità di trasportare fino a due XLUUV Surrogat-V. Anche se non è del tutto chiaro quali potrebbero essere le capacità previste di quei sottomarini con droni, non è difficile immaginare come potrebbero essere utilizzati come una sorta di "leali gregari" sottomarini per aiutare a proteggere la risorsa strategica di altissimo valore da cui vengono lanciati e recuperati. Con i propri sensori, potrebbero fungere da picchetti per monitorare i sottomarini nemici ostili mentre la loro nave madre 'trapana un buco nell'oceano' nascondendosi per preservare il suo ruolo di deterrente per un eventuale secondo attacco. I "Surrogat-V" subacquei senza equipaggio potrebbero anche essere in grado di agire come esche a un certo livello ed essere in grado di agire direttamente contro qualsiasi minaccia eventuale.
Ovviamente, dato che l’Arktur e il Surrogat-V sembrano entrambi almeno pensati per essere capaci di operazioni molto silenziose, questa coppia potrebbe potenzialmente intraprendere anche altre missioni. Una variante non SSBN della nave madre potrebbe essere in grado di spostarsi discretamente vicino o addirittura all'interno di un'area bersaglio e quindi utilizzare i droni sottomarini dei per svolgere compiti che vanno dalla raccolta di informazioni agli attacchi non cinetici e cinetici. 


I Surrogat-V, o altri UUV più piccoli, potrebbero aiutare a scovare obiettivi o altri oggetti di interesse, che potrebbero quindi essere colpiti usando armi che l’Arktur potrebbe aver imbarcato o da altre risorse russe.
Tutto sommato, da ciò che è visibile sul modello, il sottomarino Arktur sembrerebbe avere il potenziale per essere più di un semplice SSBN. Da quello che possiamo capire, il concetto ha alcuni elementi molto generali in comune con gli SSGN Ohio della US NAVY e, forse in misura minore, con l'enorme nave da missione speciale russa Belgorod, che è un SSGN di classe Oscar II di tipo 949A altamente modificato ed è attualmente il sottomarino più lungo esistente. 




Il Belgorod può lanciare siluri del "giorno del giudizio" a propulsione nucleare e nucleare Poseidon, oltre a fungere da nave madre per mini-sottomarini con e senza equipaggio, tra le altre capacità segnalate.





È notorio che la Russia è molto attiva nell'acquisizione di XLUUV di grandi dimensioni, compresi quelli che potrebbero essere lanciati da sottomarini navi madre. Questa non è nemmeno la prima volta che il governo russo parla dello sviluppo di grandi sottomarini progettati per l’Oceano Artico.
Anche prima che il cambiamento climatico globale iniziasse ad aprire l'accesso all'Artico in modi nuovi, il che ha portato a una nuova competizione geopolitica ed economica e ai timori di un conflitto nella regione, era noto da tempo come un terreno di gioco per i sottomarini e altre attività sottomarine. Da anni ormai, la Russia ha un interesse altrettanto chiaro nell'espansione della sua presenza sopra e sotto l'acqua nell'Artico, per includere la potenziale collocazione di reattori nucleari sottomarini e altre nuove infrastrutture sul fondo del mare.
Per tutto quanto evidenziato, vale la pena notare che l’Arktur ha il logo del Rubin Design Bureau russo sulle pinne caudali verticali. Rubin è un prolifico progettista di sottomarini e altri veicoli subacquei: in passato è stato responsabile dell’85% di tutto lo sviluppo dei sottomarini sovietici e russi dal 1901. Il suo portafoglio include sicuramente progetti più convenzionali, come la classe Borei-A. Allo stesso tempo, RUBIN è stato responsabile di lavori molto avanzati e di nicchia, tra cui la conversione del Belgorod, del siluro nucleare Poseidon, del mini-sottomarino segreto Losharik incentrato sullo spionaggio e lo sviluppo di una serie di UUV specializzati. Sullo stesso tavolo, con i modelli Arktur e Surrogat-V, oltre a quello del Borei-A, c'era un altro di quello che sembra essere un nuovo diverso progetto di mini-sottomarino chiamato “Ye-Amur”.
Il design Ye-Amur, che è completamente elettrico secondo il segno di accompagnamento, utilizza un'elica non protetta più tradizionale e pinne posteriori a forma di X nella parte posteriore, insieme a due alberi retrattili sulla parte superiore. Ha quelli che sembrano essere quattro tubi lanciasiluri a prua e quelle che potrebbero essere otto celle per il lancio verticale di carichi utili, oltre allo stesso motivo "mimetico" tassellato sulla parte superiore del modello Surrogat-V. 


Lo Ye-Amur sembra molto in linea, almeno nel concetto generale, con l’XLUUV “ORCA” che la Boeing sta attualmente sviluppando per la Marina degli Stati Uniti.
In qualsiasi discussione sugli sforzi avanzati di sviluppo militare russo, è sempre importante sottolineare che la federazione russa ha una lunga storia di ritardi, rinvii e cancellazioni di programmi a causa di problemi di finanziamento. Inoltre, il governo russo, in particolare il suo settore della difesa, è ora sottoposto a una serie particolarmente diversificata di dure sanzioni internazionali a causa della guerra in Ucraina. Il Cremlino deve pagare per mantenere in funzione la sua macchina da guerra e ora si trova di fronte alla prospettiva di dover fare seri investimenti per ricostituire le sue forze convenzionali e ricostruire le aree occupate, a seconda di come alla fine il conflitto si risolverà.
Tuttavia, il lavoro di sviluppo avanzato dei sottomarini è un'area in cui il Cremlino ha applicato costantemente risorse significative e prodotto risultati reali. Funzionari militari statunitensi negli ultimi anni hanno affermato che i sottomarini russi dell'attuale generazione sono equivalenti o quasi equivalenti ai tipi americani in termini di prestazioni e capacità e presentano reali minacce anche quando operano relativamente vicino alle coste statunitensi. Il design del sottomarino missilistico guidato Yasen-M a propulsione nucleare ultra-silenzioso ha attirato particolare attenzione da parte delle autorità degli Stati Uniti e di altre parti dell'alleanza NATO.
Quindi, mentre resta da vedere se l’Arktur, o il Surrogat-V o lo Ye-Amur, o qualcosa di simile, alla fine diventino realtà, sembrano riflettere molto le capacità reali che la Marina russa intende perseguire ed ottenere nel futuro prossimo.

Il sottomarino nucleare “Arctur” sarà più piccolo del 20% grazie alle nuove armi

A causa del miglioramento delle armi missilistiche, il sottomarino nucleare strategico della futura quinta generazione avrà un dislocamento inferiore del 20%.
“Il continuo miglioramento delle armi missilistiche consente di ridurre il numero di missili a bordo mantenendo il potenziale di combattimento della unità sottomarina. Per questo motivo, e anche per il cambiamento nell'architettura, l’SSBN Arctur avrà il 20% in meno di stazza rispetto ai moderni vettori missilistici:
  • la sua lunghezza sarà di 134 metri, 
  • la larghezza 15,7 metri, 
  • con un equipaggio di circa 100 persone”, 
ha affermato un rappresentante di Rubin.
Secondo il funzionario, "le navi del nuovo progetto sostituiranno i vettori missilistici classe Borey-A non prima della seconda metà del secolo".

(Fonti: Web, Google, Thedrive, newsunrolled, Wikipedia, You Tube)