domenica 21 agosto 2022

La società AERFER, il suo principale progettista, l'Ing. Sergio Stefanutti, i velivoli sviluppati e quelli progettati….

SI VIS PACEM, PARA BELLUM - “SVPPBELLUM.BLOGSPOT.COM"

….La guerra all’Ucraina ci deve insegnare che, se vuoi vivere in pace, 
devi essere sempre pronto a difendere la tua Libertà….

….Basta con la retorica sulle guerre umanitarie e sulle operazioni di pace. 
La guerra è guerra. Cerchiamo sempre di non farla, ma prepariamoci a vincerla…

…Ho ancora nel naso l’odore che faceva il grasso del fucile mitragliatore arroventato. Ho ancora nelle orecchie e sin dentro il cervello, il rumore della neve che crocchiava sotto le scarpe, gli starnuti e i colpi di tosse delle vedette di guardia, il suono delle erbe secche e delle pietre battute dal vento sulle rive del Tagliamento…


L'Aerfer nacque nel 1955 come erede della IMAM, che dalla Breda era transitata in Finmeccanica, e finì di esistere nel 1969, quando fu integrata con il settore aeronautico della Fiat e con la Salmoiraghi dando vita all’Aeritalia: un quindicennio di vita, quindi, nel periodo del boom economico italiano. Come azienda a partecipazione pubblica, ci si sarebbe aspettata una limitata dinamica; questo pregiudizio è rafforzato dall'altro legato al suo status di impresa meridionale, ma non è stato proprio così: il numero di progetti in cui prese parte e delle attività innovative, condotte in proprio o assieme ad altri, illustrano una notevole attività tecnologicamente avanzatissima per l’epoca.


Gli autobus ed i treni marcati Aerfer entrarono spesso nel paesaggio italiano. Dal punto di vista aeronautico, i progetti più famosi furono quelli legati alla serie di prototipi di caccia a reazione sviluppati dall’ing. Sergio Stefanutti e che dovevano condurre ad un caccia supersonico tutto italiano.



Aerfer - Industrie Meccaniche Meridionali Aeronautiche e Ferrotranviarie S.p.A. era un'azienda aeronautica, in precedenza di proprietà di Finmeccanica e poi Leonardo-Finmeccanica fino al 2016. Venne costituita a Napoli nel 1955 dalla originaria Aerfer e dalla IMAM (Industrie Meccaniche e Aeronautiche Meridionali).
L’azienda raggruppava le attività del polo aeronautico campano, essendo erede diretta delle Officine Ferroviarie meridionali (OFM) e della IMAM. Nel 1936 la IMAM fu acquisita dalla Breda, che nel dopoguerra la cedette a Finmeccanica. Aerfer inaugurò le politiche che sarebbero state caratteristiche dell'industria aeronautica italiana, cioè la produzione su licenza e gli accordi con i grandi produttori (in questo caso la statunitense Douglas, poi McDonnell-Douglas) per la realizzazione di componenti (ad esempio le fusoliere) dei grandi aerei commerciali. Nel 1969 Aerfer si fuse con la sezione aeronautica della FIAT per dare vita ad Aeritalia, mentre gli stabilimenti di Pozzuoli, che producevano rotabili ferroviari, presero il nome Sofer. La linea produttiva Aerfer comprendeva anche autobus e filobus, realizzati a partire dagli studi dell'Ufficio Tecnico Veicoli Stradali (UTVeS), rotabili ferroviari e cabine per camion Alfa Romeo Mille.















Produzione aeronautica:
  • Aerfer AE-130 (Convertiplano) (1957)
  • Aerfer AE 140 W030 (1957)
  • Aerfer Sagittario 2 (1958)
  • Aerfer Ariete (1958)
  • Aerfer Leone (1960).
Produzione ferroviaria:
  • Elettrotreno SEPSA ET.100 (1961)
  • Automotrice FS ALe 803 (1961).
Produzione autofiloviaria:
  • Aerfer AU.107, autobus su meccanica Fiat 642
  • Aerfer AU.110, autobus su meccanica Alfa Romeo 900 AU
  • Aerfer AU.210, autobus su meccanica Fiat 680
  • Aerfer AU.310, autobus su meccanica Fiat 401
  • Aerfer VE.511, autobus su meccanica Fiat 410
  • Aerfer VE.611, autobus su meccanica Alfa Romeo Mille AU7 e Fiat 410
  • Aerfer VE.111 "Metropol", autobus bipiano su meccanica Fiat 412
  • Aerfer VE.1204 "Raedapol", autobus interurbano su meccanica Fiat 309
  • Aerfer FI.110, filobus su meccanica Fiat 668F/200
  • Aerfer FI.711, filobus su meccanica Alfa Romeo 911 AF
  • Aerfer FI.711.2, filobus su meccanica Alfa Romeo Mille F/PD.

UN GRANDE PROGETTISTA: L’ING. SERGIO STEFANUTTI

Sergio Stefanutti (Udine, 27 settembre 1906 – 1992) è stato un ingegnere aeronautico italiano. Fu un progettista aeronautico, autore di alcune delle più interessanti realizzazioni aeronautiche italiane.


Negli anni '20 fu chiamato come progettista dalla SAI Ambrosini. È ricordato come il primo progettista di un aereo da caccia canard italiano, il SAI Ambrosini S.S.4, e poi di un ottimo monoplano da turismo, il SAI Ambrosini 7 e di due interessanti progetti di caccia leggero, arrivati quasi alla produzione in serie.






Questi ultimi erano ancora progettati per l'azienda Ambrosini e presero la denominazione di SAI Ambrosini 207 e 403. Erano velivoli realizzati con struttura in legno (attentamente studiata da Stefanutti in precedenti progetti e realizzazioni, come il già citato SAI 7), di peso ridottissimo e di grande manovrabilità. Il peso ridotto consentiva di usare un motore di ridotta potenza, quindi poco costoso, di ridotti consumi, di minore manutenzione. Le loro prove in volo furono per entrambi entusiasmanti, per cui se ne decise la produzione in serie, non avvenuta poi per le note vicende belliche che portarono l'Italia all'armistizio.
Lo Stefanutti è anche il primo progettista di un velivolo bellico teleguidato di serie, costruito dalla Aerolombarda e pronto alle operazioni all'armistizio. Nel dopoguerra Stefanutti si applicò al volo a getto, arrivando a progettare e realizzare il primo aviogetto da caccia di progettazione nazionale, che prese il nome di Aerfer Sagittario 2. Questo velivolo è visibile nel Museo storico dell'Aeronautica Militare nei pressi di Bracciano (Rm), insieme col successivo sviluppo che prevedeva anche l'uso di un razzo oltre al turbogetto per incrementare la spinta e la velocità di intercettazione. Questo velivolo, nella sua seconda variante, è il primo velivolo italiano ad aver superato la barriera del suono. Il velivolo non venne poi adottato dall'Aeronautica Militare.
Stefanutti era stato a capo della progettazione della società SAI-Ambrosini, una piccola azienda specializzata nelle costruzioni aeronautiche in legno. Quanto di più distante, se vogliamo, dall'obiettivo proposto: Stefanutti sapeva di dover operare con risorse limitate, impiegandole nel modo migliore possibile. In mancanza di valide gallerie del vento, che subito dopo la guerra in Italia non esistevano più, Stefanutti aveva iniziato a studiare l'ala a freccia su un biposto SAI-7 modificato, denominato "Freccia". Aveva successivamente sostituito il motore a pistoni Alfa Romeo con un piccolo turbogetto Turbomeca "Marborè", per poter esplorare un campo di velocità più ampio. Il "Freccia" era stato inoltre trasformato in biposto e l'aerodinamica, in particolare dell'ala, era stata rifinita; modificato in questo modo era stato denominato "Sagittario 1”.

SAI-AMBROSINI “SAI-7 Freccia”

Il SAI Ambrosini S.7 era un monomotore da addestramento ad ala bassa prodotto dalla Società Aeronautica Italiana Ambrosini alla fine degli anni quaranta.


















Derivato direttamente dal SAI Ambrosini 7 del periodo prebellico, fu uno dei velivoli di produzione nazionale che formarono l'ossatura della rinata aeronautica militare della Repubblica Italiana. I 145 esemplari costruiti furono utilizzati dalle scuole di volo militari nelle versioni monoposto e biposto ed affiancarono il più potente North American T-6 Texan nella formazione dei piloti prima di venire dismessi e venduti in minima parte ad aeroclub dove proseguirono la loro opera nell'istruzione di pilotaggio civile.




La possibilità di realizzare un aereo da addestramento derivato direttamente dal SAI 7 fu condivisa dall'ingegner Angelo Ambrosini e dall'allora capo di stato maggiore della Regia Aeronautica, generale Giuseppe Valle che, era il 1939, concordarono di valutare l'aereo in concorrenza con il Nardi FN.315 per il ruolo di formazione dei piloti degli aerei da caccia.
In epoca pressoché contemporanea l'allora tenente colonnello Umberto Nannini suggerì di derivare un aereo da caccia, sempre partendo dalla base del medesimo SAI 7.
Mentre da questa seconda proposta avrebbe avuto origine il caccia leggero SAI 107, il progetto per l'addestratore si concretizzò nelle fattezze del SAI S.7: sostanzialmente molto simile al predecessore, l'S.7 era caratterizzato dal lungo abitacolo vetrato che alloggiava i due membri dell'equipaggio disposti in tandem; mentre il disegno esteriore mostrava evidenti analogie che testimoniavano la diretta correlazione dei due velivoli, le differenze maggiormente evidenti tra i due aerei erano costituite dalla differente motorizzazione e dalle forme del carrello d'atterraggio, per quanto in entrambi i casi di tipo retrattile.
Non fu dato corso alla realizzazione di prototipi, ma i due esemplari di SAI 7 furono modificati al nuovo standard e fu avviata direttamente la realizzazione di un lotto di dieci esemplari di «preserie», il primo dei quali fu consegnato alla Regia Aeronautica nel giugno del 1942.
Secondo parte della storiografia reperita, la denominazione di questi dieci esemplari non cambiò e gli stessi vengono ancora identificati come «SAI 7».
Le successive vicende italiane rendono offuscata la sorte dei dieci S.7, secondo alcuni tutti consegnati entro l'agosto del 1943, mentre altri ritengono che non vi sia indicazione certa della consegna degli ultimi due.
Anche all'estero la sorte del monoplano di Stefanutti non ebbe maggior fortuna: l'interessamento per l'acquisto della licenza produttiva da parte delle autorità svizzere e ungheresi non sfociò in fatti concreti.
L'avvio della ricostruzione segnò però l'inizio di una nuova vita per l'S.7: rivisto ed ammodernato esteriormente, dotato di un nuovo profilo alare e (ancora una volta) di una nuova unità motrice, l'aereo fu scelto dall'Aeronautica Militare come addestratore per i piloti da caccia nel 1948. Nella nuova configurazione, il primo esemplare fu portato in volo nell'estate del 1949 e, questa volta, conobbe un successo incondizionato, prodotto in cinque serie costruttive per un totale di 117 velivoli in configurazione monoposto e 28 in configurazione biposto.
Nella primavera del 1952 fu infine presentato un nuovo prototipo per l'ennesimo sviluppo del monoplano, ulteriore passo evolutivo del progetto originario, ancora una volta ottenuto mediante l'introduzione di un nuovo motore; fu denominato Super S.7.
Il velivolo conservava la tecnica costruttiva del modello originale, ovvero fusoliera ed ala realizzate completamente in legno, quest'ultima montata bassa ed a sbalzo. La cabina di pilotaggio era chiusa, allungata per ricevere il secondo posto in tandem per le versioni biposto e dotata di un ampio tettuccio finestrato. Posteriormente il velivolo terminava in un classico impennaggio mono-deriva. Il carrello d'atterraggio era un classico triciclo posteriore, con gli elementi anteriori completamente retrattili all'interno dell'ala in direzione della fusoliera e completato con un ruotino d'appoggio carenato posto sotto la coda.
Mentre la motorizzazione dei primi dieci aerei costruiti a partire dal 1942 era affidata ad un Isotta Fraschini Beta RC.10 (motore a 6 cilindri in linea e raffreddati ad aria) da 280 CV (206 kW) di potenza, gli esemplari postbellici furono equipaggiati con un Alfa Romeo 115ter, un 6 cilindri in linea raffreddato ad aria, capace di 225 CV (165 kW), abbinato ad un'elica bipala.
Le consegne dei due SAI 7 modificati (matricole MM. 410 e 411) alla Regia Aeronautica, avvennero nel giugno del 1942; gli aerei furono assegnati alla 2ª Squadriglia del Gruppo Autonomo Volo della 3ª Squadra aerea mentre il primo esemplare del nuovo lotto di dieci S.7 (matricola MM. 56633) andò al 1º Reparto Volo del 1° Centro Sperimentale.
Nel dopoguerra l'S.7 venne impiegato, per breve tempo, dal 5º Stormo in attesa che venissero consegnati i caccia P-47 Thunderbolt; il 6º e il 51º Stormo li ebbero in dotazione direttamente nel ruolo originario di addestratori.
A partire dalla prima metà degli anni cinquanta gli aerei furono progressivamente dismessi dall'Aeronautica Militare per entrare a far parte del materiale di volo di diversi aero-club, prendendo parte a numerose manifestazioni sportive nelle quali ebbero modo di aggiudicarsi successi significativi.
Uno di questi velivoli, equipaggiato con motore de Havilland Gipsy Queen da 243 CV (179 kW) e condotto da Leonardo Bonzi, il 21 dicembre del 1951 si aggiudicò il primato mondiale di velocità sulla distanza di 100 km chilometri viaggiando a 367,36 km/h di media e quello sulla distanza di 1000 km alla media di 358,63 km/h.
Versioni:
  • S.7 monoposto - prodotto in 117 esemplari
  • S.7 biposto - prodotto in 28 esemplari.
  • Varianti:
  • SAI Ambrosini Super S.7.
Utilizzatori:
  • Italia - Aeronautica Militare.

AERFER SAGITTARIO I

Il SAI Ambrosini Sagittario o Sagittario I o Turbofreccia è stato il prototipo del primo aviogetto militare italiano del dopoguerra. Fu progettato dall'ing. Sergio Stefanutti e costruito dalla Società Aeronautica Italiana Ambrosini nel 1950. 
Era costruito in legno e montava un motore Alfa Romeo 115Ter da 225 hp; questo prototipo (detto anche prototipo 1) fu portato in volo la prima volta da Ireneo Di Crescenzo tra il 18 luglio e il 1 agosto, 1952. Questo modello venne sviluppato dal modello in legno dell'anteguerra SAI Ambrosini S.7, considerato «l'aereo più bello del mondo».
















Il Sagittario I utilizzava la fusoliera dell'S.7, del quale migliorava l'aerodinamica complessiva per il volo transonico con l'adozione di ali a freccia di 45°. Veniva considerato come modello di transizione in attesa di provare motori più prestazionali. La scelta di usare parti di un velivolo già costruito nasceva dalla necessità di utilizzare elementi collaudati, vista la mancanza nel dopoguerra di gallerie del vento, per effettuare i complessi collaudi di un prototipo completamente nuovo. Questo unico esemplare costruito servì per collaudare le ali a freccia e i fenomeni di compressione aerodinamica a velocità transonica.
Sul prototipo "Freccia" fu montato un Turbomeca Marboré II turbojet da 3,7 kN (840 lbf) di spinta a 22 600 giri/min; questo prototipo venne chiamato Sagittario I o Turbofreccia (o prototipo 2). Il Sagittario I il 26 marzo 1953 effettuò il primo volo a Ciampino. Successivamente nel 1953 da esso fu derivato il Sagittario 2, prodotto dalla ditta Aerfer più esperta in lavorazioni metalliche della SAI Ambrosini.
Fu il primo supersonico che concorse all'esame per l'adozione degli aerei NATO; diventando la naturale conclusione degli studi fatti sulle ali a freccia dalla SAI Ambrosini. Il primo volo del Sagittario fu effettuato a Vigna di Valle il 19 maggio 1956, dall'asso Costantino Petrosellini.
Caratteristico per la presenza di una presa d'aria sul "naso" della fusoliera, mentre lo scarico dei gas avveniva sotto il posto di pilotaggio. L'accesso al motore avveniva con l'apertura del rivestimento della fusoliera con un aspetto a petali. Nel prototipo la fusoliera in legno era allungata rispetto al precedente Freccia, mentre la parte anteriore della fusoliera che ospitava il motore era costruita in metallo.
Il carrello del Sagittario I aveva un alto ruotino posteriore a scomparsa che era schermato dai gas di scarico. Il successivo Sagittario II perderà il ruotino a favore di un più moderno carrello triciclo anteriore. Il Sagittario I ha volato per la prima volta il 5 gennaio 1953.
Utilizzatori: Italia - Aeronautica Militare - Impiegato esclusivamente in prove di valutazione.

AERFER SAGITTARIO II

Completate le prove con successo, il passo successivo richiedeva di realizzare una macchina in grado di velocità transoniche, quindi dotata di un motore più potente e necessariamente realizzata in metallo. La fabbricazione fu assegnata allora alla Aerfer, con finanziamenti NATO. Da qui nacque il "Sagittario 2" che vide la luce a Pomigliano d'Arco ed il cui primo volo fu effettuato a Vigna di Valle il 19 maggio 1956, dall'asso Costantino Petrosellini, uno dei pochi piloti italiani ad avere esperienza sui velivoli a getto, avendo volato sul nuovo Dassault "Mystère" francese.






















































Il "Sagittario 2" conservava la configurazione generale del "Sagittario 1", con il motore collocato nel muso, inclinato di circa 20°, e l'ugello di scarico circa sotto l'abitacolo, ma stavolta si trattava di un Rolls-Royce Derwent 9 da circa 1800 kg di spinta statica. Il velivolo era un po' più grande del predecessore in legno e utilizzava finalmente il carrello d'atterraggio con ruotino anteriore, in modo da non "cuocere" regolarmente il pneumatico, nonostante le protezioni, quasi ad ogni decollo con lo scarico del reattore. L'abitacolo era spostato in avanti ed aveva una cappottina a goccia, d'un sol pezzo. Era previsto anche un armamento ed un'evoluzione come caccia multiruolo.




Le prove di collaudo furono più che soddisfacenti, nonostante qualche momento di tensione. Petrosellini stesso riferisce di piantate improvvise del motore in un volo di prova. Il prof. Mario Calcara dell'Università di Napoli, all'epoca giovane ingegnere membro della squadra tecnica, ha confermato, nel corso di una lezione universitaria, di un volo in cui il caccia finì in vite rovescia e, quando sembrava che nessuna manovra di uscita funzionasse e non ci fosse più nulla da fare, si rimise in assetto quasi da solo. Fu riscontata una lieve instabilità fugoide, non critica per il pilotaggio. Lo stesso prof. Calcara sintetizzò le sue convinzioni in merito: "Abbiamo lavorato come gli artisti: per i musei". Petrosellini era entusiasta della macchina e dichiarò di preferirla all'F-86 statunitense: il fallimento finale del progetto, tutto politico, lo indusse a dimettersi dall’Aeronautica militare italiana. In un video esiste una sua testimonianza diretta.
Il Sagittario 2 è stata la prima macchina di progettazione italiana a superare il muro del suono, il 4 dicembre 1956, al termine di una picchiata. Ai comandi c'era Giovanni Franchini, che aveva preso il posto di Petrosellini nelle prove di collaudo.
Nelle intenzioni, doveva essere un passaggio intermedio per realizzare un caccia pienamente supersonico, ovvero l'Aerfer Leone.
Utilizzatori: 
  • Italia - Aeronautica Militare - Reparto Sperimentale di Volo.

Esemplari attualmente esistenti

L'unico esemplare di Sagittario 2 conservato in Italia è l'esemplare MM 561, il secondo prototipo realizzato, esposto presso il Museo storico dell'Aeronautica Militare. Un motore Derwent Aero è in bella mostra al Reparto Sperimentale di Volo.

Design e sviluppo

Il Sagittario 2 era basato sul precedente Sagittario, che era esso stesso uno sviluppo del velivolo da addestramento con motore a pistoni S.7 che entrò in servizio in piccolo numero con l'Aeronautica Militare Italiana.
Un piccolo aereo interamente in metallo, il Sagittario 2 aveva il suo motore a reazione montato nel muso, con lo scarico sotto la fusoliera centrale. Le superfici delle ali e della coda erano altamente spazzate. L'abitacolo è stato spostato in avanti rispetto alla sua posizione sui predecessori del Sagittario e dotato di un tettuccio a bolle. È stato montato un carrello triciclo, con il carrello anteriore retrattile sotto il motore. Lo sviluppo è continuato nel progetto dell'Ariete.
Operatori: 
  • L’Aeronautica Militare Italiana ha operato due velivoli per il test di valutazione.
Caratteristiche generali:
  • Equipaggio: 1
  • Lunghezza: 9,50 m (31 piedi 2 pollici)
  • Apertura alare: 7,50 m (24 piedi 7 pollici)
  • Altezza: 2,02 m (6 piedi 8 pollici)
  • Area dell'ala: 14,73 m 2 (158,6 piedi quadrati)
  • Proporzioni: 3,82
  • Profilo alare: radice: laminare simmetrico 8,5% di spessore, punta: laminare simmetrico 9,30% di spessore
  • Peso a vuoto: 2.300 kg (5.071 lb)
  • Peso lordo: 3.293 kg (7.260 libbre)
  • Capacità carburante: 1.200 l (320 US gal; 260 imp gal) in quattro serbatoi della fusoliera
  • Motopropulsore: 1 × Rolls-Royce Derwent 9 turbogetto a flusso centrifugo, spinta 16 kN (3.600 lbf).
Prestazioni:
  • Velocità massima: 1.006 km/h (625 mph, 543 kn)
  • Portata: 765 km (475 mi, 413 nmi)
  • Tangenza: 14.000 m (46.000 piedi)
  • Velocità di salita: 42 m/s (8.300 piedi/min)
  • Tempo all'altitudine: 12.000 m (39.370 piedi) in 10 minuti
  • Carico alare: 227 kg/m 2 (46 libbre/piedi quadrati)
  • Spinta/peso: 0,49.
Armamento:
  • Cannoni: 2 × 30 mm (1.181 pollici) Hispano-Suiza HSS 825 L/70 cannone con 300 rpg
  • Hardpoint: 2 con una capacità di 318 kg (701 lb), con disposizioni per trasportare combinazioni di:
  • Bombe: 2 bombe da 227 kg (500 libbre) o 2 carri armati al napalm da 318 kg (701 libbre)
  • Altro: 2 × mitragliatrici o cannoni
  • Razzi: razzi da 12 × 7,62 cm (3 pollici).

L’AERFER ARIETE 2

Il Sagittario II era un prototipo di caccia leggero, il primo sviluppo di quelli che sarebbero poi diventati l'Ariete II e il Leone, voci per un velivolo da attacco leggero che doveva essere prodotto per la NATO e finanziato principalmente dagli Stati Uniti. Solo il Sagittario II e l'Ariete II hanno lasciato il tavolo da disegno con il Sagittario II diventando il primo aereo italiano a rompere la barriera del suono.









Questa serie di velivoli venne progettata dall'Ing. Sergio Stefanutti, ingegnere di talento, noto per i suoi brillanti caccia leggeri della seconda guerra mondiale come il SS.4 e il SAI 207, che grazie a un'attenta progettazione aerodinamica e raffinatezza, fornivano prestazioni eccezionali nonostante la bassa potenza del motore disponibile. 


Al "Sagittario 2" seguì l' "Ariete", che incorporava un secondo motore a reazione in coda (un più piccolo Rolls-Royce Soar), per fornire spinta addizionale in decollo e quando necessaria, alimentato da una presa d'aria retrattile sul dorso. Proprio questo componente fu quello che causò maggiori problemi nel corso delle prove: più volte l'apertura non avvenne in modo regolare o si verificò spontaneamente, nel corso di alcune manovre. Tuttavia l' "Ariete" fornì i dati necessari a mettere a punto la configurazione bimotore.



Il prototipo dell’ “ARIETE” supersonico non fu mai completato e si collocava in questa ambiziosa linea di sviluppo.
Progetto tecnicamente molto avanzato per l'epoca, fu il primo aereo costruito in Italia a raggiungere e superare il muro del suono, il 4 dicembre 1956. Il pilota che compì questa straordinaria impresa fu il tenente colonnello Giovanni Franchini, eroe di guerra, collaudatore che concluse la sua carriera come generale di squadra aerea. Tra le sue particolarità vi era l'ugello di scarico posizionato sotto la fusoliera, mentre la presa d'aria era posta, come in molti aerei dell'epoca, sul muso. Questa configurazione lasciava libero ampio spazio in fusoliera per il carburante, consentendo così, a differenza di altri modelli coevi, una notevole autonomia.
Il primo esemplare, costruito presso lo stabilimento Aerfer di Pomigliano d'Arco, presso Napoli, ed immatricolato MM 560, venne portato in volo per la prima volta il 19 maggio 1956 dal pilota collaudatore Costantino Petrosellini, dall'aeroporto di Pratica di Mare, sede del Reparto Sperimentale di Volo dell'Aeronautica Militare, confermando con le sue caratteristiche di volo l'ottima base di partenza, superiore in prestazioni ai pari ruolo dell'epoca.
Il suo sviluppo venne bloccato dalla scelta NATO di utilizzare il Sabre americano.

L’AERFER “LEONE”

L'ultimo passo di sviluppo, quello decisivo, doveva infatti essere il "Leone". 













Interamente riprogettato, più grande dei suoi predecessori, con ala a freccia molto accentuata, presa d'aria supersonica con cono centrale in grado di ospitare il radar e propulso da un motore a razzo in coda in aggiunta al turbogetto; doveva essere un intercettore supersonico in grado di combinare lunga autonomia e capacità d'intervento rapido. Il turbogetto era un Bristol Siddeley Orpheus B.Or. 12. Il motore a razzo, un De Haviland Spectre, funzionava con lo stesso carburante avio del propulsore principale e con perossido d'idrogeno come ossidante, poteva essere avviato più volte in volo regolando la spinta in base alle necessità e non presentava le complicazioni del turbogetto addizionale. Rispondeva alla logica, rivelatasi corretta nell'impiego pratico, per cui le "puntate" in supersonico avrebbero dovuto essere limitate e per brevi periodi di tempo, durante l'intercettazione e l'attacco, mentre la gran parte del volo doveva avvenire alla velocità transonica.
Pensato per l'Italia ed i suoi lunghi confini, terrestri e marittimi, da sorvegliare, il "Leone" era inoltre meno complesso e costoso di altre macchine contemporanee. 
Nato come evoluzione dell'Ariete, il programma venne cancellato a causa di diverse scelte politiche quando il prototipo era oramai realizzato circa all'80%. L'anno era il 1960.
Dopo l'esperienza condotta con l'Ariete dotato di un turbogetto ausiliario Rolls-Royce Soar, Stefanutti decise di impiegare sul nuovo velivolo un motore a razzo a combustibile liquido di maggiore spinta, in aggiunta al turbogetto principale. Questo motore aveva anche il vantaggio di poter essere acceso e spento più volte, durante il volo. La propulsione ibrida razzo-reattore era all'epoca comune ad altri progetti, quali gli intercettori britannici Saunders-Roe SR.53 e SR-177; anche questo progetto, tuttavia, non raggiunse la produzione di serie.
Il caccia supersonico Aerfer Leone rappresentava la quinta ed ultima fase di tutta la lunga serie di prototipi realizzati per arrivare alla costruzione di un aereo da intercettazione. L'aspetto base rimaneva lo stesso dell'Ariete, ma il muso era notevolmente ingrandito per ospitare un Bristol Orpheus B.Or. 12 da 3.089 kg. di spinta. In coda era montato un motore razzo De Havilland Spectre da 4.100 kg. di spinta; in questo modo era eliminata la scomoda presa d'aria dorsale che molti problemi aveva causato all'Ariete. Nel muso era sistemato un radar da intercettazione. Nel 1958 il Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare Italiana, Gen. Silvio Napoli sospese il programma Leone per mancanza di fondi; presso la AERFER era già stato realizzato un simulacro in legno in scala 1:1 per studiare la collocazione degli impianti interni e di alcune sue componenti era già iniziata la costruzione. L'Aeronautica Militare avrebbe poi dovuto scegliere il Lockheed F-104 Starfighter per dotarsi di un caccia intercettore.
Era un monoplano da intercettazione di costruzione interamente metallica. L'ala era quella già sperimentata con il Sagittario II e l'Ariete ma adattata per le più avanzate caratteristiche di volo: la freccia sul bordo d'attacco passava così da 45° a 50°, lo spessore era uguale a quello dei precedenti velivoli alla radice e si riduceva invece nelle sezioni esterne. La fusoliera era stata ridisegnata a causa delle prestazioni più spinte richieste al Leone: la sezione frontale del turboreattore assiale, più ridotta di quello centrifugo meglio si adattava a questo nuovo compito. Il parabrezza e la capottina erano modificati. La sostituzione del turboreattore ausiliario presente sull'Ariete con un endoreattore, eliminando i problemi connessi con la seconda presa d'aria rendeva più semplice la struttura della fusoliera che risultava essere più lunga. Come nei precedenti aerei,  il carrello anteriore si ritraeva nel muso della fusoliera, ma questa volta veniva anche ruotata su sè stessa di 90°. Anteriormente, uno sportello longitudinale permetteva l'ispezione dei dispositivi di regolazione del reattore. Il carrello era dotato di gomme Dunlop e consentiva il decollo e l'atterraggio su terreni erbosi compatti di media consistenza. Il turboreattore Bristol Orpheus B.Or. 12 da 3.089 kg. di spinta era installato in posizione leggermente arretrata e l'angolo di inclinazione permetteva un migliore raccordo con la presa d'aria e il tubo di scarico. La turbina veniva a trovarsi quasi sotto l'abitacolo e il pilota era protetto verso il basso da una corazzatura contro i rischi di rottura delle palette del turboreattore. Il getto dei gas di scarico era maggiormente inclinato i modo da renderlo più prossimo al baricentro e così separarlo dalla fusoliera in modo da evitare l'installazione della piastra di protezione. La presa d'aria era di tipo supersonico e il cono centrale scorreva assialmente per migliorare le caratteristiche della vena fluida alle varie velocità. Il motore a razzo De Havilland Spectre da 4.100 kg. di spinta a 25.000 metri di quota aveva la linea di spinta quasi baricentrica ed era raffreddato da una camicia d'acciaio con circolazione d'aria esterna alimentata da prese d'aria NACA. Il combustibile impiegato era normale cherosene, mentre l'ossidante era perossido d'idrogeno all'80+-87%. Erano possibili il completo controllo della spinta e più accensioni consecutive. Il combustibile era alloggiato in quattro serbatoi, sia di tipo flessibile che in lega leggera rivettata, per un totale di 1.135 litri, mentre l'ossidante era contenuto in quattro serbatoi di tipo pressurizzato, per 1.015 litri totali. La pressione era ottenuta con bombole di azoto e il gas serviva anche per l'avviamento dell'endoreattore. Serbatoi alari potevano contenere altri 240 litri di cherosene o ossidante. Per i voli di trasferimento, i serbatoi portavano 2.390 litri di cherosene pari alla totale capacità dei serbatoi, non essendo necessario l'uso del motore a razzo. Il cono della presa d'aria alloggiava in un radome pressurizzato e refrigerato alle alte temperature, un radar CSF con antenna di 43 cm. che permetteva le seguenti prestazioni: scansione angolare 30°, raggio d'azione da 200 m. a 30 km., tracciamento da 200 m. a 6 km., direzione del tiro (connessa con il collimatore) da 200 m. a 3 km. Altri dispositivi installati erano: l'IFF, il TACAN e lo smorzatore di oscillazioni (damper). L'armamento era costituito da due missili aria-aria De Havilland Firestreak o Sidewinder, appesi sotto le due semiali. Potevano eventualmente essere aggiunte due armi da 12,7 mm. con 500 colpi ciascuna.
Il nuovo intercettore, pienamente supersonico, rappresentava l'ultima evoluzione della serie di prototipi iniziata con il Sagittario verso un caccia di produzione. Era ampiamente riprogettato rispetto all'Ariete, con fusoliera più lunga, capacità di carburante incrementata, nuovo tettuccio, ala a freccia di 50° e presa d'aria con spina conica contenente il radar.
La propulsione ibrida aveva lo scopo di consentire la massima flessibilità d'impiego, combinando ampia autonomia in crociera con la spinta addizionale necessaria per il volo supersonico e l'intercettazione.
La costruzione del prototipo era prossima al completamento quando i finanziamenti furono dirottati ad un altro importante programma: quello di fabbricazione su licenza del missile terra-aria statunitense Hawk per la cui realizzazione dovette essere potenziata l'industria elettronica nazionale attraverso la creazione della Selenia.
Del "Leone" fu realizzato soltanto un mock-up in legno, necessario a mettere a punto la disposizione di tutti gli impianti di bordo (in mancanza dei CAD si faceva così), poi tutti i finanziamenti, su pressione statunitense, furono cancellati e deviati altrove.

AERFER “AE 140 W030”

L'Aerfer AE 140 W030 era uno studio preliminare di un caccia intercettore supersonico teleguidato ideato dall'azienda aeronautica italiana Aerfer con sede a Pomigliano d'Arco (NA) nel 1957. Le carte dello studio di fattibilità furono sottratte al macero alla metà degli anni ottanta: erano state trovate sulla soglia della galleria del vento dell'Istituto di Progetto Velivoli della Facoltà di Ingegneria Aeronautica dell'Università degli Studi di Napoli "Federico II”. 


L'AERFER era una società del gruppo IRI-Finmeccanica costituita nel 1950 per riprendere le attività aeronautiche sospese a causa della seconda guerra mondiale. Nel 1969 entrò a far parte della neofondata Aeritalia.
Lo studio di fattibilità dell'Aerfer AE 140 W030 è datato 15 gennaio 1958. Sulla base di considerazioni favorevoli all'utilizzo di velivoli teleguidati, l'AERFER, in collaborazione con la Marconi Italiana, elaborò uno studio preliminare da utilizzare come base per definire le specifiche relative al progetto di un velivolo intercettore teleguidato. Questo studio prevedeva un velivolo canard dotato di un'ala a forte freccia e notevole diedro negativo per formare assieme all'impennaggio verticale una base stabile per il supporto del velivolo "con la coda in giù" durante la fase di atterraggio. Le superfici anteriori, del tipo interamente mobili, erano anch'esse a freccia con un diedro positivo; potevano essere azionate simultaneamente per il controllo longitudinale del velivolo e in modo differenziale per assicurare il controllo trasversale.
Il velivolo doveva essere equipaggiato con un radar per l'acquisizione e l'inseguimento del bersaglio ed un elaboratore elettronico per il posizionamento ed il tiro del tipo analogo a quelli installati negli intercettori pilotati dell’epoca.
Per il sistema di guida furono valutate due soluzioni: 
  • una di tipo inerziale;
  • ed una radio guidata del tipo Shanicle ("Short Range Navigation Vehicle") a navigazione iperbolica opportunamente modificata. 
Il sistema di guida Shanicle utilizzava emettitori di microonde basati a terra per generare una griglia iperbolica per la distanza e l'altezza, che veniva utilizzata dal missile per trovare il proprio obiettivo. L'apparato propulsivo previsto era un motore a razzo del tipo de Havilland Spectre con una spinta massima regolabile di 8 000 lbf (35,6 N).
Il booster di lancio a propellente solido aveva una spinta di circa 178.000 N per 4 secondi.
L'atterraggio sarebbe dovuto avvenire a coda in giù sugli ammortizzatori installati alle estremità sulla deriva ed alle estremità alari. La discesa del velivolo, una volta frenato alla velocità desiderata dal motore a razzo, sarebbe stata stabilizzata da un paracadute.
All'epoca l'intercettazione dei bombardieri o dei cacciabombardieri attaccanti era teoricamente orientata secondo due direttrici principali: 
  • velivoli intercettori pilotati 
  • e missili terra-aria. 
Secondo l'analisi descritta nella brochure dell'Aerfer, i progressi delle caratteristiche di volo dei velivoli da combattimento rendevano l'intercettazione di un velivolo pilotato incerta ed estremamente difficoltosa. Questo era dovuto al fatto che nel binomio uomo-velivolo le caratteristiche di velocità dei velivoli crescevano continuamente mentre il tempo trascorso tra l'avvistamento della minaccia e l'azione del pilota rimaneva invariata. 
In sostanza, l'uomo era ancora considerato il punto debole del sistema.

(Fonti: Web, Google, Fremmauno, Wikipedia, You Tube)














 

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