giovedì 26 dicembre 2024

REGIA MARINA ITALIANA: il MAS 96 è attualmente una nave museo al Vittoriale degli italiani a Gardone Riviera. Si tratta di un motoscafo in legno di tipo Orlando da 12 tonnellate di dislocamento, una serie che comprese i MAS dal 91 al 102 e da 218 a 232, in legno con carena a spigolo e 27 nodi circa di velocità di punta.









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Blog dedicato agli appassionati di DIFESA, 
storia militare, sicurezza e tecnologia. 
La bandiera è un simbolo che ci unisce, non solo come membri 
di un reparto militare 
ma come cittadini e custodi di ideali.
Valori da tramandare e trasmettere, da difendere
senza mai darli per scontati.
E’ desiderio dell’uomo riposare
là dove il mulino del cuore non macini più
pane intriso di lacrime, là dove ancora si può sognare…
…una vita che meriti di esser vissuta.








Il MAS 96 è attualmente una nave museo al Vittoriale degli italiani a Gardone Riviera.



Fondamentalmente si tratta di un motoscafo in legno di tipo Orlando da 12 tonnellate di dislocamento, una serie che comprese i MAS dal 91 al 102 e da 218 a 232, in legno con carena a spigolo e 27 nodi circa di velocità di punta; avevano 8 uomini di equipaggio e armamento costituito generalmente da 2 siluri e alcune bombe di profondità, oltre che  da una mitragliatrice o da un cannoncino.
Questa unità partecipò, con a bordo l'allora capitano di fregata Costanzo Ciano, il comandante Luigi Rizzo e il poeta Gabriele D'Annunzio, alla Beffa di Buccari (la notte dell'11 febbraio 1918) insieme con i MAS 94 e 95.
Oltre a questa è presente un'altro MAS risalente al primo conflitto mondiale: il MAS 15 esposto al Sacrario delle bandiere al Vittoriano di Roma.
Oltre a queste due altri MAS sono conservate:  il MAS 472 a Marina di Ravenna e il MAS 473 al museo storico navale di Venezia assieme alla motozattera MZ 737 e al sommergibile Enrico Dandolo.

Il Motoscafo Armato Silurante più conosciuto con la sigla MAS era una piccola imbarcazione militare usata come mezzo d’assalto veloce dalla Regia Marina durante la prima e la seconda guerra mondiale.

I MAS, derivati dalla tecnologia dei motoscafi civili con 2 motori a benzina a combustione interna da 500 cavalli l’uno, compatti e affidabili, ebbero un’ampia diffusione nella Regia Marina durante la guerra del 1915-18. Montavano motori entro-fuoribordo di concezione automobilistica, di grande potenza ed efficienza, ad iniezione diretta, ovviando in tal modo ai problemi di carburazione del motore dovuti alla scarsa raffinazione del benzene usato come carburante. I primi modelli furono prodotti dalle officine Fraschini e furono successivamente modificati e prodotti dal Cantiere Orlando, di Livorno, da dove uscirono i MAS impiegati da D’Annunzio.
Alcuni esemplari (ad esempio quello usato da D’Annunzio e da Luigi Rizzo nella beffa di Buccari, azione di disturbo alla flotta austro-ungarica ancorata nella baia di Buccari), montavano due motori ridondanti, uno a servizio dell’altro, nell’ottica d’incremento puro d’efficienza e affidabilità del mezzo navale. Lo stesso D’Annunzio coniò dalla sigla MAS la locuzione latina "Memento audere semper".
I MAS potevano essere utilizzati sia come pattugliatori antisommergibile, che come mezzi da attacco insidioso alle navi della flotta austro-ungarica, a seconda degli equipaggiamenti.  
Un grande successo, conseguito dai MAS durante la prima guerra mondiale, fu l’affondamento presso Premuda, sulla costa dalmata, della corazzata austriaca Szent István, all’alba del 10 giugno 1918, durante un agguato condotto da Rizzo, che colpì a sorpresa la nave.
Mentre l’imbarcazione italiana si allontanava nella confusione, la Szent István accusò un colpo mortale. Nonostante fosse molto moderna e potente, non aveva una sufficiente protezione subacquea: le valvole di bilanciamento erano poco praticabili e posizionate sotto il ponte caldaie, praticamente inaccessibili, e dopo poco tempo si rovesciò, affondando.
L’azione della flotta austro-ungarica, indirizzata alla distruzione della barriera che nel basso Adriatico, nel Canale d’Otranto, imbottigliava i suoi sommergibili con una rete metallica lunga 60 km e una serie di schermi di pattuglia, venne annullata e, dopo di allora, non vi furono più tentativi degni di nota.

Dopo la Prima Guerra Mondiale, i MAS continuarono ad essere sviluppati e migliorati, grazie ai motori della Isotta Fraschini.


Fondamentalmente si trattava di un motoscafo da 20 – 30 tonnellate di dislocamento (a seconda della classe), con una decina di uomini di equipaggio e armamento costituito generalmente da due siluri e alcune bombe di profondità antisommergibile, oltre a una mitragliatrice o a un cannoncino.
I MAS, derivati dalla tecnologia dei motoscafi civili con 2 motori a benzina a combustione interna da 500 cavalli l’uno, compatti e affidabili, ebbero un’ampia diffusione nella Regia Marina durante la guerra del 1915-18. Montavano motori entro-fuoribordo di concezione automobilistica, di grande potenza ed efficienza, ad iniezione diretta, ovviando in tal modo ai problemi di carburazione del motore dovuti alla scarsa raffinazione del benzene usato come carburante. I primi modelli furono prodotti dalle officine Fraschini e furono successivamente modificati e prodotti dal Cantiere Orlando, di Livorno, da dove uscirono i MAS impiegati da D’Annunzio.
Alcuni esemplari (ad esempio quello usato da D’Annunzio e da Luigi Rizzo nella beffa di Buccari, azione di disturbo alla flotta austro-ungarica ancorata nella baia di Buccari), montavano due motori ridondanti, uno a servizio dell’altro, nell’ottica d’incremento puro d’efficienza e affidabilità del mezzo navale. 
Dopo alcuni decenni in cui la marina italiana, potente ma anche legata a mari assai chiusi e indicati per mezzi navali costieri, aveva impiegato mezzi veloci siluranti, ma con problemi dovuti all’indisponibilità di potenti motori a benzina, il problema della propulsione venne risolto con nuovi prodotti della Isotta-Fraschini, che consentirono la realizzazione di unità veloci e più efficienti. 




Nacquero così i MAS 500: nel 1940 ne erano in servizio 48 e ne furono prodotte 75 unità tra il 1937 e il 1941. 

Efficienti in acque assai calme, la loro carena tonda, però, non li rendeva adatti a mari più agitati. All’entrata in guerra dell’Italia, la Regia Marina disponeva di tre flottiglie MAS: la Iª (nel 1941 ribattezzata Xª), la IIª e la IIIª. Tra gli eventi degni di nota, vi furono: il siluramento dell’incrociatore leggero Capetown sudafricano (sia il siluratore che il silurato erano residuati della guerra precedente); il fallito attacco al porto di Malta nel gennaio 1941, con la perdita di due motosiluranti di supporto alla missione; l’impiego nel Mar Nero contro la flotta sovietica, con alcuni sommergibili russi affondati quando sorpresi in superficie vicino alle basi; la battaglia di mezzo agosto, in cui i MAS contribuirono ad infliggere perdite di mercantili agli inglesi.

Tuttavia in quel periodo i MAS, unità veloci a scafo poco marino con chiglia assai piatta, simili a grossi motoscafi, erano ormai in declino. Essendo adatti a mari chiusi e poco mossi, come l’Adriatico, nel Mediterraneo entravano in gioco pesantemente la loro modesta tenuta al mare (e quindi la velocità effettivamente sostenibile), la loro limitata autonomia, i siluri e l’insufficiente armamento antiaereo (solo una mitragliera).


Attualmente sono conservati in Italia quattro MAS:

  • MAS 15, risalente al primo conflitto mondiale, conservato al Vittoriano (Roma), è sicuramente l’unità storicamente più importante in quanto fu il MAS che, al comando del Tenente di Vascello Luigi Rizzo, fu protagonista dell’impresa di Premuda;
MAS 96, risalente al primo conflitto mondiale: fu il MAS su cui era imbarcato D’Annunzio durante la missione rinominata “beffa di Buccari”; è sistemato al Vittoriale degli italiani (Gardone Riviera);

  • MAS 472, risalente al secondo conflitto mondiale e ora situato a Marina di Ravenna;

  • MAS 473, gemello del precedente, conservato al Museo storico navale di Venezia, insieme con la motozattera MZ 737 e il sottomarino Dandolo.

  • Due MAS (uno sigla 104) sono in stato di abbandono, nel porto di Schengjin in Albania.





L’INCURSIONE  BEFFARDA NELLA BAIA DI BUCCARI

Nella notata tra il 10 e l’11 febbraio 1918 i MAS 94, MAS 95 e MAS 96, rispettivamente al comando dell’allora capitano di corvetta Luigi Rizzo, del tenente di vascello Edoardo Profeta De Santis e del sottotenente Andrea Ferrarini, guidati dal capitano di fregata Costanzo Ciano, compirono un’impresa storica. 



I Motoscafi Armati Siluranti erano rimorchiati ognuno da una torpediniera con la protezione di unità leggere. L’operazione era stata pianificata dopo una preventiva ricognizione di un ricognitore idrovolante Macchi M5 su Pola, Fiume e Buccari, che consentì di acquisire un importante materiale fotografico dove si evidenziava la presenza a Pola di 4 unità classe “Viribus”, tre “Radetzki”, tre “Erzherzog”, una “Monarch”, due esploratori e vari cacciatorpediniere. A questi si aggiungevano 23 piroscafi nel porto di Fiume e 4 navi a Buccari.




Dopo 14 ore di navigazione, alle 22.00 del 10 febbraio, i 3 MAS iniziarono il loro pericoloso trasferimento dalla zona compresa tra l’isola di Cherso e la costa istriana fino alla baia di Buccari dove, secondo le informazioni dello spionaggio italiano, sostavano unità nemiche sia mercantili sia militari. Il poeta Gabriele D’Annunzio, allora maggiore di cavalleria, si trovava a bordo del MAS 96 insieme a Luigi Rizzo. Per un cattivo funzionamento dei siluri nessun bersaglio viene colpito, ma D’Annunzio seminò nella baia tre bottiglie contenenti un messaggio di sfida che sarà ricordato come la “Beffa di Buccari”
Pur non avendo prodotto danni, l’impresa costrinse il nemico ad impegnarsi nella ricerca di nuove strategie di difesa e di vigilanza, ed ebbe “una influenza morale incalcolabile”, specialmente dopo la tragica ritirata strategica di Caporetto. L’audacia dell’impresa trova riscontro di essere nel percorso di 50 miglia tra le maglie della difesa costiera nemica, anche se l’attacco non riuscì, dato che i siluri lanciati dalle tre motosiluranti si impigliarono nelle reti che erano a protezione dei piroscafi alla fonda. Le unità italiane riuscirono successivamente a riguadagnare il largo tra l’incredulità dei posti di vedetta austriaci che non credettero possibile che unità italiane fossero entrate fino in fondo al porto, e che non reagirono con le armi ritenendo dovesse trattarsi di naviglio austriaco.
Le tre bottiglie lasciate in mare da D’Annunzio erano adornate da nastri tricolori recanti un satirico messaggio che recitava: “In onta alla cautissima Flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d’Italia, che si ridono d’ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre ad osare l’inosabile. E un buon compagno, ben noto, il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro, è venuto con loro a beffarsi della taglia“.
L’attacco eroico di Buccari ebbe in seguito una grande risonanza a livello di opinione pubblica e sui giornali del tempo. La Prima Guerra Mondiale, ancora una volta, era stata un banco di prova e in questo caso la Regia Marina aveva ancora una volta sperimentato un’arma: quella della guerra psicologica. Un aspetto che cominciava ad avere un preciso rilievo, anche per la partecipazione diretta di Gabriele D’Annunzio, che abilmente orchestrò i risvolti propagandistici dell’azione.
A seguito dell’evento beffardo di Buccari, il Comando della Marina austriaca, in risposta tentò un attacco diretto contro i MAS ormeggiati nel porto di Ancona; il tentativo fallì miseramente dissuadendoli da ulteriori attacchi.






Ripensare la guerra, e il suo posto
nella cultura politica europea contemporanea,
è il solo modo per non trovarsi di nuovo davanti
a un disegno spezzato
senza nessuna strategia
per poterlo ricostruire su basi più solide e più universali.
Se c’è una cosa che gli ultimi eventi ci stanno insegnando
è che non bisogna arrendersi mai,
che la difesa della propria libertà
ha un costo
ma è il presupposto per perseguire ogni sogno,
ogni speranza, ogni scopo,
che le cose per cui vale la pena di vivere
sono le stesse per cui vale la pena di morire.
Si può scegliere di vivere da servi su questa terra, ma un popolo esiste in quanto libero, 
in quanto capace di autodeterminarsi,
vive finché è capace di lottare per la propria libertà: 
altrimenti cessa di esistere come popolo.
Qualcuno è convinto che coloro che seguono questo blog sono dei semplici guerrafondai! 
Nulla di più errato. 
Quelli che, come noi, conoscono le immense potenzialità distruttive dei moderni armamenti 
sono i primi assertori della "PACE". 
Quelli come noi mettono in campo le più avanzate competenze e conoscenze 
per assicurare il massimo della protezione dei cittadini e dei territori: 
SEMPRE!
….Gli attuali eventi storici ci devono insegnare che, se vuoi vivere in pace, 
devi essere sempre pronto a difendere la tua Libertà….
La difesa è per noi rilevante
poiché essa è la precondizione per la libertà e il benessere sociale.
Dopo alcuni decenni di “pace”,
alcuni si sono abituati a darla per scontata:
una sorta di dono divino e non, 
un bene pagato a carissimo prezzo dopo innumerevoli devastanti conflitti.…
…Vorrei preservare la mia identità,
difendere la mia cultura,
conservare le mie tradizioni.
L’importante non è che accanto a me
ci sia un tripudio di fari,
ma che io faccia la mia parte,
donando quello che ho ricevuto dai miei AVI,
fiamma modesta ma utile a trasmettere speranza
ai popoli che difendono la propria Patria!
Violenza e terrorismo sono il risultato
della mancanza di giustizia tra i popoli.
Per cui l'uomo di pace
si impegna a combattere tutto ciò 
che crea disuguaglianze, divisioni e ingiustizie.
Signore, apri i nostri cuori
affinché siano spezzate le catene
della violenza e dell’odio,
e finalmente il male sia vinto dal bene…
Come i giusti dell’Apocalisse scruto i cieli e sfido l’Altissimo: 
fino a quando, Signore? Quando farai giustizia?
Dischiudi i sette sigilli che impediscono di penetrare il Libro della Vita 
e manda un Angelo a rivelare i progetti eterni, 
a introdurci nella tua pazienza, a istruirci col saggio Qoelet:
“””Vanità delle vanità: tutto è vanità”””.
Tutto…tranne l’amare.

(Fonti: https://svppbellum.blogspot.com/, Web, Google, Zambracca, GiornidiStoria, Wikipedia, You Tube)
























 

mercoledì 25 dicembre 2024

ESERCITO IMPERIALE GIAPPONESE 1897 - 1945: il fucile “Type 30 Arisaka” era camerato in calibro 6.5×50mm SR e presentava un sistema un caricatore interno con cinque colpi. Nonostante il suo design moderno, le prestazioni del fucile, già nella guerra russo-giapponese (1904-1905), evidenziarono numerosi difetti, una insufficiente potenza di arresto e l'incapacità di funzionare in condizioni ambientali difficili. Nel 1905 entrò in servizio il nuovo fucile a otturatore girevole scorrevole Type 38.










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storia militare, sicurezza e tecnologia. 
La bandiera è un simbolo che ci unisce, non solo come membri 
di un reparto militare 
ma come cittadini e custodi di ideali.
Valori da tramandare e trasmettere, da difendere
senza mai darli per scontati.
E’ desiderio dell’uomo riposare
là dove il mulino del cuore non macini più
pane intriso di lacrime, là dove ancora si può sognare…
…una vita che meriti di esser vissuta.







 
La fine del periodo Edo aveva portato a diverse innovazioni nella tecnologia militare per migliorare il divario di due secoli del Giappone da qualsiasi civiltà europea. Dalle armi da fuoco prodotte in serie alle sciabole che avevano annullato la tradizione giapponese di artigianato lento e meticoloso, probabilmente il più grande miglioramento di tutti fu la messa a punto di un fucile per la fanteria che letteralmente non “esplodeva in faccia”: il fucile Arisaka.
Prendeva il nome da Nariakira Arisaka, il più importante progettista di armi nella storia industriale giapponese e barone dello stesso imperatore Meiji; l'arma per la fanteria standard dell'Impero giapponese probabilmente si è ispirata al fucile ad otturatore tedesco Gewehr 8 mm modello 1888. 
Questa adozione della tecnologia europea coincise con uno tsunami culturale esistente che aveva attraversato il Giappone e aveva rotto lo status quo altamente strutturato: la Restaurazione Meiji. 






Per tutto il diciannovesimo secolo, il Giappone scartò la sua classe samurai gerarchica dalla cima del totem dell'esercito nazionale.

Chi ha bisogno di una manciata di uomini che studiano la lama per tutta la vita quando era ormai possibile inviare centinaia di soldati attraverso l'addestramento di base in pochi mesi?
La nuova fanteria giapponese, adottando indumenti militari in stile occidentale, iniziò a dotare i suoi soldati dell'Arisaka Type 30, un enorme miglioramento rispetto alla famiglia di fucili Murata che all'epoca si basava ancora sulla polvere da sparo nera.
Il Type 30 era camerato per la cartuccia 6.5×50mmSR e presentava un sistema munito di otturatore con un caricatore interno a cinque colpi. Nonostante il suo design moderno, le prestazioni del fucile nella guerra russo-giapponese (1904-1905) hanno subito evidenziato difetti, come la sua insufficiente potenza di arresto e l'incapacità di funzionare in condizioni difficili.



In risposta, l'esercito giapponese introdusse il Tipo 38 nel 1905. 

Questa versione aveva mantenuto la cartuccia da 6,5 mm ma ne aveva migliorato la resistenza e l'affidabilità. Il Tipo 38 divenne presto un punto fermo dell'esercito giapponese, rimanendo in servizio per decenni.
I test sul campo dell'Arisaka si erano rivelati un successo nella suddetta guerra russo-giapponese, e presto si diffuse nel mondo la notizia che una potenza asiatica aveva sconfitto un esercito europeo. Ciò aveva dato al Giappone e per estensione un certo prestigio al fucile Arisaka sulla scena mondiale, cioè un'arma che poteva tenere testa alle sue controparti tedesche, britanniche o statunitensi.

Il fucile seguì l'espansione dell'impero coloniale giapponese dall'acquisizione di Taiwan e della Corea anche alla Cina continentale.

Al precipizio della seconda guerra mondiale, la famiglia di fucili Arisaka era diventata un appuntamento fisso dell'esercito imperiale giapponese. Furono prodotti milioni di fucili tipo 38 e fucili tipo 99 più recenti ed eleganti, equipaggiando le truppe per espandere i possedimenti territoriali della Terra del Sol Levante e tutte le risorse naturali di cui aveva bisogno per tenerla in funzione. In effetti, l'Arisaka come fucile standard dell'Impero giapponese era l’emblema dell’imperatore Hirohito.
Nelle prime fasi del conflitto, le truppe giapponesi equipaggiate con il Tipo 38 e il Tipo 99 ebbero successo contro avversari mal equipaggiati in Cina e nel sud-est asiatico. Il fucile fu acclamato per la sua affidabilità e aveva consentito il rapido avanzamento delle forze imperiali.
Man mano che la guerra progrediva e il Giappone affrontava forze alleate più ben equipaggiate, i limiti dell'Arisaka divennero più evidenti. Mentre i fucili erano durevoli e precisi, furono ben presto superati dal semiautomatico M1 Garand utilizzato dalle truppe americane, che forniva una velocità di fuoco superiore. 

Dal 1944 al 1945, mentre le forze americane stavano espellendo le forze giapponesi dalle terre colonizzate, la qualità dell'Arisaka diminuì enormemente.

Il servizio degli Arisaka si estinse con la fine dell'Impero del Giappone. Tuttavia, l'Arisaka catturato è stato utilizzato anche dopo la guerra, poiché le forze alleate hanno riportato a casa le armi di fanteria come trofei di guerra e le forze cinesi e coreane le hanno utilizzate durante le prime fasi della guerra di Corea.



IL FUCILE D’ORDINANZA GIAPPONESE “TYPE-30”

La cartuccia 6,5 × 50 mm Arisaka, nota anche come 6,5 × 50 mm SR (stante per Semi-Rimmed, cioè "con semi-collarino" oppure "semiflangiata"), venne progettata e adottata dall'Impero giapponese per le proprie forze armate. Fu disegnata tra 1895 e 1897 in contemporanea al nuovo fucile d'ordinanza Type 30: presentava un proiettile pesante circa 9 grammi, utilizzava il sistema di percussione centrale e una carica di lancio a base di nitrocellulosa.
Nel 1905 fu sottoposta a leggere migliorie che diversificarono la cartuccia in "Type 30" e "Type 38", peraltro intercambiabili. Quest'ultima fu presto la più diffusa e l'esercito imperiale giapponese ne sviluppò numerose varianti (tracciante, perforante, da addestramento etc.); divenne il calibro standard per fucili e mitragliatrici negli anni venti e trenta. Fu inoltre utilizzata da alcuni paesi occidentali, come il Regno Unito, quando durante la prima guerra mondiale furono importati lotti di Type 30, sia fucili che carabine. I giapponesi pianificarono di sostituirla con la più potente 7,7 × 58 mm Arisaka a partire dal 1939, ma il processo fu interrotto dalla partecipazione del Giappone alla seconda guerra mondiale e la 6,5 × 50 mm continuò a essere fabbricata e utilizzata sino al termine del conflitto.

Sviluppo dell’arma

Negli anni novanta del XIX secolo l'esercito imperiale giapponese decise di sostituire il valido ma obsolescente fucile Type 22 Murata. Furono dunque organizzate due commissioni: l'una, presieduta dal tenente colonnello Arisaka Nariakira, fu incaricata di studiare un fucile a otturatore girevole-scorrevole prendendo spunto anche dai modelli più avanzati in questo campo (Mauser e Mannlicher); l'altra, a capo del maggiore Murata Tsuneyoshi, ebbe il compito di trovare la cartuccia da usare su tale fucile. In seguito ad alcune riunioni tenutesi presso la Tokyo Hōheikosho ("fabbrica di esplosivi di Tokyo" in lingua giapponese), il maggiore Murata progettò nel 1895 una cartuccia in calibro 6,5 mm, che fu ufficialmente adottata nel 1897. Quello stesso anno fu immatricolato il nuovo fucile Type 30, così denominato perché in servizio a partire dal trentesimo anno di regno dell'imperatore Meiji. Nel 1905 ne fu elaborata una versione un poco diversa ma di eguali dimensioni che ricevette la denominazione "Type 38" per distinguerla dal modello base, che divenne allora noto come "Type 30”.

Impiego operativo

Le armi camerate per tale cartuccia, sia Type 30 che Type 38, furono numerose. Oltre al fucile Type 30, la carabina Type 30 e il fucile Type 35 in dotazione alla marina imperiale giapponese da esso ricavati; la copia su licenza della mitragliatrice francese Hotchkiss M 1897; il fucile a otturatore girevole-scorrevole Type 38 con le carabine da esso derivate (Type 38 e Type 44); le mitragliatrici leggere Type 11 e Type 96 (in rispettivamente dal 1923 e 1936), nonché prototipi di fucili pieghevoli per paracadutisti. Tali armi videro esteso uso durante la prima guerra sino-giapponese, la guerra russo-giapponese del 1904-1905, la prima guerra mondiale, gli interventi in Cina negli anni venti e trenta, la seconda guerra sino-giapponese.
In seguito alle esperienze belliche in Cina, l'esercito ordinò una nuova cartuccia di calibro maggiore con lo scopo di ottenere un maggior potere d'arresto: essa, la 7,7 × 58 mm Arisaka, fu adottata nel 1939 e fu deciso di sostituirla del tutto alla 6,5 × 50 mm. Tuttavia la partecipazione alla seconda guerra mondiale complicò e rallentò il pianificato rimpiazzo; la fanteria nipponica continuò quindi a utilizzare le armi in calibro 6,5 mm (sembra anche i vecchi Type 30) fino al termine del conflitto.
In battaglia la cartuccia da 6,5 mm dette prova di efficienza, scarso rinculo e provocava ferite gravi poiché il proiettile, più pesante alla base, tendeva a capovolgersi al momento dell'impatto sul bersaglio.

Caratteristiche

La cartuccia 6,5 × 50 mm Arisaka presentava un bossolo in ottone a collo di bottiglia, lungo 50,3 mm. Il collo del bossolo misurava un diametro di 7,4 mm, il diametro alla spalla era di 10,59 mm e alla base aumentava a 11,35 mm. Il semi-collarino aveva un diametro di 12,1 mm secondo una fonte o di 11,84 mm secondo un'altra; era spesso 1,14 mm.
Sul fondello si trovava l'innesco a percussione centrale "Berdan" a un foro di vampa che, una volta colpito, accendeva la carica di lancio consistente in 2,14/2,15 grammi di nitrocellulosa. Il proiettile aveva anima in piombo ed era del tipo incamiciato: pesava da solo 8,9 grammi, (circa 139 grani). Al momento dello sparo generava un'energia di 262 kgm e raggiungeva una velocità alla volata di 760 m/s. Sparato il proiettile, l'estrazione del bossolo dalla camera di scoppio era facilitata dalla leggera sporgenza del semi-collarino.
In totale la cartuccia misurava una lunghezza di 75,69 mm.

Cartuccia Type 38

Nel 1905 entrò in servizio il nuovo fucile a otturatore girevole scorrevole Type 38, una versione raffinata del Type 30 la quale divenne l'arma standard della fanteria giapponese. La cartuccia 6,5 × 50 mm Arisaka fu dunque rianalizzata e ne fu tratta una nuova versione, identica nelle dimensioni alla precedente; se ne discostava invece per alcune modifiche all'involucro interno del bossolo, per l'adozione di un semi-collarino in bronzo anziché in ottone e per l'innesco centrale tipo Berdan con due fori di vampa. Questa munizione fu denominata ufficialmente "6,5 × 50 mm Type 38" e quindi la cartuccia del 1895 fu designata retroattivamente "6,5 × 50 mm Type 30”.

Versioni

Della cartuccia Type 38 furono prodotte alcune versioni particolari. Negli anni venti e trenta fu distribuita una variante con carica ridotta a 2,05 grammi (con marchio rosa/rosso al fondello e una "G" in un cerchio) espressamente per l'uso sulla mitragliatrici leggere Type 11 e Type 91 da carro armato. Nel 1937 fu adottata la munizione Type 38 con polvere infume e carica ridotta, detta "Type 97" e destinata ai tiratori scelti per renderne difficile l'individuazione. Durante la seconda guerra mondiale fu fabbricato un modello di Type 38 con bossolo in acciaio, ma l'utilizzo fu molto sporadico.
La cartuccia Type 38 fu inoltre diversificata in una quantità di tipi:
  • semi-palla: bossolo con marchio rosso al fondello;
  • proiettile a corta gittata: il proiettile sporgeva di 1,5 o 3 mm dal bossolo, con marchio rosa al fondello;
  • proiettile tracciante: bossolo con marchio verde al fondello;
  • proiettile perforante: ne esistevano con due anelli zigrinati al bossolo e al proiettile, solo al bossolo oppure solamente con un marchio nero al fondello;
  • proiettile a salve: proiettile di carta rossa o di legno per l'uso sui lanciagranate da fucile.

Altri utilizzatori

  • Regno Unito: durante la prima guerra mondiale il Giappone fornì al Regno Unito 150.000 circa tra fucili e carabine sia Type 30 che Type 38, tutti camerati in 6,5 × 50 mm; i britannici indicarono entrambe le armi come Rifle, Magazine, .256 Pattern 1900 e le destinarono all'addestramento, agli equipaggi della Royal Navy e del dipendente servizio aereo.
  • Impero russo: durante la prima guerra mondiale il Giappone fornì all'Impero russo alcune decine di migliaia di fucili e carabine Type 30 che, viste le difficoltà con gli approvvigionamenti militari, vennero consegnati a unità di seconda linea.
  • Finlandia: dopo la rivoluzione russa e i susseguenti disordini, la Finlandia riuscì a rendersi indipendente. Nel corso dei combattimenti i finlandesi fecero uso di circa 8.000 armi giapponesi, per lo più fucili, che negli anni venti furono poi ceduti alla Suojeluskunta.






Ripensare la guerra, e il suo posto
nella cultura politica europea contemporanea,
è il solo modo per non trovarsi di nuovo davanti
a un disegno spezzato
senza nessuna strategia
per poterlo ricostruire su basi più solide e più universali.
Se c’è una cosa che gli ultimi eventi ci stanno insegnando
è che non bisogna arrendersi mai,
che la difesa della propria libertà
ha un costo
ma è il presupposto per perseguire ogni sogno,
ogni speranza, ogni scopo,
che le cose per cui vale la pena di vivere
sono le stesse per cui vale la pena di morire.
Si può scegliere di vivere da servi su questa terra, ma un popolo esiste in quanto libero, 
in quanto capace di autodeterminarsi,
vive finché è capace di lottare per la propria libertà: 
altrimenti cessa di esistere come popolo.
Qualcuno è convinto che coloro che seguono questo blog sono dei semplici guerrafondai! 
Nulla di più errato. 
Quelli che, come noi, conoscono le immense potenzialità distruttive dei moderni armamenti 
sono i primi assertori della "PACE". 
Quelli come noi mettono in campo le più avanzate competenze e conoscenze 
per assicurare il massimo della protezione dei cittadini e dei territori: 
SEMPRE!
….Gli attuali eventi storici ci devono insegnare che, se vuoi vivere in pace, 
devi essere sempre pronto a difendere la tua Libertà….
La difesa è per noi rilevante
poiché essa è la precondizione per la libertà e il benessere sociale.
Dopo alcuni decenni di “pace”,
alcuni si sono abituati a darla per scontata:
una sorta di dono divino e non, 
un bene pagato a carissimo prezzo dopo innumerevoli devastanti conflitti.…
…Vorrei preservare la mia identità,
difendere la mia cultura,
conservare le mie tradizioni.
L’importante non è che accanto a me
ci sia un tripudio di fari,
ma che io faccia la mia parte,
donando quello che ho ricevuto dai miei AVI,
fiamma modesta ma utile a trasmettere speranza
ai popoli che difendono la propria Patria!
Violenza e terrorismo sono il risultato
della mancanza di giustizia tra i popoli.
Per cui l'uomo di pace
si impegna a combattere tutto ciò 
che crea disuguaglianze, divisioni e ingiustizie.
Signore, apri i nostri cuori
affinché siano spezzate le catene
della violenza e dell’odio,
e finalmente il male sia vinto dal bene…
Come i giusti dell’Apocalisse scruto i cieli e sfido l’Altissimo: 
fino a quando, Signore? Quando farai giustizia?
Dischiudi i sette sigilli che impediscono di penetrare il Libro della Vita 
e manda un Angelo a rivelare i progetti eterni, 
a introdurci nella tua pazienza, a istruirci col saggio Qoelet:
“””Vanità delle vanità: tutto è vanità”””.
Tutto…tranne l’amare.

(Fonti: https://svppbellum.blogspot.com/, Web, Google, TheNationalInterst, Wikipedia, You Tube)