venerdì 7 dicembre 2018

Il Cavour - C 550



Il Cavour (C 550, e anche CVH 550) è una portaerei ("incrociatore portaeromobili" secondo la classificazione ufficiale) STOVL (a decollo corto ed atterraggio verticale) della Marina Militare italiana. Entrato in servizio nel 2009, dal 2011 è la nave ammiraglia della flotta.

Commissionato a Fincantieri il 22 novembre 2000, lo scafo è stato impostato il 17 luglio 2001 nel cantiere navale di Riva Trigoso e completato a Genova dove il troncone poppiero è stato varato il 20 luglio 2004 (il varo è stato l'ultimo eseguito al cantiere di Riva Trigoso con il tradizionale scivolo diretto in acqua) e trasferito al cantiere navale del Muggiano della Spezia per il collegamento al troncone prodiero e per i lavori di completamento dell'allestimento. 



Il 22 dicembre 2006 ha effettuato la prima prova di navigazione ed il 27 marzo 2008 è stato consegnato alla Marina Militare per i collaudi finali, al termine dei quali il 10 giugno 2009 è entrata in servizio con la consegna della bandiera di combattimento avvenuta nel porto di Civitavecchia alla presenza del Capo dello Stato Giorgio Napolitano del ministro della difesa Ignazio La Russa, del capo di Stato maggiore della Marina ammiraglio di squadraPaolo La Rosa, e delle più alte cariche istituzionali. La bandiera è stata consegnata al Comandante della nave, capitano di vascello Gianluigi Reversi dal sindaco di Torino Sergio Chiamparino a nome della città piemontese, suggellando il rapporto ideale del Cavour con la città di Torino. La bandiera è custodita a bordo, in un cofano donato dai gruppi dell'Associazione Nazionale Marinai d'Italia di Piemonte e Valle d'Aosta. 

Il Cavour è stato costruito per combinare varie funzionalità fra cui, oltre alla predominante azione aerea tramite modelli V/STOL ed elicotteri, anche scenari di operazioni anfibie, comando complesso e di trasporto di personale civile e militare e di veicoli pesanti. Il Cavour è posto alle dirette dipendenze del Comando in Capo della Squadra Navale. 

Il 5 dicembre 2011, al termine delle esercitazioni "Mare Aperto" e AMPHEX 2011, presso la Stazione navale Mar Grande di Taranto, si è svolta l'ultima riunione della Commissione che ha formalmente sancito la conclusione dei "lavori di fine garanzia" della nave ammiraglia della Squadra navale. Al termine della cerimonia con la firma del presidente della commissione ammiraglio ispettore capo Alberto Gauzolino, alla presenza del comandantedell'unità, il capitano di vascello Aurelio De Carolis, il Cavour ha raggiunto la piena capacità operativa. La "Commissione per i lavori di fine garanzia" aveva lavorato, sin dal 2009, in piena sinergia con l'equipaggio della nave, numerose aziende sotto la guida di Fincantieri e vari enti della Marina Militare, tra cui la Direzione generale per gli armamenti navali, l'Ispettorato logistico e l'Ufficio tecnico navale di Genova. 

La nave è stata così chiamata in onore di Camillo Benso di Cavour (dopo aver scartato proposte come Luigi Einaudi ed Andrea Doria) ed è diventata la NUM (Nuova Unità Maggiore) della Marina Militare, affiancando la portaereiGiuseppe Garibaldi. Questo nome ha un significato storico per la Marina Militare, quale riconoscimento per il forte impulso che il Conte di Cavour diede, all'indomani dell'Unità d'Italia, all'espansione ed alla qualificazione della marina italiana sorta dalla fusione delle marine preunitarie. Il nome è stato assegnato a due navi della Regia Marina: un trasporto di prima classe attivo tra il 1885 ed il 1894 e la corazzata Conte di Cavour, affondata dagli inglesi durante la famosa notte di Taranto nel 1940. Significativa anche la scelta dell'identificativo ottico 550 che fu dell'incrociatore Vittorio Veneto, ex nave ammiraglia, in disarmo dal 2006. 

Il 14 dicembre 2011, nel porto di Civitavecchia, nel quadro delle celebrazioni del 150º anniversario dell'unità d'Italia, a rimarcare il legame tra la Marina Militare e gli ideali cavouriani di unità d'Italia, Nerio Nesi, amministratore delegato della Fondazione Cavour di Santena (TO), alla presenza del capo di Stato maggiore della Squadra navale ammiraglio di divisione Donato Marzano, ha consegnato, al comandante della nave, capitano di vascello Aurelio De Carolis, cimeli appartenuti a Camillo Benso di Cavour. 

I cimeli, provenienti dalla collezione del museo del Castello Cavour di Santena, che saranno custoditi nell'area storica di rappresentanza dell'ammiraglia della Marina Militare, consistono in un collare con placca con astuccio originale del Supremo Ordine della Santissima Annunziata, conferito a Cavour il 30 aprile 1856, un bozzetto originale, modellato dallo scultore conte Annibale Galateri di Genola, del medaglione che ornava il cofano della bandiera di combattimento della corazzata Conte di Cavour e il regio decreto 11 ottobre 1850 di nomina di Camillo Benso di Cavour a ministro della marina, agricoltura e commercio, controfirmato da Massimo d'Azeglio e seguito da copia dell'atto di giuramento. 

Pur essendo il massimo strumento offensivo il vettore aereo, il Cavour è dotato di una serie di sistemi d'arma atti ad aumentare le capacità della portaerei. Il sistema di combattimento è rappresentato da una fitta rete di sensori ed armamenti che garantiscono una difesa costante da qualsiasi tipo di minaccia la nave dovesse incontrare. 

La rete sensoristica è composta da: 

SPY-790 EMPAR: radar volumetrico 3d capace di tracciare 300 tracce e 12 bersagli contemporaneamente, portata superiore ai 100 km; 

SPS-798 EW: radar 3d "early warning" in grado di rilevare minacce ad elevatissima distanza dalla nave (500 tracce simultanee a 300 km di distanza); 

SPS-791 RASS: radar di sorveglianza e di superficie in grado di scoprire unità navali, velivoli a bassissima quota e missili in avvicinamento essendo molto efficace contro i missili sea skimmer; 

SPN-753: radar nautico di ricerca; 

SPN-720: in grado di guidare gli aerei e gli elicotteri in appontaggio; 

SPN-41 A e TACAN SRN-15 A: in grado di far eseguire avvicinamenti di precisione e di fornire informazioni agli aerei in navigazione; 

SNA-2000: sonar di scoperta; 

IR ST SASS: rilevatore infrarosso; 

EWSS: scanner radio in grado di analizzare lo spettro e rilevare eventuali emissioni radio (e quindi anche eventuali radar attivi); 

SLAT: rilevatore di siluri in arrivo; 

IFF SIR R/S: identificazione certa di bersagli. 

Armamenti imbarcati:

32 celle di lancio verticale per missili ASTER15 antiaerei ed antimissile; 

mitragliere 25/80 KBA; 

CIWS DAVIDE 76/62 per la difesa di punto antimissile ed antiaerea; 

SCLAR-H sistema compatto lanciarazzi; 

SLAT per la difesa antisiluro: è composto dai sottosistemi RATO, CMAT e ALERTO. 

Il Cavour imbarca un totale di 20-36 aeromobili, del GRUPAER, il Gruppo aeromobili imbarcati dell'Aviazione Navale. Il gruppo di volo è composto da velivoli V/STOL AV-8B Harrier Pluse, quando disponibili, i nuovi F-35 Lightning II (sviluppati da Lockheed Martin per il programma Joint Strike Fighter commissionato dagli Stati Uniti in collaborazione con Regno Unito, Italia, Paesi Bassi e altre nazioni). Inoltre sono imbarcati elicotteri di vario tipo, dagli SH-3D agli NH-90 ai pesanti EH-101, sia come piattaforme radar (versione AEW su elicotteri) che con compiti di ricerca e soccorso (SAR), di attacco antisommergibile (ASW) o antisuperficie (ASuW).

I dati ufficiali per l'hangar indicano che «è dimensionato per accogliere fino a 12 elicotteri oppure, in alternativa, 4 elicotteri e max 8 aerei». Per garantire maggiore libertà di movimento in coperta può, in caso di necessità o emergenza, ospitare circa 16 aeromobili in hangar. Il ponte di volo ha una dimensione tale che si ipotizza vi si possano parcheggiare fino a un massimo di 24 velivoli in diverse configurazioni tra aerei ed elicotteri per un massimo complessivo di 40 velivoli. Il ponte di volo misura 220 m × 34,50 m per una superficie netta di 6,800 m² netti, ossia togliendo lo spazio occupato dall'isola di comando e l'ascensore di prua. Comunque, l'intero ponte di volo così come appare, è lungo 232,36 x 34,50, quindi ben oltre le dimensioni considerate come spazio di volo. La lunghezza della pista di decollo è di 180 metri e la larghezza è di 14 metri. Risulterebbe in questa configurazione che, in caso di necessità stile "Royal Navy nella guerra delle Falkland", potrebbe trasportare un mix massimo di 36 velivoli tra caccia F-35 ed elicotteri EH 101 e NH 90, questo per garantire un minimo di movimento dei velivoli sia sul ponte che in hangar (quindi, per ragioni tecniche, non si potranno mai far operare 40 velivoli, in quanto la nave diverrebbe un semplice trasporto aerei, infatti per operare come portaerei, serve spazio sia per il movimento velivoli, sia per le dovute riparazioni nella piazzola officina all'interno dell'hangar). 

Nel gennaio del 2011, in seguito ad incremento dei costi e a problemi di sviluppo, il progetto del caccia F-35B STOVL è stato definito "a rischio" dal segretario della difesa degli Stati Uniti d'America Robert Gates. In caso di cancellazione di tale progetto, la Marina Militare non avrebbe potuto sostituire gli ormai datati Harrier, e sarebbe stata costretta a declassare la nuova portaerei al rango di portaelicotteri, dal momento che il Cavour non ha un ponte di volo adatto al decollo di velivoli ad ala fissa convenzionali. Tale impasse nel 2013 è apparsa comunque ormai superata. 

La Marina Militare Italiana, dopo l'entrata in servizio del Garibaldi, aveva pianificato l'acquisizione di un'altra portaereomobile che doveva avere caratteristiche simili a quelle dell'ammiraglia della flotta italiana dell'epoca, potendo però disporre di un ponte più grande e con un dislocamento leggermente superiore (15000 t) a vuoto. 

Il progetto venne però cancellato dopo la fine della guerra fredda, quando i requisiti della Marina militare italiana cambiarono e si passò al progetto 156. 

La nuova portaereomobile, infatti, avrebbe dovuto avere un tonnellaggio tra le 18 000 e le 20 000 tonnellate, con una lunghezza di 200 metri e una larghezza di 34 metri e in grado di imbarcare 10/12 AV-8B e 6/8 EH-101. 

Nel 1995 si decise di optare per un'unità anfibia di 13 000 tonnellate, ma successivamente si passò ad una nuova unità anfibia maggiore, in grado di imbarcare 4 AV-8B e 6/8 EH-101; alla fine si passò al progetto 163/168 a favore di una nuova nave da più di 27 000 tonnellate di dislocamento a pieno carico, ossia il Cavour, poi consegnato alla Marina italiana nella primavera del 2008. 

Altre ulteriori modifiche fatte nel 2008 renderanno il tonnellaggio massimo della nave vicino alle 30 000 tonnellate in caso d'imbarco di mezzi militari di massimo peso per operazioni aeronavali di supporto ad eventuali sbarchi. 

La nave è predisposta per ospitare un comando navale complesso (MCC) e, a tal fine, dispone di 174 postazioni di lavoro tutte connesse alla 5 diverse reti telematiche disponibili, nonché di specifiche 12 aree di lavoro dedicate e riconfigurabili. 

Le capacità ospedaliere si basano su 2 sale operatorie e 32 posti di degenza, su una superficie complessiva di 400 m². 

Il Cavour, a differenza di altre unità della flotta, è stato concepito con una capacità duale: è in grado, cioè, di compiere anche missioni di natura non militare, soprattutto in caso di calamità. La portaerei può imbarcare un completo comando della Protezione Civile e garantire energia elettrica, acqua potabile, pasti caldi e supporto sanitario, oltre che a fungere come snodo di smistamento dei soccorsi. Il vantaggio, già sperimentato in altri interventi della Marina Militare degli ultimi anni, è quello di poter agire dal mare, indipendentemente dallo stato delle infrastrutture della zona sinistrata. 

Per tali emergenze, il Cavour può dispiegare a terra, grazie agli aeromobili, un centro di assistenza per 250 persone e può aiutare nell'evacuazione della popolazione civile con 700 posti letto. L'infermeria è altresì dotata di due sale operatorie complete, che possono operare in contemporanea per gli interventi più complessi, accogliendo all'occorrenza personale medico civile. 
L'impianto di propulsione dell'unità, con i suoi 88 000 kW generati da quattro turbine General Electric – Avio, è il più potente non nucleare realizzato al mondo negli ultimi decenni. 

La centrale operativa di combattimento (COC) ha 150 postazioni operative informatizzate e schermi al plasma di grandi dimensioni per visualizzare i contenuti informativi necessari allo svolgimento delle operazioni. 

La prima missione operativa del Cavour, al comando del capitano di vascello Gianluigi Reversi, ha avuto luogo il 19 gennaio 2010 ad Haiti, allo scopo di recare aiuto alla popolazione colpita dal catastrofico terremoto. 

Si è trattato di un'operazione congiunta tra le forze armate italiane e quelle brasiliane. Il dispositivo nazionale interforze, che ha preso parte all'operazione, denominata "White Crane", risultava composto da quasi mille unità di personale tra militare e civile e con circa 200 tonnellate di viveri. 

La portaerei ha preso poi parte, nel golfo di Napoli, alle celebrazioni della Festa della Marina Militare il 10 giugno 2010. 

Il 24 febbraio 2011 il Ministro della difesa La Russa ha dichiarato che anche questa nave era stata mobilitata all'interno del meccanismo navale italiano disposto nel Mediterraneo in risposta ai rivolgimenti socio-politici in Libia. 

Da novembre 2013 ad aprile 2014, assieme al 30º Gruppo Navale, ha effettuato il periplo del continente africano. 

Nel mese di novembre 2014 è stata impegnata per attività di rappresentanza ed intensa attività addestrativa nel mar Adriatico ("solcato" per la prima volta) e nel mar Ionio, toccando i porti di Augusta, Trieste, Bari, Ortona (fonda), Teodo (Montenegro) e Ragusa (Croazia). 

Dal giugno 2015 è stata la nave ammiraglia della missione Operazione Sophia (EUNAVFOR Med), fino al maggio 2016. 

La costruzione della sola piattaforma è costata circa 900 milioni di euro, cui vanno aggiunti circa 23 milioni di euro per la fornitura di apparati minimi per la navigazione, 35 milioni relativi al supporto integrato ed ulteriori 150 milioni di euro in forniture dei sistemi di comando e controllo, le comunicazioni, i sistemi d'arma a corto/medio raggio. Per un totale di 1 108 milioni di euro, a queste spese poi vanno ad aggiungersi circa 192 milioni di euro per tutti i sistemi d'arma non compresi in quelli precedentemente menzionati per un costo complessivo pari a 1,3 miliardi di euro. Tale somma è stata coperta con fondi ordinari del Ministero della difesa e dello sviluppo economico per una somma di 1 003 milioni di euro suddivisa in stanziamenti pari a 50 milioni di euro fino al 2001, 35 milioni di euro nel 2001, 78 milioni di euro nel 2002, 92 milioni di euro nel 2003, 185 milioni di euro nel 2004, 177 milioni di euro nel 2005, 25 milioni di euro nel 2006, 211 milioni di euro nel 2007, 150 milioni di euro nel 2008. I restanti 297 milioni di euro sono stati stanziati con fondi straordinari del ministero. 

Il 30 luglio 2013, in un'audizione parlamentare, il ministro della difesa Mario Mauro dichiarò che i costi relativi alla portaerei sarebbero ammontati a complessivi 3,5 miliardi di euro. Il ministero successivamente precisò che i reali costi della piattaforma navale erano di circa 1,5 miliardi di euro, al netto dei futuri aeromobili F-35 e del relativo sistema di supporto logistico. 

(Web, Google, Wikipedia)











































































F 35 B Stov/L che saranno a breve imbarcati sul Cavour.



giovedì 6 dicembre 2018

BARI, ore 11.57 del 9 aprile del 1945!



Alle ore 11.57 del 9 aprile del 1945, il porto di Bari sprofondò nel profondo inferno in terra!

Era saltata in aria la nave da carico americana “Henderson”. 
Immediatamente la fantasia del popolo corse all’attentato di sabotatori: 

“””Sono stati quelli della quinta colonna!””” – sbraitava senza prove la gente.

In quei giorni spie, dinamitardi e sabotatori, erano indicati come appartenenti alla cosiddetta quinta colonna.

Si era all’inizio della primavera. 

La città e il porto erano troppo tranquilli.

Oramai - dopo le recenti vicissitudini belliche - i bambini avevano ripreso a frequentare regolarmente la scuola.  I nonni, gli zii, i genitori erano al lavoro nelle campagne, negli orti, nelle fabbriche, negli uffici ed anche negli impianti portuali.  Nella città vecchia e nel vicino porto si sentivano le urla della gente e degli operai addetti alle operazioni di carico e scarico dei materiali bellici. Colonne di autocarri militari entravano e uscivano dai cancelli dei depositi di munizioni.

Alle 11,45, nell’Istituto della Madonna del Carmine retto dalle suore di Ivrea, nella città vecchia, suonò la campanella per l’ora di adorazione in Cattedrale. Mentre le ragazzine si accingevano a scendere le scale, all’improvviso, una tremenda scossa, seguita da un boato e, poi, dalla caduta di calcinacci, staccò dal muro il grande finestrone del ballatoio. Altre scosse, vibrazioni improvvise, altri tremendi boati preceduti da lampi di luce intensissima. 
Il sangue cominciò a sgorgare dalle ferite delle bambine colpite dal finestrone; le più gravi piangevano e gridavano a squarciagola aiuto. Le ragazzine che riuscirono ad uscir fuori dall’Istituto si avviarono, correndo, verso casa, nelle immediate adiacenze della Cattedrale. 
Sulle rovine di uno stabile bombardato due anni prima, il 2 dicembre 1943, una madre con una bambina tra le braccia, era stata colpita in pieno da una mostruosa scheggia lasciando sul muro una larga striscia di sangue.  La gente terrorizzata usciva dalle case, inciampava sui corpi dei morti, dei feriti e si riversava in piazza guardando in alto, verso il cielo, pensando ad un bombardamento aereo. Dai loro pensieri, gridati e non, venivano fuori interrogativi, paure, strane congetture. Intanto dalla Cattedrale venivano giù mattoni, detriti e calcinacci. All’improvviso, dalla parte del porto coperto dall’inferno di fumo nero cominciarono a sbucare uomini sporchi di sangue e catrame, occhi rossi come brace: tutti - militari e civili inermi - correvano senza meta implorando aiuto.

Nella città vecchia il panico cresceva a dismisura perché tutti o quasi gli uomini lavoravano al porto; anche mio suocero Gaetano Losito - scampò per miracolo all’immane tragedia perché in quei giorni era a casa per licenza di matrimonio!. Quel giorno, i più stavano scaricando tonnellate e tonnellate di bombe e materiali bellici di ogni tipo. La gente si agitava, gridava, piangeva, correva verso il porto disperata.

Ad un tratto si sentì gridare la notizia: – E’ scoppiata la nave americana “Henderson”, sì, quella carica di munizioni! Alcuni giorni prima, quella nave aveva destato non poche preoccupazioni ai portuali. Dalla stiva di poppa si erano uditi degli strani scricchiolii.
Quella mattina del 9 aprile alcuni operai erano stati chiamati per spostare la “Henderson” dalla banchina 16 alla banchina 14, cioè verso il braccio esterno del porto.
Quel giorno, sulle banchine ricostruite dopo il bombardamento del 2 dicembre 1943, il lavoro era intenso: un continuo andirivieni di uomini e mezzi trasportavano il materiale bellico nelle officine e nei capannoni adibiti a depositi militari. Seimila uomini: neozelandesi, americani, inglesi, indiani, slavi, russi, lavoravano senza sosta. Anche tre squadre di operai, circa 170 uomini, si alternavano, a turno, per trasportare e sistemare la merce.
La nave trasporto munizioni "Charles Henderson" della US Navy, mentre era ormeggiata alla banchina 14 del porto di Bari, per cause forse accidentali, forse per un  sabotaggio, esplose improvvisamente seminando attorno a sé distruzione e morte. In pochi istanti centinaia di vite umane venivano distrutte e della nave non restavano che pochi relitti. Un evento che tutti i baresi di una certa età ricordano ancora con commozione a paura. 

A tanti anni esatti di distanza da quella immane ennesima tragedia della città di Bari, una ricerca condotta negli Stati Uniti ha permesso di rintracciare una fotografia del piroscafo, scattata poche settimane dopo il suo varo. Un documento mai visto prima in Italia, dove esistono soltanto delle fotografie del piroscafo squarciato dall'esplosione. Vari spezzoni della sovrastruttura della nave furono disseminati per un raggio di qualche chilometro, provocando non pochi danni agli edifici della zona portuale, mentre spruzzi di nafta provenienti dai doppi fondi del piroscafo furono proiettati così lontano da raggiungere i sobborghi della città. I vetri delle case, a notevole distanza dal porto, andarono violentemente in frantumi, causando numerosi feriti e parecchi morti tra la popolazione civile. Porte e finestre furono divelte come fuscelli sotto la furia dello spostamento d' aria, disseminando le vie di un impressionante groviglio di macerie, rendendo difficile la circolazione della gente che, presa dal panico, correva come pazza alla ricerca di un qualche sicuro rifugio. Del piroscafo Charles Henderson, che pochi minuti prima dominava con la sua potente mole la scena della calata, non restavano che due enormi spezzoni: la prua che era andata a conficcarsi profondamente nel muro di sponda del molo antistante e la poppa ridotta ad un ammasso informe di ferraglie appena affioranti dalle acque. Della parte centrale dello scafo, in corrispondenza delle stive e dell'apparato motore, non si scorgeva alcuna traccia. Il muro di sponda, dove si trovava attraccata la nave per una lunghezza di 75 metri, era del tutto sparito ed anche la calata corrispondente denominata appunto 14, per un'analoga lunghezza e una profondità di 25 metri era saltata in aria: al suo posto si vedeva soltanto un laghetto per l'invasione delle acque marine della voragine provocata dallo scoppio. 

Del grande capannone per il ricovero delle merci in transito e del binario di riva per la manovra delle gru di scarico e di tre potenti gru meccaniche, non restava alcun segno. La nave, con il suo terribile carico di esplosivi, era giunta nel porto della città nella prima mattinata del giorno 5 aprile 1945, ormeggiandosi alla banchina 21; lo stesso giorno fu spostata alla banchina 16 ed aveva iniziato le operazioni di sbarco delle munizioni subito dopo. Parte del carico fu sbarcata su quella banchina. Il comando interalleato del porto decise poi trasferire la nave statunitense ad una banchina dotata di gru meccaniche, la 14 appunto. Il movimento della nave avvenne alle ore 5.30 del 9 aprile. A quell'ora la Henderson mise in moto le sue macchine e, aiutata da due rimorchiatori baresi, fu ormeggiata finalmente alla banchina n.14 tra le 09.30 e le 10.00. 

Alle 11.57 circa, mentre le stive brulicavano di lavoratori baresi intenti nelle operazioni di sbarco delle munizioni, dalla stiva 5 della sfortunata nave uscì una violenta fiammata seguita subito dopo da una esplosione terrificante.In quell'istante, nelle stive della nave erano al lavoro 121 civili baresi; di questi, 92 furono dichiarati morti o dispersi mentre 29 sopravvissero allo scoppio. Questi 29 fortunati si trovavano nelle stive prodiere e subirono comunque ferite più o meno gravi. Ma il bilancio complessivo delle vittime fu oltremodo più grave se si considera che l'intera banchina brulicava di lavoratori baresi. 

I deceduti, infatti, assommarono a 317 mentre i feriti furono circa 600. Inoltre ben 937 famiglie furono costrette a trasferirsi per avere avuto le loro abitazioni dichiarate inabitabili. A questo bilancio dovettero sommarsi i caduti delle unità alleate presenti nel porto e, in particolare, quelli della Charles Henderson. 


Nello spaventoso scoppio; nel risucchio della nave che colava a picco, furono tanti gli uomini inghiottiti dal mare. Una parte della nave era saltata in aria, i rottami erano caduti sul porto e nella città vecchia. Grida, gemiti, urla e pianti. La città venne attraversata da un improvviso fremito di disperazione. L’accesso al porto fu transennato ed alcuni uomini, sfuggiti al disastro per miracolo, portarono notizie fresche. Sulle banchine i morti non si contavano più. Una massa di gente scalmanata e vociante si dirigeva verso gli ospedali e il cimitero.

Le strade erano deserte, sulla città gravava un silenzio di morte, dappertutto un olezzo pregnante di zolfo e di catrame. 

Sulla «Gazzetta del Mezzogiorno», per effetto di una rigidissima censura, la notizia comparve solo quattro giorni dopo, il 13 aprile. Il quotidiano pugliese fornì i primi e spaventosi dati: 360 morti, tra cui circa cinquanta membri dell’equipaggio della nave americana e 1730 feriti, in gran parte civili italiani, soprattutto portuali. I danni furono ingentissimi nella città vecchia: dall’Ospedale consorziale (accanto a Santa Scolastica) alle case popolari all’Ospizio di mendicità ed alle abitazioni private che si affacciavano su piazza San Pietro, assieme a diverse chiese: San Gregorio, Santa Chiara, la Cattedrale e San Nicola. 

Per un raggio di alcuni chilometri tutti i vetri degli edifici pubblici e delle abitazioni private andarono in frantumi e scene di panico si registrano nelle scuole che si svuotarono in pochi minuti. 
Una pioggia di nafta e detriti si riversò su Bari, sovrastata da una altissima colonna di fumo. 

Una vera e propria gara di solidarietà si sviluppò nella città.

L’esplosione della Henderson avvenne nel corso delle operazioni di scarico dell’ingente materiale bellico, soprattutto bombe d’aereo, che rifornivano le diverse basi americane dislocate in Puglia, molto attive in quelle ultime settimane di guerra. In una approfondita ricerca storica si sostiene che gli americani sperimentarono proprio in quel periodo il «Napalm», un nuovo tipo di bombe incendiarie (tristemente note nella guerra del Vietnam) con micidiali effetti distruttivi ad ampio raggio; la nuova arma fu infatti impiegata tra marzo ed aprile 1945 su alcune zone dell’Emilia e del Nord-Est contro i reparti nazisti. 

Il riserbo delle autorità alleate sulla natura del carico del piroscafo americano saltato in aria il 9 aprile era probabilmente connesso all’impiego di nuove armi tra cui il «Napalm» e gli «aggressivi chimici». I resti di questi ultimi, fino ad oggi sconosciuti eroi, furono ricomposti e riposano in una tomba senza nomi e che i baresi conoscono bene, nel cimitero della città. Dell' equipaggio della nave, composto da 35 civili e 13 militari della riserva navale degli Stati Uniti, si salvarono soltanto l'ufficiale addetto al carico ed il direttore di macchina, entrambi assenti da bordo nell'istante dell'esplosione. Il comandante militare della Charles Henderson, perito nell'incidente, era il guardiamarina Eugene Ebert

Questo tragico evento fu uno degli ultimi episodi della guerra, che si sarebbe definitivamente conclusa nel luglio successivo. 

La versione ufficiale su quella esplosione parlava di «incidente». 

Tuttavia nel 1946 una speciale commissione dell’U.S. Army diresse tutte le operazioni di recupero del pericoloso carico e di localizzazione dei fondali a largo della costa pugliese (Molfetta) per «il gettito in mare di queste bombe considerate troppo pericolose per essere conservate a terra o maneggiate come necessario per scopi di demilitarizzazioni»

Al porto le fiamme consumavano corpi e oggetti: troppi!

Di tanto in tanto il rogo sembrava quietarsi, poi, alimentato da olio, benzina, gomma di copertoni, riprendeva con alte fiammate. Tanti uomini che al momento del disastro si trovavano sulla nave americana o nel porto a lavorare erano spariti, senza lasciare alcuna traccia. 
Nella zona portuale erano accatastati mucchi di sacchi con dentro resti umani sanguinanti.

All’alba del 10 aprile 1945, finalmente si chiuse un giorno terribile per la città di Bari.

I morti accertati furono 317, i dispersi 142, migliaia i feriti. Queste cifre riguardano le perdite civili. 

I comandi militari italiani e gli Alleati, al momento, non fecero conoscere le loro perdite. 

Le case della città vecchia dichiarate inabili furono circa mille.

La nave “Charles Henderson” quasi certamente era carica anche di ordigni all’iprite (potente aggressivo chimico tossico vescicante). 
Quando all’improvviso saltò in aria, con un forte boato, in pochi minuti Bari fu letteralmente sconvolta da uno dei maggiori disastri della guerra nel Mediterraneo. Il piroscafo americano, per fortuna, esplose solo in parte. La nave si spezzò in due tronconi, uno dei quali s’inabissò. Dal cielo pioveva nafta e cadevano detriti di ogni genere. Esplosero i vetri delle abitazioni e degli edifici pubblici del lungomare e del quartiere murattiano. Le ferite più frequenti riportate dalle vittime furono quelle al volto ed alla testa. Le strutture portuali vennero completamente distrutte. Furono demoliti molti stabili nel borgo antico e più di mille famiglie rimasero senza tetto. I danni al patrimonio artistico ed alle chiese, tra cui San Nicola e la Cattedrale, furono incalcolabili.

A poche settimane dalla fine della guerra, gli anglo-americani stavano ancora accumulando enormi quantitativi di armi e munizioni per l’esercito. Anche la nave “Henderson”, al pari di quelle colpite il 2 dicembre 1943 dal bombardamento tedesco, custodiva nelle sue stive bombe con aggressivi chimici. Una rigorosa censura sul carico della nave venne imposta dalle autorità alleate, ma anche da quelle italiane. Si voleva nascondere la preparazione della guerra chimica. 

Dopo lo sbarco in Sicilia e l’arrivo in Puglia, gli Alleati scoprirono ingenti depositi nazisti di iprite e di fosgene. 

Dunque gli Alleati si preparavano per tempo - e se ce ne fosse stato bisogno - a rispondere ad un eventuale attacco nemico con gas bellici da parte dei tedeschi.

Le tragiche conseguenze della guerra riemergono ancora oggi, e devono esser da monito alle generazioni future: 

“””Non c’è futuro per noi senza la memoria del passato”””!

(fonti: Web, Google, Wikipedia, Barinedita, Pugliareporter, La Gazzetta del Mezzogiorno, dott. Vito Antonio Leuzzi etc…)

Nico Vernì























US ARMY - US MARINES - Comando Operazioni Speciali degli Stati Uniti (USSOCOM): il Corpo dei marines statunitensi ha raggiunto la piena capacità operativa per il fucile da “sniper” BARRETT ASR MK 22 Mod.0.

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