giovedì 8 agosto 2019

Nave “Cristoforo Colombo”, il Vespucci e l'incontro con l'USS Indipendence del 1962 e un ammiraglio velista da ricordare: Agostino Straulino

Nave "Cristoforo Colombo".



https://svppbellum.blogspot.com/

Blog dedicato agli appassionati di DIFESA, storia militare, sicurezza e tecnologia. 






Nave “Cristoforo Colombo”

Non molti sanno che l’Amerigo Vespucci fu costruita come coppia di due navi non gemelle, ma molto simili; ma la “sorella” del mare venne ceduta ai Russi in “conto riparazione danni di guerra” dopo la fine del Secondo Conflitto Mondiale. La sorte di nave “Cristoforo Colombo” fu assai più sfortunata della Vespucci. Venne inizialmente utilizzata dai Sovietici in qualità di nave scuola per circa 10 anni: fu utilizzata saltuariamente in qualità di trasporto legname. 
La Colombo infatti, divenuta operativa nel 1928, fu ceduta all’URSS dopo la Seconda Guerra Mondiale, con il nuovo nome di Dunay, per essere utilizzata come nave scuola nel Mar Nero fino al tragico incendio del 1963. A seguito di quell’incendio (per lungo tempo si sospettò di segreti sabotatori), nel 1971 venne definitivamente demolita. 



La cessione della nave ai russi come riparazione dei danni di guerra fu molto travagliata, e furono in tantissimi a tentare di boicottare il passaggio della nave in mani straniere.



La nave più bella del mondo: Nave Amerigo Vespucci, la più antica della Marina Militare Italiana.

E’ una nave elegante e meravigliosa nelle sue forme: gode di un trattamento speciale nelle acque di tutto il globo. Secondo le leggi del mare, pare che i transatlantici abbiano la precedenza rispetto a tutte le altre imbarcazioni. Regola che però non vale per il Vespucci che fa fermare tutti, godendo di un diritto di precedenza riservato a nessun altro.
La fama e l’attaccamento a questa nave, che ci rappresenta in tutto il mondo, è tanto da farcela chiamare spesso erroneamente “La Vespucci”, come fosse un mamma.



Lo Storico incontro fra l’Amerigo Vespucci e la Portaerei USS Independence del 1962.

Correva l’anno 1962, e da pochissimo tempo era entrata in servizio la Portaerei Statunitense USS Indipendence, una nave della Classe Forrestal che, insieme a 3 sue “sorelle”, rivoluzionò completamente il mondo delle portaerei definendo un nuovo orizzonte per l’utilizzo di questo tipo di navi. L’Amerigo Vespucci, veliero scuola della Marina Militare Italiana, fu varata molti anni prima della USS Indipendence, nel 1931, e da allora costituisce motivo di orgoglio per tutta la Marina Militare Italiana, e per tutti gli italiani.
Nel 1962 queste due navi si incontrarono nel Mar Mediterraneo, e la portaerei statunitense lampeggiò con il segnale luminoso, chiedendo:
  • Chi siete?

Al che dall’Amerigo Vespucci risposero:
  • Nave scuola Amerigo Vespucci, Marina Militare Italiana.

E la risposta degli statunitensi rimase scritta negli annali:
  • Siete la nave più bella del Mondo!

Il cordiale omaggio della US Navy alla nostra nave è solo uno dei tanti che il mondo del mare tributa periodicamente al Vespucci, che venne ritenuta, sin dal momento del suo varo, un esempio dell’eccellenza artigianale e ingegneristica italiana. Le regole di navigazione prevedono che i transatlantici abbiano sempre la precedenza rispetto alle altre imbarcazioni, ma quando i giganti del mare incontrano l’Amerigo Vespucci nei mari di tutto il mondo, questa legge non vale più, e i giganti spengono i motori, rinunciano alla precedenza e suonando tre colpi di sirena in segno di saluto.



Ma la nave Amerigo Vespucci non è solo la più bella del mondo, è anche la più antica della Marina Militare Italiana con i suoi innumerevoli anni di attività dal primo varo del 1931.
L’Amerigo Vespucci è un veliero, progettato nella seconda meta degli anni ’20, che funge da nave scuola per gli allievi della Marina Militare che devono imparare l’arte del navigare. All’epoca della sua creazione, nel 1925, si sentì l’esigenza di mandare in pensione la nave scuola in dotazione all’Accademia Navale. Il progetto fu affidato all’ingegnere e tenente colonnello Francesco Rotundi che diresse i lavori dai cantieri navali di Castellammare di Stabia (NA).
Come già evidenziato in precedenza, in realtà, all’epoca, il progetto aveva previsto la costruzione di due navi scuola: la nave Amerigo Vespucci e la Cristoforo Colombo, praticamente identiche in ogni dettaglio. Il destino delle due navi gemelle fu però diverso. 
Il Vespucci invece è ad oggi funzionante e operativa, navigando in lungo e largo in tutto il mondo con il suo carico di allievi e continuando a stupirci con la sua eleganza e maestosità. Parliamo di una nave a vela con motore e tre alberi verticali, lunga 101 metri e pesante 4.146 tonnellate a pieno carico, con una velocità massima di 10 nodi a motore e 16 a vela. Le sue 24 vele quadre in tela olona, una fibra naturale, hanno un’estensione di 2.635 metri quadri, e il totale delle cime, le corde utilizzate a bordo, è pari a 36 chilometri di lunghezza.
«Non chi comincia ma quel che persevera», il motto della nave scuola!
Nel panorama navale italiano ogni nave porta con sé un nome e un motto. Si tratta di una breve frase che ha lo scopo di dare valore alla nave e stimolare positivamente l’equipaggio stesso. Dagli anni ’30 del Novecento diventa una consuetudine. Non fa eccezione nave Amerigo Vespucci. Il motto della nave scuola è «Non chi comincia ma quel che persevera», ufficializzato nel 1978. La frase, attribuita al grande artista Leonardo Da Vinci, sembra calzare a pennello una nave che continua a essere la più bella del mondo nonostante ne sia passata parecchia di acqua sotto i ponti. Il motto ovviamente sembra essere un chiaro riferimento alla severa formazione a cui sono destinati i futuri ufficiali della Marina Militare. Non è tanto il cominciare quel percorso, quanto piuttosto portarlo fino in fondo.
Ma non c’è nave senza equipaggio. Il cuore pulsante della Vespucci sono infatti i 16 ufficiali, 70 sottufficiali e 200 marinai che la abitano. Un numero che aumenta fino ad arrivare a 400 persone durante il periodo estivo, quando a bordo salgono anche gli Allievi del primo anno dell’Accademia Navale di Livorno, i cadetti, per scoprire i segreti e le tecniche marinaresche. Quest’ultimi sono chiamati “pivoli” e si occupano degli alberi di maestra o di mezzana. I marinai, invece, svolgono l’attività di controllo e gestione dell’albero di trinchetto e degli altri due sopracitati.



La vita su nave Vespucci segue la routine della navigazione e quella del porto. Quando è ormeggiata infatti l’equipaggio si mette a disposizione per condividere la sua storia con i visitatori. Durante il periodo in mare, invece, si seguono ritmi severi con attività che richiamano le tradizioni della marineria velica di un tempo.
L’Amerigo Vespucci rappresenta anche la tradizione. Così, ancora oggi, tutti gli ordini del Comandante vengono impartiti dal Nostromo mediante un fischietto in ottone detto appunto “fischietto del Nostromo”. Si tratta di una sorta di linguaggio in codice in cui ogni fischio, nota o pausa corrisponde a uno specifico comando, proprio come accadeva in passato. I nostromi, o nocchieri, sono addetti alle manovre in coperta, cioè sul ponte esterno. Dal varo del 1931, sulla Vespucci si sono succeduti 18 nostromi, i cui nomi sono scritti su una targa a bordo della nave.



Nave Amerigo Vespucci rappresenta l’Italia in tutto il mondo, un fiore all’occhiello per il nostro paese. Il veliero viene definito ambasciatore sul mare dell’arte, della cultura e dell’ingegneria italiana. Chi meglio di questo veliero rappresenta infatti il nostro Made in Italy? Dal 2007 è anche ambasciatrice dell’UNICEF.
Come disse il Capitano Angelo Patruno, Comandante della nave scuola nel 2017, «C’è un grandissimo rispetto in ognuno di noi, c’è la sensazione di orgoglio, di consapevolezza della storia che questa nave rappresenta per l’Italia».



Sono spesso i dettagli a fare la differenza ed è questo il caso del Vespucci. Dallo scafo bianco e nero, con gli oblò che ricordano le batterie dei cannoni dei vascelli dell’Ottocento, fino ai fregi di prora e gliarabeschi di poppa in oro zecchino, e la polena a prua raffigurante l’omonimo esploratore. Tutto rientra nel disegno di un veliero che profuma di mare e avventure. Per non parlare poi delle vele in tela olona, le cime in materiale vegetale e i legni super lucenti che la caratterizzano.
Gli interni non sono da meno. Si tratta di elegantissimi arredi in legno che risalgono agli anni ’30, come la Sala Consiglio in noce e mogano utilizzata come salotto di rappresentanza per incontri molto importanti.
Altrettanto importante è un lungo corridoio che mostra i Crest, emblemi a forma di scudo scambiati con le autorità dei porti in cui la Vespucci è stata ospitata e ormeggiata. Il lungo viaggio della nave scuola è forse racchiuso in questi pochi metri.



Un ammiraglio da ricordare: Agostino Straulino

I comandanti restano sul Vespucci per un anno, ma alcuni rimangono nella storia. Tra questi l’Ammiraglio Agostino Straulino, conosciuto tra gli addetti ai lavori come quello che “annusava” il vento più che osservarlo dagli strumenti tecnici di bordo. Divenne noto per l’aver partecipato a numerose regate nonostante avesse ormai più di ottanta anni. Ma lo si ricorda anche per le sue grandi avventure al comando della nave scuola, ad esempio quando nel 1965 navigò a vele spiegate lungo il Tamigi e, una volta raggiunto il porto di Portsmouth, rifiutò i rimorchiatori e ormeggiò fra un incrociatore e una portaerei come se stesse parcheggiando una Smart in centro città.



Agostino Straulino, detto Tino (Lussinpiccolo, 10 ottobre 1914 – Roma, 14 dicembre 2004), è stato un velista e ammiraglio italiano.
È una delle figure leggendarie della vela italiana. Nato in una famiglia originaria di Sutrio in Carnia, impara ad andare in barca a vela per andare a scuola. Le sue prime esperienze sono dunque nel golfo del Quarnaro.
Diplomatosi nel 1932 presso il Regio istituto nautico di Venezia frequenta successivamente l'Accademia navale di Livorno dove entra nel 1934 come allievo ufficiale di complemento del Corpo di stato maggiore. Durante la seconda guerra mondiale destinato come ufficiale alla Decima MAS, tra gli assaltatori del Gruppo Gamma che piazzavano le cariche esplosive magnetiche sotto le navi britanniche nella rada di Gibilterra. Nella carriera militare raggiunse il grado di contrammiraglio.
Al termine della guerra, nel corso dei lavori di sminamento nel golfo di Taranto, un ordigno bellico gli esplose vicino e lo rese quasi cieco. La vista ricomparve lentamente, ma il suo amore per la vela lo spinse ad allenarsi durante la notte, quando non era necessario vedere perfettamente, per prepararsi ai Giochi olimpici del 1948. Dal 21 novembre 1964 al 28 ottobre 1965 ebbe il comando della nave scuola Amerigo Vespucci, con la quale passò alla leggenda grazie all'uscita a vele spiegate dal porto di Taranto attraverso il canale navigabile e stabilendo il record di velocità di 14,6 nodi (27,039 km/h).



L'attività sportiva

Ha ottenuto una medaglia d'oro alla XV Olimpiade (Helsinki - 1952) per la vela - classe star e nella stessa specialità una medaglia d'argento alla XVI Olimpiade (Melbourne - 1956). Dopo questi successi la vela italiana ha dovuto aspettare 48 anni e Alessandra Sensini per vincere nuovamente una medaglia d'oro in un'olimpiade.
Nel 1973 vinse la One Ton Cup con Ydra, disegnata da Dick Carter.
Nel 2001 gli venne conferita dal presidente Carlo Azeglio Ciampi l'onorificenza di Cavaliere di gran croce della Repubblica Italiana. A 88 anni vinse per la quinta volta consecutiva la regata over 60 di Napoli. È morto all'età di oltre 90 anni in una stanza dell'ospedale militare romano del Celio. La sua salma è stata portata all'aeroporto di Lussinpiccolo da un elicottero della Marina Militare italiana per esser tumulata nella tomba di famiglia dopo funerale e funzione religiosa, alla presenza di parenti e autorità italiane e croate.
Nato per essere marinaio, disse: «Sulla mia isola sono venuto al mondo e cresciuto. Là ho capito il mare e il mare mi ha accolto tra i suoi abitanti. Là ho conosciuto il vento e l'ho fatto diventare mio amico».



Palmarès

Olimpiadi
  • Una volta campione olimpico.
  • 1936 - Berlino - Classe Star: riserva
  • 1948 - Torquay - Classe Star: 5° (con Nicolò Rode), perse una medaglia praticamente vinta a causa di un disalberamento
  • 1952 - Harmaja - Classe Star: 1° (con Nicolò Rode)
  • 1956 - Melbourne - Classe Star: 2° (con Nicolò Rode), dietro a Williams e Herbert.
  • 1960 - Napoli - Classe Star; 4° (con Carlo Rolandi)
  • 1964 - Tokio - Classe 5.5 S.I.: 4° (con Petronio e Minervini).

Campionati mondiali
  • Quattro volte campione mondiale.
  • 1939 - Kiel - Classe Star: 2° (con Nicolò Rode) su "Polluce"
  • 1948 - Cascais - Classe Star: 2° (con Nicolò Rode) su "Polluce"
  • 1950 - Chicago - Classe Star: 1° (con Nicolò Rode)
  • 1952 - Cascais - Classe Star: 5° (con Nicolò Rode)
  • 1953 - Napoli - Classe Star: 1° (con Nicolò Rode) su "Merope"
  • 1954 - Cascais - Classe Star: 3° (con Nicolò Rode) su "Merope II"
  • 1956 - Napoli - Classe Star: 1° (con Nicolò Rode) su "Merope III"
  • 1965 - Napoli - Classe 5.5 S:I: 1° (con Petronio e Minervini) su "Grifone".

Campionati europei
  • Dieci volte campione europeo.
  • 1936 - Napoli - Classe Star: 2°
  • 1938 - Kiel - Classe Star: 1° su "Polluce" (con Nicolò Rode)
  • 1949 - Montecarlo - Classe Star: 1° su "Polluce" (con Nicolò Rode)
  • 1950 - Napoli - Classe Star: 1° su "Merope" (con Nicolò Rode)
  • 1951 - Napoli - Classe Star: 1° su "Merope" (con Nicolò Rode)
  • 1952 - Cascais - Classe Star: 1° su "Merope" (con Nicolò Rode)
  • 1953 - Napoli - Classe Star: 1° su "Merope II" (con Nicolò Rode)
  • 1954 - Cascais - Classe Star: 1° su "Merope II" (con Nicolò Rode)
  • 1955 - Livorno - Classe Star: 1° su "Merope II" (con Nicolò Rode)
  • 1956 - Napoli - Classe Star: 1° su "Merope II" (con Nicolò Rode)
  • 1959 - Fedala (Marocco) - Classe Star: 1° su "Merope III" (con Carlo Rolandi)
  • 1973 - - Classe IOR: 3°.

Campionati italiani
  • Dodici volte campione italiano
Classe Star.
  • 1938 - Livorno: 1° su "Polluce" (con Luigi De Manincor)
  • 1946: Napoli: 1° su "Polluce" (con Prato)
  • 1948 - Napoli: 1° su "Polluce" (con Nicolò Rode)
  • 1949 - Taranto: 1° su "Polluce" (con Nicolò Rode)
  • 1950 - Napoli: 1° su "Merope" (con Nicolò Rode)
  • 1951: Napoli: 1° su "Merope" (con Nicolò Rode)
  • 1952 - Venezia: 1° su "Polluce II" (con Niccolini)
  • 1953 - Taranto: 1° su "Polluce II" (con Nicolò Rode)
  • 1954 - Riva del Garda: 1° su "Merope II" (con Nicolò Rode)
  • 1955 - Livorno: 1° su "Merope II" (con Nicolò Rode)
  • 1956 - Bari: 1° su "Merope II" (con Nicolò Rode)
  • 1959 - Trieste: 1° su "Merope III" (con Carlo Lapanje)
  • Classe 6mt S:I:.
  • 1938 - Livorno: 1°.

Regate internazionali
  • Settimana velica di Kiel
  • 1° negli anni 1954, 1955, 1956, 1957, 1959, 1960
  • Porto Cervo One Ton Cup
  • 1° nel 1973 su "Ydra" (di M. Spaccarelli)
  • Giraglia
  • 1° nel 1973 su "Ydra"
  • Coppa del Re (Norvegia)
  • 1° nel 1937
  • Campionati internazionali di Francia
  • 1° negli 1959, 1960
  • Campionati internazionali di Germania
  • 1° negli anni 1955, 1956, 1959.

Onorificenze: 
  • Medaglia d’argento al valor militare; 
  • Medaglia di bronzo al valor militare; 
  • Grande Ufficiale al merito della Repubblica Italiana.



Riconoscimenti:

Nel maggio 2015, una targa dedicata a Straulino fu inserita nella Walk of Fame dello sport italiano al parco olimpico del Foro Italico a Roma, riservata agli ex-atleti italiani che si sono distinti in campo internazionale.
Nel 1965 Straulino assume il comando dell’Amerigo Vespucci, e qui iniziò la sua seconda vita, quella da ammiraglio. “Gli inglesi – scrisse Paolo Venanzangeli – ancora raccontano di quando risalì a vele spiegate il Tamigi, fino a Londra”.
Ma la manovra più nota è certamente l’uscita a vela dal porto di Taranto, con pochi metri a disposizione sui due lati dello scafo. Una manovra pazzesca che ricordava ogni volta con enfasi e commozione. “Una manovra – ha raccontato Venanzangeli – che, a quanto si dice, fruttò al Comandante due lettere dell’ammiragliato, una di encomio, per la splendida manovra, a cui aveva assistito attonita tutta la città ed una che annunciava dieci giorni di arresti, per aver infranto il regolamento”. Andò in pensione da contrammiraglio, e nel 1988 partecipò alla sua ultima regata. Ovviamente vincendola.
Qui raccontata da Giancarlo Basile: “Alle otto in punto salivo sul barcarizzo del Vespucci, ormeggiato alla banchina torpediniere in Mar Piccolo. C’era già un gran trambusto a bordo per i preparativi: in particolare il nostromo era indaffaratissimo con un’ancora di speranza rizzata da sempre al coronamento, che il Comandante aveva voluto pronta a essere data fondo, con un grosso cavo torticcio ben abbisciato sul cassero, ciò che mi meravigliò non poco. Soffiava una forte e gelida tramontana che credo sfiorasse i trenta nodi. Mentre pensavo a cosa mai il Comandante volesse fare con quell’ancora, di colpo mi si accese una lampadina: ma certo, con quel vento che spirava dritto in poppa in uscita dal Mar Piccolo, Agostino Straulino non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione di attraversare il canale navigabile a vele spiegate. E un’ancora data fondo di poppa poteva servire nel caso qualcosa non fosse andata come previsto. Me lo confermò subito dopo lui stesso, quando lo incontrai in Sala Consiglio, dove era apparecchiato per la prima colazione, alla quale mi invitò a fargli compagnia. Aveva un suo piano studiato nei minimi particolari, che volle confidarmi, cosa di cui mi sentii molto onorato: era la conferma che gli stavo ‘simpatico’, per usare il suo aggettivo preferito”.
Durante la colazione il Comandante comunica a Basile che toccherà proprio a lui l’incarico di ufficiale di guardia nella prima parte della navigazione. “Presi a ripassare mentalmente gli ordini che bisogna saper dare per governare un veliero stracarico di manovre correnti, cercando di ricordare ciò che avevo appreso da allievo e da aspirante guardiamarina nel corso di tre campagne addestrative su quella nave, una decina d’anni prima”.
Con molto anticipo sull’orario di apertura del ponte girevole, viene battuto il posto di manovra. “Furono mollati i cavi d’ormeggio di poppa e si iniziò a virare l’argano per salpare l’ancora, che tuttavia risultò incattivata. Il Comandante aveva evidentemente previsto anche questa evenienza, ecco perché aveva cominciato le operazioni con tanto anticipo. Dovettero intervenire i palombari per mettere in chiaro l’ancora, ci volle un’ora buona. Mancava ancora più di mezz’ora all’apertura del ponte quando, finalmente liberi, ci portammo a motore più sopravento possibile, a qualche decina di metri dalle colture dei mitili di cui il Mar Piccolo abbonda. Venne battuto il posto di manovra alla vela. In men che non si dica i gabbieri salirono a riva su per le griselle del trinchetto e mollarono i gerli di tutte le vele, dal controvelaccino al trevo. La nave era così pronta a essere invelata all’ordine e si presentava perfettamente allineata col canale navigabile”.



Ma il ponte è ancora chiuso. “Con le vele del trinchetto imbrogliate ci si avvicinava a quattro nodi, in dieci minuti saremmo stati lì… E se fosse rimasto chiuso? Ce l’avrebbe fatta l’ancora di speranza preparata a poppa a fermare le quattromila tonnellate del Vespucci? Ma ecco che il ponte cominciò ad aprirsi. In quel preciso momento il Comandante ordinò di mollare gli imbrogli e cazzare le scotte delle vele del trinchetto, che furono bordate tutte insieme in non più di quindici secondi, con i pennoni in croce. Contemporaneamente vennero alzate quattro bandiere del codice internazionale dei segnali che vogliono dire “Ho le macchine in avaria”. E sì, perché il transito a vela per il canale navigabile è vietato anche a un dinghy, figuriamoci al Vespucci. Con la tramontana che soffiava forte non ci volle molto perché la nave si abbrivasse fino a otto nodi. Con nostra meraviglia, appena il ponte fu aperto completamente, dal castello arrivò a lampi di luce il messaggio “Accelerate la vostra manovra”! Può darsi che fosse uno scherzo, ma Straulino andò su tutte le furie… Non passarono più di cinque minuti ed eravamo nel canale navigabile, con i pennoni più bassi che sovrastavano le due strade gremite di gente festante, tutte le vele del trinchetto piene da scoppiare, i baffi sotto i masconi: doveva essere uno spettacolo fantastico il Vespucci visto da terra”.



Al balcone dell’Ammiragliato, sulla sinistra verso la fine del transito attraverso il canale navigabile, l’ammiraglio saluta entusiasta. “Rispondemmo al saluto ed eravamo già in Mar Grande, mentre il ponte si richiudeva dietro di noi. Continuammo così, in fil di ruota sotto il solo trinchetto completamente invelato fino alle ostruzioni del Mar Grande, superate le quali il Comandante mi affidò la nave, come mi aveva preannunciato. Venni all’orza, accostando a sinistra, in rotta per costeggiare il Salento fino a Santa Maria di Leuca, facendo al contempo bracciare i pennoni e bordando prima le gabbie e il trevo di maestra, poi anche il velaccio, ma tenni il controvelaccio e le vele della mezzana serrate, ricordando la forte tendenza orziera del Vespucci a quell’andatura. Avevo fatto alzare la trinchetta, il fiocco, il gran fiocco e il controfiocco e la nave governava con la barra al centro. La fiamma in testa d’albero di maestra indicava il vento esattamente al traverso, il Vespucci era ben inclinato, con gli oblò più bassi di sottovento chiusi perché andavano sott’acqua. La velocità era salita a 9,5 nodi. Mi dispiacque quando venne a rilevarmi il tenente di vascello preposto ai marinai, sarei rimasto a godermi lo spettacolo sul banco di quarto di sopravento per tutta la notte… Cenai col Comandante che si congratulò con me per come avevo svolto il servizio di ufficiale di guardia, cosa che naturalmente mi fece molto piacere: Straulino non era tipo da congratularsi tanto facilmente”.




Ripensare la guerra, e il suo posto
nella cultura politica europea contemporanea,
è il solo modo per non trovarsi di nuovo davanti
a un disegno spezzato
senza nessuna strategia
per poterlo ricostruire su basi più solide e più universali.
Se c’è una cosa che gli ultimi eventi ci stanno insegnando
è che non bisogna arrendersi mai,
che la difesa della propria libertà
ha un costo
ma è il presupposto per perseguire ogni sogno,
ogni speranza, ogni scopo,
che le cose per cui vale la pena di vivere
sono le stesse per cui vale la pena di morire.
Si può scegliere di vivere da servi su questa terra, ma un popolo esiste in quanto libero, 
in quanto capace di autodeterminarsi,
vive finché è capace di lottare per la propria libertà: 
altrimenti cessa di esistere come popolo.
Qualcuno è convinto che coloro che seguono questo blog sono dei semplici guerrafondai! 
Nulla di più errato. 
Quelli che, come noi, conoscono le immense potenzialità distruttive dei moderni armamenti 
sono i primi assertori della "PACE". 
Quelli come noi mettono in campo le più avanzate competenze e conoscenze 
per assicurare il massimo della protezione dei cittadini e dei territori: 
SEMPRE!
….Gli attuali eventi storici ci devono insegnare che, se vuoi vivere in pace, 
devi essere sempre pronto a difendere la tua Libertà….
La difesa è per noi rilevante
poiché essa è la precondizione per la libertà e il benessere sociale.
Dopo alcuni decenni di “pace”,
alcuni si sono abituati a darla per scontata:
una sorta di dono divino e non, 
un bene pagato a carissimo prezzo dopo innumerevoli devastanti conflitti.…
…Vorrei preservare la mia identità,
difendere la mia cultura,
conservare le mie tradizioni.
L’importante non è che accanto a me
ci sia un tripudio di fari,
ma che io faccia la mia parte,
donando quello che ho ricevuto dai miei AVI,
fiamma modesta ma utile a trasmettere speranza
ai popoli che difendono la propria Patria!
Signore, apri i nostri cuori
affinché siano spezzate le catene
della violenza e dell’odio,
e finalmente il male sia vinto dal bene…

(Fonti: https://svppbellum.blogspot.com/, Web, Google, Wikipedia, You Tube)



















































mercoledì 7 agosto 2019

Il cannone ANSALDO 90/53 fu il miglior pezzo contraerei pesante italiano della seconda guerra mondiale


Il cannone 90/53 fu il miglior pezzo contraerei pesante italiano della seconda guerra mondiale, affidabile e potente (con velocità iniziale del proietto di 840 m/s). Nonostante fosse stato progettato per il tiro contraerei, fu utilizzato anche come pezzo controcarri (analogamente all'88 tedesco); pertanto sul fronte africano alcune bocche da fuoco furono montate su autocarri (ottenendo gli autocannoni 90/53 su Lancia 3Ro e 90/53 su Breda 52) per tale uso. Fu il cannone contraerei italiano costruito nel maggior numero di esemplari nel corso della seconda guerra mondiale, come materiale di artiglieria fu superato nella produzione solo dal 47/32.
Successivamente, nato da un progetto del dicembre 1941 e prodotto velocemente dall'Ansaldo in 30 esemplari, nell'aprile del 1942 fu destinato anche ad essere impiegato sul semovente M.41 da 90/53, dotato di scudo di protezione per i serventi, su scafo cingolato M14/41.
Dopo l'armistizio fu valutato dai tedeschi ed i pezzi caduti in mano loro, ribattezzati 9-cm Flak 42 furono impiegati per la difesa delle loro città,
Il cannone 90/53, con funzione contraerei, continuò il suo servizio nell'Esercito Italiano, sparando gli ultimi colpi nel febbraio 1970 nel poligono di Foce Verde.




L’origine

Nel 1938 lo Stato Maggiore dell'esercito decise di adottare un cannone contraerei in grado di impegnare i bombardieri operanti a quote superiori a 10000 m. L'Ansaldo in quel periodo stava studiando un pezzo da 90 mm per conto della Regia Marina, con la canna della lunghezza di 50 calibri, quindi la Direzione del Servizio Tecnico Armi e Munizioni incaricò la ditta di studiare una variante terrestre dello stesso pezzo. L'Ansaldo aveva l'incarico di studiare sia un cannone mobile sul campo di battaglia, sia da montare in posizione fissa, quindi furono ordinate 2 batterie (quattro pezzi ciascuna), una per ciascun tipo. L'ordine per l'Ansaldo venne emesso il 1º aprile 1939 e nel settembre dello stesso anno erano pronti i disegni costruttivi. Il primo complesso (da posizione fissa) venne ultimato il 30 gennaio 1940, le prove di omologazione furono effettuate a Nettuno nell'aprile dello stesso anno, utilizzando il munizionamento già messo a punto per la Marina, e si passò immediatamente alla produzione.
Gli organi tecnici di esercito e marina valutarono la possibilità di utilizzare lo stesso cannone, ma risultò che le necessità delle due armi erano differenti, quindi ci si limitò ad unificare bossolo, esplosivo e granitura del propellente. Il cannone prodotto (ed usato) dalla Regia Marina fu il 90/50, utilizzato anche su pianali ferroviari con le stesse funzioni del pezzo prodotto per l'esercito.
Per la costruzione dei complessi 90/53 operarono, oltre all'Ansaldo, anche le Officine Reggiane, Comerio, Officine di Gorizia, CRDA (parti meccaniche), Officine Galileo, Officine San Giorgio (congegni di puntamento e parti elettromeccaniche), Motomeccanica Milano (carro rimorchio per i pezzi campali).

La tecnica

La canna in acciaio speciale (Ni-Cr-Mo) era a pareti semplici, con rigatura elicoidale destrorsa a 28 righe. La culatta era avvitata a freddo e poteva essere separata per sostituire l'anima usurata, il blocco di culatta portava superiormente una staffa per il collegamento alle aste dei recuperatori ed inferiormente un'appendice per l'unione al cilindro del freno di rinculo. L'otturatore a cuneo era scorrimento orizzontale, con apertura e chiusura a mano. In modo di funzionamento automatico l'otturatore era trattenuto in posizione di apertura dopo l'estrazione del bossolo.
L'affusto a forcella era sostenuto da un sottoaffusto a piedistallo, di forma troncoconica, poggiante sul paiuolo con interposto un anello in legno per attutire il tormento sulla piattaforma nei pezzi da posizione fissa. Il livellamento dell'affusto era ottenuto facendo oscillare il paiuolo rispetto al sottoaffusto. La culla era a manicotto ed entro la culla scorrevano la massa oscillante ed i congegni di punteria. Nella versione campale il paiuolo era sostituito da una piattaforma di tiro a crociera a quattro code, su cui veniva montata una piattaforma in quattro settori quando il pezzo era in batteria nei pezzi campali. Il traino avveniva tramite due carrelli fissati al longherone principale della crociera. Nell'allestimento per la marcia le code laterali della crociera (imperniate sulla trave centrale) venivano poste in verticale e sotto la trave centrale erano fissati due carrelli a due ruote ciascuno, uno dei quali era fornito di timone per l'aggancio al veicolo trainante. In batteria le code laterali erano poste in posizione orizzontale e sulla crociera era montata la piattaforma per i serventi.
Il complesso era fornito di freno idraulico, ad asta e controasta, posizionato inferiormente alla canna, a rinculo variabile a seconda dell'inclinazione della bocca. Oltre al freno idraulico il pezzo aveva due recuperatori idropneumatici, applicati esternamente alla culla e sistemati superiormente alla canna. Era previsto anche un equilibratore, agente sulla culatta, dato che gli orecchioni arretrati provocavano un forte preponderante di volata.
Il congegno di direzione (su 360º) era a corona dentata, mentre i congegni di elevazione erano a settori dentati elicoidali e vite senza fine. Il puntamento avveniva con congegni a linea di mira ed alzo indipendenti, comunque il puntamento del pezzo era previsto tramite centrale di tiro. Era inoltre previsto un graduatore di spoletta di costruzione Borletti.

Il 90/74

Nel 1951 venne studiata una versione contraerei a canna allungata, denominata quindi 90/74, con gli stessi organi elastici del 90/53, quindi, per ridurre il tormento dovuto alla maggiore velocità iniziale, ora passata a 1050 m/s, il pezzo fu dotato di un freno di bocca. Questo nuovo pezzo aveva una gittata massima di 20000 m ed un'ordinata massima di 15000 m e la durata di traiettoria a 10000 m passava da 27 s a 20 s.

Le centrali di tiro

Fin dalla fase di progettazione l'impiego del pezzo era previsto con asservimento ad una centrale di tiro, inizialmente vennero prese in considerazione la Centrale di tiro Mod. 1940 "Gamma" (di progettazione ungherese) e la Borletti-Galileo-San Giorgio, indicata anche come BGS, di produzione nazionale.
La centrale BGS utilizzava come sistema di puntamento un telemetro stereoscopico con base di 4 m, ed utilizzava un equipaggio di soli 6 uomini, che operavano direttamente sul pianale del rimorchio autotrainabile su cui era fissata la centrale. I dati (distanza, direzione e sito), misurati attraverso il telemetro, erano inseriti manualmente nel calcolatore elettromeccanico, che poteva essere gestito (estrapolazione lineare o meno del punto futuro) dal personale addetto (2 specializzati). I dati di alzo, brandeggio e graduazione della spoletta erano trasmessi elettricamente al pezzo. I pezzi potevano essere totalmente asserviti alla centrale o potevano essere utilizzati manualmente tramite indici di coincidenza che comparivano sui congegni di mira. Nel 1942 le centrali BGS furono asservite al radiorilevatore (radar) Wūrzburg Ausf D (tedesco), indicato nel Regio Esercito come "Volpe", con questo metodo la centrale poteva gestire il tiro di una batteria su bersagli ad una distanza non superiore a 12 km ed una velocità non superiore a 720 km/h.

Prestazioni

Penetrazione dei proiettili AP contro piastra RHA (Rolled Homogeneus Armour, "corazzatura laminata in acciaio omogeneo") inclinata a 30°:
  • 100 metri: 126 mm
  • 500 metri: 109 mm
  • 1.000 metri: 90 mm
  • 1.500 metri: 75 mm
  • 2.000 metri: 62 mm.

Il 90/53 penetrava 100 mm a 1000 m.

Quanto al proiettile HEAT (EP o EPS), benché provato e previsto (a metà 1943 risultavano in corso prove con munizioni EP ed EPS, queste ultime pressoché uguali alle HL tedesche), non venne mai adottato operativamente. A metà del 1943 erano stati solo allestiti campioni per le prove di tiro sia del tipo EP che EPS. Non è noto il valore della penetrazione di cui erano capaci, ma devono essere stati simili alle HL tedesche da 88 mm, che perforavano sui 90 mm a 30°. Il fatto è confermabile anche dalla non adozione operativa di queste munizioni, perché il valore perforabile era simile al proiettile da 90 mm perforante già disponibile.

L'impiego

I cartocci granata con spoletta R40 potevano essere caricati con 1º carica, 2º carica o carica ridotta, mentre i cartocci granata con spoletta Mod 41 potevano essere caricati a 1º o 2º carica. L'impiego dei cartocci granata Mod 36 e 36R era per il tiro contraerei, quello dei cartocci granata IO40 e R40 era in funzione antisbarco mentre il modello perforante era utilizzato per tiro contro bersagli corazzati (navi e carri armati). Le munizioni erano conservate in cassette di legno contenenti tre cartocci proietto per un peso complessivo di 68 kg.
I primi affusti campali vennero consegnati alla fine del 1942, ma, nel frattempo, l'esercito aveva deciso di installare i pezzi sui pianali degli autocarri pesanti Lancia 3Ro e Breda 51 coloniale per avere la possibilità di un suo utilizzo a fianco delle forze mobili. Il prototipo dell'autocannone Lancia venne valutato positivamente nel febbraio 1941 ed alla fine dell'anno erano disponibili 30 autocannoni su meccanica Lancia e 10 su meccanica Breda.
All'aprile del 1942 il Regio Esercito aveva in dotazione 30 cannoni 90/53 e 50 autocannoni, mentre la difesa contraerei territoriale aveva 240 pezzi (tutti da postazione fissa). Alla fine dello stesso anno risultavano costruiti dall'Ansaldo 104 pezzi campali, 517 da posizione e 129 su installazione mobile.
L'impiego nel frattempo era passato dall'uso unicamente contraerei all'impiego anche controcarri, particolarmente su autocannone 90/53 su Lancia 3Ro o su scafo cingolato (M.41 da 90/53). Considerando questo nuovo impiego l'Ansaldo studiò un'installazione a doppio ginocchiello, alto per il tiro contraerei e basso per il tiro contro bersagli terrestri) per cui era previsto l'impiego usando come base il trattore semicingolato da 8 t Breda 61. Venne anche studiata la possibilità di ridurre il calibro a 88 mm per rendere il munizionamento compatibile con quello dell'88/56.
Data la mancanza di un numero adeguato di centrali di tiro in genere le batterie operavano con tiro di sbarramento, la cui efficienza tuttavia era inficiata dalla mancanza di spolette a orologeria,[18] dato che in prevalenza le granate antiaeree erano fornite di spoletta pirica.
I pezzi da posizione operarono tutti in funzione contraerei ed antisbarco sul territorio nazionale, mentre gli autocannoni operarono in Libia (divisioni corazzate Ariete e Littorio), Tunisia (divisione Centauro), Francia meridionale e Sicilia.
I primi gruppi su autocannoni Lancia 3Ro, costituiti nel 1941, furono inviati in Africa settentrionale, in organico alle divisioni corazzate operanti su quel teatro. Successivamente anche gruppi e batterie di artiglieria dipendenti da divisioni di fanteria, operanti sullo stesso teatro di guerra, furono equipaggiati con tali mezzi. Alcuni pezzi del 135º Reggimento Artiglieria furono impiegati nella difesa di Roma, inquadrati nella divisione Ariete II.
I mezzi su scafo cingolato operarono unicamente in Sicilia, inquadrati nel 10º Raggruppamento Controcarro, dipendente dalla XII Armata, schierato nella zona compresa fra Calatafimi e Caltanissetta. Il raggruppamento era su tre gruppi, il 161º, 162º e 163º.
Notevole fu la partecipazione dei cannoni da 90/53 nella difesa delle truppe italo-tedesche che si ritiravano dalla Sicilia. Nell'occasione erano presenti 8 batterie da posizione e 3 batterie campali nella zona di Messina, mentre nella zona di Reggio si trovava una batteria campale da 90/53 e 5 batterie su 8,8 cm FlaK.
Nel corso dell'occupazione tedesca, successiva all'8 settembre, vennero prodotti 145 pezzi da posizione e 68 campali, oltre ai pezzi recuperati dal Regio Esercito. Alla fine del 1944 la Wehrmacht aveva in linea 315 pezzi, denominati 9,0 cm FlaK 41, mentre altri pezzi erano in carico alle forze armate della RSI.
I pezzi da 90/53 catturati dagli alleati vennero inglobati nel 1944 nella Italy Air Defence Area.
Dopo la seconda guerra mondiale, nel 1948, erano ancora disponibili 8 pezzi già assegnati ai reparti e 24 efficienti nei magazzini, mentre si stimava di ripristinarne altri 200 dal materiale recuperato. I pezzi rimasero in servizio nella Difesa Aerea Territoriale (DAT) (quattro raggruppamenti di artiglieria contraerei pesante) e nell'esercito di campagna (sette reggimenti contraerei pesante) fino alla fine degli anni sessanta, modificati utilizzando un freno di bocca. La centrale di tiro rimase la BGS, ora asservita a radar di produzione britannica. Successivamente, nel 1955 i 90/53 furono modificati per poter essere asserviti alla centrale di tiro Contraves F90 BT, costruita in Italia su licenza. I pezzi campali furono indicati come versione "C", mentre quelli da posizione come versione "P". I primi gruppi su 90/53 furono l'XI ed il XXI Gruppocontraerei pesante, entrambi formati alla SACA (Scuola Artiglieria Contraerei) di Sabaudia nel 1949. Nel 1953 i reggimenti di contraerei pesante erano: 1º (Albenga), 2º (Mantova), 3º (Pisa), 4º (Verona), 5º(Mestre), 18º (Rimini), 121º (Bologna) ed i raggruppamenti DAT erano 1º DAT Roma (Anzio), 2º DAT Genova (Savona), 3º DAT Bologna (Bologna), 17º DAT Milano (Lodi).
Gli ultimi colpi dei 90/53 in organico all'Esercito Italiano furono effettuati a Foce Verde (poligono della SACA) nel febbraio 1970, mentre l'ultimo impiego operativo noto è nel 1990, quando i 90/53 della difesa costiera croata impegnarono natanti serbo-montenegrini.

I trattori

Inizialmente era previsto come trattore il Breda TP32, tuttavia venne preferito il modello TP41, che permetteva una maggiore velocità di traino (39 km/h), mentre la variante Trattore SPA Dovunque 41 non poté essere testata prima dell'uscita dell'Italia dalla guerra.
Successivamente alla seconda guerra mondiale vennero utilizzati inizialmente autocarri civili Lancia 3Ro, trattori medi Fiat-SPA TM40 e AEC Matador (questi ultimi di costruzione britannica), mentre successivamente vennero usati i Fiat TP50.

Confronto del cannone da 90/53 con i Flak 36 88mm tedeschi:
  • I proiettili del 90/53 erano più potenti di quelli del FlaK 88: proiettili da 90 mm pesanti 10,33 kg contro gli 88 mm da 9,2 kg dei tedeschi. Questo vantaggio era nettamente ridotto per le spolette italiane (piriche), meno precise di quelle tedesche (ad orologeria).
  • La velocità alla volata dei proiettili del 90/53 era di 840 m/s contro gli 820 m/s del FlaK 88.
  • Il cannone da 90/53 aveva una gittata contraerei massima di 12.000 m contro i 9900 m. dei flak tedeschi.
  • I sistemi di mira del 90/53 erano tecnicamente meno avanzati di quelli dei FlaK 88 ma più facili da usare e più affidabili.
  • Le caratteristiche balistiche erano superiori a quelle del Flak 88.
  • Le granate contro carro del Flak 88 erano migliori, e migliorarono nel tempo, sia per i colpi ad alta velocità con spoletta ritardata, sia per i proiettili a carica cava della parte finale del conflitto. Il Flak 88 era quindi leggermente superiore al 90/53 solo nel tiro controcarro.

La centrale di tiro Mod. 1940 “Gamma"

La centrale di tiro Mod. 1940 "Gamma" è una centrale di tiro italiana impiegata dall'arma contraerea del Regio Esercito e della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale durante la seconda guerra mondiale e rimasta in servizio con l'Esercito Italiano nel dopoguerra.
La Centrale Mod. 40 "Gamma" era un modello prodotto dalla ditta ungherese Gamma-Juhasz. Fu acquisito nel 1940 per le batterie contraeree campali del Regio Esercito e quelle fisse della Milizia per la difesa antiaerea territoriale equipaggiate con il cannone 75/46 Mod. 1934 e Mod. 1940, andando a sostituire parzialmente la centrale di tiro Mod. 1937 "Gala". Successivamente fu assegnata alle unità armate con la mitragliera Breda 37/54 e, in attesa della fornitura dell'avanzata centrale di tiro Mod. Borletti-Galileo-San Giorgio, alle potenti batterie da 90/53 Mod. 1939. Impiegata durante tutto la seconda guerra mondiale e, dopo l'armistizio di Cassibile, anche dalle forze della RSI e probabilmente dalla Wehrmacht. Nel dopoguerra equipaggiò i reggimenti di artiglieria contraerea pesante dell'Esercito Italiano. In seguito fu integrata nella centrale di tiro Contraves F90 BT come Puntatore T90. Venne radiata a metà degli anni sessanta insieme ai cannoni da 90/53, sostituiti dai sistemi missilistici Raytheon MIM-23 Hawk.

Caratteristiche tecniche

La "Gamma", basata su un calcolatore analogico, differiva dalla precedente "Gala" principalmente perché trasmetteva automaticamente i dati di tiro agli organi di puntamento ed alla spolettatrice dei pezzi (precedentemente erano trasmessi telefonicamente dal personale addetto). La centrale era composta da:
colonnina di punteria: elettro-assistita, conteneva il calcolatore elettromeccanico dei dati di tiro e due cannocchiali di puntamento indipendenti; installata su treppiede.
telemetro stereoscopico da 4 metri.

Collegamenti:
  • elettrico tra colonnina di punteria e pezzi;
  • telefonico tra colonnina e telemetro;
  • gruppo elettrogeno ed accumulatori.

Il dato della distanza era rilevato dai telemetristi e trasmesso per via telefonica alla colonnina di punteria, dove due addetti collimavano i due cannocchiali sul bersaglio, ricavando il dato della direzione. Il calcolatore stimava il punto futuro del bersaglio, trasmettendone i tre valori dei dati di tiro ("tiro", "direzione" e "spoletta"), attraverso cavi elettrici, agli indici sui sistemi di puntamento ed ai graduatori dei pezzi. Sul pezzo i puntatori dovevano solo far coincidere i controindici con gli indici agendo sui volantini di elevazione e brandeggio, mentre se il cannone era dotato di servomeccanismi idraulici, questa procedura avveniva in automatico. Il porgitore doveva invece solo inserire, al momento segnalato, il cartoccio-proietto spolettato nella tramoggia del graduatore, prima di inserire il colpo in culatta. I comandanti di batteria potevano controllare i dati sulla strumentazione analogica della colonnina e potevano eventualmente intervenire inserendo manualmente le correzioni in caso di traiettoria non rettilinea del bersaglio. Il calcolatore disponeva di un congegno di eliminazione dell'errore di parallasse, consentendo lo schieramento della centrale di tiro ad una quota (da -50 a + 300 metri) diversa e fino a 500 metri di distanza dalla linea pezzi, quindi in una posizione quindi più sicura.

Dati tecnici

Dati relativi all'impiego della centrale con munizionamento a spoletta a graduazione meccanica del cannone da 75/46 C.A. Mod. 1934:

distanza di tiro sull'orizzonte con velocità del bersaglio uguale 750 m/s:
  • minima: 1.000 m;
  • massima: 8.700 m;
  • quota di tiro: da -100 a +7.500 m;
  • velocità del bersaglio per l’inseguimento:
  • orizzontale misurabile: da 0 a 150 m/s (540 km/h);
  • orizzontale introducibile manualmente: da 25 m/s a 150 m/s;
  • verticale: da 15 m/s a 145 m/s;

parametri inseribili per la correzione dei dati di tiro:
  • vento,
  • densità dell’aria,
  • variazione della velocità iniziale dei proietti,
  • errore di parallasse: potevano essere inserite le posizioni relative tra pezzi e centrale,
  • personale addetto: 8 specialisti.

La centrale di tiro Mod. Borletti-Galileo-San Giorgio

La centrale di tiro Mod. Borletti-Galileo-San Giorgio o centrale di tiro B.G.S. è una centrale di tiro italiana impiegata dall'artiglieria contraerea del Regio Esercito e della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionaledurante la seconda guerra mondiale e rimasta in servizio con l'Esercito Italiano nel dopoguerra.
La centrale B.G.S. entrò in sviluppo nel 1940, entrando in servizio nel 1943 per sostituire la centrale di tiro Mod. 1940 "Gamma", in modo da sfruttare al meglio le prestazioni del potente cannone contraereo 90/53 Mod. 1939, nonché per servire l'ancora valido 75/46 C.A. Mod. 1934. Predisposta per integrare il radar tedesco Würzburg D, denominato RDT Volpe presso il Regio Esercito, solo poche centrali ne fecero uso nella difesa dell'area industriale di Milano nel '43.
La situazione, ancora a metà 1943, era comunque del tutto insoddisfacente: delle batterie DICAT da 90, al 20 giugno, 69 avevano centrali di tiro di ripiego come le ancora valide ma oramai un po' insufficienti Gamma, i tavoli previsori Mod 37 o tavolette Scano-Binaghi, e 41 addirittura non avevano alcuna centrale di tiro. C'era solo una BGS assegnata alla scuola MACA di Nettuno, e altre sei erano in corso di consegna ai reparti. Questa era la situazione ancora al 20 giugno 1943. Dei telemetri regolamentari da 4 metri, solo 31 batterie li avevano, altre 34 ne avevano di ripiego e addirittura 45 non avevano nessun telemetro. Peraltro pochi giorni dopo venivano segnalate 23 centrali BGS consegnate, ma tra queste e le Gamma solo 34 centrali erano assegnate ad alcune delle oltre 100 batterie da 90/53 disponibili all'epoca, mentre almeno i 2/3 delle rimanenti dovevano restare senza sistemi di tiro validi ancora per molto tempo dato che la produzione delle nuove centrali e telemetri procedeva comunque a rilento.
Nel dopoguerra, le B.G.S. rimasero in servizio con le batterie da 90/53 dell'Esercito Italiano fino agli anni sessanta, asservite al radar GL Mk II fornito dagli inglesi.

Caratteristiche tecniche

La centrale era composta da:
colonnina di punteria: rispetto alle realizzazioni precedenti, italiane e straniere, la B.G.S. era innovativa anche perché riuniva in un unico complesso il calcolatore elettromeccanico della Borletti di Milano, lo stereotelemetro da 4 metri della San Giorgio di Milano e la colonnina elettro-assistita delle Officine Galileo di Firenze, il tutto installato sul pianale di uno speciale rimorchio della Viberti, livellabile tramite martinetti manuali.
cassetta di smistamento.

Collegamenti:
  • elettrico tra colonnina di punteria e cassetta di smistamento;
  • elettrico tra cassetta di smistamento e pezzi: ad ogni centrale B.G.S. potevano essere asserviti massimo 4 pezzi, ovvero la dotazione standard di una batteria;
  • telefonico tra colonnina e cassetta di smistamento;
  • elettrico tra colonnina e RDT Volpe o radar GL Mk II;
  • gruppo elettrogeno.

Il funzionamento generale riprendeva concettualmente quello della centrale di tiro Mod. 1940 "Gamma": il dato della distanza, rilevato con continuità dai telemetristi, ed i dati di direzione ed elevazione, rilevati dai puntatori, venivano inseriti automaticamente o manualmente nel calcolatore elettromeccanico; in caso di impiego con il radar Volpe o GL Mk II, i dati di distanza, azimuth ed elevazione erano trasmessi al calcolatore nella colonnina direttamente dal radar. Il calcolatore fondeva automaticamente questi dati con quelli inseriti manualmente relativi all'estrapolazione (in caso di rotta non lineare del bersaglio) e con i vari parametri atmosferici e relativi al munizionamento, calcolando i dati di tiro, che venivano trasmessi, tramite cavi multipolari, alla cassetta di smistamento e da questa ai congegni di puntamento dei cannoni ed ai graduatori delle spolette. Il pezzo andava così in punteria in modalità automatica, tramite meccanismi elettro-idraulici realizzati dalla Riva Calzoni e dalle stesse Officine Galileo asserviti ai congegni di puntamento, oppure in modalità manuale, con i puntatori che facevano coincidere, tramite i volantini, gli indici con i contro-indici. In caso di emergenza tali dati potevano essere trasmessi ai pezzi per via telefonica direttamente ai capi-pezzo. I dati in entrata ed in uscita dal calcolatore erano presentati sulla colonnina da strumentazione analogica, mentre la rotta apparente del bersaglio era rappresentata da un indicatore grafico a pennini e nastro di carta scorrevole.

Dati tecnici

Dati relativi all'impiego della centrale con munizionamento a spoletta a graduazione meccanica del cannone da 90/53 Mod. 1939:
  • distanza di tiro sull'orizzonte con velocità del bersaglio uguale a 850 m/s:
  • minima: 1.100 m;
  • massima: 12.000 m;
  • elevazione: -10°/+90°;

velocità del bersaglio per l’inseguimento:
  • orizzontale misurabile: da 0 a 200 m/s (720 km/h);
  • orizzontale introducibile manualmente: da 20 m/s a 200 m/s;
  • verticale: da 15 m/s a 195 m/s;

parametri inseribili per la correzione dei dati di tiro:
  • vento,
  • densità dell’aria,
  • variazione della velocità iniziale dei proietti,
  • temperatura delle cariche,
  • peso del proietto,
  • errore di parallasse: grazie a questa possibilità la centrale poteva essere posizionata fino a 500 metri di distanza dai pezzi, in una posizione quindi più sicura.
  • personale addetto: 6 specialisti: 2 telemetristi, 2 puntatori e 2 addetti al calcolatore.

(Web, Google, Wikipedia, You Tube)
















La Vz.61 "Skorpion" è una piccola pistola mitragliatrice calibro 7,65



La Vz.61 "Skorpion" è una piccola pistola mitragliatrice calibro 7,65 Browning/.32 ACP, ma disponibile anche in altri calibri, costruita in Cecoslovacchia tra la fine degli anni cinquanta e prodotta oggigiorno nella versione "e". Si tratta di una via di mezzo tra una normale pistola semiautomatica e una autentica pistola mitragliatrice. Può infatti essere impugnata con una sola mano oppure imbracciata come un moschetto utilizzandone il calciolo ribaltabile, che in posizione di riposo si ripiega sopra il castello e la canna dell'arma.
L'arma è costruita presso gli stabilimenti della Česká zbrojovka Uherský Brod e progettata per le esigenze di alcune unità speciali dell'esercito e della polizia cecoslovacca. Ebbe tuttavia un certo successo commerciale e fu esportata in numerosi paesi esteri.



Storia

I primi esemplari della Skorpion apparvero alla fine degli anni '50, sotto la denominazione provvisoria di “modello 59”, ma l'adozione ufficiale da parte dell'esercito cecoslovacco datò al 1961 e conferì all'arma la definizione ufficiale di “Samopal, Vz.61” mentre “Skorpion” ne divenne successivamente il nome commerciale, col quale l'arma fu diffusamente esportata.
Per l'esportazione furono inizialmente prodotte una variante in calibro 9x17mm corto/.380 ACP, denominata Vz.64, una in 9x18mm Makarov (Vz.65) e qualche esemplare di una Vz.68 in calibro 9x19mm Parabellum. La differenza esteriore tra la Vz.61 e le altre versioni era principalmente nel caricatore ricurvo, anziché verticale. La Vz.68, molto rara, era anche dotata di fusto e canna leggermente allungati.
All'inizio degli anni ottanta, l'esercito cecoslovacco adottò come munizione standard la 9x18mm Makarov d'ordinanza sovietica e cominciò a sostituire le Vz.61 nelle proprie dotazioni con il nuovo modello, denominato Vz.82 e camerato per il nuovo calibro.
Versioni ammodernate offerte per l'esportazione, oltre alla Vz.82, furono anche denominate Vz.83 (in calibro 9x17mm corto) e Vz.360 (9x19mm Parabellum): quest'ultima fu l'estrema evoluzione della Skorpion e fu introdotta all'inizio degli anni '90. Per molti anni, nessuna versione della "Skorpion" fu prodotta regolarmente, tranne alcuni lotti per le esigenze di alcuni committenti militari. Recentemente la CZ ha reinserito in catalogo una versione della mitraglietta, la vz.61E.
Una variante semiautomatica, denominata Vz.91, è pure occasionalmente apparsa sul mercato civile[2]. In Italia, negli anni settanta, fu importato qualche lotto di una "Skorpion" privata della possibilità di tiro a raffica e munita di un caricatore ridotto a dieci colpi.
Un modello di “Skorpion”, denominato M-61 e camerato per il calibro 7,65x17mm Browning, fu prodotto su licenza in Jugoslavia dalla Crvena Zastava di Kragujevac e adottata dalle forze armate locali[2]. Una variante aggiornata fu pure adottata sotto la denominazione M-84. Le “Skorpion” prodotte in Jugoslavia si differenziano dalle originali cecoslovacche per l'impugnatura in resina sintetica nera, anziché in legno di faggio.



Caratteristiche tecniche

Meccanicamente, la Vz. 61 impiega uno schema concettuale piuttosto semplice: l'arma, costruita interamente in acciaio stampato, spara a otturatore chiuso, secondo una modalità non molto diffusa, ma scelta per migliorare la controllabilità dell'arma nel tiro a colpo singolo. Il percussore è mobile e viene azionato da un cane, come in un comunissimo fucile d'assalto.
L'arma è dotata di un selettore di fuoco a tre posizioni, contraddistinte dalle indicazioni “0” (sicura), “1” (colpo singolo - semi automatico) e “20” (tiro continuo - automatico). Il caricatore è bifilare, a 10 o 20 colpi, e di forma arcuata (“a banana”) per i soli modelli in calibro 7,65x17mm Browning. Le altre versioni adottano un caricatore completamente verticale.
L'otturatore, a forma di parallelepipedo, è parzialmente scavato nella parte interna per avvolgere la camera di cartuccia e la porzione iniziale della canna, onde bilanciare il più possibile in avanti il baricentro dell'arma (otturatore “telescopico”). La manetta di armamento è sostituita da due grossi bottoni di presa, sporgenti ai due lati del fusto.
Infine, sempre nel senso di migliorare il più possibile il bilanciamento complessivo, nell'impugnatura è contenuto un dispositivo rallentatore della cadenza, costituito da un gancio caricato da una molla che, a ogni ciclo di sparo, blocca per un istante il moto alternato dell'otturatore, diminuendo così la velocità di ripetizione della raffica, che comunque si attesta intorno ai 12 colpi/secondo.
La modesta potenza del calibro 7,65x17mm Browning limita le reazioni allo sparo, il rinculo e il rilevamento nel tiro rapido.
L'arma è di ottima fattura e piuttosto precisa nel tiro semiautomatico. Nel tiro a brevi raffiche intervallate la Skorpion dimostra una buona concentrazione dei colpi sul bersaglio, mentre la raffica continua, specialmente se esplosa impugnando l'arma con una sola mano, risulta abbastanza dispersa ed utile soltanto nel fuoco di copertura.
L'utilizzo di quest'arma è particolarmente vantaggioso nella saturazione di ambienti ristretti (luoghi chiusi, interno di veicoli) e ciò è comprensibile, pensando che la Skorpion fu progettata soprattutto per le esigenze di carristi e truppe corazzate.
Anche nel tiro a medie distanze, facendo uso del calciolo, l'arma si dimostra abbastanza precisa, ma la modesta potenza della cartuccia impiegata ne riduce drasticamente l'utilità in combattimento.
Per quest'arma è anche disponibile un efficacissimo manicotto silenziatore.



Impiego

La "Skorpion" nacque per sostituire le scarse dotazioni di Mauser m712 Schnellfeuer, una pistola tedesca degli anni trenta capace di tiro a raffica, ottenuta come preda bellica dalle forze armate cecoslovacche. Queste ultime preferirono puntare su un'arma di produzione locale, piuttosto che indirizzarsi sulla sovietica Stechkin APS, una semplice pistola calibro 9x18mm Makarov capace di tiro a raffica. Alla "Skorpion" s'ispirò l'analoga realizzazione Wz.63, di produzione polacca.
Si tratta di un'arma versatile, che può sostituire sia la pistola d'ordinanza, sia una pistola mitragliatrice convenzionale: il fabbricante offriva come accessorio una specifica fondina ascellare in pelle, che consentiva di portarla come una comunissima pistola.
La Vz.61 fu diffusamente esportata, sebbene in un non grande numero di esemplari, e non è difficile vederne tuttora in azione in aree di conflitto anche remote. Oltre che nella ex-Jugoslavia (ove comparve nelle mani sia dei serbi che dei croati e dei bosniaci), apparve in molti conflitti regionali dell'Africa centrale e del vicino oriente.
Anche numerosi gruppi terroristici se ne sono impossessati a più riprese, sfruttando le doti di occultabilità della "Skorpion" e la sua micidialità sulle brevi distanze, dovuta al forte volume di fuoco. 




La Škorpion è stata l’arma di diversi gruppi di lotta armata nazionali: dall’Ira in Irlanda alle Brigate Rosse italiane. 

Con questo modello in particolare fu barbaramente massacrata la scorta di Aldo Moro in via Fani, il 16 marzo 1978, da un commando delle Br, quando il leader della Democrazia Cristiana venne sequestrato. 
A distanza di tanti anni possiamo affermare senza ombra di dubbio che i terroristi rossi hanno pagato con sanzioni penali che fanno ridere e sono dal troppo tempo fuori dalle patrie galere. 
E fu sempre con la mitragliatrice cecoslovacca che fu barbaramente freddato lo stesso Aldo Moro, il 9 maggio dello stesso anno, con dieci pallottole, prima di essere abbandonato senza vita nel portabagagli di una Renault 4 rossa a Roma, in via Caetani. 
La vicenda rimane ancora oggi per molti aspetti avvolta nel mistero e tutti da chiarire sono molti dei retroscena di quella storia, il principale “episodio” degli anni di piombo italiani. 



Ma è stata proprio la presenza della Škorpion ad alimentare persino il sospetto di un coinvolgimento dell’allora Cecoslovacchia comunista nel caso Moro.
A tal punto che la polizia della Repubblica Ceca nel 2010 ha aperto ufficialmente una inchiesta sulla cosiddetta “pista cecoslovacca”, con l’ipotesi che dietro il rapimento e la morte dello statista italiano potesse esserci stato lo zampino della StB, la famigerata polizia segreta del regime.
Del caso si è occupato anche l’Ufficio per la documentazione e le indagini dei crimini del comunismo, il cui compito è proprio quello di occuparsi dei reati penali commessi nel periodo del regime – dal 1948 sino al 1989 e non perseguiti per ragioni di carattere politico.
Ad oggi, come sappiamo, questo intrigo italiano degno d’un film di spionaggio resta ancora senza una conclusione certa e troppi brigatisti che sapevano, pur non avendo collaborato con gli inquirenti, sono già da tempo liberi.
Il nome della Škorpion è legato anche ad una banda criminale francese legata al gruppo terroristico di Al-Qaeda che mise a ferro e fuoco la Francia negli anni Novanta: anche in questo caso furono le raffiche della mitraglietta ceca a produrre la colonna sonora di quelle azioni criminali, con assalti a furgoni blindati, omicidi e stretta contiguità con il radicalismo islamico più becero.

(Web, Google, Wikipedia, You Tube)



























US ARMY - US MARINES - Comando Operazioni Speciali degli Stati Uniti (USSOCOM): il Corpo dei marines statunitensi ha raggiunto la piena capacità operativa per il fucile da “sniper” BARRETT ASR MK 22 Mod.0.

https://svppbellum.blogspot.com/ Blog dedicato agli appassionati di DIFESA,  storia militare, sicurezza e tecnologia.  La bandiera è un simb...