DUE SQUADROON DI WELLINGTON SULL’INERME SANNICANDRO DI BARI
Alle 00,33 in punto della notte del 26 giugno 1943, un ronzio d'aerei in movimento (due squadroon di Vickers Wellington), cupo, ritmico, insistente, rompe l'incanto della notte, sale di tono, si allunga, fende l'immensità del cielo, penetra velocemente in terra di Puglia, dalla parte di Altamura. Lo affronta il tiro preciso della contraerea di sud-ovest del Capoluogo barese, decisa a contrastare con ogni mezzo l'avanzata minacciosa del nemico, che, però, prosegue imperturbabile per la sua strada verso i paesi della costa.
Splendono, al loro passaggio, sotto la volta del cielo, grappoli di razzi luminosi, brillano sulla terra strutture militari e civili abitazioni, mentre cominciano a cadere, qua e là, quasi a caso, le prime bombe, i primi spezzoni. "Contro chi? e dove si sfogherà - si domanda ansioso chi è ancora sveglio e può alzare gli occhi verso quelle sagome scure dei "Patfinders" (o battistrada) che corrono, corrono nell'immensità della volta celeste - l'ira tremenda dei diavoli dell'aria?". La risposta non si fa attendere a lungo.
Inaspettatamente altri aerei sopraggiungono, hanno come un'impennata, un rallentamento, e, in quel punto, abbassandosi, come falchi si avventano contro una tranquilla comunità della periferia, la insonnita Sannicandro, che naturalmente, non si aspetta di essere lei la vittima designata dell'imminente sacrificio, il bersaglio preferito dei "novelli giustizieri della notte" e, data l'ora tarda, è completamente deserta e, anche se si vede immersa in un'insolita sinistra luce, non crede di doversene dare soverchio pensiero.
Il primo segnale della tempesta in arrivo lo manda, prima che la campana dell'orologio del Municipio suoni il terzo quarto d'ora del nuovo giorno, un immenso boato, che, propagandosi con forza irresistibile all'interno dell'abitato fa da sveglia al paese, spinge quanti dormono o riposano giù dal letto, seguito immediatamente dopo, in un crescendo spaventoso, da una fitta grandinata di "piastrini incendiari e bombe di ogni calibro misti a manifestini", che sfarfallano beffardi, tra lampi, sibili e rimbombi assordanti, sui tetti delle case, nelle vie e nelle piazze, sul capo della gente incredula ed atterrita.
Provocati da un nutrito lancio di spezzoni, divampano, ad occidente, donde giunge la prima ondata, paurosi incendi, bruciano stoppie e sterpaglie, pigliano fuoco porte e
suppellettili; fiamme e fumo investono e avvolgono uomini e cose; un acuto senso di sgomento prende grandi e piccoli, spingendo gli uni nelle braccia degli altri.
Ecco: sull'aia di Vito Scuccimarri, poco lontano dall'ex Cinema Nuovo, un gran numero di covoni, frutto prezioso di un intero anno di lavoro e di attesa di poveri contadini, si sta rapidamente riducendo in cenere e fumo.
S'infittisce frattanto la serie di esplosioni, si fa più nutrito il lancio degli ordigni di morte, sganciati, duole dirlo, con mano troppo pesante, su un paese rinserrato nelle proprie abitazioni, in un'ora di completo riposo.
L'orrenda devastazione è appena cominciata, ma già si notano, terrificanti, nel tessuto della città, i segni della violenta tempesta che si è scatenata: edifici polverizzati, edifici sventrati, case bersagliate da schegge, muri bucherellati, marciapiedi infossati o sollevati come se una convulsione avesse scrollato il suolo, fili della luce penzolanti o aggrovigliati, pali contorti o piegati in avanti, crateri e vuoti aperti in un baleno tra un caseggiato e l'altro. E dentro tutto questo sgomento, desolazione, disperazione, smarrimento di tanti sventurati.
D'un tratto si ha la sensazione che la violenza del primo momento stia rallentando e voglia placarsi, ma non è così. Chè, sopraggiunti altri aerei, in ondate successive, la grandinata risale di tono, raggiunge e sorpassa l'intensità di prima.
Ora nuvole di polvere, di calcinacci sbriciolati e di fumo nero e acre, riempiono l'aria ammorbandola e rendendola irrespirabile. Urli, lamenti, invocazioni salgono al cielo nella fitta oscurità della notte. Notte da tregenda, notte da inferno, notte da Apocalisse! Per tutti! Per quelli, che, fortunati, hanno scelto di fuggire lontano, sottraendosi a morte sicura. Per quelli che, invece, bloccati dallo spavento, sono rimasti intrappolati in un sottoscala o vivono in un angolo nascosto di casa certamente i momenti più terribili della loro vita, vittime inconsapevoli di un inconsapevole sacrificio.
Scompaiono, così, strappate dalla bufera, case pur forti di una provata solidità derivata dall'essere state tagliate nella dura pietra della Murgia barese, prova tangibile di un passato fatto di stenti, di fatiche e di sudori, o mietendo grano, sotto la sferza del sole estivo, tra le sterpaglie e i cardi di Parco Grotti o di S. Felice o tra i roveti delle infocate colline di Montepeloso, (in Basilicata), raggiunte tante volte, a piedi nudi, bisaccia a tracolla, falce in mano, stomaco vuoto, per raggranellare un po' di lirette e portare a casa un tozzo di pane in più per i propri piccoli) o spigolando mandorle o raccogliendo olive, (senza perderne neppure una), sotto la "filata" della "montagna" (la tramontana), che, d'inverno, spesso punge e staffila la povera gente di Puglia.
La gragnola di bombe non s'accontenta delle poche vittime mietute, cerca il massacro e lo trova e lo compie, alfine, in pieno centro abitato, nell'antico rione dello Spirito Santo e in Via Ponticello, aree urbane antistanti o circostanti al Castello.
La massiccia mole di questa solidissima roccaforte, eretta, secoli addietro, contro l'invadenza e la ferocia dei Saraceni (Hydruntum memorat !) viene anch'essa presa di mira, forse perchè creduta covo e rifugio di armi ed armati di parte germanica, riesce, non si sa come, a sfuggire ai ripetuti assalti e a restare illesa.
Sorte men lieta, sorte amara, invece, tocca alla contigua, trisecolare Chiesa del Carmine, uno dei templi più cari, dopo il "Crocifisso" e lo "Spirito Santo" ai nostri padri, quello che più di ogni altro, forse, meglio custodiva fede, tradizione e spirito religioso del popolo di Sannicandro. Centrata da una bomba e da spezzoni, frana in un mucchio polveroso di macerie, trascinando con sè nella rovina la bella immagine della Madonna, riconosciuta anche per miracolosa, la quale, piegata sul lato sinistro, agli occhi rossi di pianto dell'arciprete don Antonio Giammarella, di don Coletto Guglielmi, padre spirituale della stessa chiesa, di don Leonardo Clarizio, di altri sacerdoti e del popolo accorso sul posto subito dopo, in lacrime, mostrerà - Horribile visu! (cosa terrificante a vedersi) il manto stracciato e bruciacchiato, la testa rotolata per terra, le braccia mozzate.
Ma la furia irrefrenabile dei nuovi Saraceni non s'arresta qui, non si limita a codesto sacrilegio, non si sente paga dello scempio compiuto, della morte seminata, delle lacrime sparse.
Con l'irruenza propria di un torrente impetuoso che tutto travolge e sconvolge il turbine prosegue la sua folle corsa in altre zone dell'abitato, rovesciando altro tritolo, mietendo altre vittime innocenti, devastando altre abitazioni.
Dove sono, intanto, quelle belle, linde casette, così luminose e candide nel biancore della calce viva, vanto e ornamento di chi ci abitava? Scomparse! Dove le tipiche scalinate esterne di tante vetuste abitazioni, così comode e riposanti al momento del bisogno? Sparite! E i volti rugosi e bruciati dal sole di tanti anziani lavoratori dei campi e l'angelico sorriso di rosei angioletti da poco nati alla vita? Mistero!
Bruscamente, il fragore delle esplosioni si attenua, cessa del tutto. Il volo radente, assordante, dei diavoli dell'aria s'interrompe, tace. E' finita? No.
C'è ancora qualcosa d'indefinibile che appare quasi sospeso nell'aria e che si sostanzia piombando, d'improvviso dall'alto: una raffica rabbiosa di mitraglia, violenta come una frustata, s'abbatte fulminea sulla gran fiumana di gente mentre corre disperata verso "il canalone”.
Qui, inseguito dalla rabbia di un'altra granata dell'artiglieria italiana, quasi sollevato da un subitaneo colpo di vento, l'ultimo "giustiziere" d'Oltremanica leva alto il muso del suo destriero d'acciaio e rapido nella notte s'invola, dietro le stelle.
Un paese piange oltre 90 concittadini, un orologio suona ancora! Sono le h. 01,15!
Dopo l'ultima scarica di mitraglia, un silenzio irreale scende sull'immane tragedia e per un certo tempo - poco più di un'ora, dalle 02.00 alle 03.00 circa - nessuno osa violarlo. Ma, ai primi albori, passati l'incubo degli aerei e il timore di un loro possibile ritorno, i più coraggiosi provano a mettere la testa fuori del proprio nascondiglio e piano piano prendono ad avvicinarsi ai luoghi donde provengono grida e lamenti disperati.
Nessuno si tira indietro. Chi può si rimbocca prontamente le maniche e offre spontaneamente tutta la propria disponibilità.
E' chiaro, a smuovere massi e calcinacci non possono bastare le mani, né sono sufficienti badili, zappe e mastelle raccattabili in fretta sul posto; è poca cosa, di certo, il gran daffare di amici e parenti per quanto numerosi e ben disposti, occorre ben altro, occorre la forza, la pratica, di gente esperta, capace di operare con amore e competenza .
Ma, come fare? Come informare dell'accaduto le autorità dello Stato?
Il telefono è fuori uso, saltato è ogni collegamento con Bari. Risolve il difficile problema la prontezza di spirito di un sannicandrese tutto cuore e dinamismo, ammirevole per questo suo spiccato senso dell'umana solidarietà, la guardia municipale Ciccillo Maffei. Coadiuvato da un amico, il cegliese Francesco Fratello, il nostro bravo vigile non esita a montare su un vecchio "sidecar" guidato dal proprietario della moto e a raggiungere, con una drammatica corsa nel buio della notte, con il ronzio degli aerei, lo scoppio delle bombe, il fragore dei crolli ancor negli orecchi, il bruciore della polvere e del fumo negli occhi, la prefettura del capoluogo, dove nessuno sa nulla, e a mettere in moto la macchina dei soccorsi.
L'intervento dei vigili del fuoco e di alcuni reparti dell'esercito “italiano e tedesco” è pronto e immediato e contribuisce a salvare non poche vite umane.
Le cure più sollecite sono rivolte anzitutto ai feriti più gravi, che, per fortuna non appaiono numerosi.
Appena rimosse, le macerie restituiscono, esanimi, i corpi sfigurati ed orrendamente maciullati di non pochi sventurati, in gran parte donne e bambini.
Tra un profluvio spontaneo di lacrime essi vengono delicatamente sollevati e immediatamente trasferiti sul nudo pavimento della piccola Chiesa del Crocifisso, all'imbocco della provinciale per Cassano, dove vengono pietosamente composti nelle bare e sottoposti alla difficile opera di riconoscimento…..
Nella corsa, ognor più veloce ed edace del tempo, i ricordi di quella tristissima notte o sono completamente svaniti o si sono fatti deboli e sfumati; i vuoti scavati dalle bombe nel tessuto cittadino sono stati in gran parte colmati; sono quasi tutti caduti - e dico quasi, perchè in effetti uno è rimasto e si vede tuttora, è là dove l'uomo ebbe ad innalzarlo un giorno lontano, è, guarda caso, proprio nelle adiacenze della vecchia Chiesa del Carmine, di quella cara indimenticabile Chiesetta che nessuno vedrà mai più, essendo stata definitivamente cancellata dalla topografia del paese - i puntelli che hanno tenuto in piedi a lungo le case pericolanti; sono tutte scomparse le tracce lasciate qua e là dalla violenza delle esplosioni; si sono del tutto rimarginate le ferite aperte dalle schegge nella carne viva della gente; grazie alle amorevoli cure prestate dal dott. Sessa prima e da altri valenti medici dopo, tanti protagonisti sono ormai usciti di scena, passati a miglior vita, altri eventi si sono succeduti, altro volto ha assunto ormai il martoriato paese .
Ma l'eco di quella tragedia non si è spenta, non si è stemperata nel diluirsi dei ricordi, è rimasta integra, è tuttora viva e presente nella mente e nell'animo dei sopravvissuti e di tanto in tanto acutizza il senso di quella paura che mai li abbandona, di quello sbigottimento che sempre li spinge a chiedersi: Perchè? Perchè tanta efferatezza? Perchè tanti morti? Di chi ne è la responsabilità? Fu errore? o casualità? o non piuttosto ferma volontà di nuocere?
La risposta a queste ed altre domande il cattolico l'ha data da tempo con il perdono ed il silenzio, conforme allo spirito dell'evangelico "Padre, perdona loro, perchè non sanno quello che fanno”.
Lo storico, invece, che non deve dimenticare, ma ricordare - cosa ben diversa dal perdonare - la dà appena oggi, perchè soltanto oggi è in grado di farlo. La dà dopo un'ampia rilettura dei fatti, al termine di una approfondita disamina, con un giudizio pacato e ponderato. “Dal tutto sgorga una verità amara, ma meritevole di essere conosciuta e meditata da tutti, particolarmente dai giovani che non conoscono la storia, che non sanno, per esempio - scrive il critico A. Canavero -, a che prezzo si siano potuti riconquistare i più elementari diritti politici, con quante lacrime e con quanto sangue si sia potuto ricuperare quella libertà che appare oggi tanto naturale, da non essere apprezzata nel suo valore”; che vanno aiutati a capire, a spiegare, a trovare le ragioni dei comportamenti umani, a sapere e ricordare ciò che è successo nella prima metà di questo secolo, perchè, solo conoscendo il passato, si può evitare di cadere negli stessi errori e di commettere gli stessi orrori.
LE CAUSE E LE RAGIONI DELL'INCURSIONE
Furono diverse. Ma la causa prima, la causa vera, la causa scatenante affonda le radici nel “clima d’indifferenza morale” che regola, nel ’43 e oltre, le operazioni militari (quelle aeree in particolare) intraprese dalla più parte dei belligeranti. Essa ha un duplice aspetto:
- il primo, di carattere propriamente strategico, sta nella necessità impellente di compiere subito, senza ulteriori rinvii, un’incursione massiccia, diversa dalle precedenti, più particolare per fini e per mezzi, più incisiva dal punto di vista psicologico (propagandistico), più capace, insomma, di incidere profondamente sull’animo dei cittadini col gettarli in uno stato di accentuata prostrazione ed esasperazione;
- il secondo, di ordine più strettamente politico, è determinato dalla improrogabile esigenza di mirare al cuore stesso della resistenza italiana, al morale non ancora completamente scosso delle fiere popolazioni del Sud, per favorire le spinte disgregatrici che dal suo interno già operano per il cambiamento e il rovesciamento della situazione politico-militare del Paese in arme sempre più insofferente per la guerra e per la dittatura.
- E, perché questa spinta riesca vigorosa e proficua ed irrefrenabile insieme, gli Stati Maggiori Alleati non esitano ad ispirarla ai metodi propri della guerra totale, della lotta indiscriminata, sleale, senza esclusione di colpi, che non mette al primo posto il rispetto pieno della vita, la sacralità dei deboli e degli indifesi, ma il trionfo, il prevalere della propria potenza, della propria ragione, della propria ideologia. Sicché l’odio vince sull’amore, il male sul bene, l’immorale sull’etico.
LE CARATTERISTICHE DELLA MISSIONE
Ideata e condotta nella logica del «moral bobbing», la «mission» del 25/26 giugno (di cui non ci è dato di conoscere la precisa indicazione in codice) non può non avere nella sostanza e nella forma - dati i fini che essa si proponeva - i caratteri propri dell’azione prettamente intimidatoria. Infatti, apparentemente, essa dà ad intendere di voler perseguire soltanto scopi militari, di fatto, invece, finisce che si rivolge unicamente contro obiettivi civili, che, nel nostro caso, sono le popolazioni del Sud-Ovest barese e (tra esse, e non soltanto contro di essa, quella di Sannicandro, scuotendone violentemente la “psiche”, deprimendone il morale (così come richiedeva la precitata logica), comprimendone volontà ed opere. Lo spiegano, e lo dimostrano inconfutabilmente:
- la quantità di aerei impegnati nell’azione;
- la vastità dell’area incursionata (grosso modo quel triangolo di territorio, i cui vertici sono le città di Gravina (Altamura), Trani e Bari;
- i bersagli mirati: le popolazioni civili unitamente alle fonti prime del quotidiano sostentamento (il pane e le forniture idriche);
- il volo radente dei caccia-bombardieri (volutamente fracassone, assordante), sino a sfiorare i tetti delle case (come rilevano, concordi, le testimonianze raccolte);
- il bombardamento da bassa quota, a motivo del quale decine di bombe risulteranno poi inesplose;
- il materiale adoperato: esplosivo ed ustivo; bombe dirompenti (di ogni calibro, anche da 4.000 libbre), bombe incendiarie o «piastrini» (Cfr. documenti allegati) ed “aggeggi vari a forma di cioccolatini e stilografiche”, destinati sicuramente ai piccoli, (che solo una mente diabolica e perversa poteva ideare e spedire a domicilio,), risultati estremamente pericolosi;
- il mitragliamento di gente in fuga, anche fuori dell’abitato, (di Sannicandro, s’intende);
- dulcis in fundo, il lancio di manifestini.
Già, i manifestini. E’ a tutti noto ormai che di manifestini ne caddero tanti sul nostro paese nella notte tra il 25-26 giugno. Però non tutti sanno che, in data anteriore a quella, se non proprio sulle case, almeno sul suo territorio, di manifestini ne piovvero tanti altri ancora. Accadde questo primo lancio, un altro 26 del mese, il 26 aprile, per l’esattezza. Era, quel giorno, il lunedì di Pasqua (del ’43), il giorno della pasquetta, il giorno, per essere ancora più precisi, della scarcella (o «scarcedd»), il tipico dolce locale ed anche regionale, a quanto pare, a cui i piccoli erano particolarmente affezionati e che di solito usavano conservare per poi portarlo con sé infilato ad un braccio, sbocconcellarlo lungo la strada di campagna o sgranocchiarlo seduti ad un “parete” dirimpetto alla Chiesetta; il giorno in cui tutti, per secolare tradizione usavano, ed usano, recarsi in visita, a piedi, per la lunga stradella (ieri ciottolosa e polverosa, oggi asfaltata) alla bianca umile Chiesetta della Madonna di Torre, accompagnandovi il “Quadro” della Vergine Santa, trainato da un carro stracarico di bambini in festa, tra spari continui di guardie campestri e cacciatori del posto. I più lucidi di memoria si ricordano bene di quella splendida giornata di luce e di sole e ricordano anche che si era sul mezzogiorno.
Prof. Giovanni Vernì (1916-2014), storico sannicandrese.
IL BOMBARDIERE “VICKERS WELLINGTON”
Il Vickers Wellington era un bombardiere medio bimotore inglese, realizzato sul finire degli anni trenta; largamente impiegato nel corso della seconda guerra mondiale, fu costruito in oltre 11.000 esemplari, caratterizzato dall'inusuale struttura geodetica, sviluppata dal celebre ingegnere ed inventore britannico Barnes Wallis, che garantiva al velivolo un'eccezionale robustezza, già sperimentata con il precedente Vickers Wellesley.
Caratterizzato dalla sigla interna Type 271, il velivolo fu inizialmente chiamato Crecy (dal luogo in cui si svolse una battaglia della guerra dei cent'anni). Il nome definitivo fu in onore del primo duca di Wellington, che sconfisse Napoleone Bonaparte nella Battaglia di Waterloo.
Il velivolo fu soprannominato Wimpy dal nome di un personaggio dei cartoni animati: J. Wellington Wimpy (semplificato in Wimpy) era il nome originale di Poldo Sbaffini.
Storia
Sviluppo
Il progetto del Wellington nacque sulla base della specifica dell'Air Ministry n° B.9/32 che chiedeva un bombardiere pesante (stanti gli standard dell'epoca). La specifica, sulla base della quale ebbe origine anche l'Handley Page HP.52 Hampden, prevedeva un velivolo con motori Rolls-Royce Goshawk o Bristol Mercury, per sostituire il Boulton Paul Sidestrand per i bombardamenti della Royal Air Force. Successive modifiche consentirono di impiegare, fin dal primo prototipo, i motori Bristol Pegasus.
Il primo volo ebbe luogo il 15 giugno del 1936 e meno di due mesi dopo la Vickers ricevette un primo ordine per 180 esemplari.
Pur funestato da un incidente durante i collaudi (nell'aprile del 1937), lo sviluppo del Wellington procedette spedito ed il 23 dicembre del 1937 volò il primo degli esemplari di serie. Furono necessarie modifiche sostanziali al progetto iniziale che riguardarono la revisione completa dei piani verticali (ampliati considerevolmente), l'adozione di torrette per le mitragliatrici e un ruotino di coda retrattile.
Al termine delle prove, mentre erano già stati ordinati altri esemplari della prima serie (tanto da far realizzare un nuovo stabilimento produttivo a Chester in aggiunta a quello originario di Weybridge), nell'ottobre del 1938 divenne operativo il primo reparto del Bomber Command, il 9th Squadron, di base a Scampton (nel Lincolnshire).
Lo sviluppo del Wellington procedette con la versione Mark II, il cui prototipo venne portato in volo il 3 marzo del 1939: invariata nella struttura, era equipaggiata con motori Rolls-Royce Merlin in quanto si temeva che le richieste dei Pegasus potessero eccedere la disponibilità. Tuttavia, con la guerra ormai alle porte, anche i Merlin (che equipaggiavano i Battle, gli Hurricane, gli Spitfire ed i Fulmar) ebbero gli stessi problemi, influenzando di conseguenza anche le consegne dei Wellington: i Mk II equipaggiarono il primo reparto (il 12th Squadron, a Binbrook) solo nell'ottobre del 1940.
Nelle versioni successive del 1941, si diversificarono i propulsori: la versione Mk III ebbe motori radiali Bristol Hercules XI, e la Mk IV montò gli statunitensi Pratt & Whitney Twin Wasp.
Nuove richieste dell'Air Ministry (specifica B.23/39) prevedevano la realizzazione di un bombardiere in grado di operare a quote tanto elevate da evitare la contraerea e i caccia avversari. Nacque così la versione Mk V, priva di armamento, muso completamente nuovo e cabina pressurizzata. Nelle prime prove il velivolo non riuscì a raggiungere le quote operative richieste (in un secondo tempo fu anche estesa l'apertura alare, con risultati scarsi) e la versione non ebbe seguito.
Scarsa fortuna ebbe anche la successiva Mk VI: dotati di motori Merlin questi Wellington erano in grado di operare alle quote previste ma nel frattempo anche la caccia tedesca si era dotata di mezzi altrettanto capaci. I Mk VI quindi furono impiegati per lo svolgimento dei primi test con il radar OBOE, sul finire del 1941.
Dopo l'abbandono dello sviluppo della serie Mk VII (destinata nelle intenzioni ad alloggiare motori Merlin), la versione successiva del Wellington fu progettata per l'impiego nel Coastal Command: la variante Mk VIII era infatti destinata alla ricognizione marittima. Strutturalmente analoga alla versione Mk IC, con la quale condivideva anche i motori Pegasus e dalle cui linee di montaggio provenne circa la metà degli esemplari costruiti, la Mk VIII era equipaggiata con un radar ASV Mk II (con le sue caratteristiche antenne montate sul dorso della fusoliera), sviluppato per la ricerca dei sommergibili che navigavano in emersione. Il primo Wellington Mk VIII venne consegnato ai reparti nell'aprile del 1942.
Nel frattempo procedevano gli sviluppi sulle versioni da bombardamento e nel 1943 divenne operativa la versione Mk X, la versione prodotta nel maggior numero di esemplari e l'ultima espressamente destinata al Bomber Command; dotati di motori Bristol Hercules, i velivoli di questa serie furono forniti a 20 Squadron di prima linea e ad altri 25 reparti impegnati nella conversione operativa degli equipaggi.
Da questo momento tutte le nuove versioni del Wellington (soppiantato da macchine di concezione più moderna nei reparti da bombardamento) andarono alla ricognizione marittima ed alla lotta antisommergibile. Nacquero così le versioni Mk XI (con motori radiali Hercules e radar ASV Mk III), Mk XII (dotato di radar ASV Mk III installato a prua e di faro da ricerca Leigh light), Mk XIII (nuovamente dotato di radar ASV Mk II e con motori Hercules più potenti) e Mk XIV (con radar ASV Mk III e gli stessi motori del Mk XII).
Questi velivoli furono gli ultimi a venire prodotti in serie; da questo momento lo sviluppo di nuove versioni servì soprattutto a definire cellule destinate a testare nuovi motori, tra cui i primi turbogetti realizzati da Frank Whittle e (era il 1948) i turboelica Rolls-Royce Dart.
Descrizione tecnica
Struttura
La principale caratteristica del Wellington era la sua struttura geodetica; sviluppata da Barnes Wallis (ingegnere bellico, inventore tra l'altro delle bombe rimbalzanti) nella costruzione di dirigibili, era già stata impiegata nel bombardiere leggero Vickers Wellesley.
Con la struttura geodetica, la fusoliera e l'ala del velivolo sono interamente composte da elementi in duralluminio collegati fra loro secondo linee geodetiche: ne risulta che l'intreccio di questi elementi costituisce contemporaneamente sia la forma che la struttura portante del velivolo.
Allo scheletro così realizzato, nel Wellington veniva poi incollato un rivestimento in tela ricoperto con lacca a base di nitrocellulosa.
I vantaggi ottenuti consistevano nella leggerezza della struttura, nella disponibilità di spazio determinata dalla presenza di parti completamente cave (in particolare le ali) e nella capacità di sopportare i danni dei proiettili. Per contro si registrava la necessità di una revisione sostanziale della struttura per realizzare qualsiasi tipo di modifica alla cellula.
Motore
Il Wellington ebbe diverse motorizzazioni, soprattutto in previsione della notevole quantità di propulsori di cui necessitava all'epoca l'industria aeronautica britannica.
I più utilizzati furono i radiali Bristol Hercules, installati sulle versioni costruite nel maggior numero di esemplari (Mk IC e Mk X); il motore a V maggiormente impiegato fu invece il Rolls-Royce Merlin, già diffuso su molti altri velivoli.
Armamento
Il carico offensivo trasportabile (che rimase invariato nel corso della vita operativa del Wellington) consisteva in 4 500 lb di bombe (2 041 kg). Nella versione GR Mk XII, la struttura del velivolo fu predisposta per accogliere due siluri da 457 mm.
L'armamento difensivo era costituito, nelle prime versioni, da 6 mitragliatrici da 7,7 mm disposte in tre torrette (prodiera, caudale, ventrale). Le torrette potevano essere Vickers o Nash & Thomson (a seconda del costruttore) ed inizialmente si optò per le prime per le postazioni alle estremità della fusoliera. All'atto pratico le torrette Vickers si rivelarono scarsamente funzionali e furono soppiantate dalle Nash & Thomson servoassistite.
In tempi successivi la torretta ventrale fu abbandonata e le mitragliatrici spostate in fusoliera (una per lato), mentre la postazione di coda fu dotata di quattro armi del medesimo calibro).
Sistemi
Il Wellington fu tra i primi velivoli britannici ad utilizzare il radar; in particolare le versioni destinate all'impiego nel Coastal Command utilizzavano apparati ASV (Air to Surface Vessel, per la ricerca di navi in superficie) nelle varianti Mk II e Mk III, il cui utilizzo era integrato (nelle missioni notturne) da quello della lampada di ricerca, nota come Leigh Light (dal nome del suo inventore, Humphrey de Verd Leigh, Wing Commander della RAF). La presenza del radar ASV Mk II era evidenziata dalla caratteristica serie di antenne disposte sul dorso della fusoliera.
Impiego operativo
Nel Bomber Command
La vita operativa dei Wellington ebbe inizio fin dai primi giorni di guerra: il 4 settembre 1939, insieme ad alcuni Bristol Blenheim, effettuarono la prima missione di bombardamento contro unità della Kriegsmarine alla fonda nei pressi di Brunsbüttel (all'imbocco del Canale di Kiel). Avversata dalle condizioni meteorologiche e dalla difesa contraerea, la missione non portò risultati significativi e due Wellington furono abbattuti.
Per i tre mesi successivi i Wellington effettuarono una lunga serie di missioni di bombardamento diurne, ultima delle quali fu quella del 18 dicembre: 24 Wellington (9th, 37th e 149th Squadron) bombardarono Wilhelmshaven e la vicina rada di Schillig (nel comune di Wangerland). Identificati dal radar lungo il percorso di avvicinamento, i bombardieri vennero intercettati dai caccia nemici (Messerschmitt Bf 109 e Bf 110): attaccati dal basso (zona non sufficientemente protetta dalla postazione ventrale di due mitragliatrici), dieci Wellington furono abbattuti ed altri tre gravemente danneggiati.
Da questo momento i Wellington furono destinati alle missioni notturne, facendosi valere per affidabilità e robustezza. Fu da uno di questi bimotori che venne sganciata per la prima volta la bomba dirompente da 4.000 lb (1.800 kg) ad alta concentrazione di amatolo (definita all'epoca "Blockbuster", "spiana-isolati", per le sue capacità distruttive).
Degno di essere ricordato è l'impiego di circa 600 Wellington nel raid avvenuto la notte del 30 maggio 1942 nei cieli di Colonia, primo della serie di incursioni dei mille bombardieri (The thousand bomber raid, nome in codice Operation Millennium).
L'impiego dei Wellington avvenne su tutti i fronti e con i reparti di molte delle forze aeree di Francia, Polonia e Cecoslovacchia ricostituite in appositi reparti della RAF. Nel 1946, durante la guerra civile greca, i Wellington vennero utilizzati dalla RAF durante il suo coinvolgimento nel conflitto e successivamente dati in consegna all'aeronautica militare greca.
Con il passare del tempo il Wellington venne affiancato e poi sostituito dai nuovi bombardieri pesanti (quadrimotore) che entravano in servizio nel Bomber Command (i vari Avro 683 Lancaster, Handley Page Halifax, Boeing B-17 Flying Fortress e Consolidated B-24 Liberator), ma rimase operativo fino alla fine del conflitto: infatti, se nel Sud-est asiatico la sua carriera ebbe termine nel corso del 1944, il teatro europeo lo vide impegnato fino agli ultimi giorni di guerra, tanto che l'ultima missione con il Bomber Command venne compiuta il 13 marzo del 1945 con il bombardamento di Treviso (ad opera del 40th Squadron).
Nel Coastal Command
Come già visto, fin dall'inizio del conflitto i Wellingon vennero impiegati in teatri prevalentemente marittimi oppure vennero destinati a compiti del tutto particolari.
Nel 1940, con la trasformazione di un esemplare di Mk I da bombardamento, venne studiato un sistema che potesse far esplodere le mine magnetiche disseminate dal nemico. Denominato DWI Mk I (sigla che, in modo del tutto ingannevole, avrebbe dovuto significare Directional Wireless Installation, in pratica una sorta di installazione radiogoniometrica) il velivolo era equipaggiato con un cerchio in duralluminio collegato ad un potente generatore, una soluzione simile all'anello Mausi di produzione tedesca. Il campo magnetico così realizzato veniva utilizzato per far detonare le mine mediante passaggi a bassa quota nelle zone potenzialmente minate. Il numero di velivoli trasformati in questo modo fu irrilevante, ma il sistema venne utilizzato fino a guerra avanzata. Più o meno contemporaneamente altri esemplari di Wellington modificati furono, al contrario, impiegati nella realizzazione di campi minati nei mari dell'Europa settentrionale.
Come detto, la prima versione espressamente destinata al Coastal Command fu la GR Mk VIII, il cui primo esemplare venne consegnato (al 172th Squadron di base a Chivenor, nelle vicinanze di Barnstaple) nell'aprile del 1942. Proprio uno di questi velivoli realizzò il primo attacco con l'impiego della Leigh light: la notte tra il 3 ed il 4 giugno 1942 venne preso di mira un sommergibile tedesco in emersione. Tuttavia per registrare il primo affondamento durante una missione di questo tipo si dovette attendere ancora un mese.
Versioni
Vickers Type 271: designazione del prototipo (primo volo il 15 giugno 1936).
Wellington Mk I:
- Type 285: esemplare di preserie, equipaggiato con motori Bristol Pegasus X (primo volo 23 dicembre 1937);
- Type 290: prima versione di serie, costruita in 183 unità equipaggiate con motori Pegasus XVIII, torrette Vickers e dotata di postazione ventrale retrattile;
- Wellington Mk IA
- Type 408: versione prodotta in 187 esemplari; adottava torrette Nash & Thompson e manteneva la postazione ventrale retrattile;
- Wellington Mk IC:
- Type 416: ne furono costruiti complessivamente 2 685 esemplari e risultò la seconda versione per numero di unità. La torretta ventrale venne eliminata e le due mitragliatrici furono spostate sul lato della fusoliera. Fu la prima versione equipaggiata con strumentazione per l'atterraggio strumentale (per il funzionamento con il sistema noto come Lorenz beam);
- Type 423: designazione assegnata ai Mk IC modificati per trasportare una bomba da 1 814 kg (4 000 lb);
Wellington Mk II:
- Type 298: prototipo, dotato di motori Rolls-Royce Merlin X (primo volo 3 marzo 1939);
- Wellington B Mk II:
- Type 406: versione equipaggiata con i motori 12 cilindri a V Merlin; ne furono prodotti 400 esemplari;
- Wellington Mk III:
- Type 299: tre prototipi, dotati di motori Bristol Hercules (due con motori della serie HE1.SM ed uno della serie III);
- Wellington B Mk III:
- Type 417: versione di serie equipaggiata con motori Hercules XI; ne furono costruiti 1 517. La torretta caudale passò da 2 a 4 mitragliatrici;
- Wellington Mk IV:
- Type 410: prototipo, motorizzato con una coppia di Pratt & Whitney Twin Wasp;
- Wellington B Mk IV:
- Type 424: versione di serie con i Twin Wasp; ne furono costruiti 220 esemplari;
- Wellington Mk V:
- Type 407: prototipo, studiato per l'impiego in alta quota; motorizzato con Bristol Hercules VIII. Nessun seguito di serie;
- Type 421: prototipo, per alta quota; montava motori Bristol Hercules III. In ragione dello scarso rendimento dei motori alle alte quote, il progetto venne abbandonato in favore della versione Mk VI;
Wellington Mk VI:
- Type 432: prototipo della nuova serie. Vennero provate varie versioni del motore Rolls-Royce Merlin; (secondo altre fonti il Type 432 risulta essere un prototipo di caccia bimotore che non ebbe sviluppo produttivo).
Wellington B Mk VI:
- Type 442: prodotta in 63 esemplari. Montavano motori Merlin ed erano equipaggiati con sistema di puntamento Sperry. Destinati all'impiego in alta quota, avevano la cabina pressurizzata;
Wellington GR Mk VIII:
- Type 429: versione destinata alla ricognizione marittima; prodotta in 397 unità, era equipaggiata con motori Bristol Pegasus XVIII. Alcuni modelli presentavano la predisposizione per l'impiego di armi antinave ed altri potevano impiegare siluri. Su 58 velivoli venne installato un proiettore Leigh light per la ricerca notturna dei sommergibili;
Wellington B Mk X:
- Type 440: versione da bombardamento; fu prodotta in 3 803 unità risultando la versione più numerosa. Montava motori Bristol Hercules VI/XVI.
Wellington GR Mk XI:
- Type 458: versione da ricognizione marittima; dotata di radar ASV Mk III e motori Bristol Hercules VI/XVI e costruita in 180 unità;
Wellington GR Mk XII:
- Type 455: da ricognizione marittima; prodotta in 58 esemplari, dotati di Leigh light, radar ASV Mk III e motori Bristol Hercules VI/XVI; montava il radar all'estrema prua, sacrificando così la postazione per le mitragliatrici.
Wellington GR Mk XIII:
- Type 466: il radar di ricerca era del tipo ASV Mk II montato in fusoliera, per cui manteneva la torretta frontale per le mitragliatrici; armato con siluri, aveva motori Bristol Hercules XVII;
Wellington GR Mk XIV:
- Type 467: in sostanza era identico alla versione XII, ma con i motori Bristol Hercules XVII. Trovò largo impiego durante lo sbarco in Normandia.
Trasformazioni
- Wellington C Mk XV: versione da trasporto, ottenuta modificando esemplari della versione da bombardamento Mk IA; poteva trasportare fino a 18 soldati. La modifica di questi velivoli, risalente al dopoguerra, sarebbe da ricondurre alla carenza di adeguati progetti per velivoli da trasporto.
- Wellington C Mk XVI: modifica, analoga alla precedente, riguardante esemplari della serie Mk IC.
- Wellington T Mk XVII (Type 487): esemplari, secondo alcune fonti della serie Mk X, trasformati in addestratori; equipaggiati con motori Bristol Hercules XVII e radar da intercettazione identico a quello del Mosquito.
- Wellington T Mk XVIII (Type 490): versione da addestramento, dotata di motori Bristol Hercules XVI; 80 esemplari furono costruiti ex novo, altri furono ottenuti modificando velivoli delle serie X o XI.
- Wellington T Mk XIX: ulteriore modifica di velivoli della serie X, nel ruolo di addestratori per compiti di navigatore/bombardiere.
- Wellington T.10 (Type 619): si tratta di una serie di velivoli trasformati nel dopoguerra e venduti alla Francia ed alla Grecia.
Varianti sperimentali
- Type 416: modifica del prototipo del Mk II, cui venne installato un cannone Vickers da 40 mm in postazione dorsale; venne dotato anche di impennaggio a doppia deriva.
- Type 418: identificato come Wellington DWI Mk I, era dotato di equipaggiamenti destinati a far detonare le mine magnetiche nemiche (analogamente a quanto realizzato dalla Luftwaffe con il Minensprengring).
- Type 419: denominato Wellington DWI Mk II, aveva finalità identiche al precedente ma modifiche di dettaglio negli equipaggiamenti di bordo.
- Type 435: velivolo da bombardamento, designato Wellington IC, destinato alla valutazione del sistema Turbinlite (potente faro di ricerca sperimentato anche sul Douglas Havoc e sul Mosquito).
- Type 437: un prototipo da trasporto ottenuto modificando un Mk IA, con motori Bristol Hercules XVI. Identificato come Wellington IX.
- Type 439: modello di Mk II, modificato con l'installazione di un cannone Vickers da 40 mm all'estrema prua.
- Type 443: esemplare della serie Mk V, modificato per le prove in volo del motore Bristol Hercules VIII.
- Type 445: velivolo della serie Mk II utilizzato per la sperimentazione di un turbogetto Whittle W2B/23 (noto anche come Power Jets W.2), installato in coda.
- Type 449: due velivoli da bombardamento cui venne attribuita la designazione Mk VIG; versione che non ebbe seguiti produttivi.
- Type 454: prototipo della versione Mk IX dotato di radar antinave ASV Mk II ed equipaggiato con motori Bristol Hercules VI/XVI;
- Type 459: ulteriore prototipo di Mk IX con radar ASV Mk III.
- Type 470: velivolo impiegato nei test con turbogetto in coda; in questo caso il motore era il Whittle W2B.
- Type 478: esemplare di Mk X impiegato per la sperimentazione di motori Bristol Hercules 100.
- Type 486: nuova versione di prova per il turbogetto in posizione caudale; oggetto delle prove era il motore Whittle nella versione W2/700.
- Type 602: ancora un esemplare di Mk X; in questo caso servì come banco di prova per i motori turboelica Rolls-Royce Dart.
Utilizzatori
- Australia Royal Australian Air Force
- Canada Royal Canadian Air Force
- Cecoslovacchia Aeronautica militare cecoslovacca in esilio nel Regno Unito, inquadrata nella Royal Air Force
- Francia libera Forces aériennes françaises libres in esilio nel Regno Unito, inquadrate nella Royal Air Force
- Francia Aviation navale (nel dopoguerra)
- Germania Luftwaffe (prede di guerra)
- Regno Unito Royal Air Force Fleet Air Arm
- Grecia Polemikí Aeroporía
- Nuova Zelanda Royal New Zealand Air Force
- Polonia Polskie Siły Powietrzne in esilio nel Regno Unito, inquadrata nella Royal Air Force
- Sudafrica Suid-Afrikaanse Lugmag.
ENGLISH
The Vickers Wellington is a British twin-engined, long-range medium bomber. It was designed during the mid-1930s at Brooklands in Weybridge, Surrey. Led by Vickers-Armstrongs' chief designer Rex Pierson; a key feature of the aircraft is its geodetic airframe fuselage structure, which was principally designed by Barnes Wallis. Development had been started in response to Air Ministry Specification B.9/32, which was issued in the middle of 1932. This specification called for a twin-engined day bomber capable of delivering higher performance than any previous design. Other aircraft developed to the same specification include the Armstrong Whitworth Whitley and the Handley Page Hampden. During the development process, performance requirements such as for the tare weight changed substantially, and the engine used was not the one originally intended.
The Wellington was used as a night bomber in the early years of the Second World War, performing as one of the principal bombers used by Bomber Command. During 1943, it started to be superseded as a bomber by the larger four-engined "heavies" such as the Avro Lancaster. The Wellington continued to serve throughout the war in other duties, particularly as an anti-submarine aircraft. It holds the distinction of having been the only British bomber that was produced for the duration of the war, and of having been produced in a greater quantity than any other British-built bomber. The Wellington remained as first-line equipment when the war ended, although it had been increasingly relegated to secondary roles. The Wellington was one of two bombers named after Arthur Wellesley, 1st Duke of Wellington, the other being the Vickers Wellesley.
A larger heavy bomber aircraft designed to Specification B.1/35, the Vickers Warwick, was developed in parallel with the Wellington; the two aircraft shared around 85% of their structural components. Many elements of the Wellington were also re-used in a civil derivative, the Vickers VC.1 Viking.
Development
Origins
In October 1932, the British Air Ministry invited Vickers to tender for the recently issued Specification B.9/32, which sought a twin-engine medium daylight bomber. In response, Vickers conducted a design study, led by Chief Designer Rex Pierson Early on, Vickers' chief structures designer Barnes Wallis proposed the use of a geodesic airframe, inspired by his previous work on airships and the single-engined Wellesley light bomber. During structural testing performed at the Royal Aircraft Establishment, Farnborough, the proposed structure demonstrated not only the required strength factor of six, but reached 11 without any sign of failure, proving the geodesic airframe to possess a strength far in excess of normal levels. This strength allowed for the structure design to be further developed to reduce the size of individual members and adopt simplified standard sections of lighter construction.
Vickers studied and compared the performance of various air and liquid-cooled engines to power the bomber, including the Bristol Pegasus IS2, Pegasus IIS2, the Armstrong Siddeley Tiger, and the Rolls-Royce Goshawk I. The Pegasus was selected as the engine for air-cooled versions of the bomber, while the Goshawk engine was chosen for the liquid-cooled engine variant. On 28 February 1933, two versions of the aircraft, one with each of the selected powerplants, were submitted to the tender. In September 1933, the Air Ministry issued a pilot contract for the Goshawk-powered version. In August 1934, Vickers proposed to use either the Pegasus or Bristol Perseus engines instead of Goshawk, which promised improvements in speed, climb rate, ceiling, and single-engine flight capabilities without any major increase in all-up weight; the Air Ministry accepted the proposed changes.
Other refinements of the design had also been implemented and approved, such as the adoption of variable-pitch propellers, and the use of Vickers-produced gun turrets in the nose and tail positions. By December 1936, the specification had been revised to include front, rear, and midship wind-protected turret mountings. Other specification changes included modified bomb undershields and the inclusion of spring-loaded bomb bay doors. The proposal had also been developed further, a mid-wing arrangement was adopted instead of a shoulder-mounted wing for greater pilot visibility during formation flight and improved aerodynamic performance, as well as a substantially increased overall weight of the aircraft. Design studies were also conducted on behalf of the Air Ministry into the adoption of the Rolls-Royce Merlin engine.
In spite of a traditional preference of the establishment to strictly adhere to the restrictive tare weight for the aircraft established in the tender, both Pierson and Wallis firmly believed that their design should adopt the most powerful engine available. Perhaps in response to pressure from Vickers, the Air Ministry overlooked, if not openly accepted, the removal of the tare weight restriction, as between the submission of the tender in 1933 and the flight of the first prototype in 1936, the tare weight eventually rose from 6,300lb to 11,508lb. The prescribed bomb load and range requirements were routinely revised upwards by the Air Ministry; by November 1935, figures within the Ministry were interested in the possibility of operating the aircraft at an all-up weight of 30,500 lb, which aviation author C.F. Andrews stated to be "a very high figure for a medium bomber of those days".
During the development phase of the aircraft, the political and military situations in Europe drastically transformed. With the rise of fascist dictatorships in Germany and Italy, the British government had become keen to re-evaluate the capabilities of the nation's armed forces, including the Royal Air Force (RAF). By 1936, the need for a high priority to be placed on the creation of a large bomber force, which would form the spearhead of British offensive power, had been recognised; accordingly, a new command organisation within the RAF, Bomber Command, was formed that year to deliver upon this requirement.
Prototype and design revision
In early 1936, an initial prototype, K4049, which was originally designated as a Type 271, was assembled. The prototype could accommodate a payload of nine 250lb or 500lb bombs, and both nose and tail gun positions were fitted with hand-operated turrets furnished with a single gun in each, provisions for a third retractable gun in a dorsal position were also present. It had provisions for a crew of four, along with a fifth position for performing special duties.
On 5 June 1936, the name Crecy was initially chosen for the type, and it was publicly displayed as such. On 15 August 1936, the aircraft was accepted for production. On 8 September 1936, the name Wellington was adopted for the type; Pierson later explained that this was due to Air Ministry nomenclature and also followed the tradition set by the Vickers Wellesley of possessing names referring back to the Duke of Wellington. On 12 December 1936, a corresponding works order was issued for the Wellington.
On 15 June 1936, K4049 conducted its maiden flight from Brooklands. Vickers chief test pilot Joseph Summers flew K4049 on its first flight, accompanied by Wallis and Trevor Westbrook. The aircraft soon came to be largely regarded as being an advanced design for its era and proved to have considerable merit during its flight trials. On 19 April 1937, K4049 was destroyed by an accident during a service test flight by Maurice Hare. The cause was the failure of the elevator's horn balance due to excessive slipstream exposure, leading to the aircraft inverting and rapidly descending into terrain. It was completely destroyed in the crash, which also resulted in the death of Smurthwaite the navigator. The horn balances would later be deleted, and thus not feature on production aircraft.
In addition to the prototype, refinement of the Wellington's design was influenced by the issuing of Specifications B.1/35 and B.1/35, the latter of which had led to the parallel development of a larger bomber aircraft, the Vickers Warwick. According to Andrews, the Wellington was practically redesigned to form the first production model of the aircraft, during which extensive details attributed to the Warwick were added, such as the deepening of the fuselage, the lengthening of the nose, a reshaped horizontal tail unit, and an increased crew complement for four to five members. Other changes made included the adoption of a retractable tailwheel and constant-speed propellers; the Air Ministry also requested the adoption of a Nash & Thompson-design ventral turret in place of the Vickers design.
On 23 December 1937, the first production Wellington Mk I, L4212, conducted its first flight; L4212 subsequently participated in an intensive flight programme. Flight trials with L4212 confirmed the aerodynamic stability initially encountered by K4049, but also revealed the aircraft to be nose-heavy during dives, which was attributed to the redesigned elevator. Accordingly, modifications, including the interlinking of the flaps and the elevator trim tabs, were successfully trialled on L4212 to resolve the issue.
Production
In August 1936, an initial order for 180 Wellington Mk I aircraft, powered by a pair of 1,050 hp (780 kW) Bristol Pegasus radial engines, was received by Vickers; it had been placed so rapidly that the order occurred prior to the first meeting intended to decide the details of the production aircraft. In October 1937, another order for a further 100 Wellington Mk Is, produced by the Gloster Aircraft Company, was issued; it was followed by an order for 100 Wellington Mk II aircraft, which were instead powered by a pair of Rolls-Royce Merlin X V12 engines. Yet another order was placed for 64 Wellingtons produced by Armstrong Whitworth Aircraft. With this flurry of order and production having been assured by the end of 1937, Vickers set about simplifying the manufacturing process of the aircraft and announced a target of building one Wellington per day.
Construction took longer to build due to the geodesic fuselage in comparison to other designs using monocoque approach, leading to criticism of the Wellington. In particular, it was difficult to cut holes in the fuselage for access or equipment fixtures; to aid manufacturing, the Leigh light was deployed through the mounting for the absent FN9 ventral turret. In the late 1930s, Vickers built Wellingtons at a rate of one per day at Weybridge and 50 a month at Broughton in North Wales. Many of the employees on the production lines were only semi-skilled and new to aircraft construction. Peak wartime production in 1942 saw monthly rates of 70 at Weybridge, 130 at Broughton and 102 at Blackpool. Shadow factories were set up to produce parts for the Wellington all over the British Isles.
In October 1943, as a propaganda and morale-boosting exercise, workers at Broughton gave up their weekend to build Wellington number LN514 rushed by the clock. The bomber was assembled in 23 hours 50 minutes, and took off after 24 hours 48 minutes, beating the record of 48 hours set by a factory in California. Each Wellington was usually built within 60 hours. It was filmed for the Ministry of Information for a newsreel Worker's Week-End, and was broadcast in both Britain and America. It was the first time in the world that a British aircraft manufacturer had attempted such a feat with a metal aircraft of this scale.
A total of 180 Wellington Mk I aircraft were built; 150 for the RAF and 30 for the Royal New Zealand Air Force (RNZAF) (which were transferred to the RAF on the outbreak of war and used by 75 Squadron). In October 1938, the Mk I entered service with 9 Squadron. The Wellington was initially outnumbered by the Handley Page Hampden (also ordered by the Ministry to B.9/32) and the Armstrong Whitworth Whitley (to B.34/3 for a 'night' bomber) but outlasted both rival aircraft in service. The Wellington went on to be built in 16 separate variants, in addition to two trainingconversions after the war. The number of Wellingtons built totalled 11,462 of all versions, a greater quantity produced than any other British bomber. On 13 October 1945, the last Wellington to be produced rolled out.
Further development
The Wellington Mk I was quickly superseded by several successive variants featuring various improvements. Improvements to the turrets and the strengthening of the undercarriage quickly resulted in the Wellington Mk IA. According to Andrews, the IA model bore more similarities to the later Wellington Mk II than to its Mk I predecessor. Due to armament difficulties encountered that left the Wellington with weaker than intended defences, the Wellington Mk IB was proposed for trials, but appears to have been unbuilt. Further development of various aspects of the aircraft, such as the hydraulics and electrical systems, along with a revision of the ventral turret gun, led to the Wellington Mk IC.
In January 1938, design work on what would become the Wellington Mk II formally commenced. The principal change on this model was the adoption of the Merlin engine in place of the Pegasus XVIII; other modifications included hydraulic and oxygen system revisions along with the installation of cabin heating and an astrodome. On 3 March 1939, L4250, the prototype Mk II, performed its maiden flight; this had been delayed due to production delays of its Merlin X engines. Stability and balance issues were encountered during flight tests of the prototype, resulting in further changes such as the enlargement of the tailplane. By late 1939, the Mk II was capable of delivering superior performance to the Mk IC, such as higher cruising and top speeds, increased all-up weight or alternatively greater range, and a raised ceiling.
Design
The Vickers Wellington was a twin-engined long-range medium bomber, initially powered by a pair of Bristol Pegasus radial engines, which drove a pair of de Havilland two-pitch propellers. Various different engines and propeller configurations were used on different variants of the aircraft, which included several models of both the Bristol Hercules and the iconic Rolls-Royce Merlin engines. Recognisable characteristics of the Wellington include the high aspect ratio of its tapered wing, the depth of its fuselage, and the use of a tall single vertical stabiliser on its tail unit, which reportedly aided in recognition of the type.
The Wellington typically had a crew of five. The bomb-aimer was located within the aircraft's nose. The Wellington could be fitted with dual flight controls, and specialised dual-control conversion sets were developed for the purpose of performing training upon the type. The cockpit also contained provisions for heating and de-icing equipment, which was introduced on later models of the Wellington. The Wellington Mk I had a maximum offensive bomb load of 4,500 lb (2,000 kg), more than one-fifth of the overall aircraft's 21,000 lb (9,500 kg) all-up weight. Additional munitions and an expanded bombing capacity were a recurring change made in many of the subsequent variants of the Wellington developed during the war, including the carrying of ever-larger bombs.
Defensive armaments comprised the forward and tail turret gun positions, along with a retractable revolving ventral turret. Due to the high cruising speeds of the Wellington, it had been realised that fully enclosed turrets, as opposed to semi-enclosed or exposed turrets, would be necessary; the turrets were also power-operated in order to traverse with the speed and manoeuvrability necessary to keep up with the new generations of opposing fighter aircraft. Due to the specialised nature of increasingly advanced turrets, these were treated as ancillary equipment, being designed and supplied independently and replacing Vickers' own turrets developed for the aircraft. The turrets initially used a Nash & Thompson control unit, while each position was equipped with a pair of .303 in (7.7 mm) Browning machine guns. On many Wellington variants, the Vickers-built ventral turret of the Mk I was replaced by a Nash & Thompson-built counterpart as standard.
A key innovation of the Wellington was its geodesic construction, devised by aircraft designer and inventor Barnes Wallis. The fuselage was built from 1,650 elements, consisting of duralumin W-beams which formed into a metal framework. Wooden battens were screwed to the beams and were covered with Irish linen; the linen, treated with layers of dope, formed the outer skin of the aircraft. The construction proved to be compatible with significant adaptations and alterations including greater all-up weight, larger bombs, tropicalisation, and the addition of long-range fuel tanks.
The metal lattice gave the structure considerable strength, with any single stringer able to support a portion of load from the opposite side of the aircraft. Heavily damaged or destroyed beams on one side could still leave the aircraft structure viable; as a result, Wellingtons with huge areas of framework missing were often able to return home when other types would not have survived, leading to stories of the aircraft's 'invulnerability'. The effect was enhanced by the fabric skin occasionally burning off leaving the naked frames exposed. A further advantage of the geodesic construction of the wings was its enabling of a unique method for housing the fuel, with each wing containing three fuel tanks within the unobstructed space provided between the front and rear spars outboard of the engines. A disadvantage of the geodesic fuselage structure was its insufficient lengthwise stiffness: when fitted with attachment for towing cargo gliders, its structure "gave" and stretched slightly. So, while the airframe continued to be structurally sound, the forces in the long control runs of cables and push-pull rods to the empennage grew considerably, affecting controllability of the aeroplane. This is the reported reason why Wellingtons (and Warwicks for that matter) were not used as glider tugs.
Operational history
On 3 September 1939, the eve of the outbreak of the Second World War, No. 3 Group of Bomber Command comprised eight squadrons (No. 9, No. 37, No. 37 No. 38, No. 99, No. 115 and No. 149 Squadrons), alongside two reserve squadrons (No. 214 and No. 215 squadrons), that were equipped with a mixture of Wellington Mk I and Mk IA aircraft.
On 4 September 1939, less than 24 hours after the commencement of hostility, a total of 14 Wellingtons of No. 9 and No. 149 Squadrons, alongside a number of Bristol Blenheim aircraft, performed the first RAF bombing raid of the war, targeting German shipping at Brunsbüttel. The bombing of the harbour itself had not been permitted by the Chamberlain War Cabinet for fear of injuring civilians. The effectiveness of the raid was diminished by a combination of poor weather and high amounts of anti-aircraft fire. During this opening raid, a pair of Wellingtons became the first aircraft to be lost on the Western Front.
On 3 December 1939, 24 Wellingtons of No. 38, No. 115 and No. 147 Squadrons attacked the German fleet moored at Heligoland. The bombing commenced from high altitude and, while results of the bombing itself proved negligible in terms of damage, the ability of a formation of Wellingtons to adequately penetrate strongly defended hostile airspace was validated. On 14 December 1939, 12 Wellingtons of No. 99 Squadron conducted a low-level raid upon German shipping at the Schillig Roads and Wilhelmshaven. Encountering enemy fire from warships, flak, and Luftwaffe aircraft, the Wellington formation lost five aircraft, along with another that crashed near its base, while only one enemy fighter was downed.
On 18 December 1939, 24 Wellingtons of No. 9, No. 37 and No. 149 Squadrons participated in the Battle of the Heligoland Bight against the German fleet and naval bases in both the Schillig Roads and Wilhelmshaven. The Wellingtons were unable to deploy their bombs as all vessels were in harbour, thus restrictions on endangering civilians prevented their engagement. Having been alerted by radar, Luftwaffe fighter aircraft intercepted the incoming bombers near to Heligoland and continuously attacked the formation much of the way home. In total, 12 of the bombers were destroyed and a further three were badly damaged. Defensive fire from the turrets downed four aircraft.
The action at Heligoland highlighted the Wellington's vulnerability to attacking fighters, possessing neither self-sealing fuel tanks nor sufficient defensive armament. In particular, while the nose and tail turrets protected against attacks from the front and rear, the Wellington had no defences against attacks from the beam and above, as it had not been believed that such attacks were possible owing to the high speed of aircraft involved. As a consequence of the losses taken, the tactic of unescorted day bombing was abandoned, and Bomber Command decided to use the Wellington force to attack German communications and industrial targets instead.
Another key decision made was to switch the Wellington to night operations; on 25 August 1940, the type participated in the first night raid on Berlin. During the First 1,000 bomber raid on Cologne, conducted on 30 May 1942, 599 out of 1,046 RAF aircraft dispatched were Wellingtons; of these, 101 were flown by Polish aircrews. During operations under Bomber Command, Wellingtons flew a total of 47,409 operations, dropped 41,823 tons (37,941 tonnes) of bombs and lost 1,332 aircraft in action.
In one high-profile incident, a German Bf 110 night-fighter attacked a Wellington returning from an attack on Münster, causing a fire at the rear of the starboard engine. The second pilot, Sergeant James Allen Ward (RNZAF) climbed out of the fuselage, kicked holes in the doped fabric of the wing for foot and hand holds to reach the starboard engine and smothered the burning upper wing covering. He and the aircraft returned home safely and Ward was awarded the Victoria Cross.
The Wellington was also adopted by Coastal Command, in which it contributed to the Battle of the Atlantic. It was used to carry out anti-submarine duties; on 6 July 1942, a Wellington sank its first enemy vessel. Specialised DWI variants were developed fitted with a 48 ft (14.63 m) diameter metal hoop were used for exploding enemy mines by generating a powerful magnetic field as it passed over them. In 1944, Wellingtons of Coastal Command were deployed to Greece and performed various support duties during the British intervention in the Greek Civil War. A few Wellingtons were operated by the Hellenic Air Force.
While the Wellington was superseded in the European Theatre, it remained in operational service for much of the war in the Middle East and in 1942, Wellingtons based in India became the RAF's first long-range bomber operating in the Far East. It was particularly effective with the South African Air Force in North Africa. The Wellington also served in anti-submarine duties with 26 Squadron SAAF based in Takoradi, Gold Coast (now Ghana).
In late 1944, a radar-equipped Wellington XIV from 407 Sqn. RCAF was modified for use by the RAF's Fighter Interception Unit as what would now be described as an airborne early warning and control aircraft. It operated at an altitude of 4,000 ft (1,219 m) over the North Sea to control a de Havilland Mosquito and a Bristol Beaufighter fighter intercepting Heinkel He 111 bombers flying from Dutch airbases and carrying out airborne launches of the V-1 flying bomb. The FIU operators on the Wellington would search for the He 111 aircraft climbing to launch altitude, then direct the Beaufighter to the bomber, while the Mosquito would attempt to intercept the V-1 if launched.
The Wellington is listed in the appendix to the novel KG 200 as one flown by the German secret operations unit KG 200, which also tested, evaluated and sometimes clandestinely operated captured enemy aircraft during the Second World War.
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