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Salvatore Bruno Todaro (nato a Messina, 16 settembre 1908 – deceduto al largo di La Galite, Tunisia, 14 dicembre 1942) è stato un “vero uomo carico di umanità” oltre che un militare italiano. Comandante di sommergibili della Regia Marina durante la seconda guerra mondiale ricevette diverse decorazioni.
Biografia
Salvatore Todaro (pr. Tòdaro) (famiglia paterna originaria di Palma di Montechiaro, prov. di Agrigento), crebbe a Chioggia e poi entrò all'Accademia navale di Livorno il 18 ottobre 1923 venendo promosso guardiamarina nel 1927, dopo aver completato il corso. L'anno successivo, promosso sottotenente di vascello, venne destinato a Taranto per frequentare il corso di osservazione aerea, per essere successivamente assegnato a diversi incarichi a terra (comando del dipartimento dello Jonio e basso Adriatico a Taranto nel 1931) ed imbarchi su unità di superficie (incrociatore Trieste nel 1932).
Nel 1933, a Livorno, si sposa con Rina Anichini, dalla quale ha due figli: Gian Luigi (1939-1992) e Graziella Marina (1943).
Il 27 aprile 1933, a La Spezia, ha un incidente aereo a bordo di un S.55 della 187ª squadriglia su cui è imbarcato in qualità di osservatore: l'acqua sollevata da un siluro colpisce l'idrovolante nei piani di coda e lo fa infilare in mare. Todaro ha una frattura della colonna vertebrale che lo obbligherà a portare per il resto della vita un busto. Di lì in poi, il dolore causato dalla lesione lo avrebbe debilitato per tutto il resto della vita, ma Todaro cercò il più possibile di tenerlo nascosto.
Dopo esser stato alla dipendenza della Regia Aeronautica presso il comando dell'Alto Tirreno, rientrò nei ranghi della Regia Marina dal 1º ottobre 1934.
Dal 4 ottobre 1935 Todaro venne destinato alla 146ª Squadriglia Idrovolanti dell'Aeronautica della Sardegna e l'anno successivo si imbarcò sui sommergibili Marcantonio Colonna quale ufficiale in 2ª (dal 27 aprile 1936) e Des Geneys sempre quale ufficiale in 2ª (dal 14 dicembre 1936).
Assunse poi il comando del piccolo sommergibile costiero H.4 (dal 22 maggio 1937) operante al largo delle coste spagnole durante la guerra civile, dei sommergibili Macallè nel periodo 16 settembre 1937 - 1939 e Jalea nel periodo 1939-40.
Il 1º luglio 1940, raggiunto il grado di capitano di corvetta, ottenne il comando del sommergibile Luciano Manara (Classe Bandiera) sin dal 27 aprile e, dal 26 settembre, quello del nuovissimo sommergibile atlantico Comandante Cappellini (classe Marcello).
Allo scoppio della seconda guerra mondiale Todaro e il Cappellini vennero destinati alla base oceanica Betasom di Bordeaux dalla quale i sommergibilisti italiani, sostenendo l'impegno tedesco durante la Battaglia dell'Atlantico, si impegnarono a bloccare le rotte marittime tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna.
IL SOMMERGIBILE “Comandante Cappellini”
Il Comandante Cappellini è stato un sommergibile della Regia Marina. Allo scoppio della seconda guerra mondiale il Cappellini era inquadrato nel Comando Flotta sommergibili nella II Squadriglia del I Gruppo di base alla Spezia.
Al comando del capitano di corvetta Cristiano Masi, fu uno dei primi sommergibili italiani ad essere inviati in Atlantico: salpò da Cagliari già il 6 giugno 1940, diretto in una zona compresa fra Casablanca, le Isole Canarie e Madera. Il 12-13 giugno, mentre si accingeva a passare lo stretto di Gibilterra, fu attaccato dal peschereccio antisommergibile HMS Arctic Ranger e riparò in acque marocchine (quindi spagnole): fu comunque bombardato con cariche di profondità sia dall'Arctic Ranger che da un cacciatorpediniere frattanto sopraggiunto, il Vidette. Fu poi costretto a rifugiarsi nel porto di Ceuta, fingendo delle avarie, per eludere, grazie anche alla compiacenza delle autorità spagnole, la Convenzione dell'Aja, che consentiva alle unità di paesi belligeranti una sosta massima di 24 ore in porti di paesi neutrali; l'equipaggio, apparentemente sceso in franchigia (gli ufficiali ed il comandante si erano recati a teatro) risalì a bordo durante la notte e il sommergibile poté partire.
Rientrato alla base della Spezia, ad assumerne il comando fu il capitano di corvetta Salvatore Todaro. Fu destinato alla base atlantica di BETASOM a Bordeaux, nella Francia occupata; sarebbe dovuto partire già in agosto, ma la partenza fu rinviata per avarie. Il Cappellini partì infine per la sua destinazione il 29 settembre 1940.
Servizio in Atlantico
Attraversato lo stretto di Gibilterra e raggiunta la propria zona d'agguato fra i paralleli di Vigo e Mogador, il 13 ottobre 1940 il Cappellini intimò il fermo al piroscafo jugoslavo Rapin Topick e lo ispezionò per verificare che non trasportasse materiale bellico, dovendo poi lasciarlo andare perché era effettivamente tutto a posto. Due giorni dopo il sommergibile attaccò il piroscafo belga Kabalo (5186 tsl), circa 700 miglia a nord-nordovest di Madera (la nave aveva perso il contatto con il proprio convoglio, il «QB23»); ingaggiò con esso un duello d'artiglieria e lo centrò più volte, immobilizzandolo e facendolo sbandare in fiamme sulla sinistra. Lanciò tre siluri, che però passarono sotto lo scafo senza esplodere, e quindi riaprì il fuoco col cannone, affondandolo a 720 miglia per 268° da Madera. Prese poi a rimorchio una lancia di salvataggio con 26 superstiti (della seconda imbarcazione andò alla ricerca ma venne poi a sapere che era già stata trovata da un mercantile, il Panama) e, quando la lancia fu distrutta dalla forza del mare, ne prese a bordo gli occupanti trasportandoli fino alle Azzorre, ove li sbarcò il 19 ottobre.
Il 22 dicembre 1940 partì per una seconda missione atlantica ed il 5 gennaio 1941 attaccò col cannone il piroscafo britannico Shakespeare (5029 tsl), in navigazione fra le Canarie e l'Africa: nel successivo scontro (anche lo Shakespeare reagì con l'armamento di bordo) la nave fu affondata, mentre il Cappellini, colpito da un proiettile in torretta, subì la perdita del sergente Ferruccio Azzolin. Il sommergibile italiano trasse poi in salvo i 23 naufraghi del Shakespeare (mentre altri 19 membri dell'equipaggio del piroscafo erano morti nell'affondamento), li prese a bordo e li sbarcò in una delle Isole di Capo Verde, l'Isola del Sole.
Il successivo 14 gennaio attaccò il piroscafo armato inglese Eumaeus (7472 tsl): dapprima gli lanciò due siluri che furono però evitati, poi aprì il fuoco con i due cannoni cui risposero quelli della nave inglese: nel violento combattimento che ne seguì (e che si protrasse per più di due ore) persero la vita tre uomini del Cappellini (il sergente Francesco Moccia, il comune Giuseppe Bastino e il tenente del Corpo del genio navale Danilo Stiepovich, che aveva preso il posto, durante il combattimento, di un mitragliere ferito ed al quale sarebbe poi stata conferita la Medaglia d'oro al valor militare alla memoria), mentre l'Eumaeus fu infine affondato a 118 miglia per 285° da Capo Sierra Leone (morirono 80 dei 91 uomini dell'equipaggio). Per affondare l'Eumaneus erano stati necessari 105 proiettili.
Alla fine del combattimento, danneggiato da due bombe sganciate da un idrovolante britannico (gli ordigni non colpirono il sommergibile ma esplosero vicino allo scafo, danneggiando i motori e provocando vie d'acqua), il battello si rifugiò a La Ruz nella Gran Canaria, dove sbarcò i feriti e dove venne riparato, grazie alla compiacenza delle autorità spagnole (che gli accordarono tre giorni per le riparazioni); nella notte fra il 23 ed il 24 gennaio ripartì e il 30, dopo aver percorso 7600 miglia nautiche, arrivò a Bordeaux, restando poi in riparazione per due mesi. Il comportamento di Todaro fu molto apprezzato dal comandante di Betasom, ammiraglio Angelo Parona, e anche da Karl Dönitz, comandante degli U-Boot tedeschi (che tuttavia commentò anche che a Todaro sarebbe stato meglio «dare il comando di una cannoniera»).
Nell'aprile del 1941 ritenne di aver affondato un mercantile tipo «Accra» in acque scozzesi (il sommergibile ne aveva attaccati due), ma non esistono conferme.
Il 29 giugno 1941 il Cappellini, partito per una nuova missione, dovette tornare in porto per guasti frattanto sopravvenuti; in luglio Salvatore Todaro lasciò il comando del sommergibile per arruolarsi nella Xª Flottiglia MAS. A sostituirlo al comando del battello fu nominato il tenente di vascello Aldo Lenzi, sotto il cui comando il Cappellini danneggiò molto gravemente, durante la sua sesta missione (il 2 dicembre 1941), il mercantile Miguel de Larringa, colpendolo con due dei cinque siluri lanciati. Questa la versione italiana; fonti britanniche sostengono invece che la nave non fu colpita e giunse senza problemi a Freetown, il 14 dicembre.
In seguito ad assumere il comando del battello fu il tenente di vascello Marco Revedin, al comando del quale il Cappellini compì una prima missione priva di risultati nei primi mesi del 1942; durante la seconda missione dell'anno (al largo del Brasile) il sommergibile silurò e affondò, il 19 maggio 1942, la motonave svedese Tisnaren (5747 tsl, sbandata dal convoglio «OS27»), salvandone tutti i 40 uomini dell'equipaggio, ed il successivo 31 maggio inseguì e affondò la cisterna militare inglese Dinsdale (in rotta Città del Capo-Trinidad carica di benzina), dovendo impiegare sei siluri per colarla a picco.
La tragedia del Laconia
Il Cappellini prese poi parte il successivo settembre, al salvataggio dei sopravvissuti del Laconia, un transatlantico inglese convertito al trasporto di truppe e prigionieri, che era stato affondato il 12 settembre 1942 presso l'Isola di Ascensione, dal sommergibile tedesco U. 156 al comando del capitano di corvetta Werner Hartenstein. Nell'incidente persero tragicamente la vita circa 1400 prigionieri di guerra italiani reduci della prima battaglia di El Alamein che si trovavano a bordo della nave, sia perché uccisi dagli scoppi dei siluri, sia perché i militari inglesi e polacchi di scorta si rifiutarono di aprire le stive e lasciarli uscire, sia perché quanti riuscirono ad abbandonare la nave furono respinti dalle scialuppe (in alcuni casi si arrivò a mozzar loro le mani con asce e accette) e dovettero buttarsi nel mare infestato dagli squali; peraltro un bombardiere statunitense attaccò l'U. 156 (che aveva iniziato l'opera di soccorso) obbligandolo ad immergersi e allontanarsi. In soccorso dei superstiti furono inviati due U-Boot, l'U. 506 e l'U. 507, tre unità francesi e appunto il Cappellini.
Il sommergibile, che si trovava in mare dal 21 agosto, fu dirottato verso il luogo del disastro il mattino del 13 settembre e arrivò sul posto nella mattinata del 16. S'imbatté dapprima in due scialuppe con a bordo rispettivamente 50 e 84 occupanti, tutti inglesi, e rifornì la seconda di provviste e acqua; raggiunse poi alcune scialuppe malconce (due semiaffondate) che rifornì di provviste e recuperò tutti i naufraghi che trovò in mare, ossia 19 fra inglesi e polacchi (che furono poi trasferiti sulle scialuppe incontrate, tranne due ufficiali trattenuti come prigionieri) e 49 italiani (due dei quali morirono il giorno successivo); quindi andò in cerca delle navi francesi e ne incontrò una, la Dumont d'Urville, sulla quale furono trasbordati 41 dei 47 italiani. Il Cappellini raggiunse poi la sua zona d'agguato. La vicenda turbò profondamente l'animo di Salvatore Todaro quando seppe della vicenda, lui che tante volte aveva messo a repentaglio persino il suo equipaggio per salvare i naufraghi delle navi affondate.
La fine dell'attività offensiva e le missioni di trasporto per l'Estremo Oriente
Fra gli ultimi giorni dicembre 1942 e la prima metà dell'aprile 1943 compì la sua ultima missione offensiva, al largo del Brasile. Non riportò nessun successo e fu invece danneggiato da un attacco aereo, con morti e feriti.
Se ne decise quindi, su richiesta tedesca, la conversione in sommergibile da trasporto per missioni verso l'Estremo Oriente; gli venne assegnato il nominativo identificativo Aquila III. I lavori durarono da aprile a maggio e comportarono l'eliminazione di cannoni, tubi lanciasiluri, alcuni componenti delle batterie nonché varie altre modifiche.
L'11 maggio 1943 il Cappellini fu il primo sommergibile a partire per l'Estremo Oriente, al comando del capitano di corvetta Walter Auconi, con a bordo 95 tonnellate di acciaio speciale, alluminio, munizioni e parti di ricambio. Causa il maltempo e consumi imprevisti di carburante il viaggio fu piuttosto difficoltoso e si rese necessario transitare nei pressi della costa africana (aumentando il rischio di essere attaccati) per limitare il consumo di nafta; comunque il sommergibile, dopo 57 giorni di navigazione, arrivò a Sabang (Indonesia) e da lì si spostò poi a Singapore, da dove sarebbe dovuto ripartire, per il viaggio di ritorno, con 110 tonnellate di gomma.
Al servizio della Kriegsmarine e della Marina Imperiale Giapponese
I battelli fecero appena in tempo a sbarcare il loro carico nel porto di Singapore, e non avevano ancora stivato tutto il quantitativo di gomma, stagno e metalli rari destinati all'industria bellica italo-tedesca che alla notizia dell'armistizio dell'8 settembre i loro equipaggi vennero fatti prigionieri dai Giapponesi. Dopo alcune settimane di dura segregazione, disobbedendo alle indicazioni degli ufficiali, la quasi totalità dell'equipaggio dei tre battelli decise di continuare a combattere a fianco degli ex-alleati tedeschi e giapponesi, aderendo di fatto alla Repubblica Sociale Italiana.
Incorporato nella Kriegsmarine con equipaggio italo-tedesco, il Cappellini venne ribattezzato U. IT. 24, ma sostanzialmente non fu mai impiegato.
Con la resa della Germania, avvenuta l'8 maggio 1945, fu catturato dai Giapponesi, incorporato nella Marina imperiale giapponese e rinominato I. 503.
Con un equipaggio misto italo-giapponese continuò a combattere nel Pacifico e con le mitragliere Breda da 13,2mm riuscì ad abbattere, il 22 agosto 1945, un bimotore da bombardamento USA a Kōbe.
Dopo la resa del Giappone i pochi marinai italiani superstiti vennero imprigionati dagli americani, mentre il Cappellini fu portato ad affondare nelle acque al largo di Kōbe il 16 aprile 1946 (secondo altre fonti il 2 settembre 1945). Il Cappellini e un altro sommergibile italiano, il Torelli, furono le uniche unità militari ad aver servito sotto tutte e tre le bandiere dell'Asse.
Nel dopoguerra il nome Alfredo Cappellini venne dato all'ex USS Capitaine, esemplare della classe Balao ceduto dagli Stati Uniti alla Marina Militare Italiana.
LA VICENDA DEL PIROSCAFO KABALO
Nella notte del 16 ottobre 1940, nel corso di una missione al largo dell'isola di Madera, Todaro avvistò il piroscafo belga Kabalo (5.186 tonnellate) e, dopo aver lanciato inutilmente tre siluri, lo affondò utilizzando il cannone di bordo. Dopo aver effettuato l'affondamento Todaro accostò e raccolse i ventisei naufraghi della nave belga e li rimorchiò su di una zattera per quattro giorni. Quando la zattera spezzò il cavo di rimorchio, Todaro non esitò ad ospitare i naufraghi sul sommergibile fino a sbarcarli, incolumi, sulla costa delle isole Azzorre.
Le cronache riportano che dopo lo sbarco dei naufraghi, Todaro si sentì chiedere dal secondo ufficiale del Kabalo: "Ma lei, visto che tratta così un nemico, che razza di uomo è? Vede, se quando ci ha attaccati di sorpresa non avessi dormito nella mia cabina, le avrei sparato addosso con il cannone, scusi la mia franchezza". Al che Salvatore Todaro rispose: "Sono un uomo di mare come lei. Sono convinto che al mio posto lei avrebbe fatto come me". L'ufficiale italiano portò la mano alla visiera in segno di saluto e fece per andarsene, ma vedendo il secondo ufficiale guardarlo, si fermò e gli chiese: "Ha dimenticato qualcosa?", "Sì" - gli rispose l'altro con le lacrime agli occhi -"Ho dimenticato di dirle che ho quattro bambini: se non vuole dirmi il suo nome per mia soddisfazione personale, accetti di dirmelo perché i miei bambini la possano ricordare nelle loro preghiere". Risposta: "Dica ai suoi bambini di ricordare nelle loro preghiere Salvatore Todaro".
Tale generoso comportamento non venne apprezzato dal comandante in capo dei sommergibilisti tedeschi, l'ammiraglio Karl Dönitz, che lo criticò severamente. “Neppure il buon samaritano della parabola evangelica avrebbe fatto una cosa del genere”, sbottò l’ammiraglio tedesco Dönitz, che pure lo ammirava. “Signori, – dice rivolgendosi ai colleghi italiani – io vi prego di voler ricordare ai vostri ufficiali che questa è una guerra e non una crociata missionaria. Il Signor Todaro è un bravo comandante, ma non può fare il Don Chisciotte del mare”.
Todaro rispose alle critiche mosse, con una frase lapidaria, riportata da molte fonti e mai smentita, rimasta celebre, da allora in poi, nella storia della nostra Marina:
“Gli altri non hanno, come me, duemila anni di civiltà sulle spalle”.
Secondo alcune fonti, Dönitz ebbe una conversazione privata con Todaro in cui gli disse "Sono sempre in disaccordo con voi, ma vorrei tanto poter dare degli ordini perché tutti fossero in grado di comportarsi come voi".
L'affondamento della nave portò alla dichiarazione dello stato di guerra tra l'Italia e il Belgio; successivamente, però, emerse che il Kabalo era una nave dispersa del convoglio inglese OB.223 e trasportava pezzi di ricambio aeronautici: l'affondamento risultava quindi pienamente giustificato. Gli fu quindi riconosciuta per questa azione la medaglia di bronzo al valor militare.
Altre crociere atlantiche
Il 22 dicembre 1940 Todaro lasciò nuovamente la base di Bordeaux con il Cappellini per una nuova missione. Il 5 gennaio 1941, nel tratto di mare compreso tra le isole Canarie e la costa africana il Cappellini affondò, sempre utilizzando il cannone, il piroscafo armato inglese Shakespeare da 5.029 tonnellate: durante l'azione un marinaio del Cappellini morì a causa del violento fuoco avversario. Anche in questo caso Todaro raccolse i 22 superstiti, alcuni gravemente feriti, e li pose in salvo sulle coste dell'isola di Capo Verde.
Proseguendo la crociera il sommergibile giunse nella zona di Freetown (Sierra Leone), dove riuscì ad affondare con due siluri e utilizzando il cannone il trasporto truppe britannico Emmaus da 7.472 tonnellate. Anche in questo caso il sommergibile subì alcune perdite dovute al violento fuoco di risposta. Nel corso della battaglia un aereo inglese, forse richiamato dall'SOS dell'Emmaus, arrivò sulla zona e riuscì a colpire con due bombe il Cappellini prima che si riuscisse ad immergere, causando gravi danni e diversi feriti. Ciò nonostante Todaro riuscì a portare il sommergibile fino al porto neutrale spagnolo Puerto de La Luz sulla Gran Canaria, dove giunse il 20 gennaio 1941. Grazie all'aiuto delle autorità spagnole, vicine al fascismo italiano, Todaro riuscì a sbarcare i feriti e a riparare il battello per poi riprendere il mare, il 23 gennaio 1941, e raggiungere con successo il porto di Bordeaux. Nel corso del combattimento aveva trovato la morte il suo secondo ufficiale, Danilo Stiepovich. Per queste missioni ricevette la medaglia d'argento al valor militare.
Todaro partecipò successivamente ad altre due sfortunate crociere atlantiche.
Xª Flottiglia MAS e morte
Nel novembre 1941 chiese ed ottenne di essere trasferito alla Xª Flottiglia MAS. Assegnato all'"Autocolonna Moccagatta" con il grado di capitano di corvetta, con la quale partecipò dal maggio 1942 al blocco navale della città di Sebastopoli, sul Mar Nero, durante le operazioni sul fronte orientale. In queste ardite operazioni si distinse nuovamente, tanto da meritare la terza medaglia d'argento al valor militare.
Nel novembre 1942 Todaro venne destinato alla base di La Galite in Tunisia e, al comando del motopeschereccio armato Cefalo, iniziò a pianificare ed effettuare una serie di attacchi al porto di Bona, importante base avversaria. Dopo essere rientrato da una missione notturna, il 13 dicembre 1942, il Cefalo venne attaccato da uno Spitfire inglese. Durante il mitragliamento il Comandante Todaro fu colpito da una scheggia alla tempia e morì sul colpo. Aveva 34 anni e la sua memoria venne onorata con la medaglia d'oro al valor militare.
DAL SITO “HISTORICALAB”:
…..””””” Don Chisciotte del mare
“Da mesi e mesi non faccio che pensare ai miei marinai che sono onorevolmente in fondo al mare. Penso che il mio posto è con loro”.
Così scrisse Salvatore Todaro il 12 dicembre 1942, un giorno prima di morire, in una lettera ad un suo amico salentino, che aveva vissuto con lui le incredibili vicende a bordo del sommergibile “Cappellini”. Todaro aveva solo trentaquattro anni e tutta una carriera davanti a se, aveva una moglie giovane e due figlie piccolissime (la secondogenita vedrà la luce, a Livorno, dove tuttora vive, proprio in quel giorno dedicato a Santo Spiridione, un pecoraio di Cipro rozzo e incolto che grazie alla fede e al coraggio diventò vescovo di Trmithonte ) e non aveva nessun motivo per desiderare la morte.
Todaro si trovava nel porto di La Galite, in Tunisia, a bordo del piropeschereccio Cefalo, un nome emblematico, mitico, che rievoca la leggenda del bellissimo cacciatore che uccide per errore la propria moglie e poi, pazzo di dolore, si getta in mare. Forse, chissà, anche lui riteneva di aver fatto un errore fatale nella sua ultima sanguinosa battaglia in Atlantico, una lunga e impari lotta condotta in superficie tra il suo sommergibile Cappellini e l’Emaueus, una grossa nave mercantile inglese trasformata in una sorta di incrociatore ausiliario, carica di truppe destinate in Africa, assai ben armata, con diversi cannoni a lunga gittata. Che cominciano a bersagliare il Cappellini su di un mare in tempesta le cui onde sono come frustate per il sommergibile italiano, lo spazzano da prora a poppa, lo sballottano come un sughero, asteria o osso di seppia. Ma alla fine Todaro, nonostante tutto, prevale e riesce ad affondare quel finto mercantile inglese carico di oltre tremila soldati. Che naufragano. Molti di essi moriranno, inghiottiti dalle onde gelide. E insieme a loro moriranno molti marinai dell’equipaggio.
Stavolta Todaro non li può aiutare, non può fare nulla per loro. Non ha a disposizione neppure una lancia di salvataggio e inoltre stanno sopraggiungendo gli aerei e le navi inglesi . Deve far presto a squagliarsela e non è per nulla facile. Il sommergibile è assai malandato, ci sono avarie un po’ da tutte le parti e naviga in superficie. E’ un’impresa sfuggire al tiro incrociato degli inglesi, che lo hanno ormai avvistato. Todaro opera una immersione di fortuna e cerca scampo sul fondo marino. Dopo varie peripezie riesce a salvarsi e a far ritorno a Bordeaux, dov’è la base dei sommergibili italiani. Ma quella battaglia denominata di “Freetown” segna il limite, il crinale dell’ascesa di Salvatore Todaro, il Don Chisciotte del mare . Quella vicenda lo aveva mutato profondamente. Qualcosa si era spento in lui, qualcosa di sacrale si era rotto dentro di lui.
Sacerdote del mare
Chi lo ha conosciuto bene lo ricorda come un asceta, un mistico, un sacerdote che appartiene ad una religione che ha per tempio il mare e per altare il sommergibile . Altri dicono che era come un antico spartano: sobrio, schivo, introverso, solitario, con un portamento fiero e un’andatura rigida, quasi altera. In realtà quell’andatura era dovuta al fatto che Todaro portava il busto, a causa di una frattura alla colonna vertebrale, riportata quando volava sugli idrovolanti come osservatore aereo. Oggi diremmo che Todaro era un invalido a tutti gli effetti e forse avrebbe il diritto alla pensione di invalidità, ma lui non voleva sentirlo dire neppure per scherzo. Non accettava neppure che si accennasse alla sua menomazione, peraltro a conoscenza di tutti i medici che lo avevano sottoposto a visita sanitaria, per timore di essere relegato al servizio sedentario. Del resto la cultura del sacrificio gli era connaturata e l’Accademia Navale di Livorno la sviluppò oltre ogni limite. Era – come scrisse un giornalista dell’epoca - “un soldato nel più puro senso della parola, un soldato nel più segreto fondo del suo spirito e lo dimostrò subito dopo quell’incidente applicandosi come un matto, giorno e notte, allo studio dei sommergibili e dei mezzi d’assalto per diventare, in capo a pochi anni, uno dei più grandi esperti e specialisti del settore”.
La vicenda del “Kabalo”
Allo scoppio della guerra ottiene il comando del sommergibile Cappellini, destinato in Atlantico. Todaro è tra i primi ad attraversare lo stretto di Gibilterra e a raggiungere Bordeaux, dove è la base del Comando dei sommergibili italiani, Betasom. Qui gli basta qualche mese per diventare famoso in tutta Europa. Per la cronaca è il pomeriggio del 15 ottobre 1940, quando avvista, con il periscopio, un grosso piroscafo belga, al servizio degli inglesi, il Kabalo (si appurò più tardi che era una nave dispersa del convoglio inglese OB.223 e trasportava pezzi di ricambio aeronautici). Lo affonda con una serie di cannonate. Nella luce abbagliante dell’incendio scoppiato a bordo si distinguevano le persone che correvano inutilmente verso le scialuppe di salvataggio che però le cannonate del Cappellini avevano messo fuori uso. Soltanto una riuscì a calarsi in acqua stracarica di naufraghi mentre la nave affondava. Todaro decide di rimorchiare i ventisei naufraghi e, incredibilmente, navigando in emersione ed esponendosi a tutti i rischi possibili, li trasporta in mare per ben quattro giorni e quattro notti. Con le condizioni del mare che peggioravano continuamente la sorte degli occupanti la scialuppa sembrava però segnata. Un’onda travolse la fragile imbarcazione lasciando al proprio destino ventisei uomini. Ma fu proprio in quel momento, quando il sottomarino italiano avrebbe dovuto allontanarsi il più velocemente possibile per non essere intercettato dal nemico, che Todaro ordinò il recupero di quegli uomini in balìa del mare e destinati a morte certa. Una volta a bordo vennero “sistemati” nell’unico posto utile all’interno del sottomarino: la falsa torre. E’ un’altra “follia”, ma lui prosegue nell’estremo tentativo di salvare quegli uomini. Per due giorni e due notti il Cappellini viaggiò giocoforza in emersione con tutti i rischi che questo poteva comportare. Sull’Isola del Sale, del gruppo del Capo Verde, dove Todaro voleva sbarcare quegli uomini, c'erano delle fortificazioni inglesi. Se avessero avvistato il sommergibile italiano, i loro cannoni non avrebbero esitato a sparare. Ma Todaro non aveva molta scelta ed In piena notte mise in mare il battellino pneumatico. Cinque per volta, i naufraghi raggiunsero la spiaggia.
Dell’episodio ne parlarono i giornali di tutto il mondo. L’Ammiraglio Tedesco Doenitz, che comandava la guerra sottomarina, richiamò all’ordine Todaro e irritato gli fece presente che mai un tedesco, per puro sentimentalismo ,avrebbe rischiato in quel modo l’affondamento del sommergibile. La storia, mai smentita, racconta che Todaro replicò: “Il fatto è Ammiraglio, che io in quel momento sentivo sulla schiena il peso di secoli di civiltà. Un ufficiale tedesco, forse, non avrebbe sentito quel peso”.
E’ ormai il “Gentiluomo del mare”, o il “Don Chisciotte del Mare”.
“Neppure il buon samaritano della parabola evangelica avrebbe fatto una cosa del genere”, sbotta infine l’ammiraglio tedesco Doenitz, che pure lo ammira. “Signori, - dice rivolgendosi ai comandanti italiani – io vi prego di voler ricordare ai vostri ufficiali che questa è una guerra e non una crociata missionaria. Il Signor Todaro è un bravo comandante, ma non può fare il Don Chisciotte del mare”.
L’onorificenza del “Tu”
Nella vicenda del Kabalo vi erano stati molti aspetti contrastanti e anche inconvenienti di natura diplomatica, e alla fine per Todaro anziché elogi ci furono richiami all’ordine e moniti da parte dei superiori. Ma il Don Chisciotte del mare non ne tenne affatto conto e un mese dopo ripeté pari pari l’operazione Kabalo, affondando e poi salvando i naufraghi del piroscafo inglese Shakespeare, confermando la sua fama di piantagrane e di “originale”, anche per il modo che aveva di combattere, (in emersione e con il cannone) assolutamente fuori dagli schemi. Non era sfuggito neppure il suo strano comportamento con gli inferiori, molti dei quali gli davano addirittura del “Tu”. Erano tutti quelli che aveva decorato sul campo con la frase rituale: “Da oggi tu mi darai del Tu”.
Questa onorificenza del Tu valeva più di una medaglia d’oro per i suoi fedeli marò, che lo adoravano come un semidio, tale era il suo carisma. Da tutta la sua persona promanava un grande senso di sicurezza, ardore e spregiudicatezza, quasi un senso di invulnerabilità. Era un vero capo che dava costantemente l’esempio per ardimento e smisurato spirito di sacrificio, era lui il primo ad esporsi ai pericoli, a soccorrere e incoraggiare i suoi uomini, ai quali riusciva a trasmettere autorevolezza e fiducia e un altissimo senso di protezione. Perciò non desta alcuna meraviglia che i suoi uomini facessero carte false per imbarcare con lui, che sembrava conoscere in anticipo l’esito delle battaglie e dava ordini con un tono pacato di voce, ordini che erano vaticini e profezie. E al riguardo c’è tutto un fiorire di aneddoti.
Mago Bakù
Todaro era anche un uomo di profonda e originale cultura: conosceva testi antichi e rari di letteratura, astronomia, matematica, e soprattutto aveva una vera e propria passione per la psicanalisi, fino al punto di sperimentare su di sé (una sorta di cavia volontaria, come lo era stato lo stato il padre della psicanalisi) le teorie freudiane . Ma alla fine gli predilesse Jung, allora poco conosciuto in Italia, soffermandosi a lungo sulla teoria dell’inconscio collettivo.
A Bordeaux, fra una missione di guerra e l’altra, passava lunghe giornate chiuso nel suo camerino a leggere, studiare, sperimentare. Si narra, a proposito di aneddoti, che una volta, per gioco, riuscì ad ipnotizzare una signora con estrema facilità. E così la sua fama di corsaro gentiluomo si colorò di altri aspetti, assunse toni accesi e istrioneschi. In effetti c’era, in quel suo pizzetto di barba nerissima, un che di mefistofelico ed anche nel suo sguardo obliquo, magnetico, indagatore, c’era un che di stregonesco.
Era quello il periodo in cui Todaro s’era appassionato alle teorie di Lombroso e continuava a leggere, disordinatamente, un po’ di tutto, dalla filosofia alla parapsicologia, ai libri sulle pratiche magiche. E così a bordo cominciarono a chiamarlo Mago Bakù. Si dice, in effetti, che avesse una sorta di preveggenza. C’è chi giura di averlo sentito fare delle previsioni che si sono avverate fin nei minimi particolari. Una volta lasciò a terra un marinaio perché prevedeva che ci sarebbero stati pericoli solo per lui. E infatti in mare non successe nulla, però il marinaio in questione fu colto da un violento attacco di appendicite, con pericolo di peritonite, e si salvò solo perché poté essere prontamente ricoverato in ospedale e trasportato in sala operatoria.
La morte di Stiepovich
Un’altra volta mandò in licenza il suo mitragliere più fido, che non voleva saperne di lasciare i suoi compagni. “E’ un ordine!”, gli disse con perentorietà il comandante Todaro . Poi confidò ad un amico che il giovane marinaio aveva il destino segnato. “ Che si goda qualche giorno in famiglia prima di quel giorno”. Un mese dopo il marinaio rimase ucciso, mentre si trovava alla sua mitragliera da uno scoppio di granata che frantumò la torretta del sommergibile. Fu infallibile fino a quel giorno.
Ma alla vigilia di Natale del 1941, mentre si accingeva a compiere l’ennesima missione, qualcosa lo turbò. Non riusciva ad avere quella sua solita serenità, quel distacco necessario per concentrarsi. Confidò ad un compagno di corso e amico, il comandante Fecia di Cossato, che improvvisamente s’era fatta nebbia dentro di lui. Era incapace di vedere con la mente. “Questa volta non so proprio che cosa ci capiterà”, disse all’amico sorridendo. Poi si fece serio e disse: “C’è qualcosa in me che non riesco a decifrare ed è la prima volta che mi capita. Se non dovessi tornare, ti prego, consegna questa a mia moglie”.
Si sfilò dall’anulare la fede nuziale e la diede all’amico.
“E’ l’unica cosa di valore che ho e desidero che torni a chi me l’ha donata”.
Usciti in mare si scontrarono con l’incrociatore inglese Eumaues. Todaro non morì in quella che sarebbe stata la drammatica battaglia di Freetown, ma morirono molti suoi marinai e il tenente Danilo Stiepovich, che aveva sostituito al pezzo un mitragliere gravemente ferito.
Colpito in pieno da una granata, con una gamba maciullata e molte altre gravi ferite, ormai morente, Stiepovich giaceva riverso sulla mitragliera. Todaro gli si avvicinò, se lo prese tra le braccia e gli chiese, con tutta la dolcezza possibile: “Che cosa posso fare per te, Danilo?”
“Non mi mandare in infermeria… Non servirebbe a nulla… Lasciami qui… Voglio vedere affondare quella là”, - rispose Stiepovich indicando con la mano la nave che continuava a cannoneggiare il sommergibile.
“Te lo prometto”, disse Todaro. E pochi minuti dopo l’ incrociatore inglese colava a picco colpito in pieno da un siluro. Stiepovich faceva in tempo a vederlo inabissarsi, poi spirava. Todaro gli si avvicinava e gli chiudeva gli occhi per sempre.
Il male è la guerra
E subito dopo inizia la lunga odissea del Cappellini in costante e disperata fuga, avvistato, inseguito, braccato, colpito, riporta gravi danni che sembrano irreparabili. Invece riesce a eludere il nemico acquattandosi sul fondo dell’Oceano per due giorni e due notti, al buio. Due giorni e due notti a seppellire i morti, a tamponare le mille avarie, ad innalzare preghiere al cielo, sotto milioni e milioni di tonnellate d’acqua marina. Infine il rientro di fortuna a Luz, un porto della Gran Canaria e, qualche giorno dopo, beffando ben cinque navi inglesi che lo attendevano al varco, fuori dal porto, riesce a raggiungere Bordeaux. Il Cappellini è davvero malridotto, rimarrà fuori uso per diversi mesi. E’ il momento buono per sbarazzarsi di Todaro che era diventato un problema per tutti, per Supermarina (il comando generale della Marina) e per gli alleati tedeschi, che pure ammirandolo molto (gli avevano conferito due croci di ferro) lo ritenevano troppo umanitario.
In realtà chiese lui di essere sbarcato perché sentiva di aver fallito la sua missione.
“Ma perché dici che hai fallito?,” gli ribatteva il fraterno amico Comandante Leoni. “Hai fatto l’impossibile, sei riuscito, nonostante le difficoltà estreme, a salvare molti marinai e a riportare il Cappellini in porto. Quello che hai fatto è miracoloso e tu dici che hai fallito. Perché?”
Non rispose. Forse era convinto di essere venuto meno nei confronti dei suoi marinai morti, molti dei quali aveva decorato sul campo con la frase rituale: “Da oggi tu mi darai del tu”. O forse le ragioni erano altre. Ma non ne voleva parlare. “Tu hai l’animo nitido e pulito come cristallo, - proseguiva Leoni - hai il massimo senso dell’onore, la tua coscienza ti detta sempre le mosse che devi compiere...”
“Nulla, nulla puoi rimproverarti, capisci? Di che cosa ti accusi, Totò?” - concluse accorato. In realtà, Todaro non sapeva dire perché si sentiva colpevole.
“Penso che il mio posto è con i miei marinai, sul fondo del mare, accanto a loro. Sì, questo penso.” Disse. E si tacque. Leoni scosse la testa e se ne andò.
Forse intuì che stava cambiando lo spirito della guerra, le regole erano diverse.
O forse capì, vedendo tanti naufraghi, migliaia di naufraghi, che chiedevano disperatamente aiuto, vedendo il sangue di Stiepovioch e dei suoi marinai caduti, che il male non era il nemico, ma la guerra stessa. “Sì, il male è la guerra”, pensò e il pensiero salì fino al cielo. In tutto l’universo gli sembrava che fosse disegnata, che campeggiasse, a caratteri infiniti, l’immensa scritta “ IL MALE E’ LA GUERRA”. Ed ecco allora la verità consequenziale. Tutta la sua lunga preparazione alla vita era stata un errore! Io ho passato tutto la mia vita a prepararmi per la guerra. Ma la guerra è un male, un male, capisci! Sono un fallito! Un fallito!
Così pensò quell’uomo che sembrava ormai privo di spirito, quell’uomo che aveva affondato molti piroscafi, molti incrociatori, che aveva lottato alla pari con navi molto più armate e potenti di lui e anche contro gli aerei, sempre rischiando in prima persona . Quel comandante che spesso si metteva al cannone, che aveva la canna così arroventata da cuocerci due uova, e ci si metteva a mani nude, mani bruciate, sanguinanti.
Quel guerriero del mare che aveva sempre combattuto con grande coraggio e spirito da cavaliere antico, con lealtà, generosità, magnanimità, senza mai veramente odiare il nemico. Ma ora forse avvertiva per la prima volta il peso del sentimento dell’odio. Ora capiva che non si può fare la guerra per cavalleria, perché fare la guerra significa dover uccidere e quindi odiare. E quel sentimento ignobile stava prevalendo su di lui e gli sarebbe rimasto per sempre appiccicato nell’anima. Questo non lo sopportava. Gli era intollerabile.
Il Comandante Todaro è morto
Chiese e ottenne di essere impiegato nelle operazioni più rischiose. Prima con i Mas in Crimea, poi al comando del piropeschereccio Cefalo, in Tunisia, che appoggiava i motoscafi d’assalto nelle imprese più difficili e rischiose. E aspettò la morte che inevitabilmente sarebbe arrivata.
Intanto viene a conoscenza degli orrendi misfatti perpetrati ai danni dei naufraghi italiani del Laconia, a cui avevano mozzato le mani per impedir loro di salire a bordo dell’imbarcazione di salvataggio . Alla fine i naufraghi italiani morti saranno ben 1350 su complessivi 1800. Tutti crudelmente abbandonati al proprio destino! E lui aveva rischiato cento mille volte la vita per salvare i ventisei naufraghi belgi del Kabalo! …
“Ma sì, ho sbagliato tutto, ora lo so, ne sono certo”, pensa, mentre sta effettuando l’ennesima missione notturna nel porto di Bona. Ma il tempo è pessimo e l'azione non si può effettuare. Ritorna nel porto di La Galite e si mette a dormire. E' il mattino del 13 dicembre 1942 e un aereo inglese, uno “Spitfire” scendendo a volo radente e spezzonando, mitraglia il Cefalo. La contraerea riesce a mettere in fuga l’aereo e subito dopo alcuni marinai italiani si precipitano a bordo del peschereccio, cercano Todaro. Lo chiamano, ma non risponde. Vanno nella sua cuccetta e lo trovano con gli occhi chiusi, sembra che dorma.
In tutto quel fracasso non s’è neppure mosso. Ma guardandolo meglio si nota una piccola scheggia che gli ha trapassato la tempia .Gli erano già a fianco le sirene del mare per trasportare la sua anima tra gli abissi insondabili.
“Il Comandante Todaro è morto”, grida un marinaio piangendo.
E tutti sono increduli e addolorati. Piangono in silenzio. Guardano il cadavere e non credono ai loro occhi. Sembra loro impossibile che Todaro sia morto. Per chiunque lo avesse conosciuto l’idea che un tal uomo potesse morire sembrava irreale. Aveva incarnato come pochi il mito dell’eroe buono. Ma in realtà il guerriero del mare, il cavaliere azzurro, il Don Chisciotte del mare era morto molto tempo prima.
“Morirò quando il mio spirito sarà lontano da me”, aveva detto più volte.
E il suo spirito si era cominciato ad allontanare da lui quel giorno della battaglia di “Freetown”, quel giorno in cui aveva preso coscienza del male della guerra, quel giorno in cui aveva cominciato a odiare il mestiere che faceva.
Il mitico eroe Salvatore Todaro era morto in quel giorno.
Quello che giaceva ora lì, nella cuccetta del Cefalo, non era il comandante Todaro, ma solo il suo simulacro…..”””””.
L'S 526 - S. Todaro
Al Comandante Todaro è intitolato uno dei quattro nuovi sommergibili tipo U212 che ha iniziato il servizio operativo con la Marina Militare Italiana il 5 febbraio 2007 ed è stato assegnato all'operazione Active Endeavour (= sforzo attivo) sotto comando NATO.
In precedenza un'altra unità della Marina Militare Italiana era stata intitolata alla memoria di Salvatore Todaro: era una corvetta antisommergibile, appartenente alla classe De Cristofaro, in servizio dal 1966 al 1994, che nel 1990 era stata convertita in pattugliatore.
LE PIU’ IMPORTANTI ONORIFICENZE RICEVUTE:
Medaglia d’oro al valor militare: “””Ufficiale superiore di elette virtù militari e civili. Capacissimo, volitivo, tenace, aggressivo, arditissimo, al comando di un sommergibile prima e di reparto d'assalto poi, affrontava innumerevoli volte armi enormemente più potenti e numerose delle sue, e dimostrava al nemico come sanno combattere e vincere i marinai d’Italia. Assertore convinto della potenza dello spirito, malato ma non esausto, mai piegato da difficoltà materiali, da considerazioni personali, da logoramento fisico, ha sempre conservato intatte volontà aggressiva e fede e mistica dedizione al dovere intesa nel senso più alto e più vasto. Mai pago di gloria e di successi, non sollecito di sé, ma solo della vittoria, riusciva ad ottenere il comando di sempre più rischiose imprese finché, nel corso di una di esse, mitragliato da aerei nemici, immolava la sua preziosa esistenza alla sempre maggiore grandezza della Patria. Purissima figura di uomo e combattente, esempio fulgidissimo di sereno, intelligente coraggio e di assoluta dedizione. Mediterraneo, giugno 1942- dicembre 1942””””.
Medaglia d’argento al valor militare: “””Comandante di un sommergibile oceanico, nel corso di una lunga missione di guerra in Atlantico a grande distanza dalla base, attaccava in pieno giorno ed in superficie, un piroscafo armato e successivamente un incrociatore ausiliario riuscendo dopo aspri combattimenti con il cannone ad affondare entrambe le unità nemiche, per un complesso di 12.500 tonnellate. Fatto segno quindi ad attacco aereo che danneggiava gravemente il sommergibile fronteggiava con ogni mezzo la difficile situazione e, sfuggendo alla ricerca del nemico, rientrava alla base. Oceano Atlantico, dicembre 1940-gennaio 1941”””.
Medaglia d’argento al valor militare sul campo: “””Comandante di sommergibile in missione di guerra in Atlantico, avvistava di giorno una forte formazione navale nemica, si portava arditamente all'attacco in superficie e, nonostante la violenta reazione di fuoco dell'avversario e le menomate condizioni di efficienza della propria unità, affondava con siluro un incrociatore ausiliario, con audace manovra riusciva quindi, a disimpegnarsi dalla violenta caccia avversaria. Oceano Atlantico 1941”””.
Medaglia d’argento al valor militare sul campo: “””Organizzatore sagace ed appassionato nei Mezzi d'Assalto si offriva per guidarli in all'azione nelle acque di una munitissima piazzaforte sovietica. Esempio a tutti di audacia e di intrepidezza era sempre primo nelle imprese più rischiose e difficili. Attaccava a brevissima distanza una unità di vigilanza nemica e sapeva poi abilmente sottrarsi alla sua reazione. Avvistate in pieno giorno piccole unità cariche di soldati nemici con armi automatiche di ogni genere, si lanciava al loro attacco mitragliandole a brevissima distanza. Persisteva nell'azione fino ad esaurimento delle munizioni, benché il suo secondo pilota fosse stato gravemente ferito ed il suo mezzo raggiunto da molti colpi dell'avversario. Acque di Sebastopoli, giugno 1942””””…
IL NUOVO FILM “COMANDANTE”
Lo sguardo fiero. L’uniforme della Marina indosso. Il leggendario eroe dei mari Salvatore Todaro avrà il volto di Pierfrancesco Favino nel nuovo film di Edoardo De Angelis, “Comandante”.
Al via le riprese che avranno la durata di 8 settimane e si svolgeranno tra Taranto e Roma. È stato ricostruito in ogni dettaglio il sommergibile Cappellini del 1940, lungo 73 metri, stazza 70 tonnellate in gran parte d'acciaio, ricreato a partire dai progetti trovati nell'Ufficio Storico della Marina Militare. La sua realizzazione, in collaborazione con Cinecittà, ha coinvolto più di 100 professionisti fra ingegneri, costruttori e artigiani. I lavori sono durati 8 mesi e si sono conclusi con il varo all’interno del bacino dell’arsenale della Marina Militare.
Durante la Seconda Guerra Mondiale Salvatore Todaro comandava il sommergibile Cappellini della Regia Marina. Nell’ottobre del 1940, mentre navigava nell’Atlantico, nel buio della notte, si imbattè in un mercantile che viaggiava a luci spente, il Kabalo, di nazionalità belga, che trasportava pezzi di ricambio per aerei. Al termine del duello il comandante Todaro affondò il mercantile a colpi di cannone. Quello che avvenne dopo entrò nella storia.
L’ufficiale decise di salvare i 26 naufraghi belgi condannati ad affogare in mezzo all’oceano per sbarcarli nel porto sicuro più vicino, come previsto dalla legge del mare. Per accoglierli a bordo fu costretto a navigare in emersione per tre giorni, rendendosi visibile alle forze nemiche e mettendo a repentaglio la sua vita e quella dei suoi uomini. Quando il capitano del Kabalo, sbarcando nella baia di Santa Maria delle Azzorre, gli chiese perché si fosse esposto a un tale rischio contravvenendo alle direttive del suo stesso comando, il comandante Todaro rispose con le parole che lo hanno reso una leggenda: “Perché noi siamo italiani”. Todaro, agrigentino cresciuto a Chioggia, nel dicembre del 1942 morì a 34 anni quando la sua imbarcazione venne mitragliata da uno Spitfire. Gli venne assegnata la medaglia d'oro al valor militare.
….La guerra all’Ucraina ci deve insegnare che, se vuoi vivere in pace,
devi essere sempre pronto a difendere la tua Libertà….
La difesa è per noi rilevante
poiché essa è la precondizione per la libertà e il benessere sociale.
Dopo alcuni decenni di “pace”,
alcuni si sono abituati a dare la pace per scontata:
una sorta di dono divino
e non, un bene pagato a carissimo prezzo dopo due devastanti conflitti mondiali.
….Basta con la retorica sulle guerre umanitarie e sulle operazioni di pace.
La guerra è guerra. Cerchiamo sempre di non farla, ma prepariamoci a vincerla…
(Fonti: Web, Google, Il Gazzettino, Historicalab, Wikipedia, You Tube)