sabato 22 dicembre 2018

Il Mikoyan Gurevich MiG-21 (in cirillico Микояна и Гуревича МиГ-21, nome in codice NATO Fishbed)



Il Mikoyan Gurevich MiG-21 (in cirillico Микояна и Гуревича МиГ-21, nome in codice NATO Fishbed) è un monomotore a getto da caccia ad ala a delta progettato dall'OKB 155 diretto da Artëm Ivanovič Mikojan e Michail Iosifovič Gurevič e sviluppato in Unione Sovietica negli anni cinquanta.


Impiegato principalmente dalla Sovetskie Voenno-vozdušnye sily (VVS), l'Aeronautica militare dell'Unione Sovietica, e da moltissime forze aeree del Patto di Varsavia e filosovietiche, venne fabbricato in più di 10.000 esemplari conquistando il primato di caccia bisonico più prodotto della storia dell'aeronautica.


La perseveranza dei progettisti aeronautici sovietici nel voler colmare il divario tecnologico con l'Occidente, aiutati da una ben concepita politica di commesse della Frontovaya Aviatsiya (aviazione frontale), l'aviazione tattica sovietica, ha prodotto aeroplani relativamente semplici, ma solidi e di facile manutenzione (anche se non in tutti i casi), in grado di operare da alcune delle piste più primitive del mondo. Alla fine del 1953, l'amministrazione principale dell'aviazione sovietica (VVS) emanò una specifica per un caccia completamente nuovo, con le massime prestazioni possibili ed incorporante tutte le lezioni apprese in Corea. Lo TsAGI, istituto centrale di aeroidrodinamica, concepì due buone configurazioni, entrambe con una presa d'aria sul muso, ma differenti per il fatto che una aveva una snella ala a freccia, come quella del MiG-19, e l'altra un'ala a delta, entrambe con una freccia alare di 57° o 58°. L'ufficio tecnico di Pavel Sukhoj utilizzò le due configurazioni su grandi caccia potenziati dal grosso motore Lyul'ka AL-7F, quello a delta fu sviluppato come intercettore ognitempo (Su-9) e quello con ala a freccia era previsto come caccia diurno (ma fu poi prodotto come Su-7B per missioni d'attacco al suolo). L'OKB MiG utilizzò le due configurazioni per sviluppare aerei di due formati, il più grosso dei quali restò un progetto che fu sviluppato successivamente. Il formato più piccolo era propulso dal vecchio Mikulin AM-5 ed era chiamato Ye-1 (viene utilizzata la traslitterazione anglosassone, più frequente in letteratura, precisamente nell'alfabeto cirillico Е-1, dall'iniziale della parola единица, edinica, unità), con ala a freccia. Quando fu disponibile il Mikulin AM-9Ye, da 3.250 kg di spinta, venne montato sul prototipo successivo lo Ye-2. Dal nuovo Tumanskij R-11, invece, fu propulso lo Ye-2A ed entrambe le configurazioni furono provate con i due diversi tipi di ala. Lo Ye-2 (designato Faceplate dalla NATO) effettuò il primo volo il 14 febbraio 1954 (secondo Kondratev nel 1953) con Grigorj Aleksandrovič Sedov ai comandi e tutta l'attenzione di Mikoyan. Alla fine gli fu preferito il più brillante Ye-4, con ala a delta, dal quale venne sviluppato lo Ye-5 che volò nel 1958.


Per completezza riportiamo che lo Ye-3 era una copia in scala maggiore dello Ye-2. Non volò subito a causa del fatto che non aveva pronto un motore, mentre l'OKB Sukhoj aveva già pronto quello che divenne il Su-7 (con ala a freccia) ed il Su-9 (ala a delta). Venne costruito in due varianti, lo Ye-3U, cacciabombardiere, e lo Ye-3P, intercettore, ma questi velivoli vennero battuti nelle prove di volo dal Su-7 e dal Su-9. Venne poi costruito anche lo Ye-75Fcon un motore Lyul'ka, radar Uragan e missili AA-3 Anab. Venne anche costruita la serie degli Ye-150 alla quale si rimanda.
Venne dato il permesso allo OKB MiG di costruire delle varianti dello Ye-2, dal quale nacque così lo Ye-50. Questo era praticamente identico allo Ye-2 eccetto per il fatto che aveva un motore a razzo ZhRD S-155, oltre a quello principale, che era alimentato da una pompa che prelevava cherosene dai serbatoi principali e RFNA (red fuming nitric acid, acido nitrico rosso fumante) da un serbatoio esterno particolarmente protetto. Il razzo era alloggiato sotto alla deriva. Furono costruiti tre prototipi dello Ye-50 e Valentin Moukhin volò con il primo di questi nel giugno del 1955. Qualche tempo dopo, durante le prove, il turbogetto si incendiò in atterraggio e Moukhin restò leggermente ferito quando precipitò a pochi metri dalla pista.
Mentre Moukhin recuperava, Aleksej Petrovič Vasin fu assegnato allo Ye-50/2, che era virtualmente identico al primo. Il 17 giugno 1957 questo aeroplano raggiunse Mach 2,33 in volo livellato, mentre in un'altra occasione Vasin riuscì ad arrivare a 25 600 m di quota. Normalmente il razzo che coadiuvava il motore era acceso a 9000 m, ma nell'inverno del 1957 Vasin lo accese già al decollo per impressionare il maresciallo Žukov. Vasin divenne Eroe dell'Unione Sovietica per il progetto Ye-50, il quale fu abbandonato nel 1958 con l'ultimo Ye-50/3 con pochi cambiamenti alla presa dinamica, alla fusoliera ed alla deriva. L'eredità dello Ye-50 fu però ripresa dallo Ye-60 di cui si parlerà più avanti.
Agli inizi del 1956 il motore R-11S era finalmente disponibile e venne montato sullo Ye-2A con cui volò Grigorij Sedov il 22 marzo del 1956. Come lo Ye-2 aveva ali a freccia, simili a quelle del MiG-19, ma in scala ridotta, due piani di coda con freccia di 45°, due cannoni NR-30 (lo Ye-50 ne aveva tre) e, una novità per l'epoca, un cupolino in plexiglas che si apriva alzando la parte anteriore. La parte retrostante era incernierata al seggiolino del pilota, cosicché, se il pilota si fosse espulso, il cupolino avrebbe fatto da protezione e da parabrezza. La presa d'aria sembrava come quella dello Ye-2, malgrado il motore richiedesse un flusso d'aria maggiore. Le due differenze riscontrabili ad occhio nudo erano la piastra antiscorrimento (una paratia montata sul dorso dell'ala che, impedendo lo scorrimento dello strato limite, creava dei vortici che lo rimescolavano energizzandolo) montata su ciascuna delle due semiali, allineate con le estremità degli elevoni (piani di coda interamente mobili) e le prese d'aria a periscopio del sistema di raffreddamento del motore, montate in fusoliera vicino ai piani di coda. La velocità massima che lo Ye-2A raggiunse fu di 1900 km/h o Mach 1,79.
Il MiG OKB alla fine fece volare lo Ye-4/1 il 16 giugno del 1956 con Grigorij Sedov ai comandi. Eccetto che per l'ala, questo caccia era uguale allo Ye-2, incluso il motore R-9Ye. Questo naturalmente precludeva il fatto che potesse superare Mach 2,0 come sperato, ma le prestazioni furono anche peggiori del previsto, la velocità massima era più bassa di quella del MiG-19 di serie.
I tentativi di migliorare la macchina si prolungarono per due settimane al termine delle quali sia lo Ye-4/1 che lo Ye-4/2 volarono di nuovo. Lo Ye-4/2 aveva ben tre paratie antiscorrimento, le cui dimensioni e geometria vennero cambiate almeno quattro volte. Nel 1957 il grosso del problema della resistenza aerodinamica sembrò risolto modificando l'area intorno all'ugello di scarico.
Il 24 giugno del 1956 sia lo Ye-2A che lo Ye-4/1 fecero un passaggio ad alta velocità alla parata aerea di Tushino in occasione della Giornata delle Forze Aeree Sovietiche. Le foto scattate dagli occidentali furono moltissime e per i sei anni seguenti gli analisti discussero su chi li avesse concepiti, su quale fosse il loro nome e se fossero in produzione. A peggiorare le cose il ricostruito OKB di Sukhoj aveva già fatto volare un caccia con ala a delta, molto simile a quelli di Mikoyan e Gurevich a causa della comune impostazione dello TsAGI, ma, come detto, più grandi. I giornalisti presto scoprirono che a questi nuovi aerei era stato dato il nome in codice di Faceplate, Fishpot, Fishbed e Fitter, ma in questo modo la confusione era aumentata anziché diminuire. Verso il 1963 i giornalisti credevano chi il nuovo MiG-21 entrato in produzione, fosse il Faceplate e, per aggiungere difficoltà, sui giornali oltre cortina il MiG-21 era spesso associato a foto del Su-7.
Nel settembre 1958 uno degli Ye-4 fu rimotorizzato con un R-11S, che forniva 5100 kg di spinta, e chiamato Ye-5. Gli ingegneri sovietici insistono nel ricordare che questo non era un nuovo aereo, infatti l'ala era la stessa dello Ye-4/1 e le paratie antiscorrimento erano le stesse dello Ye-4/2 nella loro evoluzione finale. Questo aeroplano alla fine toccò i 2000 km/h e si dimostrò anche leggermente superiore allo Ye-2A in manovrabilità, salita e capacità interna del combustibile. D'altra parte la VVS e la MiG avevano deciso di adottare l'ala a delta già dal 1957. In alcuni rapporti lo Ye-5 era anche definito come I-500 (in precedenza si usava la designazione I per istrebitel', caccia).
Dal 1957 l'OKB era alle prese con le continue migliorie apportate alla serie Ye-4, designata Ye-6 e che incorporava tutte le idee acquisite con lo Ye-4. Tutti i modelli avevano 57° di angolo di freccia alare ed il motore R-11, ma i dettagli erano variabili. Lo Ye-6/1 aveva la stessa ala dello Ye-5, con la paratia più vicina alla radice che si prolungava un poco sul ventre, mentre quella più vicina all'estremità era più sottile ed occupava tutto il dorso. L'ala ed i piani di coda poi erano leggermente più bassi rispetto alla fusoliera, il che portò a ridisegnare gli aerofreni in tre separate superfici e la sostituzione delle due pinne ventrali con una sola al centro del ventre. Più importante era il fatto che il nuovo aereo non era più un prototipo sperimentale ma un aereo di preserie. I cannoni erano due NR-30 ed il motore uno R-11S.
Uno Ye-50 fu modificato con uno R-11F-300 ed un nuovo ugello di scarico che forniva una spinta di 5 750 kg. Assieme al razzo la nuova motorizzazione fece arrivare l'aereo a 2 640 km/h a Mach 2,6. Questo aereo, noto come Ye-60, si distingueva da un grandissimo serbatoio ventrale, che alimentava il razzo, lungo tutta la fusoliera.
Il pilota assegnato allo Ye-6/1 era Nyefyedov. Le prime prove furono incoraggianti, l'aereo raggiunse Mach 2,05 ad una quota di 12 km. Sfortunatamente il 20 maggio 1958 il motore esplose ad una quota di 18 km, danneggiando i controlli di volo. Un altro rapporto afferma che fu solo uno stallo del compressore, che causò lo spegnimento del motore e Nyefyedov non poté riaccenderlo perché il serbatoio dell'ignizione era surriscaldato e pieno solo di vapore. Quando il pilota si avvicinò al suolo perdette progressivamente il controllo del velivolo ed alla fine l'aereo si schiantò al suolo, uccidendo Nyefedov.
I controlli di volo vennero riprogettati. Il compito era nelle mani di Mossolov, mentre l'ingegnere il cui progetto venne accettato da Mikoyan era Rostislav Apollosovich Belyakov (che poi divenne progettista capo del MiG OKB alla morte di Mikoyan). Egli decise di duplicare ogni controllo, dalle pompe idrauliche alle unità che pilotavano le superfici. Molti nuovi miglioramenti vennero adottati nel 1958, inclusa una spina centrale della presa d'aria a tre posizioni (la spina si sposta per controllare la quantità di flusso necessaria al motore e per tenere le onde d'urto nella giusta posizione) e delle prese d'aria ausiliarie vicino al bordo d'attacco dell'ala. La spina centrale veniva spinta nella posizione più avanzata a velocità maggiori di Mach 1,8 (le onde d'urto dipendono dal numero di Mach, non direttamente dalla velocità).
Sullo Ye-6/2, che volò nello stesso periodo dello Ye-6/1, le tre paratie antiscorrimento furono rimpiazzate da una sola tra lo spazio tra alettone e ipersostentatore. Quest'ultimo era di tipo Fowler, ma senza la caratteristica superficie superiore e si abbassava di 24,5° al decollo e di 44,5° in atterraggio, mentre l'ipersostentatore di bordo d'attacco era assente.
Lo Ye-6/3 era virtualmente un aeroplano di serie. Volò nel dicembre del 1958 e venne prodotto in una serie di 30 aerei, designati come MiG-21F, dalla fabbrica di massa, non da quella dello OKB, agli inizi del 1959.
Il 31 ottobre del 1959 lo Ye-6/3, dichiarato alla FAI (Fédération Aéronautique Internationale) come Ye-66 e pilotato da Mossolov, siglò la velocità media di 2.388 km/h su un circuito di 15/25 km. I motori erano dichiarati alla FAI come R-37F. Un anno dopo K. Kokkinaki usò lo Ye-66 per siglare una velocità di 2149 km/h su un circuito di 100 km, mentre il 28 aprile 1961, Mossolov usò lo Ye-66A per arrivare ad una quota di 34.714 m. Lo Ye-66A era propulso da un R-11F2S-300 da 5.950 kg ed un razzo U-2 in un pacco ventrale completo di un serbatoio di RFNA.
Durante questo stesso periodo la fabbrica di produzione stava costruendo le prime vere macchine di serie, i MiG-21F-13. Questa era la versione finale, lo Ye-6T, dove la T significava трофей, "trofeo", e si riferiva al fatto che un caccia cinese aveva riportato a terra un missile AIM-9B Sidewinder che gli si era incastrato senza esplodere. I sovietici riuscirono a copiare quest'arma, chiamandola K-13 o R-13 (AA-2 Atoll) e lo Ye-6T ne agganciava uno per semiala.
Ci furono molte varianti del K-13, le cui prestazioni erano persino migliori della controparte USA. I piloni del MiG-21F-13 erano semplici e fornivano la connessione elettrica ed il sistema di raffreddamento. Il peso dei missili era così elevato che fu necessario rimuovere il cannone NR-30 sinistro con la scatola dei suoi 75 colpi.
Fu colta anche l'opportunità di allargare la pinna ventrale per aumentare la stabilità di rollio, specialmente ad alti angoli d'attacco (i MiG-21 seguenti migliorarono ancor di più questi accorgimenti). Molte migliaia di MiG-21F-13 uscirono di fabbrica, inclusi gli S-106 fatti a Vodochody, in Cecoslovacchia a partire dal 9 maggio del 1963 che si distinguono per il fatto che hanno la parte posteriore del cupolino in metallo anziché in plexiglas. Molti altri furono fabbricati senza licenza nella Repubblica Popolare cinese e chiamati J-7.

Nel 1960 il MiG-21F-13, chiamato alla MiG anche come "modello 72", era entrato in piena produzione. Sebbene fosse un aeroplano che si pilotava facilmente ed avesse prestazioni e manovrabilità avanzate per l'epoca, soffriva (come anche l'F-104A e, da un certo punto di vista, il Mirage IIIC) di una limitata capacità interna. I 2470 litri di combustibile stivati in sei serbatoi d'alluminio nella fusoliera e quattro integrali nell'ala non erano disponibili tutti insieme senza precludere o limitare la stabilità della macchina. Il limite autorizzato era di 2340 l e questo riduceva il raggio d'azione o peggio le prestazioni. Era infatti praticamente impossibile raggiungere la velocità di Mach 2,0 con solo poco più di 2000 l di cherosene. Per di più, al contrario delle sue controparti occidentali, a bordo non c'era un radar di scoperta e l'armamento era composto da appena due missili K-13 ed un cannone NR-30 con 75 colpi. L'avionica consisteva solamente della antenna UHF, di due antenne VHF, dello IFF (identificatore amico o nemico) SRO-2, di un radioaltimetro (strumento che misura la quota con le onde radio ed è quindi più accurato dell'altimetro barometrico) che arrivava fino a 300 m, una radiobussola ed un radar collimatore. Dal 115o esemplare (il primo con la pinna ventrale più grande) fu introdotto anche un RWR (un allarme passivo che segnala le onde radar in arrivo).
Vi furono diversi altri prototipi dello Ye-6. Uno dei più importanti, lo Ye-6U, volò nel 1961. Era il prototipo per il modello da addestramento biposto, con una capacità interna ridotta di 70 l per far spazio al secondo seggiolino, il nuovo KM-1, e non montava armamento, ma solo un serbatoio ventrale da 490 l. Il cupolino si apriva di lato. Un aeroplano simile, chiamato Ye-33, fu utilizzato per siglare primati, pilotato da donne pilota come Natalya Prokhanova, la quale arrivò ad una quota di 24.366 m.















































venerdì 21 dicembre 2018

La prima portaerei italiana purtroppo mai realizzata



Il generale del Genio Navale Filippo Bonfiglietti aveva progettato nel 1928 la prima portaerei italiana, purtroppo mai realizzata per l’ottusità di chi all’epoca aveva l’onore e l’onere di dover decidere.
Il progetto della nave sparì subito dopo dagli archivi di Palazzo Marina: recentemente il nipote dell’ideatore ha ritrovato una copia dei disegni e li ha fatti riscoprire.
Il gen. Filippo Bonfiglietti era nato a Tivoli nel 1868 da una famiglia benestante; il padre costruttore edile sognava di averlo al suo fianco. Egli, invece, dopo il liceo svolse il servizio militare in Cavalleria al posto del fratello, si laureò in Ingegneria civile e, forse per la conoscenza con il ministro della Marina (e degli Esteri) Benedetto Brin, scelse il Genio Navale. Conseguì a Genova la seconda laurea in Ingegneria navale, s’imbarcò, si sposò con la genovese Margherita Mazza (padre di Loano, madre di Rapallo), quindi ottenne l’incarico a sovrintendere la costruzione della corazzata Regina Elena alla Spezia.
Bonfiglietti progettò anche altre quattro versioni della futura portaerei: tutte bocciate!
Dopo l’insegnamento, nel 1924 la promozione a generale e la qualifica di Direttore dell’Ufficio Informazioni e Studi del Comitato Progetti di Navi, presso il Ministero della Marina. In questo periodo progettò un nuovo incrociatore, al limite del Trattato di Washington (firmato nel 1922 dalle cinque principali potenze vincitrici della prima guerra mondiale, limitava il tonnellaggio delle costruzioni navali degli Stati aderenti, Italia inclusa), del quale furono costruite quattro unità: Zara, Pola, Fiume e Gorizia. 
Ideò anche l’incrociatore pesante Bolzano, terzo della precedente classe, quella dei Trento e Trieste. 

Nel 1928 ideò e mise sulla carta insieme a tutti i calcoli tecnici il suo progetto di portaerei che era già una realtà in altre marine di rango: 
  • le inglesi Ark Royal, varata nel ‘14, Furius, Hermes; 
  • la giapponese Hosho del ‘22...), 
ma non per l’Italia. 

La Marina ci aveva provato nel 1925 con un incrociatore-portaerei ideato dal generale Giuseppe Rota, che rimase su carta, ed era tornata alla carica. 
Militari e politici erano divisi, qualcuno diceva che queste navi non servivano perché l’Italia non aveva interessi vitali fuori del Mediterraneo; per lo stesso Mussolini l’Italia era già di per sé “una portaerei naturale protesa nel Mediterraneo”.
La Marina aveva rinunciato ai suoi aerei dopo la guerra e Italo Balbo purtroppo non gradiva dividere con nessuno il comando dell’Aviazione.
Il generale Filippo Bonfiglietti fu congedato nel 1931; lasciando l’ufficio, ottenne copia dei disegni della portaerei, mentre gli originali restarono a Palazzo Marina. E qui sparirono. L’ipotesi è che fossero custoditi in un solaio il quale, a rischio di cedimento, fu in seguito sgomberato.: l’archivio fu così gettato via.
Negli anni successivi la Marina ci provò ancora, cercando anche di trasformare in portaerei alcuni transatlantici, ma non se ne fece nulla. 
A guerra iniziata, l’errore strategico si manifestò in tutta la sua gravità... 
Un conto era avere aeroplani in Sicilia, la piattaforma naturale, un altro era averne su una nave a Capo Matapan nel ’41! 
L’Italia avrà la sua prima vera portaerei (Cavour) solo nel 2004! 
Il generale Filippo Bonfiglietti visse la quiescenza tra la casa di Roma e quella della moglie a Loano. Si occupò, tra l’altro, del recupero delle navi romane di Nemi e, quale membro del Cnr, volle ampliare il servizio dei filobus nel Paese, e in particolare a Roma. 
A Loano impostò il primo porticciolo.
Morì nel 1939, senza lasciare un diario, memorie, salvo i disegni di alcune navi, tra cui le copie della portaerei mai nata. 
Una trentina di tavole, trovate nel suo studio nella casa che aveva in affitto a Roma, in un vano adibito a camera da letto.






IL SACRARIO DELLO "SCIRÉ" e la tragica verità sulla gloriosa fine del sommergibile



Lo Scirè è stato un sommergibile della Regia Marina, famoso per aver trasportato i Siluri a lenta corsa autori dell'impresa di Alessandria.
Il sommergibile prese il nome dalla regione dello Scirè in Etiopia, teatro di una omonima battaglia tra le truppe italiane ed abissine nel corso della guerra d'Etiopia (1936).
Alla data dell'entrata dell'Italia nel secondo conflitto mondiale era di base a La Spezia, inquadrato nella XV Squadriglia del I Grupsom. Comandante dell'unità era il tenente di vascello Adriano Pini.


In giugno operò al largo di Capo Noli e Capo dell'Armi, senza risultati.
In luglio operò invece a nordovest dell'Asinara ed 10 luglio, verso le otto di sera, incontrò il piroscafo francese Cheik (1057 tsl) nei pressi dell'Asinara, colpendolo con un siluro ed affondandolo alle 20.30; ne soccorse poi l'equipaggio.
Si decise poi l'assegnazione del sommergibile alla X Flottiglia MAS e la sua conversione a mezzo «avvicinatore» di SLC.


Nell'agosto-settembre 1940 il sommergibile fu quindi modificato per il nuovo uso: furono rimossi il cannone da 100/47 Mod. 1935 e le sue munizioni, due siluri ed altro materiale superfluo; vennero ridotte le dimensioni della torretta; sul ponte di coperta del sommergibile furono collocati tre cilindri a tenuta stagna (uno a proravia della torretta e due a poppavia di essi, affiancati), nei quali potevano essere contenuti altrettanti SLC. Questi cilindri, di 2,8 tonnellate di peso, potevano reggere fino a 90 metri di profondità.


Per mimetizzare al meglio il sommergibile, lo Scirè venne ricolorato con una «pallida tinta verdolina», che si era dimostrata la più adatta per confonderlo col cielo notturno. Altro provvedimento per camuffare il sommergibile fu il dipingere, al di sopra di parte della pittura verde, la sagoma di un peschereccio con la prua in direzione opposta a quella che era l'effettiva prua dello Sciré. Al comando del sommergibile fu destinato il capitano di corvetta Junio Valerio Borghese.
Con lo Scirè la Xª Flottiglia MAS avrebbe impostato una nota serie di operazioni che sarebbe culminata con la celebre incursione nel porto di Alessandria d'Egitto.
Il 24 settembre 1940 il sommergibile lasciò La Spezia per l'operazione «B.G. 1», un attacco di tre SLC contro la base britannica di Gibilterra. Il 29 settembre, quando lo Scirè era ad una cinquantina di miglia dal porto dello stretto, gli fu ordinato di interrompere la missione e fare rotta per La Maddalena: la Forza H – la formazione navale inglese con base a Gibilterra, obiettivo dell'attacco – era partita per un'operazione di supporto a dei convogli, privando così la missione del suo obiettivo. Da La Maddalena il sommergibile rientrò poi a La Spezia.
Fu quindi organizzato un nuovo attacco contro Gibilterra, l'operazione «B.G. 2». Il sommergibile salpò dalla base ligure alle 5.15 del 21 ottobre, recando a bordo i tre SLC con 6 operatori: il capitano del Genio Navale Teseo Tesei con il sergente palombaro Alcide Pedretti, il tenente di vascello Gino Birindelli con il secondo capo palombaro Damos Paccagnini, il tenente di vascello Luigi Durand de la Penne con il secondo capo palombaro Emilio Bianchi.
Alle 20.30 del 26 ottobre, arrivato nell'area prevista, il sommergibile venne a galla a circa 44 miglia da Punta Europa; due ore dopo, mentre procedeva in emersione a breve distanza da Punta Almina, fu obbligato all'immersione dall'avvistamento di due cacciatorpediniere, dovendo quindi rinviare il passaggio nello stretto. Il sommergibile tentò infruttuosamente per due notti di passare lo stretto; ci riuscì – in immersione, con molte difficoltà – il 29. Alle 11.45 di quel giorno si posò su un fondale di 72 metri, nella baia di Tolmo, e vi rimase sin verso le cinque del pomeriggio, quando il riflusso della marea iniziò a spingerlo più in profondità; portatosi quindi a 57 metri, venne in emersione alle 20.35. Diresse quindi per Gibilterra in affioramento sino a quando, alle 21.05, inquadrato da un proiettore costiero, dovette proseguire in immersione, con alcuni problemi. Provò due volte a passare lo sbarramento in emersione, ma i tentativi fallirono e le navi inglesi lo cannoneggiarono senza colpirlo. All'1.21 del 30 ottobre si posò su un fondale di dieci metri a 350 metri dalla riva ed alle 2.19 rilasciò gli SLC.
La missione risultò fallimentare per il fatto che nessuna nave assegnata come obiettivo venne affondata, tutti e tre gli SLC mostrarono problemi tecnici. Quello di Tesei, abbandonato dall'equipaggio per gli inconvenienti riscontrati allo stesso oltre che agli autorespiratori, una volta avviato verso sud, cambiò da solo direzione e finì per arenarsi con l'elica ancora in moto sulla spiaggia di La Línea, in territorio neutrale (la cosa però non sfuggì agli inglesi, che – avendo sul posto un informatore dei servizi segreti – lo studiarono da lontano il più possibile, prima che gli spagnoli lo portassero in un arsenale). I due operatori rientrarono poi in Italia con l'aiuto del Servizio Informazioni Militari, come anche Durand de la Penne e Bianchi, che avevano raggiunto la costa a nuoto dopo che il loro mezzo si era guastato ed era affondato. Quello di Birindelli arrivò a circa 70 metri dall'obiettivo designato, la corazzata Barham, dopodiché il motore si fermò e l'SLC smise di funzionare. Dopo aver trascinato da solo sul fondo per 30 minuti il mezzo cercando di avvicinarsi alla corazzata, ormai esausto, Birindelli decise di far esplodere la carica lasciando l'apparecchio dove si trovava: una volta rientrato da tre anni di prigionia, a Birindelli venne concessa la Medaglia d'Oro al Valor Militare. Lo Scirè, nel frattempo, aveva intrapreso la navigazione di rientro: il sommergibile attraccò a La Spezia la sera del 3 novembre. Il comandante Borghese venne insignito della Medaglia d'Oro al Valor Militare per l'audace impresa di avvicinamento alla base nemica di Gibilterra.
La missione fu di prezioso insegnamento per le missioni future: si era dimostrato che i mezzi (SLC e autorespiratori) erano ancora da mettere a punto, che l'avvicinamento del sommergibile al porto era fattibile, che era possibile passare le ostruzioni di Gibilterra, che gli operatori avevano le capacità fisiche per effettuare la missione. Il comandante Borghese aveva inoltre rilevato che, prima di uno sforzo eccezionale quale era quello della missione, non era raccomandabile trasportare e relegare gli operatori dei mezzi d'assalto in un ambiente chiuso, ristretto e non ben ventilato come poteva essere il sommergibile avvicinatore. Per ovviare a questa necessità decise di utilizzare per le successive missioni a Gibilterra una base di appoggio, costituita dalla nave cisterna Fulgor che era internata a Cadice fin dall'inizio della guerra. In futuro gli operatori avrebbero raggiunto la Spagna in aeroplano, poi si sarebbero trasferiti a bordo della nave usando mezzi indipendenti, predisposti appositamente da agenti della Marina che erano basati in Spagna.
Verso la fine del gennaio 1941, essendo partita da Gibilterra, diretta verso est, la Forza H britannica (lo scopo era bombardare Genova), lo Scirè tornò temporaneamente all'originario impiego e fu dislocato in agguato difensivo una ventina di miglia a sudest di Capo Mele; tuttavia, a causa del maltempo, la squadra navale britannica tornò in porto dopo aver attaccato con aerei la diga del Tirso (il bombardamento fu poi comunque svolto il 9 febbraio 1941).
Il 15 maggio lo Scirè, tornato al ruolo di avvicinatore, salpò da La Spezia per l'operazione «B.G. 3», con a bordo i soli SLC. Il 22, alle 4.13, imboccò, in emersione, lo stretto di Gibilterra, emergendo alle 23.30 dell'indomani all'entrata del porto di Cadice e portandosi controbordo alla Fulgor. Imbarcò quindi gli operatori degli SLC (3 ufficiali e 3 sottufficiali), quelli di riserva (un ufficiale ed un sottufficiale) ed il capitano medico Bruno Falcomatà. La missione fu però costellata dagli imprevisti: uno degli operatori – il tenente di vascello Amedeo Vesco – si sentì male, uno degli SLC non poté partire obbligando i due operatori a trasferirsi sugli altri due mezzi come “terzi uomini”; una volta nel porto, i due SLC andarono però in avaria, un secondo operatore – il capitano del Genio Navale Antonio Marceglia – si sentì male e l'operazione fallì con la perdita dei mezzi, mentre gli equipaggio dovettero raggiungere il territorio spagnolo a nuoto.
Seguì l'operazione «B.G. 4». Il 10 settembre 1941 lo Scirè lasciò La Spezia per la quarta volta, con a bordo gli SLC 140, 210 e 220, ed il 18, a Cadice, fu effettuato il trasbordo degli operatori: al tenente di vascello Decio Catalano ed al sottocapo palombaro Giuseppe Giannoni fu assegnato l’SLC 140, al sottotenente di vascello Amedeo Vesco ed al sottocapo palombaro Antonio Zorzoli l’SLC 210 ed al tenente di vascello Licio Visintini ed al sottocapo palombaro Giovanni Magro l’SLC 220 (a questi si aggiungevano due uomini di riserva ed il tenente medico Giorgio Spaccarelli). Alle 23.30 del 19 settembre a Borghese fu comunicata la quantità e la posizione delle navi in rada a Gibilterra, il sommergibile si posò sul fondo del fiume Guadarranque ed all'1.07 del 20 furono rilasciati gli SLC. A differenza delle missioni precedenti, la «B.G. 4» fu un successo:
l’SLC 140 piazzò una carica esplosiva sotto lo scafo del grande incrociatore ausiliario Durham (10.893 tsl) che fu portato all'incaglio e messo fuori combattimento per parecchio tempo;
l’SLC 210 minò la motocisterna Fiona Shell (2444 tsl), che saltò in aria ed affondò spezzata in due;
l’SLC 220 danneggiò la cisterna militare HMS Denbydale (8145 tsl) che rimase a galla ma, spezzata in chiglia, non poté più muoversi e rimase bloccata nel porto come nave caserma e deposito carburanti sino alla demolizione.
Tuttavia la missione più famosa, per la quale il sommergibile passò alla storia, fu l'operazione «G.A. 3» contro la base di Alessandria d'Egitto, svoltasi nel dicembre 1941. Il sommergibile, dopo aver imbarcato a bordo tre siluri a lenta corsa, salpò il 3 dicembre da La Spezia e raggiunse Lero il 9 di quel mese. Il 12 furono imbarcati gli uomini destinati ad operare con i tre SLC: Durand de La Penne e Bianchi per l’SLC 221, il capitano del Genio Navale Antonio Marceglia ed il sottocapo palombaro Spartaco Schergat per l’SLC 230, il capitano Armi Navali Vincenzo Martellotta ed il capo palombaro Mario Marino per l’SLC 223. Il 14 dicembre lo Scirè lasciò Lero e, portatosi ad Alessandria, stazionò in attesa che i ricognitori della Regia Aeronautica dessero la certezza della presenza nel porto degli obiettivi: le corazzate britanniche Queen Elizabeth e Valiant. Il 17 questa conferma giunse ed il sommergibile diresse per il porto alessandrino; verso le 2.15 del 18, giunto in zona di campi minati, si portò a 60-100 metri di profondità e proseguì così per una dozzina di ore, giungendo (intorno alle 15), dato che il fondale risaliva in vicinanza della riva, a toccare il fondo a circa 50 metri, proseguendo “strisciando” sul fondale e fermandosi infine alle 18.40, a 17 metri di profondità, «a 1,3 miglia nautiche, per 356° dal Fanale del molo di ponente del porto commerciale di Alessandria». Tra le 20.47, momento in cui venne in affioramento, e le 21.30 furono rilasciati, nonostante alcuni problemi (il tenente medico Spaccarelli si sentì male e i portelli dei cilindri non poterono essere richiusi) gli SLC. Lo Scirè, durante il rientro, dovette per due volte venire in superficie per chiudere i portelli dei contenitori, rischiando l'individuazione, ma infine giunse senza altri problemi a Lero il 21, rientrando poi a La Spezia il 29 dopo aver percorso 3500 miglia. L'impresa di Alessandria fu, per i suoi risultati, la meglio riuscita della X Mas:
Durand de la Penne e Bianchi danneggiarono gravemente la Valiant, che necessitò di quattro mesi di riparazioni;
Marceglia e Schergat colsero un successo ancor maggiore ponendo fuori uso la Queen Elizabeth – nave di bandiera dell'ammiraglio Andrew Browne Cunningham, comandante della Mediterranean Fleet –, che rimase fuori combattimento per un anno e mezzo;
Martellotta e Marino ottennero un duplice risultato in quanto, minando la nave cisterna Sagona (7554 tsl), danneggiarono non solo quella stessa nave, ma anche il cacciatorpediniere HMS Jervis, che le si era affiancato (e rimase ai lavori per un mese).
Il successo dell'impresa fece notevole scalpore anche oltre oceano, poiché il porto di Alessandria era ritenuto inespugnabile. Tutti gli operatori degli SLC che avevano penetrato il porto vennero catturati e rientrarono in servizio dopo l'armistizio e furono tutti decorati con la Medaglia d'Oro al Valor Militare, così come il comandante Borghese e la bandiera dello Scirè (una delle tre sole unità navali della Regia Marina ad aver ricevuto tale decorazione); l'equipaggio del sommergibile ricevette i complimenti del capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Arturo Riccardi.
L'8 marzo 1942 Borghese, posto a comando della sezione subacquea della X MAS, fu sostituito nel comando dello Scirè dal tenente di vascello Bruno Zelik.
Il sommergibile rimase in porto sino al luglio 1942, quando fu pianificata l'operazione «S.L. 1»: l'attacco ad Haifa. Il sommergibile in questa occasione non avrebbe trasportato SLC, bensì undici «uomini Gamma» (subacquei incursori), di cui due ufficiali e nove sottufficiali e marinai. Il 27 luglio 1942 lo Scirè, al comando di Bruno Zelik, lasciò La Spezia ed il 2 agosto giunse a Lero.
Il 6 agosto partì per l'"operazione S.L. 1” contro il porto britannico di Haifa dove doveva lasciare dei sommozzatori del Gruppo Gamma che avrebbero forzato il porto per applicare delle cariche esplosive su alcune navi britanniche ormeggiate. L'azione si sarebbe dovuta svolgere la notte del 10 agosto che era di novilunio. Comunicò più volte con la base di Rodi ove si trovava il capitano di corvetta Max Candiani, comandante a terra dell'operazione. Dopo il 10 agosto lo Scirè non diede più notizie: invano si continuò a cercare di contattare il sommergibile sino al 18 del mese e, quando si rese evidente la realtà, il 31 agosto l'unità fu dichiarata scomparsa in mare in azione di guerra.
Solo successivamente fu possibile accertare la sorte toccata al sommergibile. Per le comunicazioni con il comando gli italiani si affidarono ai tedeschi, ignari che il sistema di crittazione Enigma era stato violato. In questo modo i britannici, individuato il sommergibile durante l'avvicinamento, lo fecero arrivare indisturbato in prossimità dell'imboccatura del porto per poterlo colpire da più direzioni e chiudendogli la via di fug. Alle 10.30 lo Scirè, individuato da aerei, fu attaccato con bombe di profondità dalla corvetta HMS Islay: seriamente danneggiato ed emerso per evitare la morte di tutto l'equipaggio, il sommergibile fu subito bersagliato dalle batterie costiere che, colpendolo nella torretta ed a prua di essa, ne provocarono il rapido affondamento con la chiglia spezzata prima che l'equipaggio potesse abbandonarlo. Dopo l'affondamento l’Islay effettuò un ultimo passaggio con il lancio di altre sei cariche di profondità, per completare la distruzione dello Scirè.
Sullo Scirè affondato furono sganciate altre bombe. Sebbene non sia certo, è molto probabile che, dopo l'affondamento, all'interno dello Scirè fossero rimasti vivi alcuni uomini, intrappolati in compartimenti non allagati, e che fossero rimasti uccisi dallo scoppio delle ultime bombe dell’Islay. A supporto di tale ipotesi vi sono i seguenti elementi:
il ritrovamento sulla spiaggia di Haifa, il 14 agosto, dei corpi del capitano commissario Egil Chersi e del secondo capo Eugenio Del Ben, due dei «Gamma» imbarcati sul sommergibile: non sembrando infatti possibile che i due cadaveri siano fuoriusciti casualmente dal relitto del sommergibile, è probabile che i due incursori fossero riusciti ad uscire dal relitto posato sul fondale (ma non del tutto allagato) subito dopo l'affondamento, venendo uccisi dalla concussione delle ultime bombe gettate dall’Islay;
il ritrovamento, durante i lavori – svoltisi nel 1984 – di recupero dei corpi, dello scheletro di un uomo all'interno di una garitta di fuoriuscita d'emergenza (che fa pensare che si trattasse di un sopravvissuto che stava cercando di uscire);
il dato che, sempre nel 1984, gran parte dei corpi sia stata rinvenuta nella zona poppiera del sommergibile: come se lì si fossero radunati perché la zona prodiera si era allagata.
Con lo Scirè perirono il comandante Zelik, altri 6 ufficiali, 15 sottufficiali, 19 sottocapi, 8 marinai dell'equipaggio e due ufficiali, 4 sottufficiali, 2 sottocapi e 3 marinai incursori della X MAS.
Il sommergibile aveva svolto 14 missioni di guerra, percorrendo 14.375 miglia in superficie e 1590 in immersione.
Dopo la costituzione dello stato di Israele il suo relitto – che giace su un fondale di 35 metri, spezzato in chiglia – venne fatto oggetto di incursioni.
Dopo un patto raggiunto dai governi di Italia e Israele, dal 2 settembre al 28 settembre 1984 si sono svolti, ad opera della nave appoggio Anteo della Marina Militare Italiana, le operazioni di recupero di 42 salme.
In questa occasione sono state anche recuperate varie parti dello scafo, rimosse in un precedente tentativo di recupero. Si tratta di parti della portelleria, vari pezzi del fasciame e due cilindri contenitori dei siluri a lenta corsa. Le parti del relitto recuperate sono conservate al museo della base navale di Augusta, all'Arsenale della Spezia e all'Arsenale di Venezia, mentre il basamento del cannone con parte del fasciame è conservato al Sacrario delle bandiere al Vittoriano.
Nel 2002 il relitto è rimasto danneggiato in un incidente dalla dinamica poco chiara: secondo alcune fonti alcune unità della US Navy (fra cui la USS Apache) avrebbero cercato di recuperare, nel corso di un'esercitazione congiunta con forze israeliane, il relitto, mentre secondo altre si sarebbe trattato semplicemente dell'incaglio – accidentale – delle ancore di tali unità nel relitto dello Scirè.

Successivamente a tale evento subacquei della Marina Militare hanno provveduto a sigillare il relitto per impedire a subacquei di penetrarvi.

Il 18 dicembre 2004, nell'anniversario dell'attacco di Alessandria d'Egitto, alla presenza della MOVM Emilio Bianchi, è stato varato un nuovo sottomarino con il nome Scirè.


A fine anni 90, nella città di Cava de' Tirreni è stata intitolata una strada al sommergibile Scirè ed una targa in memoria delle vittime. La strada è una traversa di via Sabato Martelli Castaldi, a poche decine di metri dal corso principale.

Una tragica verità sulla gloriosa fine del sommergibile Scirè

Lo storico Andrea Cionci, giornalista e scrittore, ha pubblicato un'articolo apparso sul quotidiano "LIBERO", sollevando il velo sull'affondamento del sommergibile trasporto-incursori "Scirè" che, notoriamente, era il terrore dei britannici e, quando fu a tiro, la Royal Navy volle prendersi tutti i meriti del suo affondamento. Gran parte di quanto sappiamo sulla fine del nostro sommergibile Scirè si deve allo storico e subacqueo Fabio Ruberti che ha raccolto i risultati di molti anni di ricerche sul relitto. L’autore, cosultando  documenti inglesi e italiani, ha ricostruito la missione e il combattimento, avvenuto il 10 agosto 1942 davanti al porto di Haifa, nell’allora Palestina Britannica, oggi Israele.
Lo Scirè era stato adattato per trasportare i famosi “Maiali” o Siluri a lenta corsa (SLC), sistemi d’arma geniali messi a punto da Teseo Tesei ed Elios Toschi, che venivano guidati da due subacquei sotto le chiglie delle unità avversarie per minarle con una carica esplosiva.
Lo Scirè ed i siluri a lenta corsa erano in dotazione alla X Flottiglia MAS della Regia Marina: nel ’41 giunsero finalmente i primi successi con due navi cisterna e un cargo armato britannici affondati o danneggiati gravemente nel porto di Gibilterra. 
La missione più famosa dello Scirè fu in dicembre, al comando del principe Junio Valerio Borghese, contro la base di Alessandria d’Egitto: gli SLC riuscirono a penetrarvi oltrepassando zone minate e reti subacquee ed a danneggiare gravemente: 
  • la Valiant, 
  • la Queen Elizabeth, 
  • il cacciatorpediniere Jervis 
  • e la petroliera Sagona, incendiata. 
I Britannici vivevano perennemente nell’incubo di essere oltraggiati persino nei loro stessi munitissimi porti.
Nell’estate del ‘42, temendo l’avanzata di Rommel in Egitto, la Royal Navy trasferì gran parte della propria flotta dal porto di Alessandria a quello di Haifa in Israele.
Per il mese di agosto Supermarina progettò la Missione S.L.1  affidandola al smg. Scirè, allora al comando del Capitano di Corvetta Bruno Zelik: avrebbero dovuto essere impiegati non gli SLC, ma gli Uomini-Gamma, una nuova specialità della X MAS: undici subacquei incursori a nuoto, avrebbero minato le navi alleate ad Haifa, così come avevano già danneggiato quattro grossi piroscafi a Gibilterra il 14 luglio.
I britannici, purtroppo, intercettarono e decrittarono con il sistema “ULTRA Secret” le comunicazioni italo-tedesche, preparando un’imboscata. Fra le scoperte del Ruberti – autore anche della prima accurata elaborazione in 3D del relitto – c’è che, per proteggere il porto di Haifa, gli inglesi disponevano anche di un segretissimo sistema antisommergibile: un sistema di cavi speciali depositati sul fondo, denominato "indicator loops", tramite i quali individuavano tutte le variazioni elettromagnetiche dovute al passaggio di grosse masse metalliche. Reperti di questi cavi sono stati infatti ritrovati nei pressi del relitto del Sacrario dello Scirè, collegati in mare e in terra alle casematte di rilevazione. Poiché gli Uomini Gamma si sarebbero mossi a nuoto, lo Scirè, avvicinandosi al nemico, passò sopra gli "indicator loops" innescando l’allarme: dal porto britannico fu inviato il peschereccio armato  Islay che cominciò a sganciare bombe di profondità: una di queste danneggiò lo Scirè a prua, costringendolo a riemergere. I tre cannoni inglesi da 155 mm del 14° Reggimento Artiglieria Costiera, posizionati sul Monte Carmelo e già pre-allertati, fecero fuoco con due salve e centrarono il battello con un colpo a proravia della torretta. Lo Scirè cominciò a inabissarsi di prora e, dato che il fondale era di appena 33 metri, prima si impuntò sul fondo e poi, in otto minuti, affondò. Gli uomini che si erano salvati dalle esplosioni si radunarono immediatamente a poppa tentando di abbandonare lo scafo, inutilmente.  
Alcune ore dopo, al ritorno da Beirut, due cacciatorpediniere inglesi, il Croome e il Tetcott, lanciarono bombe di profondità sul relitto per “accertarsi della definitiva distruzione dello Scirè.
Per decenni la marina britannica ha tenuto segreto sia l’intervento dell’artiglieria costiera, sia il fatto che avesse affondato il sommergibile grazie alla capacità di decrittazione delle macchine Enigma e di altri sistemi. Fino a tutti gli anni ’80, infatti, molte marine utilizzavano ancora la macchina crittografica tedesca e la Gran Bretagna voleva continuare, indisturbata, a sfruttare questa superiorità informativa.
Nel 1984, la nostra Marina Militare recuperò gran parte dei resti dell’equipaggio dello Scirè: furono trovati tutti a poppa, uno nella garitta di decompressione, morto nel tentativo di uscire, ma sedici membri dell’equipaggio restano ancora dispersi fra le lamiere.

(Web, Google, Andrea Cionci, Fabio RUBERTI, Libero-quotidiano, You Tube)