https://svppbellum.blogspot.com/
Blog dedicato agli appassionati di DIFESA, storia militare, sicurezza e tecnologia.
La Kaiserliche Marine o Marina imperiale fu la marina militare creata alla formazione dell'Impero tedesco.
Fu schierata tra il 1871 e il 1919, derivando dall'unificazione fra la marina prussiana (Königlich Preußische Marine) e la Norddeutsche Bundesmarine, la marina della Confederazione Tedesca del Nord. Il Kaiser Guglielmo II diede grande impulso all'arma navale, causando di fatto una corsa agli armamenti fra l'Impero e il Regno Unito.
Sebbene imbattuta, la flotta della Marina imperiale fu in gran parte distrutta nel 1919 da parte dei suoi stessi ufficiali nel braccio di mare britannico di Scapa Flow, dove aveva dovuto consegnarsi in seguito alla fine della prima guerra mondiale, scegliendo di autoaffondarsi.
Le unità principali della Kaiserliche Marine erano denominate premettendo la sigla SMS, a significare Seiner Majestät Schiff (Nave di Sua Maestà).
La Kaiserliche Marine inflisse la prima importante sconfitta navale alla Royal Navy in oltre cento anni, nella battaglia di Coronel, conseguendo inoltre una chiara vittoria tattica alla battaglia dello Jutland dove inflisse al nemico perdite maggiori di quelle subite; secondo una visione corrente la Hochseeflotte dopo quella battaglia non lasciò più i propri porti: in realtà condusse in seguito svariate azioni, che non portarono però al confronto diretto con la flotta d'alto mare britannica.
La Kaiserliche Marine fu la prima marina militare a impiegare con successo il sottomarino su vasta scala (furono commissionati 375 mezzi prima della fine della guerra), e impiegò anche gli Zeppelin. Non raggiunse mai il numero di unità schierato dalla Royal Navy, ma ebbe in dotazione i migliori proiettili e il miglior propellente per gran parte del conflitto.
La marina militare tedesca, dopo un periodo di forti limitazioni imposte dal trattato di Versailles, rinacque nel 1935 con il nome di Kriegsmarine.
IL SOMMERGIBILE SM UB-48
L'SM UB-48 era un sommergibile o U-boat tedesco del tipo UB III della marina imperiale tedesca (tedesco: Kaiserliche Marine) durante la prima guerra mondiale. Entrò in servizio in data 11 giugno 1917 come SM UB-48.
Il sottomarino condusse nove pattugliamenti e affondò 35 navi durante la guerra per una perdita totale di 107.795 tonnellate di stazza lorda e un cacciatorpediniere. Operò come parte della Flottiglia Pola e successivamente della II Flottiglia U-boat del Mediterraneo con sede a Cattaro.
LA “U-FLOTTIGLIE POLA”
La “U-Flottille Pola” era una formazione della Marina imperiale tedesca istituita per attuare la campagna di guerra sottomarina contro le navi alleate nel Mediterraneo durante la prima guerra mondiale a sostegno dell'alleato della Germania, l'Impero austro-ungarico.
Venne costituita nel 1915 dalla U-Halbflottille Pola (mezza flottiglia tedesca di sottomarini, Pola) e operava principalmente da una base avanzata a Cattaro nell'Adriatico, piuttosto che da Pola.
La flottiglia era composta da sottomarini spediti dai porti tedeschi, che viaggiavano attraverso l'Atlantico e dallo stretto di Gibilterra , e da battelli UB e UC di tipo costiero, che venivano spostati in segmenti su rotaia a Pola e lì riuniti presso l’Arsenale della Marina Austro-Ungarica (kaiserliche und königliche Kriegsmarine: kuk).
La flottiglia Pola aveva una forza massima di 33 sommergibili. A causa delle condizioni favorevoli per le incursioni contro le rotte commerciali nel Mediterraneo, causarono un numero sproporzionatamente elevato di perdite alleate durante la campagna sottomarina: dei 14 milioni di tonnellate perse dagli Alleati, 3,6 milioni di tonnellate furono affondate nel Mediterraneo. Otto dei migliori assi degli U-boat dell'IGN prestarono servizio nella flottiglia Pola, tra cui Lothar von Arnauld de la Perière e Waldemar Kophamel.
In tutto, 45 sottomarini prestarono servizio nella flottiglia Pola, undici dei quali andarono perduti durante le operazioni.
Nel giugno 1917, l'unità fu ribattezzata U-Flottille Mittelmeer e nel gennaio 1918 fu divisa in due flottiglie separate, la prima con sede a Pola e la seconda a Cattaro, mentre il comandante, ribattezzato Führer der Unterseeboote im Mittelmeer: Capo U-Boat, Mediterraneo) assunse il comando generale delle forze lì e a Costantinopoli.
Nel 1918, al termine della campagna, la Flottiglia Pola fu evacuata in Germania. Una delle sue imbarcazioni, l'SM UB-50, affondò la corazzata HMS Britannia, l'ultima nave da guerra britannica affondata durante la campagna degli U-Boat nella prima guerra mondiale.
L'UB-48 è stato uno degli U-Boot di maggior successo in servizio nel Mediterraneo. All’unità fu assegnato il numero U-79 nella Marina austro-ungarica. Fu affondato a Pola dopo la resa dell'Austria -Ungheria il 28 ottobre 1918.
Costruzione
L'UB-48 fu ordinato dalla GIN il 20 maggio 1916 e costruito dai cantieri Blohm & Voss di Amburgo. Dopo meno di un anno di costruzione, fu varato ad Amburgo il 6 gennaio 1917. L'UB-48 entrò in servizio quello stesso anno sotto il comando di Wolfgang Steinbauer. Come tutti i sommergibili classe UB III, l'UB-48 trasportava 10 siluri ed era armato con un cannone da ponte da 8,8 cm (3,46 pollici). L'UB-48 aveva un equipaggio composto da un massimo di 3 ufficiali e 31 uomini e aveva un'autonomia di 9.090 miglia nautiche. L'UB-48 aveva un dislocamento di 516 t in superficie e 651t in immersione. I suoi motori gli consentivano di viaggiare a 13,6 nodi in superficie e 8 nodi in immersione.
I sommergibili tedeschi classe “UB III”
I Type UB III erano una classe di sommergibili costruiti durante la prima guerra mondiale dalla Marina imperiale tedesca; trasportavano 10 siluri e di solito le unità erano armate con un cannone da ponte da 88mm. Avevano un'autonomia di 7.120–9.090 miglia nautiche. Tra il 1916 e il 1918 ne furono costruiti 96.
Il tipo UB III era un sottomarino costiero, ed essendo una torpediniera sommergibile era meno simile alle unità di "attacco" (cioè lanciasiluri) di tipo UB II che lo avevano preceduto rispetto al sottomarino posamine di tipo UC II di grande successo. Gli UC II si erano guadagnati la reputazione affondando più di 1.800 navi alleate e neutrali . Gli ingegneri tedeschi non persero l'occasione di espandere il potenziale di questo potente progetto incorporando alcune delle sue caratteristiche in una nuova torpediniera sommergibile.
Gli UB III si unirono al conflitto a metà del 1917, dopo che gli Stati Uniti dichiararono guerra alla Germania e la Marina degli Stati Uniti fu aggiunta al rango di nemico. Quando fu introdotto il sistema dei convogli, divenne più difficile ingaggiare le navi mercantili nemiche senza essere individuati dai cacciatorpediniere di scorta. Tuttavia, gli UB III eseguirono i loro compiti con distinzione, affondando 521 navi per un totale di 1.123.211 tonnellate di stazza lorda e 7 navi da guerra, inclusa la corazzata HMS Britannia, poco prima della fine delle ostilità.
Furono ordinati più di 200 UB III. Di questi, 96 furono completati e 89 entrarono in servizio nella Marina imperiale tedesca. Trentasette andarono perduti, quattro in incidenti. Le unità sopravvissute dovettero essere consegnate agli Alleati in conformità con i requisiti dell'armistizio con la Germania, alcune di queste prestarono servizio fino al 1935.
Il Trattato di Versailles vietava alla Germania di acquisire una nuova forza sottomarina, ma gli ammiragli tedeschi non avevano intenzione di permettere alla loro nazione di dimenticare come costruire i sommergibili. La Germania iniziò a produrre ed esportare versioni leggermente modificate degli UB II e UB III. Dopo aver affinato in questo modo le competenze dei loro ingegneri, alla fine ordinarono la costruzione di un nuovo smg. costiero. Il progetto risultante fu un UB-III migliorato che beneficiava di nuove tecniche di costruzione interamente saldate e di una serie di gadget elettronici ed elettromeccanici: nacque il sottomarino Tipo VII, l'U-boat più comune della Kriegsmarine.
Elenco dei sottomarini di tipo UB III:
Un totale di 96 sottomarini di tipo UB III entrarono in servizio operativo nella Marina imperiale tedesca durante la 1^ Guerra Mondiale:
SMUB -48 - SMUB -49 - SMUB -50 - SMUB -51 - SMUB -52 - SMUB -53 - SMUB -54 - SMUB -55 - SMUB -56 - SMUB -57 - SMUB -58 - SMUB -59 - SMUB -60 - SMUB -61 - SMUB -62 - SMUB -63 - SMUB -64 - SMUB -65 - SMUB -66 - SMUB -67 - SMUB -68 - SMUB -69 - SMUB -70 - SMUB -71 - SMUB -72 - SMUB -73 - SMUB -74 - SMUB -75 - SMUB -76 - SMUB -77 - SMUB -78 - SMUB -79 - SMUB -80 - SMUB -81 - SMUB -82 - SMUB -83 - SMUB -84 - SMUB -85 - SMUB -86 - SMUB -87 - SMUB -88 - SMUB -89 - SMUB -90 - SMUB -91 - SMUB -92 - SMUB -93 - SMUB -94 - SMUB -95 - SMUB -96 - SMUB -97 - SMUB -98 - SMUB -99 - SMUB -100 - SMUB -101 - SMUB -102 - SMUB -103 - SMUB -104 - SMUB -105 - SMUB -106 - SMUB -107 - SMUB -108 - SMUB -109 - SMUB -110 - SMUB -111 - SMUB -112 - SMUB -113 - SMUB -114 - SMUB -115 - SMUB -116 - SMUB -117 - SMUB -118 - SMUB -119 - SMUB -120 - SMUB -121 - SMUB -122 - SMUB -123 - SMUB -124 - SMUB -125 - SMUB -126 - SMUB -127 - SMUB -128 - SMUB -129 - SMUB -130 - SMUB -131 - SMUB -132 - SMUB -133 - SMUB -136 - SMUB -142 - SMUB -143 - SMUB -144 - SMUB -145 - SMUB -148 - SMUB -149 - SMUB -150 - SMUB -154 - SMUB -155.
DATI TECNICI del sommergibile “UB-48” (classe UBIII):
- Nome: UB-48
- Ordinato: 20 maggio 1916
- Costruttore: Blohm & Voss, Amburgo
- Costo: 3,276,000 Papiermark tedesco
- Numero di costruzione: 293
- Varo: 6 gennaio 1917
- Completamento: 11 giugno 1917
- Fu affondato a Pola il 28 ottobre 1918 in seguito alla resa dell'Austria-Ungheria.
- Dislocamento: 508 tonnellate in superficie, 641 tonnellate in immersione;
- Lunghezza: 55.30 m
- Larghezza: 5,80 m
- Scafo immerso: 3,68 m.
- Propulsione: 2 × alberi di trasmissione - Motore diesel a due cilindri a 2 tempi MAN 2x, 1.085 bhp (809 kW) - 2 × Motori elettrici Siemens-Schuckert, 780 shp (580 kW)
- Velocità:13,6 nodi in emersione, 8 nodi in immersione;
- Autonomia: 10.400 mi a 6 nodi in emersione
- Immersione di 55 nmi a 4 nodi;
- Profondità di prova: 50 m;
- Complemento: 3 ufficiali, 31 uomini;
- Armamento: Tubi lanciasiluri 5 × 50 cm (19,7 pollici) (4 a prua, 1 a poppa) per un totale di 10 siluri; - Cannone di coperta 1 × 88 mm;
- In servizio presso la II Flottiglia di Pola dal 2 settembre 1917 al 28 ottobre 1918;
- Comandante: Oblt.z.S. Wolfgang Steinbauer;
- Operazioni: In 9 pattugliamenti furono affondate 36 navi mercantili per 110.095 tsl e 8 navi mercantili danneggiate per 25.113 tsl; 1 nave da guerra danneggiata per 18.400 tonnellate.
- Entrò in servizio nella Marina Imperiale tedesca l'11 giugno 1917 come SM UB-48.
- Fu assegnato alla base navale di Pola e in seguito alla II Flottiglia di U-boat del Mediterraneo con sede a Cattaro.
- Il sommergibile UB-48 è stato uno dei più famosi U-boats in attività nel Mediterraneo.
Al battello fu assegnato il numero U-79 dalla Marina Austro-Ungarica. Fu affondato a Pola dopo la resa dell'Austria-Ungheria il 28 ottobre 1918.
Era un sottomarino di tipo tedesco UB III e fu ordinato data 20 maggio 1916 e costruito dai cantieri Blohm & Voss di Amburgo. Dopo meno di un anno di costruzione, fu varato ad Amburgo il 6 gennaio 1917.
Ai comandi dell’UB-48 fu assegnato il Comandante Wolfgang Steinbauer.
In data 4 ottobre 1917, il sommergibile comandato dal Oblt.z.S. Wolfgang Steinbauer, affondò il piroscafo “Città di Bari”, a bordo del quale trovò un tragico destino mio nonno paterno Pasqualino Vernì, soldato del “271° Battaglione della Milizia Territoriale”, dislocato sul fronte Macedone, al quale faceva ritorno dalla licenza durante la 1^ Guerra Mondiale.
IL TRAGICO EPILOGO DEL PIROSCAFO “CITTA’ DI BARI”, PORTO DI TARANTO – MAR PICCOLO, giovedì 4 ottobre 1917: Aria serena.
Giornata mite e piena di sole, che fa ben sperare; una bella giornata ottobrina. Il solito movimento del tempo di guerra, piuttosto ordinato e circospetto; il solito andirivieni tra le banchine del gran porto tarantino. Navi alla fonda, navi che vanno, navi che vengono; mercantili o da guerra. Ultimi controlli per i passeggeri pronti all’imbarco.
Attorno ad una, in particolare, ferve sin dal mattino un’insolita attività: si stanno mettendo a punto le ultime cose: fra le quali il funzionamento di un cannoncino da 76 m/m, di cui essa è stata dotata da poco; si stanno caricando le poche mercanzie, imbarcando, alla spicciolata, senza fretta alcuna, i pochi passeggeri, tutti militari, per la vicina Macedonia, via Grecia.
E’ il piroscafo “Città di Bari”.
Lo comanda un giovane ma esperto lupo di mare, un barese doc, credo, probabilmente parente stretto del defunto Pantaleo Castellano, un coraggioso di poche parole, concreto, essenziale, il capitano L.Castellano, coadiuvato da un eccellente equipaggio, composto, in gran parte, di pugliesi, se non di baresi – i Violante, p.e., i De Santis, i De Tullio, i Cassano, gli Introna, i Bottalico, i Bellomo, per dirne qualcuno. Chi ne volesse conoscere tutti i nomi, uno per uno, può scorrerne gli elenchi che noi alleghiamo in questo volume, sez. Documenti.
Prima dello scoppio della “Grande Guerra” il “Città di Bari” aveva solcato con dignità e onore l’Adriatico e lo Jonio, soprattutto, attivamente partecipando ai traffici commerciali che si svolgevano nei due mari e tenendo ben collegate tra di loro le sponde che ne erano bagnate.
Con l’entrata in guerra del nostro Paese, era stato requisito e, armato di cannone, dopo aver partecipato alle operazioni di salvataggio, da parte della Regia marina, dell’esercito Serbo-Montenegrino e di trasporto, da S.Giovanni di Medua a Brindisi, dei membri del governo slavo e del tesoro statale (come provano e documentano fonti italiane e britanniche pubblicate dalla Rivista Marittima del gennaio 2003, che qui di seguito vi mostriamo), veniva adibito ad “ausiliario” della Regia Marina Militare, nel servizio-postale e passeggeri, con partenza da Taranto, al giovedì, sulla linea Taranto – Gallipoli – Corfù – Patrasso.
E qui, proprio qui, su questo tratto, la malasorte volle che, nel viaggio che stiamo per raccontare, si compisse il suo tragico destino.
La partenza del “Città di Bari” da Taranto. L’arrivo e la sosta a Gallipoli. L’imbarco di civili greci. Il primo siluramento. Il secondo siluramento. L’ammutinamento dei greci. Il cannoneggiamento da parte del sommergibile siluratore. L’affondamento del piroscafo. La scomparsa del capitano comandante. Lo sbandamento dei naufraghi.
Lasciata Taranto nel pomeriggio di giovedì 4 ottobre, il “Città di Bari” giunse a Gallipoli (l’antica KalhpoliV, o “Città Bella”, fiorente centro commerciale affacciato sullo Jonio, a 38,5 Km. da Lecce), nelle prime ore della sera dello stesso giorno.
Era solo, senza scorta, avendo a bordo, oltre all’equipaggio civile composto di 40 persone e all’equipaggio militare di 11, soltanto 37 (o 35?) passeggeri militari del Regio Esercito (c’era tra questi mio nonno Pasquale, il padre di chi scrive, soldato del “271° Btg. Milizia Territoriale”, dislocato sul fronte Macedone, al quale faceva ritorno dalla licenza) e della Regia Marina ed un carico di 130 tonn. di viveri e materiali vari.
Pasqualino Vernì, il giorno delle nozze con Lucia Guglielmi.
“Quando il “Città di Bari” giunse a Gallipoli – narra nel suo interrogatorio l’Ufficiale di Porto – mi recai a bordo della nave, e il Capitano di questa, Luigi Castellano, mi chiese se il Piroscafo “Imera”, silurato due giorni prima, avesse avuto la scorta. Alla mia risposta negativa disse: “Chissà se per noi vi sarà la scorta”. Risposi che non sapevo, ma che però non lo credevo e, quindi, lo informai che i passeggeri da imbarcare superavano le cento unità.
Al mattino seguente informai il Comandante di Spiaggia delle parole scambiate col Capitano a riguardo della scorta. Il Comandante Stranges mi rispose di non avere facoltà di dare la scorta, ma che, se il Capitano l’avesse ufficialmente richiesta, avrebbe telegrafato a Taranto per l’autorizzazione. Mi recai nuovamente a bordo e riferii quanto sopra al Capitano, ma questi mi rispose che non voleva chiedere scorta per non far credere di avere paura. Se queste non furono le sue precise parole, certo il senso ne era equivalente.
Rimasi a bordo del Piroscafo tutto il pomeriggio e verificai se tutti avessero il salvagente e se lance e zattere fossero a posto, libere da impedimenti ed in numero sufficiente, del che ebbi anche assicurazione dal Capitano.
Non mi occupai, perché non di mia competenza, del ritiro delle armi dei passeggeri; per quanto mi consta, ciò non fu fatto né dell’Autorità di Pubblica Sicurezza, né da quella di bordo, né dagli Agenti della Regia Dogana.
Ritornai a terra mezz’ora prima della partenza e riferii al Comandante di Spiaggia che il Capitano non aveva creduto di chiedere la scorta.
Il “Città di Bari” partì regolarmente alle 18h,30m. A tenore delle norme vigenti, non feci alcun telegramma di partenza, però, in vista del rilevante numero di passeggeri, telegrafai subito ai Servizi Logistici che il Piroscafo era partito con 400 passeggeri”.
“Imbarcati, dunque, 405 passeggeri e come merci del vino e dei tessuti di cotone – scrive il Contrammiraglio Paladini – il Piroscafo lasciava, alle ore 18.30 del 5 ottobre, il porto di Gallipoli…
…La partenza del Piroscafo fu telegrafata al Ministero, al Dipartimento di Taranto ed al Comando in Capo dell’Armata di Taranto, con queste parole: “Piroscafo «Città di Bari» mare” – Nessun telegramma fu fatto invece ai Comandi Navali di Brindisi, Valona e Corfù”, perché, – si giustifica lo Stranges nel suo interrogatorio – nessun ordine di tale specie avevo per quanto riguarda la partenza per Corfù”. E nessuna scorta fu data al Piroscafo, perché, – sempre a dire dello Stranges – non avevo alcuna istruzione di fornire scorta per interi viaggi, perché il Città di Bari è partito dopo il tramonto, ma, soprattutto, perché il Capitano del Piroscafo si diceva riluttante a dar mostra di temere il pericolo”.
Trascorsero tranquille – scrive sempre il Paladini – le prime ore della notte”: notte di luna – ricordano i superstiti -; aria fosca; forte vento di E-NE che rendeva il mare agitato; visibilità scarsa.
Ma, attorno alla mezzanotte, tra le 23h,45m e le 24h, il marinaio Albano – che era di guardia al cannone, e qualche altro, videro passare di poppa la scia di un siluro. Avvisato, il Capitano della nave, si portò immediatamente sul posto, ma, non trovando conferma del lancio prospettatogli e non scorgendo alcun segno della presenza del sommergibile siluratore – (probabilmente perché questo si é affrettato a far perdere traccia di sé) – credette ad un abbaglio e tutto finì lì.
Invece abbaglio non era e l’Albano e gli altri avevano visto giusto.
E la conferma ce la dà il sopravvissuto – italiano o straniero? membro dell’equipaggio del «Città di Bari» o anonimo passeggero? – fatto prigioniero e condotto poi a Pola, del quale, però, la fonte austriaca non rivela il nome per ragioni di riservatezza.
Alle Autorità di marina che lo interrogavano, il sopravvissuto anonimo raccontò che quel primo lancio il sommergibile siluratore lo effettuò esattamente alle 2h,30m del mattino del 6 ottobre. (“Am 6 Oktober um 2 Uhr 30′ a.m.”, è scritto nel documento precitato) e che il “Città di Bari” rispose all’attacco sparando alcuni colpi di cannone – (“Antwortete mit seinen Kanonen”).
Veri o falsi, in tutto o in parte, questi particolari, sta di fatto che un primo siluro fu effettivamente lanciato contro il piroscafo italiano e che, probabilmente, l’U boot tedesco, andato a vuoto quel suo primo tentativo di siluramento, temendo la reazione del “Città di Bari”, sospese momentaneamente l’attacco per riprenderlo più tardi.
L’allarme, perciò, rientrò; la calma ritornò a bordo e tutti tirarono un sospiro di sollievo.
“L’aria era fosca ed un forte vento di E, NE rendeva il mare agitato. Le 4 erano passate da circa un quarto d’ora – racconta il 2° Ufficiale del Piroscafo – e mi trovavo in sala nautica allorché udii lo scoppio…
“Il tempo era quasi nuvoloso, tirava un vento moderato da scirocco ed il mare era mosso. Si diceva anche che era possibile qualche sorpresa all’alba. Alle 4h,10m circa, udimmo una forte esplosione”…- ricorda il 1° Ufficiale .
“Mi trovavo sul primo cassero, – narra a sua volta il direttore di macchina – passeggiavo tra l’osterigio di macchina e la sala nautica; erano passate da poco le 4h,00m allorché udii un colpo metallico fortissimo e vidi sollevarsi dall’osterigio di macchina un’alta colonna di acqua e vapore. Il siluro aveva colpito il bastimento proprio fra la caldaia e le macchine, che si fermarono immediatamente, insieme naturalmente alle due dinamo. Il bastimento rimase all’oscuro”.
“Svegliato dall’esplosione, – racconta, tra l’altro, Luigi Aleotti per prima cosa corsi abbasso nella stazione R.T. che si trovava proprio nel corridoio che univa la prima con la seconda classe: vidi tutti gli strumenti per terra e capii che la stazione non poteva più funzionare. In coperta la gente si agglomerava intorno alle sei imbarcazioni. Vi erano anche molte zattere, circa 16 in legno e sei od otto in ferro.
Il Comandante era sulla dritta e il capo timoniere sulla sinistra; ambedue cercavano di ottenere un po’ di calma, per effettuare ordinatamente il salvataggio, ma questo non fu possibile, data la resistenza armata dei Greci: gettavano gli zatteroni a mare senza ritenuta, facevano capovolgere le lance, venivano alle mani…”
“Intanto il bastimento si sbandò un poco a dritta, molto a sinistra, e quindi si immerse per circa due metri, rimanendo orizzontale. Una ventina di minuti dopo il siluramento – ricorda ancora il 2° Ufficiale -, arrivò la prima granata che cadde una ventina di metri a sinistra del bastimento. La seconda, credo colpisse il cannone di poppa. Seguirono altri colpi. Appena cominciato il fuoco, non fu possibile impedire alla gente di gettarsi a mare raggiungendo le zattere che, filate e senza ritenute, s’allontanavano dal bordo.”
“Svegliato dall’esplosione, – riferisce a sua volta il sottocapo cannoniere – corsi subito vicino al pezzo, ma non vidi nulla. Dopo un po’ scesi dalla tuga per cercare il capo timoniere ed il Comandante. Trovato il capo timoniere, andai con lui ad aiutare a mettere le zattere in mare.
Mentre facevo questa operazione, ho udito il primo colpo di cannone e visto il sommergibile al traverso a sinistra. Corsi subito a poppa, ma fui fermato dai Greci che non volevano si sparasse, temendo che il sommergibile, per rappresaglia, sparasse sulla gente a mare…
…Prima di buttarmi a mare – a bordo eravamo rimasti solo io e il sottocapo francese AUGER Renè – vidi i Greci che facevano segno al sottomarino con una camicia, affinché non sparasse più. Mi precipitai addosso e strappai loro la camicia…
All’ultimo momento i Greci ammainarono pure la bandiera italiana”.
“Restai a bordo fin quasi all’ultimo – ricorda VALENZO Pietro. Vidi all’inizio del bombardamento che dei Greci facevano segnale al sommergibile gridando: “Costantino”.
“Dopo una mezz’ora – racconta il marinaio cannoniere FAVAZZA Salvatore – il sommergibile emerse a circa 200 metri dalla poppa e cominciò a bombardare. Due colpi raggiunsero il fumaiolo ed uno colpì in prossimità della stiva prodiera. Durante il bombardamento (a base di granate incendiarie) solo io rimasi in prossimità del cannone. Poco dopo, però, me ne andai per mettermi al riparo. Il sottomarino, allora, si affiancò a dieci o quindici metri di distanza e mi si domandò in buon italiano dov’era il Comandante. Gli risposi che non c’era…”
“Nel frattempo il sommergibile si era avvicinato al Piroscafo e aveva sbarcato il radiotelegrafista dell’IMERA su una zattera – riferisce il 2° Ufficiale-. Tirò una cannonata sulla prua del Piroscafo al galleggiamento determinando l’affondamento”.
Colpito a morte, senza preavviso, da quindici granate incendiarie, l’ultima delle quali al bagnasciuga, tutte sparate tranne l’ultima, mentre la gente era ancora a bordo e cercava in tutti i modi e con tutti i mezzi di convincere gli artiglieri di bordo a non sparare contro il sommergibile e, alzando bandiera bianca e ammainando la bandiera italiana, quelli del sommergibile a non sparare sui passeggeri ancora presenti sulla nave, il “CITTA’ DI BARI”, lentamente affondò in fiamme – “…endlich sank das schiff in flammen”.
Trascinando con sé, in fondo al mare, uomini e cose e inabissandosi a 39° 20′ Lat.N., 19° 23′ Long.E. – rotta 107° magnetico da un punto 15 miglia a sud di S.Maria di Leuca – al largo dell’isoletta di Paxòs o Paxì, a sud di Corfù, nel mentre in cielo e sul mare già albeggiava e si scatenava un furioso temporale che durò tutta la notte.
Sfasciate le imbarcazioni per l’imperizia dei Greci che se n’erano impadroniti e che pagarono con la vita l’atto precipitoso, le zattere di bordo raccolsero i rimanenti passeggeri e affrontarono il viaggio della salvezza, che per i più non giunse mai.
Ma, quasi a rendere più intricata e drammatica la fase finale di questa angosciosa vicenda, ecco, fosco ed oscuro, il dramma personale del coraggioso sfortunato Capitano: non é presente fisicamente, come noi ci aspetteremmo, alla morte della sua nave.
Eppure, subito dopo l’esplosione del secondo siluro, molti lo hanno visto, lo hanno notato, mentre…
…si precipitava fuori (della cabina di comando) gridando: “Salvagenti a posto”! – deposizione del secondo ufficiale -;
…cercava di organizzare il salvataggio e infondere un po’ di calma” -(direttore di macchina)-;
…sulla dritta cercava di ottenere un po’ di calma per effettuare ordinatamente il salvataggio…, ma questo non fu possibile, data la resistenza armata dei greci –
…diceva all’artigliere: “Sono Capitano e la mia nave è stata già silurata. Non faccia fuoco, altrimenti sparano contro le zattere!” – (primo timoniere) -;…
…vedendo la nave sbandare a dritta in modo che giudicò pericoloso, ordinava: “Gente in riga e zattere e lance a mare!” – (primo ufficiale) -;…
Dopo tutto questo, il Capitano non si vede più, esce di scena, scomparendo proprio mentre ci si aspettava di vederlo, nel solco della tradizione marinara, fermo al suo posto di comando, andare coraggiosamente a fondo e morire insieme con la sua nave.
Secondo un testimone oculare, egli si gettò a mare. Infatti, il primo cameriere testimoniò: “Mi gettai a mare dopo il Comandante dal boccaporto n.2″.
Allora, gettatosi a mare, è per caso affogato? o, piuttosto, è sembrato gettarsi a mare, mentre, invece, vi cadeva accidentalmente probabilmente ferito a morte da…”quel colpo di rivoltella sparatogli contro dal basso da uno sconosciuto?”, come racconta nella sua deposizione il 2° Capo timoniere?.
Non lo sapeva chi gli stava dattorno, non lo sappiamo nemmeno noi.
Se, però, dobbiamo dar credito alla fonte austriaca, il capitano Castellano sarebbe morto di morte violenta, ucciso, con altri, durante la sommossa scoppiata a bordo del piroscafo in seguito alle prime cannonate sparate dal sommergibile.
Vera o falsa, questa versione, verosimili o inventati questi particolari, il mistero resta e ci è difficile svelarlo.
Quando, verso le ore 5.30 del mattino, la luce del giorno scese a illuminare questa parte del Mar Jonio, sulla scena del disastro non c’era più nulla ormai: non la snella mole della bella nave barese, sprofondata con tutto il suo carico negli abissi; non la sagoma scura del sommergibile tedesco, apparentemente assente, ma, di fatto, aggirantesi ancora minaccioso in quei paraggi; non le scialuppe di salvataggio, che, pur stracariche di naufraghi, vagavano sempre più lontane, alla deriva, facile preda delle onde, delle correnti e della forza dei venti.
“Nelle zattere si trovarono mescolati italiani e greci, che, numerosi, usarono soprusi e violenze, pestando coi piedi e ferendo di coltello e rasoio i nostri connazionali ed altri che si affollavano intorno alle già gremite imbarcazioni.”
Dura, lunga e faticosa fu la lotta dei naufraghi in una situazione oltremodo loro avversa, folle e vana la speranza di veder arrivare da un momento all’altro il soccorso liberatore: Corfù non sapeva; Taranto nemmeno. Finché, poi, qualcuno non darà l’allarme.
Nella notte, ad appena poche ore dall’affondamento, qualcuna delle zattere giunse anche a vedere in lontananza la terra della salvezza, …”ma il forte mare ci impedì assolutamente di avvicinarci a Fano, racconta un sopravvissuto.
I soccorsi. Il recupero e il ricovero dei naufraghi superstiti negli ospedali di Gallipoli e di Corfù. L’inchiesta. L’amaro bilancio. Considerazioni finali.
Nessun mezzo di soccorso videro i naufraghi durante tutto il giorno 6.
“Verso il mezzogiorno del 7 – appena due ore prima che fossero scoperti e tratti in salvo – calmatosi ormai il mare, abbiamo visto una leggera imbarcazione, una specie di caicco, contenente un greco. Un greco che era con noi allora abbandonò la nostra zattera e andò a parlare con quello. Ritornò poco dopo dicendo che quella imbarcazione non poteva salvarci”.
“Verso le prime ore del pomeriggio (del 7) apparve l’ESPERO”.
“Potevano essere le 2.00 del pomeriggio, allorché avvistammo un caccia ed un rimorchiatore”…credo che la nostra zattera sia stata l’ultima ad essere recuperata dall’ESPERO”.
“Alle 01.30 del giorno 7 – racconta il Comandante della Settima Squadriglia – ricevetti a Taranto un fonogramma che mi ordinava di accendere i fuochi per eseguire una missione.
Ricevetti solo verso le 3.00 le istruzioni scritte che dicevano:
di percorrere la rotta del Città di Bari che non era ancora giunto a Corfù. Dovevo continuare le ricerche fino al tramonto e passare la notte a Gallipoli.
Partii alle 3.30 da Taranto con una velocità di 20 miglia e seguii la rotta ordinatami… Avvistai la prima zattera verso le 2.05 / 2.10 del pomeriggio.
Questa conteneva tre o quattro uomini tra cui il 2° Ufficiale… Siccome sapevo che pure alla ricerca dei naufraghi si trovavano i C.T. “Pilo” e “Bronzetti”, feci loro un radiotelegramma, comunicandogli le coordinate geografiche del luogo ove mi trovavo. Infatti, dopo appena un quarto d’ora, essi arrivarono. Vennero altri due idrovolanti francesi che indicavano la posizione delle zattere. Continuai il salvataggio sino alle 16.45, raccogliendo ben 98 persone. Tra i salvati ve n’erano 97 della Città di Bari e uno R.T. dell’ “IMERA”. Avendo visto che vi erano dei feriti da coltello, ordinai il disarmo generale. Un greco, DEMETRE PRIFTIS, consegnò un rasoio insanguinato. A Gallipoli tutti i naufraghi ebbero assistenza.”
A loro volta, il “Pilo” e il “Bronzetti”, ne recuperarono altri 58 che provvidero a trasportare all’ospedale di Corfù.
“Di 493 persone che erano a bordo al momento della partenza da Gallipoli, – conclude malinconicamente nella sua relazione il Comandante della Divisione Base di Taranto – solo 156 si erano salvate e pure é certo che lo scoppio non può aver ucciso che, al massimo, una diecina di persone e che qualche altro può aver trovato la morte per aver battuto qualche forte colpo nel gettarsi in mare, forse tra questi ultimi il Capitano del piroscafo, del quale non si riuscì ad avere alcuna notizia dopo l’affondamento.”
Dunque, terminate le operazioni di ricerca e fatta la conta dei superstiti, all’appello risposero soltanto 156 persone – (160, secondo la fonte austriaca).
E le altre 337 o 368 o 560, o forse più? (se dobbiamo credere alla predetta fonte straniera).
Disperse. Morte. Tutte morte. Tutte finite in fondo al mare. Precipitatevi, non dalla nave che le trasportava, ma dalle scialuppe di salvataggio, in cui erano riuscite, bene o male, a trovar posto, prima che il “Città di Bari” affondasse. Precipitatevi da sole. Lasciatevisi andare così, con semplicità, quasi con un dolce senso di abbandono e di rassegnazione nel proprio destino. Uccise dagli stenti, dal maltempo, dalla violenza di prepotenti compagni di viaggio, dagli scoraggiamenti, dalla lunga attesa e permanenza in mare – durata, è incredibile, un giorno e mezzo! –
Ce ne parlano diffusamente, nelle loro deposizioni, i pochi fortunati superstiti. Basti leggere, come ha fatto l’orfano che scrive, – “ un groppo alla gola, l’occhio inumidito di pianto, il cuore in subbuglio ” – gli scioccanti racconti che i superstiti fanno alle autorità giudiziarie.
Vi trovi tutto:
- La logica perversa
- della guerra;
- L’imponderabilità;
- L’imprevedibilità, l’inevitabilità, la fatalità, – come si usa dire in certi casi – degli eventi;
- L’impotenza dell’uomo nella lotta contro le forze scatenate della natura;
- L’insano egoismo, che spesso scaccia vincendolo l’altruismo, e sempre alberga nel cuore dell’uomo – come inorridisce tutta quella violenza! come suonano male tutti quei “mors tua, vita mea”, lanciati dal fratello contro l’altro fratello, al momento del pericolo!;
- L’irresponsabilità, o la totale mancanza di senso di responsabilità, la superficialità, la leggerezza nel governare talune contingenze;
- La temerarietà di qualcuno – che – si badi – non è coraggio, ma audacia eccessiva, sconsiderata, irragionevole;
- L’incapacità, l’apatía o mancanza di “páthos”, in alcuni, la negligenza « nell’adempimento dei doveri del proprio ufficio », in altri: (“non si manda una nave allo sbaraglio, stracarica di passeggeri, sola, senza scorta, non ce se ne lava le mani, non la si lascia partire, ci si oppone, se non si vuole andare incontro a disastro sicuro…; bisognava riflettere, pensarci due volte, prima di…obbedire almeno alla legge del…buon senso; non….”).
Tutte cause o incidenze gravi, che hanno avuto un peso non indifferente nella dinamica dei fatti. Ove fosse stato possibile ridurne il malefico influsso, si sarebbe potuto almeno contenere, limitare, ridurre al minimo, le proporzioni di una “catastrofe annunciata”, che invece ebbe a costare la vita a un gran numero di persone.
Oltre 400, certamente. Forse 500. Forse anche di più.
La violenza, spesso senza volto e senza perché, era così diffusa, allora e dappertutto, che nessuno sapeva rinunciarci; e se ne ebbero i risultati!
Un vero disastro, torniamo a ripetere, una sciagura immensa, incredibile…
Non delle stesse proporzioni di quello lamentato nell’affondamento del “TITANIC” (1912), certo, o del “LUSITANIA”, il cui inabissamento, nel 1915, suscitò lo sdegno dell’opinione pubblica americana e contribuì ad orientarla in favore dell’entrata in guerra (nel 1917) degli Stati Uniti a favore dell’Intesa, ma pur sempre, enorme, raccapricciante, impressionante, che aveva chiaramente colpe ben definite.
Un disastro, nel vero senso della parola. Una strage, o carneficina se preferite.
Una tragedia che si poteva contenere, ridurre al minimo. Ma mancò l’impegno, la volontà di obbedire in pienezza di spirito e di partecipe generosità ai doveri precisi dello stato di ciascuno degli…addetti ai lavori.
Colpa anche della propaganda insidiosa che tanto male stava predicando ed inculcando, anche nei soldati di prima linea, forse! -. Mancò, infine quello spirito di solidarietà che fa grande un fratello al momento del bisogno.
E di scalpore e di impressione ne fece veramente tanta il malaugurato evento che ne rimasero giustamente preoccupati politici e militari, considerato anche e soprattutto, il grave momento in cui esso avveniva – si era, infatti, in un mese “caldissimo” della guerra in atto: nel fatale ottobre ‘17 -.
E, per far piena luce e chiarezza sulla triste vicenda e tacitare le coscienze turbate, usando prudenza, cautela e circospezione, il Ministero della Marina, aprì in tutta fretta un’ampia inchiesta: furono sentiti, in primo luogo i sopravvissuti (italiani e stranieri): i membri dell’equipaggio, gli artiglieri, i radiotelegrafisti, i passeggeri imbarcati, tutti i veri protagonisti insomma della vicenda. Furono ascoltati inoltre, come parte in causa, indiziati di reato, il Comandante in Capo del Dipartimento Militare Marittimo di Taranto, il Comandante in Capo dell’Armata R.N. “Trinacria”, il Comandante della Divisione Base di Taranto, il Comandante della Divisione Navale dello Jonio R.N. “Città di Catania”, il Comandante di Spiaggia di Gallipoli, il Commissario militare del piroscafo “Città di Bari”.
E, dopo due mesi circa di minuziose indagini, acclarata ogni cosa e individuati i veri responsabili del disastro, il Tribunale Militare emanò la sua sentenza: inflisse le pene che ciascuno si meritava, ma con mitezza, senza infierire contro nessuno.
Le sanzioni e i provvedimenti presi restarono però nel chiuso degli uffici, ammantati di discrezione e di riservatezza, mai svelati. Solo pochi conobbero le conclusioni della Giustizia. Esse non furono mai rese pubbliche “ per l’impressione ” si disse. Come non venne mai reso pubblico il numero preciso delle persone scomparse, tutte insieme, in uno stretto braccio di mare:
- morte,
- a due passi dalla salvezza, pensate!
- Sotto i nostri stessi occhi.
- Con la nostra stessa complicità.
- Come non pensare che essi, i morti, tutti quei morti, pesino, ancora oggi, sulla comune coscienza?
Le colpe, le responsabilità, stavano là e parlavano da sole e chiedevano giustizia, non vendetta, ma neppure dimenticanza.
L’autore della ricerca storica, il Prof. Giovanni Vernì, era mio padre…
Ripensare la guerra, e il suo posto
nella cultura politica europea contemporanea,
è il solo modo per non trovarsi di nuovo davanti
a un disegno spezzato
senza nessuna strategia
per poterlo ricostruire su basi più solide e più universali.
Se c’è una cosa che gli ultimi eventi ci stanno insegnando
è che non bisogna arrendersi mai,
che la difesa della propria libertà
ha un costo
ma è il presupposto per perseguire ogni sogno,
ogni speranza, ogni scopo,
che le cose per cui vale la pena di vivere
sono le stesse per cui vale la pena di morire.
Si può scegliere di vivere da servi su questa terra, ma un popolo esiste in quanto libero,
in quanto capace di autodeterminarsi,
vive finché è capace di lottare per la propria libertà:
altrimenti cessa di esistere come popolo.
Qualcuno è convinto che coloro che seguono questo blog sono dei semplici guerrafondai!
Nulla di più errato.
Quelli che, come noi, conoscono le immense potenzialità distruttive dei moderni armamenti
sono i primi assertori della "PACE".
Quelli come noi mettono in campo le più avanzate competenze e conoscenze
per assicurare il massimo della protezione dei cittadini e dei territori:
SEMPRE!
….Gli attuali eventi storici ci devono insegnare che, se vuoi vivere in pace,
devi essere sempre pronto a difendere la tua Libertà….
La difesa è per noi rilevante
poiché essa è la precondizione per la libertà e il benessere sociale.
Dopo alcuni decenni di “pace”,
alcuni si sono abituati a darla per scontata:
una sorta di dono divino e non,
un bene pagato a carissimo prezzo dopo innumerevoli devastanti conflitti.…
…Vorrei preservare la mia identità,
difendere la mia cultura,
conservare le mie tradizioni.
L’importante non è che accanto a me
ci sia un tripudio di fari,
ma che io faccia la mia parte,
donando quello che ho ricevuto dai miei AVI,
fiamma modesta ma utile a trasmettere speranza
ai popoli che difendono la propria Patria!
Violenza e terrorismo sono il risultato
della mancanza di giustizia tra i popoli.
Per cui l'uomo di pace
si impegna a combattere tutto ciò
che crea disuguaglianze, divisioni e ingiustizie.
Signore, apri i nostri cuori
affinché siano spezzate le catene
della violenza e dell’odio,
e finalmente il male sia vinto dal bene…
(Fonti: https://svppbellum.blogspot.com/, Web, Google, Ufficio Storico della Marina militare italiana, Ambasciata austriaca, Wikipedia, You Tube)