mercoledì 23 dicembre 2020

22.11.1975, A BORDO DELL’INCROCIATORE USS Belknap (CG-26) FU SFIORATO UN INCIDENTE NUCLEARE - LE CONSEGUENZE SULLE COSTRUZIONI NAVALI


Durante le esercitazioni aeree notturne del 22 novembre 1975 la portaerei USS John F. Kennedy (CV-67) e l'incrociatore USS Belknap (CG-26) entrarono in collisione in mare aperto a 112 chilometri (70 miglia) dalla Sicilia orientale. 
Il ponte di volo della portaerei tagliò la sovrastruttura della Belknap facendo scoppiare incendi sull'incrociatore, sul quale divampò un incendio fuori controllo per due ore e mezza.  Il comandante del Carrier Striking Force della Sesta Flotta statunitense a bordo della Kennedy avvisò i comandi superiori affermando che c'era "un'alta probabilità che armi nucleari (testate missilistiche W45 Terrier) sul Belknap fossero coinvolte in incendi ed esplosioni".  Alla fine il fuoco fu domato a pochi metri dal deposito di armi nucleari dell’incrociatore Belknap.


La classe Belknap era una classe di incrociatori lanciamissili della United States Navy, costituita da navi successive ma non derivate dalle precedenti Leahy, ed ebbe anch'essa nove unità normali più una nucleare che faceva classe a sé (classe Truxtun).
I Belknap avevano uno scafo simile a quello delle unità precedenti, ma più grande, con un altro bordo libero e un lungo ponte di coperta prodiero dove ospitare le armi principali.
Le sovrastrutture erano in questo caso suddivise in 2 blocchi anziché essere un tutt'uno, come nelle navi precedenti, e ciascuno dei blocchi possedeva un fumaiolo, su di cui erano poste le antenne dei radar. Le sovrastrutture, come accadeva per le navi moderne di questa generazione, erano prevalentemente in alluminio (anche la Leahy era così) ma non per risparmiare nel costo, ma nel peso complessivo in alto, in modo da non rendere le navi instabili (il momento meccanico dato dai radar sulle sommità delle antenne era, in rollio, molto consistente).
L'apparato motore, su 2 assi, verteva su di altrettanti gruppi di turboriduttori, sempre da 85.000 hp, come sulle Leahy, ma il disegno della carena deve esser migliorato perché adesso si potevano raggiungere addirittura i 34 nodi, la velocità più alta degli incrociatori postbellici statunitensi.
L'armamento era molto rimaneggiato, in quanto la rampa di lancio di poppa era sostituita da un cannone da 127mm, di cui si sentiva il bisogno, data la debolezza nel tiro anti-superficie dei 76mm, e un hangar per elicotteri. A prua non c'era più il lanciatore ASROC, ma la rampa Mk 10 aveva ora ben 60 missili, 20 dei quali ASROC e gli altri RIM-2 Terrier. Per il resto, rimanevano le 2 torri da 76 laterali e i 2 tls tripli da 324mm.
I sistemi di tiro erano un radar di controllo tiro cannoni, due radar di illuminazione per i missili. La scoperta aerea venne affidata a un apparato a lungo raggio bidimensionale e uno tridimensionale, sistemati su due grandi alberi dietro alla plancia e davanti all'hangar, per un elicottero.
La presenza di artiglieria di medio calibro e elicottero andò a discapito dell'armamento antiaereo, con il dimezzamento dei lanciamissili e radar relativi, il dimezzamento della cadenza di tiro, e soprattutto la riduzione del campo di tiro, poppiero, che i lanciamissili non ricoprivano più, come invece con i precedenti Leahy. La cadenza di tiro di 4 missili al minuto era troppo bassa per respingere attacchi aerei massicci, per giunta con un campo di tiro parziale.
La versione nucleare, chiamata USS Truxtun, era sensibilmente più pesante e grande, e con 60.000 hp dati dallo stesso apparato GE 2DG del Bainbridge, riusciva a raggiungere solo i 30 nodi.
Elenco delle navi della classe:
  • USS Belknap (CG-26)
  • USS Josephus Daniels (CG-27)
  • USS Wainwright (CG-28)
  • USS Jouett (CG-29)
  • USS Horne (CG-30)
  • USS Sterett (CG-31)
  • USS William H. Standley (CG-32)
  • USS Fox (CG-33)
  • USS Biddle (CG-34)
  • USS Truxtun (CGN-35), la versione nucleare, praticamente sperimentale, del progetto base.
In forza all'US Navy dalla metà degli anni sessanta, completando la linea di grandi navi missilistiche necessarie per rinnovare la flotta, i Belknap vennero usati ampiamente in Vietnam, forse anche per il loro cannone da 127mm.
Nel 1972, il 19 luglio, uno di loro, il Biddle, contrastò uno dei pochi attacchi aerei lanciati dalla piccola aviazione vietnamita, e pare che abbattesse 2 MiG su cinque che sopraggiungevano, colpendoli da 32 km di distanza. Dato che gli aerei volavano di notte, evidentemente tenevano una quota abbastanza elevata da essere ingaggiabili (si trattava forse di MiG-17) dai Terrier.
Poco prima, lo Sterett respinse un altro attacco vietnamita, asserendo di aver abbattuto 2 MiG da 27 e da 9 km, oltre che un missile antinave Styx. Non è chiaro come le cose si svolsero, anche in questo caso di notte, quel 19 aprile 1972, ma lo Sterett riuscì effettivamente a respingere l'attacco, sebbene non si abbiano conferme sui MiG e missili abbattuti.
I Belknap ebbero una parte importante anche nello sviluppo di nuove armi, per esempio il Wainwright venne usato per testare l'NTDS e i missili SM-2ER.
Lo stesso Belknap servì come ‘test’ in quanto esso venne gravemente danneggiato dalla collisione con la portaerei Kennedy nel 1975. Le fiamme che eruppero distrussero le sovrastrutture confermando, se ce n'era bisogno, che esse, costituite in alluminio, non erano idonee a contenere incendi di alcuna sorta. Nondimeno, nonostante il fatto che questa unità venisse devastata anche dal fatto che l'alluminio tende a bruciare oltre che a fondere, con le alte temperature, la nave venne ricostruita perché lo scafo era relativamente intatto, ancora in alluminio. In ogni caso, le navi successive ebbero almeno parte delle sovrastrutture in acciaio.
Infine, come la classe precedente, la Belknap ebbe (idem per il Truxtun) una dotazione di Ciws, Harpoon, elettronica migliorata tra gli anni settanta e ottanta. Ben meritata, considerando che in fondo l'avevano in larga misura sviluppata attraverso questa classe di navi. Anche queste unità vennero poste in ombra dalla presenza degli incrociatori AEGIS di nuova generazione, e agli inizi degli anni novanta vennero passate in riserva e poi radiate.
Le navi classe Belknap hanno avuto indubbiamente una carriera assai lunga e movimentata, con molte esperienze operative fatte e di grande interesse, ma bisogna dire che il loro disegno complessivo lascia aperti dei dubbi anche maggiore che nel caso dei Leahy.
Sebbene esse avessero un cannone di medio calibro e un hangar per elicotteri (e addirittura, drone, con siluri ASW che però negli ambienti molto elettromagnetici delle navi non ebbero fortuna ed affidabilità complessive), la mancanza della rampa di lancio poppiera costrinse ad affidare a quella prodiera tutti gli incarichi (era lo stesso modello di rampa Mk 10 del Vittorio Veneto italiano) della difesa aerea, con un numero dimezzato di missili, una cadenza di tiro dimezzata, un settore di tiro che, per quanto favorito dal lungo ponte di prua (visto che non v'era più nemmeno la rampa ASROC) era comunque parziale, un numero di radar di tiro pure dimezzato e messo in opera solo a prua.
Se quella rampa si guastava, cosa abbastanza comune all'epoca, praticamente tutto il potenziale di fuoco della nave, già insufficiente, si riduceva a 3 torrette d'artiglieria, un elicottero e due tls., davvero non molto confortevole, specie con gli originari Terrier, per affrontare un attacco aereo o missilistico di saturazione.

LA COLLISIONE TRA L’USS BELKNAP E LA USS JOHN F. KENNEDY

Come già detto, durante le esercitazioni aeree notturne del 22 novembre 1975, la portaerei USS John F. Kennedy (CV-67) e l'incrociatore USS Belknap (CG-26) entrarono in collisione in mare aperto a 112 chilometri (70 miglia) dalla Sicilia orientale. Il ponte di volo della portaerei tagliò la sovrastruttura della Belknap facendo scoppiare incendi sull'incrociatore, sul quale divampò un incendio fuori controllo per due ore e mezza.  Il comandante del Carrier Striking Force della Sesta Flotta statunitense a bordo della Kennedy avvisò subito il Comando della 6^ Flotta del Mediterraneo affermando che c'era "un'alta probabilità che armi nucleari (testate missilistiche W45 Terrier) sul Belknap fossero coinvolte in incendi ed esplosioni". Alla fine il fuoco fu fermato a pochi metri dal deposito di armi nucleari diell’incrociatore Belknap.
La USS JOHN F. KENNEDY (CV 67) e la USS BELKNAP si scontrarono di notte in mare aperto durante le esercitazioni aeree ad est della Sicilia. Il ponte di volo a sbalzo della portaerei tagliò la sovrastruttura dell'incrociatore facendo scoppiare incendi sulla BELKNAP che non vennero controllati per due ore e mezza a causa dei frequenti flareback.
A causa della presenza di armi nucleari a bordo di entrambe le navi, il comandante delle Carrier Striking Forces per la Sesta Flotta inviò al Pentagono un messaggio segreto sull'incidente delle armi nucleari (una "Broken Arrow"), mettendo in guardia contro "l'alta probabilità che le armi nucleari a bordo del BELKNAP (testate missilistiche W45 Terrier) fossero coinvolte in incendi ed esplosioni, ma non c'erano comunicazioni dirette con il BELKNAP in quel momento e non c'erano indicazioni positive che le esplosioni fossero direttamente collegate alle armi nucleari". Un'ora dopo l'invio del messaggio Broken Arrow fu inviata la USS CLAUDE V. RICKETTS (DDG 5), accanto al BELKNAP che lottava contro l'incendio, e confermò che il personale di BELKNAP assicurava che "non c'era pericolo di radiazioni a bordo".
Sette persone a bordo del BELKNAP ed una a bordo della KENNEDY persero la vita. Il marinaio a bordo del KENNEDY morì per inalazione di fumo entrando in un compartimento pieno di fumo senza attrezzatura specifica. Entrambe le navi ricevettero assistenza da altre navi: il BELKNAP aveva altre tre navi che l'aiutavano e la portaerei JFK ne aveva una.
La BELKNAP subì gravi danni, venne messa fuori servizio e rimorchiata negli Stati Uniti per effettuare riparazioni che durarono quattro anni. Le sovrastrutture distrutte della BELKNAP furono ricostruite presso il cantiere navale di Philadelphia dal 1978-80. L’incrociatore BELKNAP tornò quindi a far parte della flotta nel 1980.
Incendi minori e altri danni a bordo della USS KENNEDY vennero rapidamente contenuti e la portaerei continuò le operazioni.

I sette marinai uccisi a bordo della USS BELKNAP erano:
  • MM1 James W. Cass
  • MM2 Douglas S. Freeman
  • EM2 Michael W. Kawola
  • DS3 Gerald A. Ketcham
  • STG3 Brent W. Lassen
  • FA David A. Messmer
  • DS2 Gordon T. St. Marie.

I RIFLESSI DELL’INCIDENTE SULLE SUCCESSIVE COSTRUZIONI NAVALI ITALIANE E MONDIALI

Gli incrociatori classe Leahy e Belknap costituirono agli inizi degli anni ’60 il primo nucleo di moderni incrociatori lanciamissili; di fatto, segnarono un’epoca ed i loro concetti costruttivi influenzarono moltissimo la costruzione del Vittorio Veneto le cui sovrastrutture – originalmente un’evoluzione dei Doria, con un tentativo di adottare fumaioli con deflettori come allora di moda – vennero completamente ridisegnate, adottando tra l’altro la stessa soluzione “macks” (mast+stacks) che caratterizzò le ultime costruzioni Italiane con motrici a vapore.
A fine anni ’60 ed inizi anni ’70 la M.M. attraversava una gravissima crisi, con la necessità impellente di rinnovare la linea e la mancanza di fondi per un processo così radicale: la legge navale era ancora di là da venire ma la MMI stava già studiando quali potevano essere le “nuove” navi, mentre da parte loro i cantieri dovevano pensare finalmente ad una rivoluzione costruttiva.
Una rivoluzione che doveva anche riguardare i materiali: la costruzione dei smg. Toti e delle fregate Alpino, così come la necessità di adeguare le nuove unità alla guerra nucleare, biologica e chimica, avevano evidenziato gravi carenze nelle produzioni nazionali tanto di alcune componenti e macchine quanto di alcuni tipi di acciaio e di leghe leggere, con molti dubbi su queste ultime.
E’ noto che il progetto delle “fregate veloci da 2400T” (le future Lupo), venne più volte modificato; contrariamente a quanto si pensa non erano state progettate dai cantieri come l’evoluzione della classe Alpino: si trattava delle prime unità pensate e promosse per l’export come unità d’attacco, progettate intorno al sistema missilistico nave-nave “Otomat”.
Il mercato delle marine emergenti richiedeva unità di attacco, ed i Cantieri Navali del Tirreno Riuniti che affrontavano una durissima crisi, cercarono di inserirsi nel settore con una nuova unità di altura con capacità ogni tempo. Nella proposta si cercò di coinvolgere anche la MM italiana, consci che per essere credibile un prodotto deve prima di tutto essere adottato dalla “Marina di casa”. Nella stesura del progetto e nel programma che iniziò prima della legge navale, per la prima volta non si parlava di polivalenza e, stranamente, si abbandonava il concetto della componente elicotteristica imbarcata. A poppa delle nuove fregate doveva semplicemente essere configurata una piattaforma di appontaggio, con limitatissime attrezzature per rifornimento di un elicottero in operazioni.
Otre a quello delle unità di attacco si stava peraltro profilando anche un mercato internazionale in espansione che richiedeva la sostituzione delle navi della 2^ Guerra Mondiale cedute a suo tempo in conto MDAP (Mutual Defense Assistance Program) dagli U.S.A..
Si cominciò, con poco entusiasmo, a studiare per l’EXPORT una versione dotata persino di un piccolo hangar, riprendendo in qualche modo la soluzione della classe Alpino.
Tra i progettisti (MM e Cantiere) si accese un feroce confronto, sia riguardo alla necessità che non si trattasse solo di un’unità di attacco di elevato dislocamento sia riguardo agli esponenti di peso, per mantenere il dislocamento entro le 2400 T ed assicurare comunque una più vasta serie di missioni e sempre un’elevata velocità continuativa.
La soluzione tradizionale, più economica in termini di attrezzature ed esperienze acquisite, faceva propendere verso la classica soluzione con scafo in acciaio, sovrastrutture in lega (in uso presso tutte le marine), alcuni giovani progettisti, rendendosi conto che alcuni materiali e nuove soluzioni per l’industria automobilistica potevano anche essere adottati in campo navale, spingevano per una costruzione integralmente realizzata con acciai speciali. Nel pieno di questa diatriba e nelle aspettative di una legge navale che finalmente era stata formulata e permetteva varare un programma pluriennale e di un certo respiro, nella notte del 22 novembre 1975, al largo delle coste siciliane si verificò una collisione tra l’incrociatore statunitense Belknap e la portaerei JF Kennedy. Un incidente le cui analisi avrebbero avuto conseguenze immediate sui programmi navali italiani. Fu uno dei tanti incidenti che in ogni Marina hanno avuto protagoniste le portaerei, incidenti comuni quando un convoglio od un gruppo navale cambia rotta e le navi di scorta devono ricostituire lo schermo protettivo, anche con manovre che le portano ad incrociare le rotte di altre unità della formazione. Anche la MMI aveva avuto la collisione tra nave Etna e la fregata Castore. Si trattava di una normale attività di una Task Force USA in trasferimento in acque internazionali. Durante un cambio di rotta il Belknap, stando alla ricostruzione dei fatti, avrebbe dovuto scadere di poppa, defilando a lato della portaerei. Si può capire come manovre già rischiose di giorno, per la velocità e le distanze minime, sono ancora più pericolose di notte, con navi totalmente oscurate. Il cambio di rotta pare fosse motivato dalle operazioni di volo in corso sulla portaerei Kennedy, che andava a mettersi con la prua al vento.
Dell’incidente si tramandarono due versioni: una, immediata, diffusa dalla stampa, ed una, più verosimile, risultante dalle visite alle unità. Dissimili, anche nella indicazione del corso della nave, una attribuiva la collisione allo “sponson” della pista angolata, l’altra ad un elevatore velivoli, in ambedue i casi protuberanze notevoli dello scafo. Indipendentemente dall’origine, importavano la dinamica e le conseguenze: quando avvenne l’impatto per il defilamento troppo ravvicinato dell’incrociatore Belknap, la protuberanza assunse letteralmente il ruolo di un apriscatole in una latta di conserva: tagliò completamente le sovrastrutture di alluminio, all’altezza della prima tuga, compresi i “maks” (i complessi albero/fumaiolo), i condotti di scarico delle caldaie rimasero allo scoperto e furono uno degli inneschi dell’incendio. Le operazioni a bordo, durante l’evoluzione della portaerei, comportavano anche il trasferimento dall’hangar al ponte di volo dei velivoli e, secondo l’altra versione, disgrazia volle che in concomitanza con le evoluzioni delle navi uno degli elevatori fosse in posizione bassa, avendo appena ricevuto un Phantom, già rifornito, per trasferirlo sul ponte di volo, con l’inevitabile sversamento di combustibile avio dal velivolo, caduto sul Belknap, attizzando un furioso incendio. Le sovrastrutture del Belknap erano in lega leggera e non solo l’alluminio fonde a relativamente basse temperature, intorno ai 600°, ma di fronte ad opportuno innesco brucia a sua volta, generando temperature superiori a 2000° C.
L’innesco non fu solo l’alta temperatura dell‘incendio, ma la propagazione dello stesso alle munizioni di pronto impiego: un inferno di fuoco ad altissima temperatura inframezzato da esplosioni e schegge, che anche nel breve tempo del contatto danneggiò, anche se non gravemente, la portaerei. La combustione dell’alluminio è incontenibile con i normali mezzi, tra cui l’acqua, ed a poco servirono gli sforzi delle squadre antincendio di bordo, che comunque intervennero tempestivamente ed efficacemente.
Le operazioni di soccorso furono un esempio da manuale, il personale fu tempestivamente evacuato, salvo quello direttamente impegnato nelle squadre antincendio. Altre due unità di scorta, il caccia lanciamissili Claude V. Ricketts ed il caccia Fram Bordelon, si affiancarono ed imbarcarono il personale da evacuare mentre le loro squadre antincendio attaccavano le parti centrali del Belknap che il suo equipaggio non poteva raggiungere. Le misure di lotta antincendio, con il contenimento dello stesso sia da parte delle squadre rimaste a bordo sia delle unità a lato con il raffreddamento della parte centrale, si rivelarono efficaci ed un’esperienza preziosa, salvaguardando il deposito missili ed i deposti munizioni, tanto prodieri quanto poppieri.
La lezione fondamentale fu che malgrado le elevatissime temperature in coperta, con la letterale fusione delle tughe, il ponte stesso di coperta in acciaio riuscì a contenere il propagarsi dell’incendio, cosi come la compartimentazione sottostante in acciaio, ed i locali dell’apparato motore, anche nelle zone sottostanti l’incendio, risultarono accessibili e relativamente poco danneggiati. Altrettanto positiva la constatazione che malgrado i danni, in primo luogo alle caldaie, con la conseguente mancanza di vapore, sull’unità venne mantenuta l’alimentazione elettrica di emergenza che permise il funzionamento delle pompe, sia antincendio che di esaurimento. L’immediata reazione del personale di bordo ed il rapido e prolungato intervento dimostrarono quanto sia importante ed efficace il costante addestramento degli equipaggi, in condizioni reali di fuoco, cominciando presso i centri a terra. Furono attivati tutti i protocolli della US Navy, per la sicurezza delle unità e del munizionamento imbarcato, ma non i protocolli NATO, e non ci fu alcun coinvolgimento né di unità alleate né delle autorità italiane, salvo evidentemente le opportune allerte.
Il bilancio delle vittime fu minore di quanto mai si sarebbe potuto sperare: sette uomini del Belknap ed uno della Kennedy, e la nave non perse stabilità e non affondò.
Dopo due ore l’incendio era sotto controllo ed incominciarono le operazioni di presa a rimorchio e traino di quello che ormai era solamente un relitto.
Il personale evacuato dal Belknap fu poi trasferito sulla nave portamunizioni che serviva nella Sesta Flotta del Mediterraneo, che provvide anche ad imbarcare il munizionamento sbarcato dal relitto dell’incrociatore ed a rimpatriare immediatamente personale e materiali direttamente negli Stati Uniti. Appena si diffuse la notizia dell’incidente, la MMI si mobilitò immediatamente per offrire assistenza e concordare un porto su cui dirigere con il Belknap, ipotizzando che l’unità gravemente danneggiata potesse aver bisogno di riparazioni immediate in cantieri o arsenali nazionali. Tra gli ufficiali italiani che intervennero ce n’erano alcuni allora impegnati nella progettazione delle nuove unità: quando fu possibile ispezionare solo superficialmente il relitto, ci si trovò di fronte solo, per oltre metà della nave a poppavia della plancia, ad un solo ammasso di metallo fuso. Sarebbe stata difficile anche la semplice rimozione dei detriti di questa parte di nave. Si pensò che la nave sarebbe stata dichiarata perdita totale ed avviata, magari ancora in Mediterraneo, alla demolizione. L’orgoglio della US Navy non permetteva di radiare una nave in tal modo e la decisione fu che, malgrado le condizioni in cui era ridotto il Belknap, dopo la messa in sicurezza con lo sbarco delle munizioni ancora rimaste nei depositi  – che furono preservati dall’ incendio – e la sigillatura dei ponti, venisse trasferito a rimorchio sino agli Stati Uniti, dove, dopo una lunga sosta a Filadelfia, in attesa di valutarne la convenienza, venne ricostruito presso l’arsenale di Norfolk. L’operazione di messa in sicurezza condotta solo da mezzi e personale statunitensi riguardava anche e soprattutto l’armamento nucleare imbarcato. L’incidente permise anche di verificare, in condizioni reali purtroppo, che le procedure di sicurezza e di stoccaggio di tutto il munizionamento erano corrette ed erano state efficaci. Per quanto riguarda il ritorno dello scafo negli Stati Uniti ed il suo reimpiego, la definizione di “riparazione” riguarda pure dichiarazioni ed atti formali: si trattò in effetti di una nuova costruzione, atipica, da adibire a nave sede di comando complesso su cui venne sperimentata l’adozione dell’acciaio per le sovrastrutture. Una ricostruzione protrattasi a lungo, con il rientro in servizio nei primi anni ’80, partecipando ad eventi importanti come nave sede comando e di rappresentanza, per essere poi radiata nel 1995 ed affondata come nave bersaglio nel 1998.
Il Belknap era stato costruito, e bene come l’incidente comprovò, secondo i dettami originali di Gibs&Cox, che però non potevano per la loro epoca prendere in considerazione gli effetti di combustione di materiali inizialmente considerati ignifughi, come l’alluminio.

LE CONSEGUENZE PRATICHE

La MMI, di fronte ad un ripensamento mondiale sulle tecniche di costruzione e la scelta di nuovi materiali, era già pronta: per le nuove fregate da 2400 T l’adattamento fu rapidissimo e nel passaggio si modificò il disegno della parte poppiera, delle tughe e del ponte di coperta, inserendo un ricovero per l’elicottero che divenne componente imbarcata e la versione per esportazione più completa e più evoluta della versione originale italiana venne offerta da subito tutta in acciaio. La concorrenza diretta erano le fregate inglesi Type 21, classe Amazon, che furono surclassate dalle Lupo in ambito export, riprodotte in ben 14 esemplari (sarebbero state 20 se motivazioni politiche non avessero portato alla cancellazione dell’ordine per l’Argentina).
La scelta oculata della MMI ricevette la controprova con la guerra delle Falkland/Malvine: la perdita di 3 delle navi colpite dagli argentini, un Type 42, lo Sheffield, e due Type 21, era da imputarsi a queste modalità costruttive ed ai materiali impiegati. Subito dopo, anche l’US Navy decise di passare a sovrastrutture interamente in acciaio.
Con le ultime LCS e con i trasporti veloci, la marina statunitense ha di  nuovo trascurato l’esperienza acquisita e riportato i rischi praticamente indietro di 30 anni, come le perdite di ben tre unità nel corso della guerra dello Yemen ha nuovamente dimostrato.
Il BELKNAP imbarcava armi nucleari, come testate dei missili e cariche AS degli ASROC.  Come procedura codificata il contrammiraglio Eugene Carroll, che comandava la Task Force, informò i vertici della US Navy della possibilità che eventuali armi nucleari a bordo dell’incrociatore potessero essere interessate dall’incendio e dalle esplosioni avvenute in sequenza: in realtà non basta un incendio per provocare lo scoppio di cariche nucleari ed anche il rischio di contaminazione e radiazioni in quel contesto sarebbe stato contenuto. Le operazioni di messa in sicurezza del relitto, con il trasferimento di munizioni ed eventuali cariche direttamente su un trasporto munizioni per l’immediato rimpatrio negli Stati Uniti, evitò che ordigni nucleari non previsti transitassero sul territorio italiano. L’incidente venne rispolverato in un rapporto dell’Institute for Policy Studies e di Greenpeace, che asseriva come gli Stati Uniti avessero sempre avuto la politica di non confermare né smentire la presenza di armi atomiche su unità navali, pur evidenziando che “nell’ incidente siciliano non furono danneggiate armi nucleari”.
Nei documenti ufficiali, come quelli redatti dal Pentagono nel 1981 e nel 1986, quello del Belknap non è stato mai considerato come un incidente nucleare, ma solo un semplice incendio.



ENGLISH

During night air exercises on November 22, 1975, for example, the aircraft carrier USS John F. Kennedy (CV-67) and cruiser USS Belknap (CG-26) collided in rough seas 112 kilometers (70 miles) east of Sicily. The carrier’s flight deck cuts into the superstructure of the Belknap setting off fires on the cruiser, which burned out of control for two-and-one-half hours. The commander of Carrier Striking Force for the U.S. Sixth Fleet on board the Kennedy issues a Broken Arrow alert to higher commands stating there was a “high probability that nuclear weapons (W45 Terrier missile warheads) on the Belknap were involved in fire and explosions.” Eventually the fire was stopped only a few meters from Belknap’s nuclear weapons magazine.


USS JOHN F. KENNEDY (CV 67) and USS BELKNAP collide in rough seas at night during air exercises east of Sicily. The overhanging flight deck of the carrier cuts into the superstructure of the cruiser setting off fires on the BELKNAP which are not controlled for two-and-one-half hours on account of frequent flarebacks.
Because of the presence of nuclear weapons on board both ships the commander of Carrier Striking Forces for the Sixth Fleet sent a secret nuclear weapons accident message (a "Broken Arrow") to the Pentagon, warning of the "high probability that nuclear weapons aboard the BELKNAP (W45 Terrier missile warheads) were involved in fire and explosion but there were no direct communications with the BELKNAP at that time and no positive indications that explosions were directly related to nuclear weapons. An hour after the Broken Arrow message was sent the USS CLAUDE V. RICKETTS (DDG 5), alongside the BELKNAP fighting the fire, reported that BELKNAP personnel said "no radiation hazard exists aboard".
Seven people aboard BELKNAP and one aboard the KENNEDY are killed. The sailor aboard the KENNEDY died from smoke inhalation when he entered a smoke filled compartment without an OBA. Both ships got assistance from other ships: BELKNAP had three other ships helping her and the JFK had one.
The BELKNAP suffers serious damage, is put out of commission, and towed back to the US to effect repairs lasting four years. BELKNAP's destroyed superstructures were rebuilt at the Philadelphia Naval Shipyard from 1978-80. BELKNAP rejoind the fleet in 1980.
Smaller fires and other damage aboard USS KENNEDY are quickly contained and the carrier continues operations.


The seven sailors killed aboard USS BELKNAP are:
  • MM1 James W. Cass
  • MM2 Douglas S. Freeman
  • EM2 Michael W. Kawola
  • DS3 Gerald A. Ketcham
  • STG3 Brent W. Lassen
  • FA David A. Messmer
  • DS2 Gordon T. St. Marie.
The Belknap-class cruiser was a class of single-ended guided missile cruisers (their missile armament was installed only forward, unlike "double-ended" missile cruisers with missile armament installed both forward and aft) built for the United States Navy during the 1960s. They were originally designated as DLG frigates (destroyer leaders; the USN use of the term frigate from 1950 to 1975 was intended to evoke the power of the sailing frigates of old), but in the 1975 fleet realignment, they were reclassified as guided missile cruisers (CG).
When commissioned, the main armament of the Belknap class was a 5-inch/54-caliber Mk. 42 gun on the quarterdeck and a twin-rail RIM-2 Terrier Mk 10 Missile Launcher on the foredeck. The Mk 10 Mod 7 launchers in this class were also capable of launching RUR-5 ASROC to eliminate need for a separate Mk 112 ASROC launcher. These were unofficially spoken of as Ter/AS (tear-ass) launchers. The class was also equipped with two twin 3"/50 caliber guns for defence against sub-sonic aircraft. In the early 1980s, the Terrier missiles were replaced with RIM-67 Standard missiles; and during the NTU program in the late 1980s and early 1990s the class had its Standard SM-1 system upgraded to utilize SM-2ER Block II, the 3-inch guns were replaced with two 4 cell Harpoon Surface-to-surface missile launchers, and two Phalanx CIWS systems were installed.


The derivative USS Truxtun shared the weapons systems outfit of the Belknap class, but was nuclear-powered, larger and substantially unrelated in design (for example, many weapons systems in different locations, such as the aft-facing GMLS). Most information related to nuclear cruisers is still classified, but Truxtun appears to be more a Belknap-like derivative of the nuclear cruiser Bainbridge than the other way around.

(Web, Google, Wikipedia, Betasom, Italianshiplover, You Tube)
















































 

martedì 22 dicembre 2020

LoYakovlev Yak-28 (Russian: Яковлев Як-28)


Lo Yakovlev Yak-28 era un aereo da combattimento a turbogetto con ala a freccia progettato dall'ufficio tecnico Yakovlev e impiegato dall'Unione Sovietica a partire dai primi anni sessanta. Ideato inizialmente come bombardiere, fu realizzato anche in versioni da ricognizione e guerra elettronica, intercettore e aereo da addestramento, rispettivamente denominate con i nomi in codice NATO Brewer, Firebar e Maestro.


L'aereo nacque per rispondere all'esigenza della Voenno-vozdušnye sily, l'aeronautica militare sovietica, di dotarsi urgentemente di un bombardiere tattico supersonico. Fondamentalmente il progetto, denominato inizialmente Yak-129, venne impostato basandosi sul da poco disponibile motore Tumanskij R-11-300 e la struttura dello Yak-26. A causa delle maggiori dimensioni del motore, rispetto al precedente Tumanskij RD-9 che equipaggiava i velivoli della Yakovlev, fu necessario riprogettare l'ala che doveva anche essere aerodinamicamente compatibile con le nuove prestazioni di velocità.
Vennero costruiti 3 prototipi, due dei quali ottenuti dalla modifica di Yak-26 esistenti. La soluzione per l'ala scelta fu di adottare una configurazione ad ala alta con freccia di 45 gradi. Il primo prototipo della famiglia di velivoli volò per la prima volta il 5 marzo 1958 e, stante la pressante esigenza della aeronautica sovietica di avere in dotazione un aereo dalle caratteristiche supersoniche che i prototipi dimostrarono di possedere, venne celermente data l'autorizzazione alla produzione, malgrado i problemi iniziali, particolarmente quelli legati alla immaturità del nuovo motore. Lo Yak-28 cominciò ad entrare in servizio nel 1960.
Fu notato dagli osservatori occidentali per la prima volta alla parata aerea di Tushino in occasione della Giornata delle Forze Aeree Sovietiche del 1961. Gli analisti occidentali lo ritennero inizialmente un aereo da caccia piuttosto che un aereo da attacco ed una evoluzione dello Yak-25M. Di conseguenza gli fu assegnata una denominazione con iniziale F, Flashlight. Quando in seguito si comprese il ruolo di impiego reale come bombardiere, si sostituì il nome con Brewer.
La produzione totale di Yak-28 è stata di 1180 esemplari. Lo Yak-28P fu ritirato dal servizio nei primi anni ottanta, ma le versioni da addestramento e altre derivate continuarono a essere utilizzate fin dopo la caduta dell'Unione Sovietica, almeno fino al 1992. La versione da ricognizione e ECM del Brewer fu alla fine sostituita da varianti del Sukhoi Su-24 Fencer.


Versioni:
  • Yak-28 - (nome in codice NATO Brewer-A e Brewer-B) - Bombardieri tattici dotati di naso finestrato per il navigatore-bombardiere, carico bellico interno di 3000 kg, cannone anteriore (inizialmente il 23 mm NR-23, in seguito il GSh-23L a due canne) e piloni alari per bombe supplementari o pod per razzi. Gli originali Brewer-A e Brewer-B non entrarono in produzione di serie.
  • Yak-28B - (Brewer-C) - Bombardiere tattico. Primo modello prodotto in serie. Modificato rispetto ai precedenti nel disegno sia per le prese d'aria allungate che per la postazione del navigatore ridisegnata. Importante variazione ai sistemi imbarcati è stata l'adozione del radar di puntamento RBP-3.
  • Yak-28L, Yak-28I, Yak-28BI - Bombardieri tattici. La versione L del 1961 era dotata di un nuovo sistema radar di puntamento Lotos. L'evoluzione successiva fu la I prodotta dal 1962. Dotata del radar Initiativa e con i motori R-11AF2-300 da 61 kN di spinta. Alcuni Yak-28B furono aggiornati allo standard Initiativa e ridesignati Yak-28BI.
  • Yak-28RR - Versione ottenuta da Yak-28L modificati per la misura della contaminazione radioattiva attraverso pod subalari con prese d'aria per il prelevamento di campioni..
  • Yak-28R - (Brewer-D) - Versione dedicata per la ricognizione. Manteneva il naso vetrato, ma installava un radar di ricerca supplementare con radome ventrale.
  • Yak-28PP - (Brewer-E) - Versione modificata del Brewer-C per la guerra elettronica. Imbarcava nel vano di carico gli apparati per misure e jamming, mentre i pod venivano lasciati a disposizione per serbatoi supplementari di carburante o per razzi. I primi Yak-28PP potrebbero aver mantenuto il cannone, che fu in seguito rimosso dalla configurazione.
  • Yak-28U - (Maestro) - Versione da addestramento ottenuta con l'aggiunta di una cabina posteriore per l'istruttore.
  • Yak-28P - (Firebar) - Versione intercettore a lungo raggio sviluppata nel 1965. La baia di carico venne rimpiazzata da serbatoi di carburante più grandi che portavano ad una autonomia considerevole per i tempi. In effetti la quantità di carburante da imbarcare era limitata dal peso massimo e non dai volumi. Aggiunto un nuovo radar per l'intercettazione 'Oriol-D' compatibile con il missile aria-aria R-98 (AA-3 'Anab'). Il cannone venne rimosso anche da questa configurazione.
  • Yak-28PM - Versione speciale per record equipaggiata con motori con postbruciatore. Raggiunse i 2400 km/h.

Cultura di massa

In ambito videoludico, lo Yak-28 compare nel videogioco Deadly Skies III (in versione L).

Utilizzatori:
  • Russia - Voenno-vozdušnye sily Rossijskoj Federacii
  • Unione Sovietica - Voenno-vozdušnye sily - Vojska PVO
  • Ucraina - Viys'kovo-Povitriani Syly Ukrayiny - 35 aerei.


ENGLISH

The Yakovlev Yak-28 (Russian: Яковлев Як-28) is a swept wing, turbojet-powered combat aircraft used by the Soviet Union. Produced initially as a tactical bomber, it was also manufactured in reconnaissance, electronic warfare, interceptor, and trainer versions, known by the NATO reporting names Brewer, Firebar, and Maestro respectively. Based on the Yak-129 prototype first flown on 5 March 1958, it began to enter service in 1960.





Design and development

The Yak-28 was first seen by the West at the Tushino air show in 1961. Western analysts initially believed it to be a fighter rather than an attack aircraft—and a continuation of the Yak-25M—and it was designated "Flashlight". After its actual role was realized, the Yak-28 bomber series was redesignated "Brewer".
The Yak-28 had a large mid-mounted wing, swept at 45 degrees. The tailplane set halfway up the vertical fin (with cutouts to allow rudder movement). Slats were fitted on the leading edges and slotted flaps were mounted on the trailing edges of the wings. The two Tumansky R-11 turbojet engines, initially with 57 kN (12,795 lbf) thrust each, were mounted in pods, similar to the previous Yak-25. The wing-mounted engines and bicycle-type main landing gear (supplemented by outrigger wheels in fairings near the wingtips) were widely spaced, allowing most of the fuselage to be used for fuel and equipment. It was primarily subsonic, although Mach 1 could be exceeded at high altitude.
Total production of all Yak-28s was 1,180.


Operational history

The aircraft is perhaps best known for the heroic actions of Captain Boris Kapustin and Lieutenant Yuri Yanov after the Yak-28 they were piloting suffered a catastrophic engine malfunction on 6 April 1966. They were ordered to divert to attempt a landing in Soviet zone of Germany, but lost control of the aircraft and strayed into the airspace of West Berlin. The crew managed to avoid a housing estate but crashed into Lake Stößensee without ejecting. Their bodies, along with the wreckage, were raised from the lake by Royal Navy divers (flown in from Portsmouth) and salvage specialists, who also retrieved important top secret material from the plane. This included the engines, which were taken to RAF Gatow to be inspected by RAF and American engineers. The bodies of the two pilots were returned to the USSR with full military honors from both Soviet and British armed service members, and they were both posthumously awarded the Order of the Red Banner. The first engine was recovered on 18 April 1966 and the second a week later; both engines were returned to the Soviets on 2 May 1966.
The Yak-28P was withdrawn in the early 1980s, but trainer and other versions remained in service until after the fall of the Soviet Union, flying until at least 1992. The reconnaissance and ECM aircraft were eventually replaced by variants of the Sukhoi Su-24.

Variants

Yak-129
Prototype of Yak-28.

Yak-28 (Izdeliye B)
Tactical bomber. Initial production version; built in small numbers without radar.

Yak-28B (Izdeliye 28B; NATO reporting name: "Brewer-A")
Production of Yak-28 with weapon-aiming radar fitted, and various improvements such as fittings for JATO bottles. Production number unknown.

Yak-28L (Izdeliye 28L; NATO reporting name: "Brewer-B")
Tactical bomber with ground-controlled targeting system using triangulation from ground-based transmitter sites. A total of 111 built.

Yak-28I (Izdeliye 28I; NATO reporting name: "Brewer-C")
Tactical bomber with the internal targeting system "Initsiativa-2" 360-degree ground-mapping radar. A total of 223 built.

Yak-28UVP prototype (ookorochennyy vzlyot i posahdka – short takeoff and landing)
A single Yak-28 converted for testing short takeoff and landing techniques with JATO bottles and braking parachutes.

Yak-28U (Izdeliye 28U) (oochebnyy – training) (NATO reporting name – "Maestro")
It was a dual control trainer with a second cockpit in the nose for student pilots; made as a prototype in 1962. A total of 183 were built.

Yak-28R (Izdeliye 28R; NATO reporting name: "Brewer-D")
A dedicated tactical reconnaissance version of the Yak-28I, with increased headroom under the pilot´s canopy, increased nose glazing with a sloping rear bulkhead, Initsiativa-2 radar, and five interchangeable pallets containing various mission equipment fittings. Prototype in 1963. A total of 183 built.

Yak-28SR prototype (samolyot raspylitel – spraying/dusting aircraft) first use of SR.
Chemical warfare aircraft for dispensing dust or liquid agents from underwing tank/applicators. Though recommended for production none were delivered to the VVS.

Yak-28SR (Izdeliye 28SR) second use of SR.
Tactical reconnaissance aircraft fitted with an active radio/radar jammer (either SPS-141 or SPS-143). Production was on a very small scale.

Yak-28TARK (televiszionnyy aviatsionnyy razveddyvatel'nyy kompleks)[4]
Television reconnaissance system to send real-time images to a ground base. Backup provided by a 190 mm focal length still camera.

Yak-28RR (Izdeliye 28RR)
Radiation intelligence aircraft with RR8311-100 air sampling pods, for gathering samples of nuclear tests. The pods were specially designed for the Yak-28RR but became standard fit for all subsequent radiation intelligence gathering aircraft. Modification of a number of existing Yak-28R aircraft.

Yak-28RL
Radiation Intelligence aircraft conceived by fitting RR8311-100 air sampling pods, with no other specialist equipment. Modification of a number of existing Yak-28L aircraft.

Yak-28PP (Izeliye 28PP) (NATO reporting name – "Brewer-E")
Deployed in 1970, it is notable as the first Soviet electronic countermeasures (ECM) aircraft. It was unarmed, with an extensive electronic warfare (EW) suite in the bomb bay and various aerials and dielectric panels for transmitting the jamming signals. Excess heat generated by the jamming equipment was dissipated by heat exchangers under the centre fuselage; it did not include a radome. Produced in the 1970s in unknown numbers.

Yak-28VV proposition (vertikahl'nyy vzlyot – vertical take-off)
A vertical takeoff and landing project, with two R-27AF-300 lift/cruise engines and four R39P-300 lift engines in the forward fuselage.

Yak-28LSh proposition
Light attack aircraft project competing with the Ilyushin Il-102 and Sukhoi T-8, eliminated at an early stage.

Yak-28P (Izdeliye 40) (NATO reporting name – "Firebar")
A dedicated long-range interceptor version, the Yak-28P was developed from 1960 and deployed operationally from 1964. It omitted the internal weapons bay in favor of additional fuselage tanks (its fuel capacity was considerable, limited by weight rather than volume), and added a new 'Oriol-D' interception radar compatible with the R-98 (AA-3 'Anab') air-to-air missile. Late production "upgraded" Yak-28Ps had a longer radome of pure conical shape and enhanced armament. Produced until 1967, with 435 built.

Yak-28PM prototype
Upgraded Yak-28P with R11AF3-300 engines, flight testing started in 1963 but development abandoned when the R11AF3-300 did not enter production.The re-engined "PM" modification has established a speed record of 2,400 km/h in 1963.

Yak-28URP prototype
High altitude interceptor prototype using a rocket engine to boost performance during the interception phase.

Yak-28-64 prototype
Extensively redesigned Yak-28P with Tumansky R-11F2-300 engines moved to the rear fuselage with intakes extending to the cockpit, intended to compete with the Sukhoi Su-15. Performance was very disappointing, being slower than the Yak-28P, and serious aileron reversal issues caused the abandonment of the Yak-28-64.

Operator:
  • Russia - Russian Air Force
  • Soviet Union - Soviet Air Force - Soviet Anti-Air Defense
  • Turkmenistan - Military of Turkmenistan
  • Ukraine - Ukrainian Air Force operated 35 aircraft.

Specifications (Yak-28P)

General characteristics:
  • Crew: 2
  • Length: 21.6 m (70 ft 10 in)
  • Wingspan: 12.5 m (41 ft 0 in)
  • Height: 3.95 m (13 ft 0 in)
  • Wing area: 37.6 m2 (405 sq ft)
  • Empty weight: 9,970 kg (21,980 lb)
  • Gross weight: 15,000 kg (33,069 lb)
  • Max takeoff weight: 20,000 kg (44,092 lb)
  • Powerplant: 2 × Tumansky R-11 afterburning turbojet engines, 46 kN (10,000 lbf) thrust each dry, 62 kN (14,000 lbf) with afterburner.

Performance:
  • Maximum speed: 1,840 km/h (1,140 mph, 990 kn)
  • Range: 2,500 km (1,600 mi, 1,300 nmi)
  • Service ceiling: 16,750 m (54,950 ft)
  • Wing loading: 531 kg/m2 (109 lb/sq ft)
  • Thrust/weight: 0.62.

Armament:
  • 2 × R-98M (AA-3 'Anab') air-to-air missiles, usually one R-98TM infrared and one R-98RM semi-active radar homing
  • 2 × K-13A (AA-2 'Atoll') short-range missiles (occasionally fitted).

(Web, Google, Wikipedia, You Tube)