domenica 26 marzo 2023

1928 - 2028: LA GENESI E LO SVILUPPO TECNOLOGICO DELLE PORTAEREI ITALIANE






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Una portaerei è una nave da guerra il cui ruolo principale è il trasporto in zona di operazioni, lancio e recupero di aeroplani, agendo in effetti come una base aerea capace di muoversi in mare. Le portaerei permettono pertanto a una forza navale di proiettare la propria potenza aerea fino a grandi distanze senza dover dipendere da basi terrestri locali per gli aerei.
Le marine moderne che operano con portaerei, le utilizzano come nucleo della flotta, un ruolo giocato in precedenza dalle corazzate. Il cambiamento iniziò con la crescita della potenza aerea come parte significativa della guerra ed avvenne durante la seconda guerra mondiale. Le portaerei prive di scorta sono considerate vulnerabili ad attacchi da altre navi, aerei, sottomarini o missili e pertanto viaggiano come parte di un gruppo da battaglia di portaerei.


Storia

Genesi

Con lo sviluppo degli aeroplani all'inizio del XX secolo le varie marine iniziarono ad interessarsi al loro potenziale uso per missioni di ricognizione per le loro corazzate. Vennero effettuati diversi voli sperimentali per testare l'idea. Eugene Ely fu il primo pilota a decollare da una nave stazionaria nel novembre 1910. Decollò da una struttura installata sul castello di prua dell'incrociatore corazzato USS Birmingham a Hampton Roads, Virginia ed atterrò a Willoughby Spit dopo circa cinque minuti di volo. Il 18 gennaio 1911 divenne anche il primo pilota ad atterrare su una nave stazionaria. Decollò dalla pista di corse di Tanforan ed atterrò su una struttura temporanea installata sulla poppa dell'USS Pennsylvania ancorato sul fronte del porto di San Francisco - il sistema di frenaggio improvvisato di sacchi di sabbia e di corde è l'antenato del dispositivo formato dal gancio d'appontaggio e di funi d'arresto descritti in seguito. Il Capitano di fregata Charles Samson, divenne il primo pilota a decollare da una nave in movimento il 2 maggio 1912 decollando a bordo di un Short 27 dalla nave da guerra HMS Hibernia mentre questa viaggiava a 10.5 nodi (19 km/h) durante la Rivista della Royal Fleet a Weymouth.
La HMS Ark Royal non fu la prima portaerei. Venne originariamente progettata come nave mercantile, ma durante la costruzione venne convertita per essere trasformata in una nave appoggio idrovolanti (cosa ben diversa da una portaerei). Varata nel 1914, servì nella Campagna dei Dardanelli e durante la prima guerra mondiale.

Prima guerra mondiale

Il primo attacco lanciato da una portaerei contro un bersaglio terrestre avvenne il 19 luglio 1918. 






Sette Sopwith Camel decollati dalla HMS Furious la prima portaerei, perché gli aerei potevano decollare ed atterrare sul ponte di volo situato a prua, attaccarono la base di Zeppelin tedesca di Tondern con due bombe da 25 kg ognuna. Diversi dirigibili e palloni aerostatici vennero distrutti, ma poiché il Furious non aveva metodi per recuperarli in sicurezza due piloti eseguirono un atterraggio d'emergenza in mare, a fianco del Furious, mentre i rimanenti si diressero verso la neutrale Danimarca. Nel frattempo la Germania cercava di convertire il mercantile veloce Ausonia (una nave italiana da 12.000 ton. circa che era stata varata alla fine del 1914 ad Amburgo) in una nave ibrido porta aerei-porta idrovolanti, con 20-30 apparecchi e 20 nodi circa di velocità. La fine della guerra pose fine al progetto, a cui, per altro, era stata data una scarsa priorità.

Tra le due guerre mondiali

Successivamente alla prima guerra mondiale, il Trattato navale di Washington del 1922 impose alle maggiori potenze navali stretti limiti sul tonnellaggio di corazzate e incrociatori, così come un limite sul tonnellaggio totale delle portaerei ed un limite massimo di 27.000 ton per ogni nave. Sebbene venissero fatte alcune eccezioni riguardo al tonnellaggio massimo di singole navi, i limiti sul tonnellaggio totale di ogni tipo di nave non potevano essere ecceduti. Di conseguenza molte corazzate o incrociatori in corso di costruzione (o in servizio) vennero convertite in portaerei. 



La prima nave ad avere un ponte piatto lungo tutta la sua lunghezza fu la HMS Argus, il transatlantico italiano Conte Rosso modificato a uso militare durante la Prima Guerra Mondiale, la cui conversione venne completata nel settembre 1918.
La prima nave specificatamente designata come portaerei ad entrare in servizio fu la giapponese Hōshō nel 1922. La britannica HMS Hermes entrò in servizio l'anno successivo, sebbene la sua costruzione fosse iniziata prima di quella della Hōshō.
Alla fine degli anni 1930, le portaerei in attività nel mondo imbarcavano di solito 3 tipi di aerei: aerosiluranti, usati anche per missioni di bombardamento e di ricognizione; bombardieri in picchiata usati anche per missioni di ricognizione (nella US Navy questi aerei erano chiamati "scout bombers"); e caccia per missioni di difesa della flotta e di scorta dei bombardieri. A causa delle restrizioni di spazio i modelli imbarcati erano piccoli, monomotore, di solito con ali pieghevoli per facilitare lo stivaggio.
Le portaerei volanti erano dirigibili equipaggiati per il trasporto e lancio di aeroplani. Come per esempio l'USS Akron e l'USS Macon. Vedi Caccia parassiti su dirigibili.

Seconda guerra mondiale

Le portaerei giocarono un ruolo significativo nella seconda guerra mondiale. All'inizio della guerra, con un totale di sette portaerei in attività la Royal Navy aveva un vantaggio numerico considerevole sugli italiani e sui tedeschi, che non ne possedevano alcuna. Comunque la vulnerabilità delle portaerei all'attacco delle corazzate venne rapidamente dimostrata dall'affondamento della HMS Glorious da parte di incrociatori da battaglia tedeschi durante la campagna norvegese del 1940.
Questa apparente debolezza nei confronti delle corazzate venne capovolta nel novembre 1940 quando la HMS Illustrious lanciò un attacco a lungo raggio contro la flotta italiana ancorata nel porto di Taranto. Questa operazione affondò una corazzata e ne mise fuori servizio altre due al costo di soli due dei 21 aerosiluranti Fairey Swordfish attaccanti. Le portaerei giocarono anche un ruolo fondamentale nel rinforzare Malta, sia trasportando aerei, che difendendo convogli di rifornimenti inviati all'isola. L'uso delle portaerei impedì alla Regia Marina ed all'aviazione terrestre tedesca di dominare il teatro del mediterraneo.



Nell'oceano Atlantico la HMS Ark Royal e la HMS Victorious ebbero il compito di rallentare la Bismarck nel maggio 1941. Successivamente durante la guerra le portaerei scorta dimostrarono il loro valore sorvegliando i convogli che attraversano l'oceano Atlantico e artico.
Basandosi sullo sviluppo nel 1939 dei siluri lanciati da aerei, con corsa a bassa profondità e sull'esempio britannico della Notte di Taranto, l'attacco giapponese contro Pearl Harbor fu un chiaro esempio della capacità di proiezione del potere permesso da una grande flotta di portaerei. Simultaneamente all'attacco i giapponesi iniziarono un'avanzata lungo tutta l'Asia sudorientale e l'affondamento della Prince of Wales e del Repulse da parte di aerei giapponesi decollati da terra dimostrarono ulteriormente il bisogno di questo tipo di navi per fornire copertura aerea. Nell'aprile 1942 la Japanese Fast Carrier Strike Force operò nell'Oceano Indiano affondando navigli, comprese la portaerei sottoriparata e sottoprotetta HMS Hermes. Le flotte alleate più piccole, sprovviste di un'adeguata copertura aerea furono forzate a ritirarsi o vennero distrutte. Nella battaglia del Mar dei Coralli le flotte americane e giapponesi si scambiarono attacchi aerei nella prima battaglia nella quale nessuna nave entrò nel raggio visivo di una nave avversaria. La battaglia delle Midway, dove aerei decollati da tre portaerei americane affondarono con un attacco a sorpresa quattro portaerei giapponesi è considerato il punto di svolta della guerra nel Pacifico.
Successivamente gli Stati Uniti crearono una diversificata flotta di portaerei leggere e di flotta, che giocarono un ruolo fondamentale nel vincere la guerra nel Pacifico. L'eclissi delle corazzate come componenti primarie della flotta venne chiaramente illustrata nel 1945 dall'affondamento della più grande nave da battaglia mai costruita, la Yamato, ad opera di aerei decollati da portaerei. Il Giappone costruì anche la più grossa portaerei della guerra, la Shinano. Significativamente si trattava della conversione di una nave inizialmente prevista come corazzata classe Yamato, una riprova di quale tipo di nave fosse più importante e prestigioso nelle nuove flotte che si combattevano nell'Oceano Pacifico.
L'esperienza di combattimento dimostrò che l'invenzione inglese dell'hurricane bow (le strutture dello scafo vennero prolungate fino al ponte di volo e la prua assunse nella parte estrema una forma triangolare) che migliora il comportamento della nave con mare tempestoso era l'uso migliore per il fronte della nave, sia rispetto all'installazione di mitragliatrici che all'installazione di un secondo ponte di volo. Questo divenne una caratteristica standard delle portaerei britanniche e statunitensi. La portaerei giapponese Taiho fu la prima nave giapponese a incorporarlo.
A cominciare dalla classe Midway le portaerei americane divennero così grandi che non era pratico continuare ad usare il ponte hangar come strength deck concept e tutte le successive portaerei americane usarono il ponte di volo come strength deck lasciando come unica superstruttura l'isola.
Le "corazzate portaerei" furono create dalla Marina imperiale giapponese per compensare parzialmente la perdita delle sue portaerei alla battaglia delle Midway. Le due unità classe Ise, la Ise e la Hyuga, furono trasformate rimuovendo le torrette di poppa e rimpiazzandole con un hangar, ponte di volo e catapulta.
Inoltre molte corazzate, incrociatori e navi corsare vennero equipaggiati con idrovolanti per missioni di ricognizione.

Dopo la seconda guerra mondiale

Alcuni incrociatori e navi maggiori del periodo tra le guerre trasportavano spesso un idroplano che decollava grazie ad una catapulta per missioni di ricognizione e di avvistamento del punto di impatto dei proiettili dei cannoni. Veniva lanciato da una catapulta e recuperato dall'acqua mediante una gru dopo l'ammaraggio. Le gru e gli hangar per il trasporto furono generalmente rimossi durante la seconda guerra mondiale, ma durante le prime fasi della guerra ottennero qualche successo degno di nota, come dimostrato dal Supermarine Walrus del HMS Warspite nelle sue operazioni nei fiordi norvegesi del 1940.
Molte navi da guerra moderne sono equipaggiate per permettere l'atterraggio di elicotteri.
La moderna catapulta a vapore, alimentata dalle caldaie, o reattori, della nave è stata inventata dal comandante C.C. Mitchell della Royal Naval Reserve. Venne diffusamente adottata in seguito alle prove eseguite sulla HMS Perseus tra il 1950 ed il 1952, che dimostrarono come fosse più potente ed affidabile delle catapulte ad aria compressa introdotte negli anni 1930. Poiché attualmente solo le portaerei nucleari possiedono caldaie come parte integrante del loro sistema di propulsione la maggior parte delle portaerei sono ora equipaggiate con impianti di produzione del vapore per l'unico motivo di alimentare le catapulte.
Un'altra invenzione inglese fu l'indicatore glide-slope ("piano di planata). Questa è una lampada controllata giroscopicamente situata a babordo del ponte che può essere vista dal pilota in fase di atterraggio e gli indica se sta arrivando troppo alto o troppo basso in relazione al sentiero di discesa desiderato. Tiene anche conto degli effetti delle onde sul ponte di volo. Questo strumento divenne una necessità con l'aumento della velocità di atterraggio.
La US Navy tentò prematuramente di diventare una forza strategica nucleare con il progetto di costruzione della United States, classificata CVA, con la "A" che sta per "atomica". Avrebbe dovuto trasportare bombardieri bimotori, ognuno dei quali armato con una bomba atomica. Il progetto venne cancellato su pressioni dell'appena creata United States Air Force, e la lettera "A" venne riciclata per significare "attacco". 




Ma questo ritardò solo la crescita delle portaerei, nel 1955 le armi nucleari presero il mare nonostante le obiezioni della Air Force a bordo della USS Forrestal (CVA-59) (classe Forrestal), e per la fine degli anni 1950 la US Navy possedeva una serie di aerei d'attacco armati con armi nucleari.
La US Navy utilizzò il nucleare anche per costruire portaerei alimentate da reattori nucleari. 



La USS Enterprise fu la prima portaerei equipaggiata con motori nucleari e le successive portaerei sfruttarono questa tecnologia per incrementare l'autonomia. La sola altra nazione ad aver seguito l'esempio degli Stati Uniti è stata la Francia con la Charles de Gaulle.
Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale videro lo sviluppo dell'elicottero, che a differenza degli aerei adatti al combattimento aria-aria e aria-superficie, venne destinato al trasporto di materiale e personale e può essere utilizzato nella guerra anti-sommergibile equipaggiandolo con sonar a immersione e missili.
Alla fine degli anni 1950 ed all'inizio degli anni 1960 l'Inghilterra convertì alcune sue vecchie portaerei in portaerei commando: portaelicotteri come la HMS Bulwark. Per mitigare le connotazioni costose relative alla parola portaerei, le portaerei inglesi di nuova costruzione classe Invincible vennero designate through deck cruisers ("incrociatori a ponte completo") e inizialmente trasportarono solo elicotteri per operare come portaerei scorta. L'introduzione del Sea Harrier permise loro di trasportare aerei ad ala fissa nonostante il loro breve ponte di volo.
Gli usi più recenti delle portaerei includono la Guerra delle Falkland nella quale il Regno Unito vinse un conflitto distante 13.000 km dalle proprie acque in gran parte grazie all'uso della portaerei HMS Hermes e della più piccola HMS Invincible. Questa guerra dimostrò il valore di un aereo VSTOL come l'Hawker-Siddeley Harrier nel difendere la flotta e la forza d'assalto da aerei con basi a terra e nell'attaccare il nemico. Elicotteri basati sulle portaerei furono usati per scaricare truppe e recuperare i feriti.

Dopo la guerra fredda

Gli USA hanno utilizzato le portaerei nella guerra del Golfo, in Afghanistan e per proteggere i propri interessi nell'Oceano Pacifico. Nella recente invasione dell'Iraq le portaerei sono state la base principale della potenza aerea americana. Sebbene privi della possibilità di piazzare un numero significativo di aerei nelle basi medio-orientali, gli USA furono in grado di lanciare significativi attacchi aerei eseguiti da squadroni basati su portaerei.
All'inizio del XXI secolo le portaerei in attività sono in grado di trasportare circa 1.250 aerei in zona di operazioni, il Regno Unito ne schierò circa 50. La Francia ed il Regno Unito hanno in corso un programma di espansione della flotta di portaerei, ma gli Stati Uniti mantengono comunque un grande margine di vantaggio.
L'Italia ha, da parte sua, due portaerei, anche se entrambe leggere: la prima è la Giuseppe Garibaldi, varata nel 1985, da meno di 14.000 tonnellate a pieno carico, era considerata, all'epoca della sua messa in mare, la più piccola portaerei del mondo ed in effetti è una portaeromobili; e l'ultima, consegnata alla marina militare nel 2009 è la Cavour, che possiede una stazza di circa 30.000 tonnellate a massimo carico (comunque non paragonabile alle stazze delle portaerei nucleari fra le 50.000 e le 100.000 tonn).

Descrizione

Configurazione del ponte di volo

Le navi portaerei possiedono un ponte piatto, il ponte di volo, che serve da pista per il decollo e l'atterraggio. Poiché gli aerei decollano ed atterrano controvento, per favorirne il decollo una portaerei viaggia a massima velocità, per esempio 30 nodi (55 km/h), con la prua orientata contro il vento, in modo da incrementare la velocità relativa del flusso dell'aria rispetto all'aereo. Stessa cosa per quanto riguarda l'appontaggio: procedendo controvento si riduce la velocità che l'aereo ha rispetto alla nave. Su alcune navi si utilizza una catapulta a vapore per accelerare l'aeroplano in modo da permettergli di decollare con una rincorsa più limitata di quella altrimenti richiesta o per consentire il decollo con un carico particolarmente elevato. Su altri modelli non è richiesta l'assistenza di una catapulta - la necessità di usarne una dipende dal tipo dell'aereo e dalle sue prestazioni.
Durante l'atterraggio alcuni aerei si affidano per arrestarsi in una distanza più breve del normale ad un "gancio per l'appontaggio" che ingaggia dei cavi in acciaio collegati a pistoni di compressione a vapore (gli stessi utilizzati per il lancio). Al momento dell'aggancio il cavo trascina il pistone all'interno del suo cilindro aumentando la compressione e dando così modo al velivolo di fermarsi. I cavi sono generalmente 4 e sono disposti trasversalmente al ponte di atterraggio. Altri aerei usano la loro capacità di atterraggio verticale e non richiedono assistenza per ridurre la loro velocità nell'atterraggio. Dalla fine della seconda guerra mondiale è diventato comune angolare la pista di atterraggio e decollo rispetto all'asse longitudinale della nave. Lo scopo è di permettere agli aerei che manchino le funi di arresto di decollare nuovamente senza rischiare di colpire gli aerei parcheggiati nella parte anteriore del ponte. Il ponte angolato permette inoltre il decollo di aerei contemporaneamente all'atterraggio di altri.
Le aree sopra al ponte di volo (ponte di comando, torre di controllo, scarichi dei motori e così via) sono concentrate a tribordo del ponte in una zona relativamente piccola chiamata "isola". Solo poche portaerei sono state progettate o costruite senza un'isola e questa configurazione non è mai stata vista in una portaerei di flotta.
Una configurazione più recente, usata dalla Royal Navy ha un trampolino di lancio (ski-jump) al termine della pista di decollo. Questo per aiutare il decollo di aerei VTOL (o STOVL) (aerei in grado di decollare e atterrare con poco o nessun movimento in avanti), come il Sea Harrier, sebbene questi aerei siano in grado di decollare verticalmente dal ponte, l'uso della rampa riduce il consumo di carburante. Poiché catapulta e funi di arresto non sono necessarie le portaerei con questa configurazione riducono il peso, complessità ed ingombro necessario per l’equipaggiamento.

Ponte angolato

Durante la seconda guerra mondiale gli aerei dovevano atterrare sul ponte di volo parallelo all'asse dello scafo della nave. Gli aerei già atterrati venivano parcheggiati sul ponte all'estremità di prua del ponte di volo. Dietro di essi veniva sollevata una barriera antiurto per arrestare ogni aereo in fase di atterraggio che non riuscisse ad arrestarsi in tempo, nel caso che il gancio d'atterraggio mancasse i cavi d'arresto. Se questo succedeva, oltre al rischio per l'equipaggio, l'aereo in atterraggio causava seri danni agli aerei parcheggiati, e al peggio, nel caso che la barriera antiurto non fosse sufficientemente solida, poteva distruggerli e causare un incendio.
Un'importante innovazione britannica della fine degli anni quaranta fu l'introduzione tecnica del ponte angolato, in cui la pista di atterraggio era angolata di pochi gradi rispetto alla nave. Se un aereo mancava i cavi di arresto il pilota doveva solo incrementare al massimo la potenza del motore per riattaccare, senza rischiare di colpire gli aeroplani parcheggiati, dato che il ponte angolato puntava all'esterno verso il mare. L'immagine della USS John C. Stennis all'inizio di questa voce mostra il ponte d'atterraggio angolato.

I PROGETTI ITALIANI

1928: IL PROGETTO DELLA PRIMA PORTAEREI ITALIANA

Il generale del Genio Navale Filippo Bonfiglietti aveva progettato nel 1928 la prima portaerei italiana, purtroppo mai realizzata per l’ottusità di chi all’epoca aveva l’onore e l’onere di dover decidere.






Il progetto della nave sparì subito dopo dagli archivi di Palazzo Marina: recentemente il nipote dell’ideatore ha ritrovato una copia dei disegni e li ha fatti riscoprire.
Il gen. Filippo Bonfiglietti era nato a Tivoli nel 1868 da una famiglia benestante; il padre costruttore edile sognava di averlo al suo fianco. Egli, invece, dopo il liceo svolse il servizio militare in Cavalleria al posto del fratello, si laureò in Ingegneria civile e, forse per la conoscenza con il ministro della Marina (e degli Esteri) Benedetto Brin, scelse il Genio Navale. Conseguì a Genova la seconda laurea in Ingegneria navale, s’imbarcò, si sposò con la genovese Margherita Mazza (padre di Loano, madre di Rapallo), quindi ottenne l’incarico a sovrintendere la costruzione della corazzata Regina Elena alla Spezia.
Bonfiglietti progettò anche altre quattro versioni della futura portaerei: tutte bocciate!
Dopo l’insegnamento, nel 1924 la promozione a generale e la qualifica di Direttore dell’Ufficio Informazioni e Studi del Comitato Progetti di Navi, presso il Ministero della Marina. In questo periodo progettò un nuovo incrociatore, al limite del Trattato di Washington (firmato nel 1922 dalle cinque principali potenze vincitrici della prima guerra mondiale, limitava il tonnellaggio delle costruzioni navali degli Stati aderenti, Italia inclusa), del quale furono costruite quattro unità: Zara, Pola, Fiume e Gorizia. 
Ideò anche l’incrociatore pesante Bolzano, terzo della precedente classe, quella dei Trento e Trieste. 
Nel 1928 ideò e mise sulla carta insieme a tutti i calcoli tecnici il suo progetto di portaerei che erano già una realtà in altre marine di rango: 
  • le inglesi Ark Royal, varata nel ‘14, Furius, Hermes; 
  • la giapponese Hosho del ‘22...), 
  • ma non per l’Italia. 
La Marina ci aveva provato nel 1925 con un incrociatore-portaerei ideato dal generale Giuseppe Rota, che rimase su carta, ed era tornata alla carica. 
Militari e politici erano divisi, qualcuno diceva che queste navi non servivano perché l’Italia non aveva interessi vitali fuori del Mediterraneo; per lo stesso Mussolini l’Italia era già di per sé “una portaerei naturale protesa nel Mediterraneo”.
La Marina aveva rinunciato ai suoi aerei dopo la guerra e Italo Balbo purtroppo non gradiva dividere con nessuno il comando dell’Aviazione.
Il generale Filippo Bonfiglietti fu congedato nel 1931; lasciando l’ufficio, ottenne copia dei disegni della portaerei, mentre gli originali restarono a Palazzo Marina. E qui sparirono. L’ipotesi è che fossero custoditi in un solaio il quale, a rischio di cedimento, fu in seguito sgomberato.: l’archivio fu così gettato via.
Negli anni successivi la Marina ci provò ancora, cercando anche di trasformare in portaerei alcuni transatlantici, ma non se ne fece nulla. 
A guerra iniziata, l’errore strategico si manifestò in tutta la sua gravità... 
Un conto era avere aeroplani in Sicilia, la piattaforma naturale, un altro era averne su una nave a Capo Matapan nel ’41! 
L’Italia avrà la sua prima vera portaerei (Cavour) solo nel 2004! 
Il generale Filippo Bonfiglietti visse la quiescenza tra la casa di Roma e quella della moglie a Loano. Si occupò, tra l’altro, del recupero delle navi romane di Nemi e, quale membro del Cnr, volle ampliare il servizio dei filobus nel Paese, e in particolare a Roma. 
A Loano impostò il primo porticciolo.
Morì nel 1939, senza lasciare un diario, memorie, salvo i disegni di alcune navi, tra cui le copie della portaerei mai nata. 
Una trentina di tavole, trovate nel suo studio nella casa che aveva in affitto a Roma, in un vano adibito a camera da letto.







1941 - 1952: REGIA NAVE AQUILA

“Regia Nave Aquila” era una portaerei italiana convertita dalla nave passeggeri transatlantica SS  Roma. 







Durante la seconda guerra mondiale, i lavori sull'Aquila iniziarono alla fine del 1941 presso i cantieri Ansaldo di Genova e continuarono per i due anni successivi. Con la firma dell'armistizio italiano l'8 settembre 1943, però, tutti i lavori furono interrotti e la nave rimase incompiuta. L'Aquila fu infine demolita nel 1952.
"Aquila" era stata denominata, nella prima metà del secolo XIX, una nave da guerra del Re di Sardegna, Carlo Felice.
Nonostante i vertici militari italiani avessero sempre osteggiato la costruzione di portaerei, in seguito all'attacco della base di Taranto nella notte dell'11-12 novembre 1940 (in cui la marina italiana in un solo colpo ebbe tre navi da battaglia gravemente danneggiate) che rese particolarmente evidente l'efficacia della aviazione imbarcata, venne deciso urgentemente di dotare la Regia Marina di una portaerei.

LA CONVERSIONE DELLO SCAFO DEL TRANSATLANTICO “ROMA”

Tra i possibili candidati alla trasformazione in portaerei venne scelto il transatlantico Roma, in quanto pur essendo una nave relativamente recente (aveva 15 anni di età) necessitava di lavori di riparazione e dell'installazione di un nuovo impianto motore e sarebbe stata quindi ceduta abbastanza facilmente dalla società armatrice. 


La nave era stata costruita per la Società "Navigazione Generale Italiana" di Genova dal cantiere navale G. Ansaldo & Co di Sestri Ponente dove venne varata il 26 febbraio 1926. L'ipotesi del trasformare il transatlantico Roma in portaerei era stata già ipotizzata sin dalla fine del 1935 quando il peggiorare dei rapporti tra l'Italia e il Regno Unito a causa della Guerra d'Etiopia mise lo Stato Maggiore di fronte alla necessità di garantire, nell'eventualità di un conflitto, la protezione aerea delle navi a fronte di una Marina, quella inglese, dotata di portaerei. La necessità di contenere i tempi di realizzazione e i costi fecero optare per un progetto che prevedeva la modifica del transatlantico Roma o in alternativa il transatlantico Augustus. Nel 1938, in occasione della crisi dei Sudeti, si tornò a valutare la possibilità di costruire una portaerei, e venne valutata la possibilità di trasformare l'incrociatore pesante Bolzano in incrociatore lancia-aerei, basato sul progetto dell'incrociatore portaerei del generale del Genio navale Giuseppe Rota del 1925, mediante la demolizione delle sovrastrutture ad esclusione delle due torri da 203 mm all'estrema prora e all'estrema poppa, con l'installazione di quattro catapulte, di cui una incassata nel ponte e tre brandeggiabili; sul lato destro della nave sarebbe stata realizzata una piccola isola con uno o due fumaioli. La nave in tale configurazione sarebbe stata in grado di movimentare una dozzina di aerei da caccia. Il progetto di trasformazione venne sviluppato dal colonnello del Genio navale Luigi Gagnotto e prevedeva un'unità con due ponti sovrapposti, con il ponte inferiore da utilizzarsi per il decollo degli aeromobili e quello superiore da utilizzarsi per gli atterraggi, come avveniva per le giapponesi Akagi e Kaga e per l'inglese Furious. Il ponte inferiore prevedeva l'installazione di due catapulte per facilitare il decollo degli aerei. Il progetto prevedeva la sostituzione dell'apparato motore e la modifica della carena, allo scopo di permettere all'unità di raggiungere la velocità di 26 nodi, sufficiente per permetterle di operare senza problemi con il resto della flotta.  La nave sarebbe stata in grado di imbarcare un totale di 56 aerei, tutti ad ali ripiegabili, di cui 18 da bombardamento, 30 da caccia più 8 smontati, che sarebbero stati ricoverati nell'unica aviorimessa prevista sotto il ponte di volo; erano previsti due elevatori di grandi dimensioni per gli aerei più quattro di dimensioni inferiori per le bombe. L'armamento previsto era di due cannoni binati da 120/50 e altrettanti da 100/47 oltre ad altre armi di calibro inferiore. Allo scopo di privilegiare la velocità della nave la protezione passiva sarebbe stata del tutto inesistente, priva di corazzatura e di compartimentazione aggiuntive rispetto a quelle originali della nave passeggeri. Iniziò la guerra e le prime battaglie navali contro gli inglesi resero evidente la necessità di avere una portaerei in squadra, sin dalla Battaglia di Punta Stilo, in cui gli aerei della Royal Navy attaccarono, fortunatamente senza esito, le navi italiane e si tornò a considerare la trasformazione in portaerei del transatlantico Roma. Nel giugno 1941 venne presentato il progetto del generale del Genio navale Gustavo Bozzoni per la trasformazione di tale nave in portaerei. Il progetto prevedeva l'installazione di doppi fondi affiancati alle carene e riempiti di cemento armato fino al galleggiamento. Il sistema aveva dato ottime prestazioni alle prove di scoppio in vasca ed inoltre richiedeva poco acciaio per la sua realizzazione rispetto ad una corazzatura classica. Non era peraltro previsto nessun tipo di corazzatura per la difesa contro bombe d'aereo o artiglieria navale. Veniva prevista la sostituzione dell'apparato motore con quello di due incrociatori leggeri della nuovissima classe Capitani Romani, allo scopo di permettere all'unità di raggiungere la velocità di 30 nodi. La nave avrebbe imbarcato un totale di 34 aerei da caccia o in alternativa 16 aerei da caccia e 9 da bombardamento, mentre la difesa sarebbe stata assicurata da otto dei nuovi cannoni da 135/45 in quattro impianti binati, dodici cannoni antiaerei singoli da 65/64 ed almeno venti mitragliere da 20mm in dieci impianti binati pre-stabilizzati. Il progetto non ebbe seguito poiché presentava un grosso limite operativo consistente nel fatto che gli aerei, dopo l'involo, non sarebbero stati recuperati, vista la difficoltà della manovra di atterraggio ed il lungo addestramento necessario ai piloti per effettuarla. La trasformazione del transatlantico "Roma" in portaerei venne ordinata nel luglio del 1941. Accantonato il progetto originario di modifica, sviluppato dal generale del Genio navale Gustavo Bozzoni, la realizzazione finale ha visto la protezione passiva realizzata mediante 18 paratie stagne (di cui 11 doppie), contro-carene esterne e doppi fondi riempiti di calcestruzzo armato sino alla linea di galleggiamento. L'applicazione di contro-carene avrebbe permesso alla nave sia di raggiungere velocità elevate sia di migliorare la protezione subacquea nei confronti dei siluri. Le contromisure passive consistettero anche in una corazzatura ai depositi di carburante e di munizioni, mentre il riempimento delle contro-carene con uno spessore di cemento armato, previsto anche nel progetto Bozzoni e che aveva dato ottime prestazioni alle prove di scoppio in vasca, richiedeva meno acciaio per la sua realizzazione rispetto ad una corazzatura classica. Lo scafo, contro-carene comprese, venne allungato di circa 5 metri. L'apparato motore fu realizzato utilizzando, come prevedeva già il progetto Bozzoni, due apparati originariamente destinati a incrociatori leggeri della classe Capitani Romani, diventati disponibili dopo la cancellazione della costruzione di quattro delle dodici unità previste, con otto caldaie e quattro turbine. La potenza di ciascuno dei gruppi caldaie/turbina venne limitata da 50.000 a 37.500 CV, per un totale di circa 150.000 CV, consentendo alla nave di raggiungere una velocità massima di circa 30 nodi.
Il ponte di volo, continuo da prora a poppa e sostenuto da apposite strutture, aveva una voluminosa isola a più piani sul lato di dritta, a circa metà nave, con la plancia di comando e numerose piazzole per le armi antiaeree. Ai lati dello scafo erano presenti piazzole simili per l'armamento anti-silurante.
L'Aquila era equipaggiata con due catapulte Demag ad aria compressa di produzione tedesca con due elevatori. L'hangar era divisibile in quattro sezioni da paratie tagliafuoco. L’unità avrebbe potuto imbarcare 51 aerei da caccia tipo Reggiane Re.2001 di cui 10 sul ponte di volo, 26 nell'hangar e i rimanenti sospesi al cielo dell'hangar stesso con un espediente ingegnoso inventato per poter aumentare la capacità di carico della nave. Era stata prevista anche la costruzione di una versione del Re.2001 ad ali ripiegabili che avrebbe potuto portare a 66 caccia la capacità di imbarco.
L'armamento, destinato principalmente alla difesa contraerea, era costituito da otto cannoni singoli da 135/45 mm e dodici da 65/64 mm installati a prua, poppa e su mensole ai lati dei ponti di volo e da 132 mitragliereda 20/65 mm installate ai lati del ponte di volo e davanti e dietro l'isola.
Pur essendo stata danneggiata nel novembre 1942, mentre era ancora in allestimento a Genova, alla data dell'armistizio dell'8 settembre 1943, la nave era già completata al 90%, praticamente pronta per i collaudi e le prove in mare ed aveva già effettuato le prime prove statiche dell'apparato motore, ma non fece in tempo ad entrare in servizio attivo.
Il 9 settembre la nave, che era stata sabotata prima di essere abbandonata dall'equipaggio, cadde nelle mani dei tedeschi che se ne impadronirono affidandola alle autorità della Repubblica Sociale Italiana, che ne tentarono il completamento per immetterla in servizio nella Marina Nazionale Repubblicana, ma senza successo, a causa dei continui bombardamenti alleati, come quello nel porto di Genova del 16 giugno 1944 in cui la nave subì gravi danni.

Genesi

Aquila è stato il primo progetto di portaerei italiano; non è stato costruito dalla chiglia in quanto tale e non è mai stato completato.
Dopo la prima guerra mondiale, la Regia Marina italiana iniziò a esplorare l'uso di velivoli di bordo convertendo la nave mercantile Città di Messina nell'idrovolante Giuseppe Miraglia dotato di doppia catapulta. Commissionata nel 1927, la nave poteva trasportare fino a quattro idrovolanti grandi e 16 medi ed è stata utilizzata principalmente come catapulta sperimentale per la maggior parte della sua carriera. Nel 1940 fu designata nave da trasporto aereo / scuola e funzionò come tender per idrovolanti per le navi capitali italiane. 
Per tutti gli anni '20 e '30, i circoli militari e politici italiani hanno discusso vigorosamente del ruolo e della necessità delle portaerei nella flotta italiana in espansione. Gino Ducci (capo di stato maggiore della Regia Marina nei primi anni '20), Romeo Bernotti (assistente capo di stato maggiore) e l'ufficiale di marina Giuseppe Fioravanzo sostenevano tutti lo sviluppo di un braccio aereo della flotta, la costruzione di portaerei e il consolidamento delle accademie aeronautiche e navali. Altre fazioni si opposero a queste idee, in particolare la costruzione di portaerei, non tanto per motivi di utilità militare, ma piuttosto per costi e praticità. Più di ogni altra cosa, la limitata capacità industriale dell'Italia, lo spazio inadeguato dei cantieri navali e la mancanza di capitale finanziario le hanno impedito di costruire il tipo di flotta ben bilanciata immaginata dai suoi teorici navali. La priorità è andata a quelle navi ritenute più necessarie in un futuro conflitto.
Poiché la Francia era considerata il nemico più probabile dell'Italia in un'altra guerra europea, mantenere la parità con la sua marina divenne una preoccupazione fondamentale. Tra il 1932 e il 1937, la Marina francese stabilì quattro nuove navi capitali: (Dunkerque, Strasbourg, Richelieu e Jean Bart). Ciò ha indotto il dittatore Benito Mussolini e l'Ammiragliato italiano a rinunciare a qualsiasi piano per la costruzione di portaerei. Invece, l'Italia ha modernizzato due navi da guerra più vecchie (Cavour e Cesare nel 1933) e ha iniziato la costruzione di due nuove (Vittorio Veneto e Littorio nel 1934). 
Poiché si prevedeva che la Regia Marina operasse principalmente nei confini relativamente ristretti del Mediterraneo e non sugli oceani del mondo, la mancanza di un braccio aereo della flotta da parte della marina sembrava un'omissione tollerabile (soprattutto considerando che i vettori erano una merce costosa e non provata all'epoca). La terraferma italiana e le isole come Pantelleria e la Sicilia erano viste come portaerei naturali, le cui numerose basi aeree, gestite dalla Regia Aeronautica italiana, potevano fornire un'adeguata copertura aerea della flotta quando richiesto dalla marina. 
Tuttavia, nel giugno 1940, poco dopo l'entrata in guerra dell'Italia, Mussolini approvò la conversione del transatlantico Roma da 30.800 tonnellate lunghe (31.300 t) e 21 kn (39 km / h; 24 mph) in un vettore ausiliario, dotato di un flush deck e un piccolo hangar. Il 7 gennaio 1941, meno di due mesi dopo il successo del raid della portaerei britannica su Taranto, Mussolini autorizzò una conversione molto più ambiziosa ed estesa della Roma in una portaerei a flotta completa, in grado di gestire un gruppo aereo più numeroso e di tenere il passo con la Regia Marina Le corazzate più veloci e gli incrociatori pesanti.
Entro il 27 gennaio, però, l'ordine è stato altrettanto rapidamente revocato a seguito di numerose obiezioni della Regia Marina. Questi includevano costi eccessivi; ostacoli tecnici che comportano lo sviluppo di catapulte, dispositivi di arresto ed ascensori; un tempo di sviluppo stimato di due anni per i velivoli ad ala pieghevole; il tempo necessario per studiare gli effetti della turbolenza dell'aria sul ponte di volo da una sovrastruttura dell'isola; problemi che i tedeschi stavano incontrando nella costruzione della propria portaerei, la Graf Zeppelin; e recenti resoconti dei gravi danni inflitti dai bombardieri in picchiata tedeschi alla portaerei britannica Illustrious, dimostrando graficamente la vulnerabilità dei vettori operanti nel Mediterraneo.
Poi, il 21 giugno, tre mesi dopo aver perso tre incrociatori pesanti al largo di Capo Matapan, una perdita potenzialmente evitabile se gli italiani avessero posseduto una propria portaerei, la Regia Marina e la Regia Aeronautica si accordarono finalmente per procedere con la conversione di Roma.

Progettazione e costruzione

I lavori per convertire la Roma in una portaerei iniziarono seriamente ai Cantieri Ansaldo di Genova nel novembre 1941. Poiché una corazzata chiamata Roma era già in costruzione, il nome della nave fu cambiato in Aquila.

Scafo 

L'interno del transatlantico venne completamente sventrato per consentire la sostituzione dei macchinari originali e l'aggiunta di un ponte hangar e officine. Furono aggiunti profondi rigonfiamenti su entrambi i lati dello scafo per migliorare la stabilità, la forma dello scafo e fornire un modesto grado di difesa dai siluri. Uno strato di cemento armato, spesso 4–8 cm (1,6–3,1 pollici), venne applicato all'interno dei rigonfiamenti per la protezione dalle schegge. Anche lo scafo fu allungato per sfruttare la maggiore potenza dei nuovi macchinari dell'Aquila e la svasatura di prua venne aumentata per aumentare la navigabilità e fornire spazio aggiuntivo per le esigenze aeree. Per migliorare la resistenza ai danni subacquei, la nave era fortemente suddivisa con 18 paratie stagne che si estendevano fino al ponte "C" o "D", 11 delle quali erano doppie.
I progettisti lavorarono con 60–80 mm (2,4–3,1 pollici) di corazze sui caricatori e sui serbatoi di carburante per aviazione. I serbatoi del carburante copiavano la pratica britannica e consistevano in cilindri o dighe a cassettoni separati dallo scafo della nave da compartimenti pieni d'acqua. Questa era una misura di sicurezza intesa a prevenire la frattura del sistema di alimentazione e la diffusione involontaria di fumi AvGas volatili a causa di forti vibrazioni o "frusta" da colpi di bombe, quasi incidenti e colpi di siluri.  Un'armatura da 30 mm (1,2 pollici) fu applicata sulla placcatura esterna per proteggere gli ingranaggi della timoneria. 

Macchinari

I test di autopropulsione al serbatoio Freude di La Spezia nel gennaio 1942 indicarono che per un dislocamento di prova di 26.700 tonnellate, si poteva raggiungere una velocità di 29 nodi con 132.660 shp. Ciò indicava che una velocità sostenuta di 29,5 nodi poteva essere raggiunta con una potenza di 140.000 shp e 30 nodi se il sistema di propulsione poteva sviluppare 151.000 shp senza essere forzato. 
Il nuovo sistema di propulsione dell'Aquila venne preso da due incrociatori leggeri di classe Capitani Romani cancellati (Cornelio Silla e Paolo Emilio), poiché nonostante la loro cancellazione la fabbricazione dei loro sistemi di propulsione era in fase avanzata. Complessivamente otto caldaie e quattro gruppi turbina, ognuno di questi era in grado di generare 55.000 cv a 310 giri/min, più che adeguati alle esigenze dell'Aquila. Ciascuna caldaia funzionava ad una pressione di 29 kg/cm2 (410 psi), con il vapore surriscaldato alimentato alle turbine ad una pressione di 26 kg/cm2 (370 psi) e ad una temperatura di 320°C (608°F). Come installato su Aquila, la potenza complessiva in cavalli all'albero venne ridotta, fino a un massimo di 37.750 shp per gruppo turbina a piena potenza normale. Anche le eliche utilizzate furono modificate in un tipo più adatto a una nave più grande - mentre le eliche originali utilizzate dalla classe Capitani Romani avevano tre pale e un diametro di 4,2 m (14 piedi), quelle usate da Aquila avevano quattro pale e un diametro di 3,9 m (13 piedi). 
Per aumentare la sopravvivenza, i sistemi di propulsione furono raggruppati in quattro sale macchine, ciascuna con un gruppo turbina e due caldaie, una soluzione simile a quella adottata dagli americani per le corazzate di classe North Carolina. Questa soluzione permise di semplificare le tubazioni di ogni tipo (vapore, acqua, olio, ecc.), i sistemi di ventilazione, migliorare le condizioni di vita dell'equipaggio e aumentare la facilità di supervisione e manutenzione.  Ogni stanza era separata dagli spazi adiacenti da doppie paratie stagne, che aumentavano la resistenza strutturale e riducevano la possibilità che un singolo colpo di siluro disabilitasse due sale macchine alla volta. 
Il sistema nel suo insieme era in grado di generare 151.000 shp (113.000 kW) e l’Aquila avrebbe dovuto raggiungere 30 kn (56 km / h; 35 mph) nelle prove e 29,5 kn (54,6 km / h; 33,9 mph) a pieno carico.  Con un dislocamento di 27.800 tonnellate, la fornitura massima di carburante era di 2.800 tonnellate e la portata operativa di 4.150 nmi a 18 nodi e 1.210 nmi a 29 nodi. Con il carico massimo di carburante, 3.660 tonnellate, Aquila avrebbe dislocato 28.800 tonnellate, con un'autonomia di 5.500 nmi a 18 kn e 1.580 nmi a 29 kn. 

Hangar

La portaerei Aquila aveva un hangar con una lunghezza totale di 160 m (520 piedi), una larghezza di 18 m (59 piedi) e un'altezza di 5,5 m (18 piedi). Questo spazio era diviso in quattro sezioni da cinque porte tagliafuoco, la cui lunghezza da prua a poppa era di 32, 25, 25 e 35 metri. La capacità di piano dell'hangar era di 26 velivoli per il Re.2001 OR Serie II, di cui sette nelle sezioni da 32-35 metri e sei nelle sezioni da 25 metri. Inoltre, quindici velivoli potevano essere sospesi dal soffitto dell'hangar. Una versione pianificata dell'aereo ad ala pieghevole avrebbe dovuto consentire lo stivaggio di sessantasei aerei nell'hangar. 

Ponte di volo

Aquila aveva un unico ponte di volo continuo di 211,6 m × 25,2 m (694 piedi 3 pollici × 82 piedi 8 pollici). Era parzialmente corazzato con una piastra da 7,6 cm (3,0 pollici) sopra i bunker di benzina e le riviste. Il ponte di volo terminava prima della prua ma sporgeva a poppa, dove presentava un pronunciato arrotondamento per migliorare il flusso d'aria. Due ascensori ottagonali da 50 piedi (15 m) con una capacità di 5 tonnellate corte (4,5 t) consentivano il trasferimento di aeromobili tra il ponte dell'hangar e il ponte di volo. Uno era direttamente a centro barca e il secondo altri 90 piedi (27 m) in avanti, posizionandoli così abbastanza lontano dai cavi di arresto di poppa che entrambi potevano essere usati per abbattere gli aerei nell'hangar subito dopo un atterraggio. 
Due catapulte ad aria compressa Demag fornite dalla Germania, ciascuna in grado di lanciare un aereo ogni 30 secondi, sono state installate parallele l'una all'altra all'estremità anteriore del ponte di volo. Questi erano originariamente destinati alla "Carrier B" della Germania, la nave gemella incompleta e alla fine demolita del Graf Zeppelin. Gli italiani li ottennero, insieme a cinque serie di dispositivi di arresto e altri piani componenti, durante una missione tecnica navale in Germania nell'ottobre-novembre 1941. 
Una serie di binari conduceva a poppa dalle catapulte agli ascensori e agli hangar. Per i lanci assistiti da catapulta, gli aerei sarebbero stati issati nell'hangar su un carrello per catapulta pieghevole portatile, sollevato sugli ascensori fino al livello del ponte di volo e poi fatto rotolare in avanti sui binari fino alle posizioni di partenza della catapulta, lo stesso sistema impiegato su Graf Zeppelin.
I motori e le catapulte dell'Aquila furono collaudati con successo nell'agosto 1943 ma il dispositivo di arresto installato sulla portante, costituito da quattro cavi, inizialmente non funzionò correttamente. Ciò avrebbe impedito agli aerei, una volta lanciati, di rientrare a bordo. È stato quindi proposto che gli aerei in decollo dall'Aquila , dopo aver svolto la loro missione, tornassero al più vicino aeroporto terrestre o semplicemente si gettassero in mare, una grave e imbarazzante limitazione alle sue capacità di portaerei.  Tecnici italiani e tedeschi hanno lavorato per mesi all’avio-superficie di Perugia Sant'Egidio su un mock-up del velivolo dell’Aquila ponte di volo e nel marzo 1943 l'attrezzatura di arresto pesantemente modificata fu ritenuta utilizzabile. Una valutazione della Marina degli Stati Uniti del dopoguerra ha concluso, tuttavia, che l'accordo avrebbe reso gli atterraggi estremamente pericolosi, soprattutto data l'assenza di una barriera di sicurezza. 
L'isola di tribordo dell'Aquila conteneva un unico grande imbuto verticale per trasportare i gas di scarico fuori dal ponte di volo. Comprendeva anche un'alta torre di comando e i direttori del controllo del fuoco per i cannoni da 135 mm (5,3 pollici).

Armamento antiaereo

Sei cannoni antiaerei (AA) calibro 65 (cal) da 20 mm (0,79 pollici) a 6 canne erano posizionati a prua e a poppa dell'isola. Inoltre, l'Aquila trasportava otto cannoni da 135 mm (5,3 pollici)/45 cal prelevati da uno degli incrociatori classe Capitani Romani cancellati. Sebbene non progettate come armi a doppio scopo, questi cannoni avevano un'elevazione di 45° ed erano quindi in grado di fornire un utile sbarramento contro l'attacco di aerei nemici (in confronto, il miglior cannone contraereo pesante d'Italia, il calibro 90 mm (3,5 in)/50, aveva un'elevazione di 85°). Doveva montare 12 cannoni antiaerei da 65 mm (2,56 pollici) di nuova concezione su sponsor appena sotto il livello del ponte di volo (sei su entrambi i lati dello scafo). Tuttavia, quest’arma, con un alimentatore automatico e una velocità di fuoco di 20 colpi al minuto, non è mai andata oltre lo stadio del prototipo. Altri 16 cannoni da 20 mm a sei canne, anch'essi montati sotto il ponte di volo, completavano la difesa contraerea della nave. 

Aerei imbarcati

Per tutto il 1942 e il 1943 furono condotti test a Perugia e Guidonia - l'equivalente della Regia Aeronautica dell'impianto di prova della Luftwaffe tedesca a Rechlin - per trovare velivoli adatti alla conversione all'uso su portaerei. Furono quindi selezionati il SAIMAN 200, il Fiat G.50/B e il Reggiane Re.2001 OR Serie II come potenziali candidati. 
Nel marzo 1943 arrivarono ingegneri e istruttori tedeschi con esperienza sul Graf Zeppelin per consigliare sui test degli aerei e per aiutare ad addestrare i futuri piloti di portaerei selezionati dal 160 Gruppo CT della Regia Aeronautica. Portarono con sé esemplari di un bombardiere in picchiata Junkers Ju 87C Stuka (una versione navalizzata con ali pieghevoli, gancio di arresto e punti di attacco per catapulta) e un addestratore monomotore Arado Ar 96B . Dopo aver condotto prove di volo comparativo, gli italiani alla fine optarono per il Re.2001 come loro caccia / cacciabombardiere da portaerei standard e persino i tedeschi conclusero che aveva un potenziale migliore rispetto alla loro controparte, il Messerschmitt Bf 109T. Tutti i test di volo, inclusi gli atterraggi simulati sul ponte frenato, furono svolti a terra. 
La dotazione aerea pianificata dell'Aquila era di 51 cacciabombardieri Reggiane Re.2001 OR con ali non ripiegabili: 41 stivati nel ponte dell'hangar (di cui 15 sospesi alla testata del ponte) e 10 sul ponte di volo in un parco ponte permanente.  Era prevista una versione ad ala pieghevole del Re.2001, che avrebbe aumentato il gruppo aereo dell'Aquila a 66 velivoli, ma ciò non si è mai concretizzato. Solo 10 Re.2001 vennero completamente convertiti per l'uso come vettore. Furono muniti di ganci d’arresto, apparecchiature radio navali RTG e rastrelliere per bombe per il trasporto di 650 kg (1.430 libbre) di bombe. Erano anche armati con due mitragliatrici Breda-SAFAT da 12,7 mm (0,5 pollici) montate sopra il cofano motore. Almeno un Re.2001G era stato in prova a Perugia come aerosilurante navale ed era stato dotato di un montante della ruota di coda allungato per accogliere l'altezza aggiunta di un siluro sospeso sotto la fusoliera. 


IL VELIVOLO SCELTO PER ESSERE IMBARCATO: il Re.2001 Falco II

Lo sviluppo del Reggiane Re.2001 ebbe le sue origini nella possibilità per il Ministero dell'Aeronautica italiano di disporre per prove tecniche di valutazione, nell'estate 1939, di propulsori tedeschi Daimler-Benz DB 601: si trattava di motori a dodici cilindri a V rovesciata, raffreddati a liquido, capaci di erogare 1 175 CV (864 kW) di potenza.
Il periodo coincideva con i test del prototipo del Reggiane Re.2000 "Falco" che, se fornito del motore tedesco, sarebbe potuto diventare un caccia con prestazioni superiori; risulta, peraltro, che lo stesso ingegner Roberto Longhi, progettista del Re.2000, avesse pensato ad una versione di quel modello motorizzata con il V12 Hispano-Suiza 12Y. Alle Reggiane venne così chiesto di rivedere il progetto del loro velivolo, al fine di installare il propulsore tedesco.
Le modifiche che Longhi ed il team da lui guidato dovettero apportare per adattare la cellula del "Falco" al motore Daimler-Benz non furono radicali: venne infatti ridotta la sezione della parte anteriore della fusoliera e, in ragione della maggior lunghezza, venne rivisto il baricentro, mentre rimase inalterata, nonostante le critiche suscitate negli organi valutatori della Regia Aeronautica, la soluzione con i serbatoi integrali nelle ali pentalongherone.
Il primo prototipo (MM.409) venne portato in volo per la prima volta fra il 22 e il 24 giugno 1940 dal pilota Mario de Bernardi, già vincitore della Coppa Schneider, all'aeroporto di Reggio Emilia, città dove avevano sede le Officine Meccaniche Reggiane, di proprietà della Caproni. Il velivolo passò quindi al tenente colonnello Pietro Scapinelli, che compì diciassette voli dal 25 luglio al 28 agosto, prima che la macchina venisse trasferita a settembre a Guidonia per le prove comparative. Le prestazioni (563 km/h a 5 500 m e 540 km/h a 4 500 m) risultarono superiori a quelle dei successivi esemplari di serie, perché il prototipo risultava più leggero e montava un DB 601 originale tedesco e non la copia costruita su licenza dall'Alfa Romeo con metalli meno raffinati. Altre fonti, meno recenti, fanno risalire invece il primo volo del Re.2001 a qualche giorno dopo il 10 luglio 1940, subito pilotato da Scapinelli. Secondo questa ipotesi, l'aereo sarebbe stato poi trasferito a Guidonia il 9 agosto, anziché a settembre. In ogni caso, dopo le prove di Guidonia, la Regia Aeronautica richiese alcune modifiche da introdurre anche in un secondo prototipo: ala trilongherone con serbatoi protetti, ruotino di coda retrattile e aggiunta di due mitragliatrici Breda-SAFAT calibro 7,7 mm da 600 colpi ciascuna nelle ali e di altre due mitragliatrici Breda-SAFAT calibro 12,7 mm da 350 colpi ciascuna sistemate sopra il motore. Le modifiche vennero completate nel primo prototipo nel novembre 1940, con il secondo prototipo (MM.408, lo stesso numero di matricola del primo prototipo del Re.2000) pronto poco dopo. Questo secondo esemplare si schiantò al suolo il 14 marzo 1941 dopo un guasto al motore, uccidendo il collaudatore Pietro Scapinelli durante l'atterraggio d'emergenza. Un'altra fonte colloca l'incidente il 17 marzo e ricostruisce i fatti in maniera più dettagliata: Scapinelli, arrivato lungo sulla pista in fase d'atterraggio, ridiede gas ma non riuscì a riprendere quota perché il passo dell'elica (variato elettricamente da un attuatore ancora in fase sperimentale) si era portato al massimo, con conseguente arresto del motore. L'aereo continuò la sua corsa e si infilò tra due alberi che staccarono di netto l'ala, ma la fusoliera proseguì impastandosi sul terreno; il pilota, nel contraccolpo dell'impatto, sbatté la testa contro la barra di comando e morì poco dopo. L'Alfa Romeo venne ritenuta responsabile del malfunzionamento e subì una penale.
Fu proposta la costruzione di un terzo prototipo (chiamato Re.2001bis) con i radiatori annegati nelle ali, prive delle mitragliatrici, per migliorare l'aerodinamica: le fonti non concordano sull'effettiva realizzazione del velivolo e, mentre alcuni indicano che tale modifica sia stata realizzata direttamente nel primo prototipo, altri indicano che fu realizzata una cellula con matricola MM.538, dettagliando anche trattarsi di una sorta di ibrido, frutto dell'accoppiamento della fusoliera del Re.2000 matricola MM.5068 e della deriva del primo prototipo MM.409. Il velivolo, portato in volo da Francesco Agello (nell'aprile o nel luglio del 1941) nonostante avesse fatto registrare una velocità 50–60 km/h superiore rispetto alla configurazione standard, non trovò seguito nella produzione di serie e, dopo alcune valutazioni utili ad acquisire dati successivamente utilizzati per la progettazione del Re.2006, venne riconvertito allo standard dei primi modelli consegnati.
Nel frattempo, il 31 ottobre 1940, dopo un piccolo ordine alla Reggiane di dieci Re.2001 per accelerare le prove tecniche (la cosiddetta "Serie Zero", di cui fece parte, tra l'altro, il velivolo che nel marzo 1943 sganciò una sperimentale bomba propulsa da ossigeno liquido, che tuttavia non esplose), vennero ordinati duecento esemplari alla Reggiane, cento alla fabbrica Caproni di Taliedo e cinquanta (aumentati poi a cento) a quelle di Predappio. I velivoli, che avrebbero inglobato tutte le modifiche apportate ai due prototipi eccetto il ruotino di coda, ora fisso, avrebbero avuto come propulsore un Alfa Romeo RA 1000 RC.41, versione del Daimler-Benz DB 601 prodotta su licenza.
Subito ci si accorse che le scadenze di consegna sarebbero state impossibili da rispettare: le fabbriche Reggiane erano ben attrezzate per produrre un gran numero di aerei, ma la manovalanza, assunta in massa per far fronte alle necessità di guerra, non aveva, per la maggior parte, esperienza di costruzioni aeronautiche; oltretutto le forniture del motore Alfa Romeo, la cui costruzione era rallentata dalla carenza di materie prime, e delle mitragliatrici non seguirono mai il ritmo di produzione dei Re.2001, diventando una delle cause della lentezza con cui vennero consegnati i caccia ai reparti di linea.
Il primo Re.2001 Serie Zero venne spedito alla Regia Aeronautica nel maggio 1941 e l'ultimo in settembre, quando era in spedizione il primo esemplare della "Serie I". Considerate le difficoltà di produzione, la Regia Aeronautica cancellò l'ordine alle fabbriche di Taliedo e alla Breda, cui nel frattempo si era appoggiata la Caproni, mentre l'ordine alla Reggiane venne diminuito di cento unità (gli aerei che scaturirono da questo ordine sono inquadrati dalle fonti nella Serie I) e quello fatto alle fabbriche di Predappio ridotto a dieci aerei. Per la fine del 1941 la Regia Aeronautica aveva ricevuto solo i dieci esemplari della Serie Zero più altri ventisette della Serie I.
Fu proprio per sopperire alla lentezza degli approvvigionamenti dei motori Alfa Romeo che la Regia Aeronautica richiese alla Caproni di Taliedo l'installazione del motore a dodici cilindri a V invertito Isotta Fraschini Delta IV RC.16-48, raffreddato ad aria, nella cellula di un Re.2001.
Consapevoli della ridotta potenza del motore, 840 CV (626 kW) a 5 300 m, i vertici dell'aeronautica speravano che la riduzione di peso consentisse di mantenere prestazioni paragonabili a quelle del Re.2001 di serie. Nell'estate 1942 venne costruito un prototipo (MM.9920) denominato Re.2001 Delta, ordinato in cento esemplari l'8 settembre seguente, quattro giorni prima che il velivolo fosse portato in volo. Le prestazioni raggiunte (523 km/h a 5 600 m, 10 min 30 s per toccare i 6 000 m) erano inferiori a quelle delle macchine di serie; inoltre il prototipo venne distrutto da un incendio dovuto al surriscaldamento del motore il 27 gennaio 1943 e l'ordine venne cancellato.
Nel frattempo, nel dicembre 1941, il Ministero dell'Aria aveva modificato l'ordine dei cento Re.2001 fatto alla Reggiane: trentanove aerei avrebbero dovuto ospitare un aggancio ventrale per una bomba da 250 kg, due dovevano essere attrezzati per il lancio dalle navi tramite una catapulta, e dodici avrebbero dovuto essere equipaggiati con ganci d'arresto per impiegarli nelle portaerei Aquila e Sparviero, che tuttavia non entrarono mai in servizio. Alcuni dei trentanove cacciabombardieri, designati Re.2001CB (Caccia-bombardiere), vennero testati con bombe speciali, o con siluri, insieme ad un sistema che correlava il passo dell'elica con i comandi motore, compiendo anche voli di prova ospitando uno speciale attacco ventrale per una bomba da 250 kg. I dodici aerei per le portaerei più i due "catapultabili" vennero completati, e l'entusiasmo fu tale che il Ministero dell'Aeronautica ordinò cinquanta Re.2001OR (Organizzazione Roma) nella versione imbarcata, le cui uniche differenze rispetto al progetto originale erano il gancio d'appontaggio e la predisposizione ad essere lanciati dalle catapulte.
Mentre erano in costruzione i primi Re.2001OR il Ministero dell'Aeronautica chiese di adattare l'aereo per la caccia notturna. Il progetto del Re.2001CN (Caccia Notturna) prevedeva scarichi antifiamma e una gondola sotto ogni ala, ciascuna dotata di un cannone Mauser da 20 mm con sessanta colpi. Vennero eliminate le mitragliatrici da 7,7 mm nelle ali. Ne vennero ordinati duecento, ma in totale se ne costruirono solo settantaquattro prima che l'annuncio dell'armistizio di Cassibile ponesse fine ad ogni lavoro.
Un piccolo numero di aerei venne fornito di fotocamere/cineprese orizzontali e verticali posizionate sul bordo d'entrata di entrambe le ali, ma sembra che questa versione non sia mai stata impiegata a livello operativo. Venne anche sviluppata una versione in grado di trasportare un siluro (Re.2001G) ed una destinata a missioni anticarro (Re.2001H).
Oltre all'Italia, l'unico altro paese che si interessò al caccia della Reggiane fu la Svezia, le cui autorità valutarono di acquistare cento Re.2001 sprovvisti del motore, viste le difficoltà dell'Alfa Romeo, che invece sarebbe stato acquistato direttamente dalla Germania. Nel luglio 1941 la Svezia chiese ufficialmente la disponibilità della Reggiane a produrre gli aerei, ma un ordine vero e proprio non si materializzò mai.
In merito al soprannome del velivolo, che non faceva parte della denominazione ufficiale, alcune fonti non concordano sull'impiego del nome "Falco II" ed indicano il Re.2001 come "Ariete" o "Ariete I" stabilendo un rapporto di stretta parentela con il Re.2002 (indicato come "Ariete II") sviluppato quasi contemporaneamente.
Il Re.2001 era un monoplano monoposto ad ala bassa, dalla struttura interamente metallica.
La fusoliera era del tipo a semimonoguscio in duralluminio con rivestimento lavorante; la cabina di pilotaggio era situata nella parte mediana, di poco posteriore al bordo d'entrata alare, ed era chiusa da una cappottina vetrata con apertura a ribaltamento laterale, verso la parte destra del velivolo; dotata di seggiolino corazzato, posteriormente al poggiatesta terminava (negli esemplari di serie) in una carenatura metallica sagomata al fine di garantire al pilota un angolo di visuale, seppur minimo, verso la parte posteriore del velivolo.
L'ala aveva pianta ellittica ed era del tipo a cassone, costituito da tre longheroni in duralluminio e da nervature in duralluminio ed Alclad (duralluminio placcato in alluminio puro, al fine di conferire maggior resistenza alla corrosione). Derivata da quella, a cinque longheroni, del Re.2000, su precisa richiesta delle autorità militari, abbandonava la soluzione dei serbatoi integrali per ospitarne due, blindati, nella radice alare. Nella parte interna del bordo d'uscita erano collocati quattro ipersostentatori, mentre in quella esterna si trovavano gli alettoni, rivestiti in tela. L'impennaggio era di tipo classico, in duralluminio con le superfici mobili rivestite in tela.
Il carrello d'atterraggio era di tipo triciclo posteriore, con gli elementi principali monoruota controventati posteriormente ed incernierati nella parte interna delle semiali; la retrazione avveniva verso la parte posteriore e le ruote, con un movimento di rotazione di 90°, alloggiavano di piatto nello spessore dell'ala. Il ruotino posteriore era orientabile ma non retraibile e la gamba era realizzata in una lega d'alluminio denominata Avional.
Il motore installato sugli esemplari di serie del Re.2001 era il V12 Alfa Romeo RA 1000 RC.41, copia prodotta su licenza del Daimler-Benz DB 601; si trattava di un'unità motrice in grado di sviluppare la potenza di 1 175 CV al decollo e di 1 050 CV a 2 400 giri al minuto alla quota di 4 100 m.
Anche l'elica era prodotta dall'Alfa Romeo ed era del tipo tripala, di costruzione metallica; aveva passo variabile in volo, velocità costante ed un diametro di 3,10 m.
Nella versione da caccia diurna, il Re.2001 era armato con due mitragliatrici Breda-SAFAT Mod.1935 calibro 12,7 mm (dotate di 350 colpi per ogni arma), alloggiate sopra il motore e sparanti attraverso il disco dell'elica, e con due Breda-SAFAT Mod.1928Av calibro 7,7 mm (con 600 colpi ciascuna), disposte nelle semiali.
Carichi di caduta erano previsti per le diverse varianti del velivolo ed erano specifiche, come meglio descritto in seguito, a seconda della rispettiva tipologia d’impiego.
Il velivolo prescelto per l’imbarco fu il caccia Re.2001OR (Organizzazione Roma, dal nome della struttura incaricata della realizzazione delle portaerei italiane): versione di cacciabombardiere imbarcato ordinata in cinquanta unità, destinate ai reparti da impiegare sulle portaerei Aquila e Sparviero. Differiva dalla versione originale per il gancio d'appontaggio e la predisposizione ad essere lanciato da una catapulta. Questi aerei, che andarono a formare la cosiddetta Serie II del Re.2001, non prevedevano le ali ripiegabili dal momento che era previsto di risparmiare spazio attaccando i velivoli al soffitto degli hangar delle portaerei con delle speciali imbracature. La Serie II venne completata costruendo dei Re.2001CN al posto della versione OR.
Re.2001S: alcuni esemplari della Aeronautica cobelligerante vennero convertiti nel 1944 a questo standard con l'adozione di un serbatoio ventrale supplementare; in questo caso il suffisso "S" stava ad indicare l'impiego come caccia di scorta.

Il destino di una bella nave

L'Aquila era in fase di completamento e aveva superato il suo primo collaudo statico quando l'8 settembre 1943 l'Italia si arrese agli Alleati. La Germania quindi sequestrò la nave e la pose sotto scorta. L'Aquila fu successivamente danneggiata il 16 giugno 1944, durante un attacco aereo alleato su Genova. Verso la fine della guerra, il governo “co-belligerante" italiano temeva che i tedeschi potessero utilizzare l'Aquila come nave da blocco all'ingresso del porto di Genova. Inviarono sommozzatori dell'ex Decima Flottiglia MAS, che il 19 aprile 1945 affondarono parzialmente Aquila in un luogo innocuo.
I tedeschi cominciarono un parziale smantellamento per riciclarne il ferro ed infine il 19 aprile 1945 la nave venne attaccata da mezzi d'assalto subacquei "chariot" di Mariassalto facenti parte delle forze co-belligeranti italiane del Regno del Sud, per impedire che i tedeschi ne utilizzassero il grosso scafo per affondarla e bloccare l'imboccatura del porto di Genova.
Alla fine della guerra, il 24 aprile 1945, venne ritrovata ancora a galla, semi-sommersa e posta a metà del porto in un estremo tentativo di bloccare il passaggio fra il bacino della Lanterna e gli scali occidentali.
Rimorchiata dagli inglesi alla Calata Bettolo, vi rimase qualche anno finché fu rimorchiata nel 1949 a La Spezia, in attesa di una decisione su di un suo eventuale riutilizzo per usi civili, ma riscontrata la difficoltà e l'alto costo necessario per riportare la nave allo stato originale di piroscafo, ne venne decisa la demolizione, avvenuta nel 1952.






1987: INCROCIATORE PORTAEROMOBILI C-551 GIUSEPPE GARIBALDI

L'incrociatore portaeromobili STOVL Giuseppe Garibaldi, matricola C 551, è un'unità della Marina Militare che prende il nome dal generale del Risorgimento Giuseppe Garibaldi. 














L'unità è stata la prima portaerei nella storia della Marina Militare ad entrare in servizio attivo dato che due unità portaerei, l'Aquila e lo Sparviero, furono approntate nel corso della seconda guerra mondiale ma non entrarono mai in servizio. La nave ha ricoperto il ruolo prestigioso di nave ammiraglia della Marina Militare dal 1987 al 2011, quando è passato alla nuova portaerei Cavour.  Il ruolo di portabandiera della flotta era stato ricoperto dal 1961 al 1971 con lo stesso nome e la stessa matricola, dall'incrociatore Giuseppe Garibaldi. La nave ha subito un ammodernamento nel 2003 e una profonda ristrutturazione nel 2013.
L'unità, progettata per operazioni antinave, antiaeree e antisommergibile e per assolvere funzioni di comando e di controllo di operazioni da parte di forze complesse, dispone di una componente aerea che può, alternativamente, essere composta fino ad un massimo di 12 aerei STOVL AV-8B Harrier II più 6 elicotteri per un totale di 18 velivoli (12 in Hangar e 6 sul ponte di volo). Oppure solo 18 elicotteri Agusta SH-3D. Lo scafo è suddiviso in 13 compartimenti stagni da paratie verticali, mentre è suddiviso in sei ponti in senso longitudinale. Particolare cura è stata posta, in fase progettuale, allo studio della carena, sottoposta a numerose prove presso l'INSEAN (Istituto Nazionale di Studi ed Esperienze di Architettura Navale) di Roma che, su richiesta dell'Italcantieri, ha predisposto un bacino per le prove in condizioni di mare agitato e per lo studio dei fenomeni di cavitazione, mentre nel lago di Nemi sono state effettuate le prove di manovrabilità su un modello della nave di 8,57 metri. Lo scafo è dotato di normali alette antirollio, mentre con una velocità di navigazione superiore ai 18 nodi, due coppie di pinne retrattili, a comando elettro-idraulico, consentono una riduzione del rollio da 30° a 3°; e in funzione di riequilibrio dei carichi, in seguito a spostamenti di elicotteri o aerei, il servizio di bilanciamento trasversale viene assicurato da 2 casse di compensazione attive, poste in zona maestra, che sono riempite e svuotate mediante immissione od espulsione di acqua travasata da due elettropompe.
Il ponte di volo, dalla caratteristica struttura disassata rispetto all'asse longitudinale della nave, è dotato di un trampolino di lancio (ski-jump) inclinato di 6° 5', è lungo 174 e largo 30 metri ed è provvisto di una passerella laterale per il movimento del personale e per la sistemazione di attrezzature accessorie quali punti rifornimento carburanti, prese di energia e servizi antincendi. Tale passerella è posizionata circa un metro al di sotto del ponte di volo e l'aumento di quota della prora, in seguito alla decisione di adottare lo ski-jump, ha consentito il miglioramento della stabilità della nave in condizioni di mare agitato.
All'equipaggio che con il personale del comando complesso sfiora i 600 componenti, vanno aggiunti 230 del personale del gruppo aereo. L'hangar per ospitare la componente imbarcata è situato al di sotto del ponte di volo; esso misura 108×15×6 metri, è diviso in tre sezioni da due pareti tagliafiamma ed è dotato di due elevatori da 18×10 m della portata di 18 tonnellate della Navalimpianti, posti rispettivamente a prua ed a poppa della sovrastruttura (detta isola) e praticamente in asse con la sovrastruttura, che a sua volta è raggruppata intorno all'unico fumaiolo, in cui vengono convogliati i gas di scarico dei due gruppi propulsori, dei generatori diesel e delle calderine ausiliarie. L'isola, posizionata sul lato di dritta è lunga circa 60 metri ed ospita la plancia di comando, i locali operativi, e i gli alberi che sostengono gran parte delle numerose apparecchiature elettroniche.[7] Inizialmente era previsto un secondo ponte continuo al di sotto del ponte di volo, ma considerazioni riguardanti la stabilità della nave hanno indotto a preferire la soluzione alla fine adottata, con l'inconveniente che l'hangar, con i due elevatori collocati a proravia e poppavia dell'isola, blocca le comunicazioni tra i due lati dell'unità, possibili solo al di fuori della zona occupata dall’aviorimessa; sotto il ponte di volo si contano altri sei ponti.
La nave è dotata di impianto di condizionamento, usabile in assetto NBC, dotato di 6 elettro-compressori centrifughi posti a coppia su tre stazioni di condizionamento della ditta Termomeccanica con potenza complessiva di 3.000.000 fr/h, per il periodo estivo, e di due scambiatori di calore da 700.000 Cal/h, per il riscaldamento invernale.
Gli impianti di produzione dell'acqua di lavanda dolce calda e fredda da distribuire in 6 casse di acqua di lavanda (quattro a prora e due a poppa), erano inizialmente costituiti da due evaporatori ScamFlash della Ditta SCAM di Milano da 120 tonnellate al giorno ciascuno. Gli impianti sono stati sostituiti durante la sosta lavori del 2002/2004 con quattro impianti di dissalazione ad osmosi inversa della Ditta ROCHEM-MARINE posti a coppia nei locali apparato motore. Per il servizio acqua di lavanda calda e per il servizio acqua calda per il condizionamento caldo, provvedono due boiler misto elettrico-vapore il cui funzionamento è assicurato dal vapore a 105 °C prodotto da quattro calderine ausiliarie Bono (poste a due a due nei locali apparato motore) oltre che con scaldiglie elettriche (possono essere alimentati alternativamente o contemporaneamente sia con vapore che elettrico in caso di onerosa richiesta e/o quando l'Unità è in mare con il massimo degli effettivi).
Il 13 ottobre 2013 la nave è stata trasferita presso l'Arsenale militare marittimo di Taranto, per effettuare una profonda ristrutturazione svolta dalle maestranze dell'arsenale, che consentirà di prolungare l'impiego operativo dell'unità per almeno altri 7/8 anni. La ristrutturazione è stata complessa e le lavorazioni hanno riguardato la quasi totalità degli impianti e delle strutture della nave. I lavori hanno riguardato principalmente il rifacimento dell'apparato propulsivo, tutti gli impianti ausiliari, come i gruppi elettrogeni e la manutenzione ordinaria in genere e l'ordinario carenaggio oltre alla bonifica di amianto da alcuni impianti. La sosta avrebbe dovuto protrarsi sino al 15 marzo 2015, con una spesa complessiva inizialmente pianificata di circa 11 milioni di euro, ma le lavorazioni sono state completate nel novembre 2014 con la conclusione delle attività di collaudo, con oltre quattro mesi di anticipo rispetto ai tempi previsti e con una spesa effettiva perfettamente in linea con le risorse finanziarie assegnate.
Le lavorazioni hanno visto la sostituzione delle turbine a gas giunte al termine della loro vita operativa, la revisione dei generatori diesel e del sistema di distribuzione della rete elettrica, il rifacimento del manto del ponte di volo, la revisione di tutti gli impianti di supporto alle operazioni di volo, del sistema di condizionamento sia estivo sia invernale, dei sistemi di sollevamento e movimentazione di velivoli e apparecchiature, degli accessori dello scafo, e degli apparati ed armamenti del sistema di combattimento. I lavori hanno riguardato anche la sostituzione degli impianti di trattamento delle acque oleose di sentina, per adeguare la nave alle ultime normative nazionali ed internazionali in difesa e a tutela del patrimonio ambientale, e il rifacimento del trattamento di pitturazione della carena con un ciclo di pitture a elevato contenuto tecnologico, in grado di assicurare una maggiore durata e di ridurre i consumi di combustibile dell'8-13% e, di conseguenza, ridurre le emissioni di sostanze inquinanti. Complessivamente sono stati trattati 5200 m2 di carena, 4400 m2 di ponte di volo, sostituiti 30120 kg di lamiere, bonificati e trattati 29348 m3 di casse e sentine e sostituiti 4880 metri di tubazioni.

La «spending review» della Difesa potrebbe comprendere la vendita a un altro Paese della portaerei Garibaldi. Ma una portaerei non è come un’auto usata, è facile trovare un compratore? Secondo alcune riviste del settore un possibile acquirente ci sarebbe.  

Sorpresa: non è qualche emergente col turbo tipo India o Brasile. Non c’è ancora niente di ufficiale, siamo solo al pour parler, ma a essere interessata era l’Angola. Che desiderava anche una serie di altre unità navali italiane per dotarsi ex novo di una grande flotta oceanica, primo Paese dell’Africa nera a lanciarsi in un programma così ambizioso. Lo scopo: proteggere le sue piattaforme petrolifere in mare e difendere anche le rotte lungo le quali le petroliere vanno e vengono per riempire le stive.  
 
Il risvolto economico italiano è altrettanto notevole perché se il programma navale venisse realizzato nella sua interezza varrebbe 3 o 4 miliardi contando tutto quanto, dal prezzi nudo delle navi alle operazioni di riadattamento nei nostri cantieri navali all’addestramento di marinai e piloti e alla manutenzione dei mezzi per almeno dieci anni. 
 
La Garibaldi è una portaerei in piena efficienza ma di una certa età che se resta in carico alla Marina militare italiana è destinata alla radiazione al massimo fra il 2018 e il 2020. Trovargli un compratore solvibile come l’Angola, oggi secondo produttore di petrolio dell’Africa nera ma presto destinato a diventare il primo, sarebbe un bel colpo per l’Italia. Gli impianti di estrazione angolani sono quasi tutti in mare, vulnerabili ad attacchi terroristici. Ma per l’Angola dotarsi di una portaerei va oltre la necessità di pararsi da minacce locali e può servire anche a diventare una potenza navale nell’Atlantico e anche nell’Oceano indiano, assumendosi responsabilità nella lotta contro la pirateria. 
 
I Paesi occidentali sarebbero lieti di questo sviluppo che allevierebbe il loro attuale sovraccarico di lavoro. Il governo di Luanda sembra voler perseguire questa strategia per esigenze oggettive ma anche per una cresciuta di status internazionale. 
 
Oltre alla Garibaldi l’Angola vorrebbe comprare una o due fregate Maestrale, un paio di pattugliatori delle classi Comandanti o Borsini, una o due navi logistiche e alcune unità veloci per la protezione delle piattaforme offshore. In alternativa alla portaerei, Luanda potrebbe puntare su una meno impegnativa nave da assalto anfibio della classe Santi, che ha costi di gestione più bassi ma garantisce una buona capacità di comando e controllo e di <proiezione> della potenza a distanza dalle coste o addirittura in altri oceani. 
 
Per tradizione la Marina più forte del continente è stata quella del Sud Africa che però adesso è in declino. In teoria la Nigeria avrebbe le stesse esigenze di difesa navale dell’Angola e mezzi finanziari corrispondenti, ma la Nigeria è assorbita da una o più guerre civili e l’Angola no (non delle stessa intensità). La Marina angolana al momento è costituita solo da piccole unità costiere e in pratica è da formare ex novo; per l’Italia dare una mano a realizzare l’intera operazione oltre che un affare economico sarebbe una bella sfida.  






2009: PORTAEREI CVH-550 CAVOUR

Il Cavour (C 550, e anche CVH 550) è una portaerei ("incrociatore portaeromobili" secondo la classificazione ufficiale) STOVL (a decollo corto ed atterraggio verticale) della Marina Militare italiana. Entrato in servizio nel 2009, dal 2011 è la nave ammiraglia della flotta.










Commissionato a Fincantieri il 22 novembre 2000, lo scafo è stato impostato il 17 luglio 2001 nel cantiere navale di Riva Trigoso e completato a Genova dove il troncone poppiero è stato varato il 20 luglio 2004 (il varo è stato l'ultimo eseguito al cantiere di Riva Trigoso con il tradizionale scivolo diretto in acqua) e trasferito al cantiere navale del Muggiano della Spezia per il collegamento al troncone prodiero e per i lavori di completamento dell'allestimento.

Il 22 dicembre 2006 ha effettuato la prima prova di navigazione ed il 27 marzo 2008 è stato consegnato alla Marina Militare per i collaudi finali, al termine dei quali il 10 giugno 2009 è entrata in servizio con la consegna della bandiera di combattimento avvenuta nel porto di Civitavecchia alla presenza del Capo dello Stato Giorgio Napolitano del ministro della difesa Ignazio La Russa, del capo di Stato maggiore della Marina ammiraglio di squadraPaolo La Rosa, e delle più alte cariche istituzionali. La bandiera è stata consegnata al Comandante della nave, capitano di vascello Gianluigi Reversi dal sindaco di Torino Sergio Chiamparino a nome della città piemontese, suggellando il rapporto ideale del Cavour con la città di Torino. La bandiera è custodita a bordo, in un cofano donato dai gruppi dell'Associazione Nazionale Marinai d'Italia di Piemonte e Valle d'Aosta.

Il Cavour è stato costruito per combinare varie funzionalità fra cui, oltre alla predominante azione aerea tramite modelli V/STOL ed elicotteri, anche scenari di operazioni anfibie, comando complesso e di trasporto di personale civile e militare e di veicoli pesanti. Il Cavour è posto alle dirette dipendenze del Comando in Capo della Squadra Navale.

Il 5 dicembre 2011, al termine delle esercitazioni "Mare Aperto" e AMPHEX 2011, presso la Stazione navale Mar Grande di Taranto, si è svolta l'ultima riunione della Commissione che ha formalmente sancito la conclusione dei "lavori di fine garanzia" della nave ammiraglia della Squadra navale. Al termine della cerimonia con la firma del presidente della commissione ammiraglio ispettore capo Alberto Gauzolino, alla presenza del comandantedell'unità, il capitano di vascello Aurelio De Carolis, il Cavour ha raggiunto la piena capacità operativa. La "Commissione per i lavori di fine garanzia" aveva lavorato, sin dal 2009, in piena sinergia con l'equipaggio della nave, numerose aziende sotto la guida di Fincantieri e vari enti della Marina Militare, tra cui la Direzione generale per gli armamenti navali, l'Ispettorato logistico e l'Ufficio tecnico navale di Genova.

La nave è stata così chiamata in onore di Camillo Benso di Cavour (dopo aver scartato proposte come Luigi Einaudi ed Andrea Doria) ed è diventata la NUM (Nuova Unità Maggiore) della Marina Militare, affiancando la portaereiGiuseppe Garibaldi. Questo nome ha un significato storico per la Marina Militare, quale riconoscimento per il forte impulso che il Conte di Cavour diede, all'indomani dell'Unità d'Italia, all'espansione ed alla qualificazione della marina italiana sorta dalla fusione delle marine preunitarie. Il nome è stato assegnato a due navi della Regia Marina: un trasporto di prima classe attivo tra il 1885 ed il 1894 e la corazzata Conte di Cavour, affondata dagli inglesi durante la famosa notte di Taranto nel 1940. Significativa anche la scelta dell'identificativo ottico 550 che fu dell'incrociatore Vittorio Veneto, ex nave ammiraglia, in disarmo dal 2006.

Il 14 dicembre 2011, nel porto di Civitavecchia, nel quadro delle celebrazioni del 150º anniversario dell'unità d'Italia, a rimarcare il legame tra la Marina Militare e gli ideali cavouriani di unità d'Italia, Nerio Nesi, amministratore delegato della Fondazione Cavour di Santena (TO), alla presenza del capo di Stato maggiore della Squadra navale ammiraglio di divisione Donato Marzano, ha consegnato, al comandante della nave, capitano di vascello Aurelio De Carolis, cimeli appartenuti a Camillo Benso di Cavour.
I cimeli, provenienti dalla collezione del museo del Castello Cavour di Santena, che saranno custoditi nell'area storica di rappresentanza dell'ammiraglia della Marina Militare, consistono in un collare con placca con astuccio originale del Supremo Ordine della Santissima Annunziata, conferito a Cavour il 30 aprile 1856, un bozzetto originale, modellato dallo scultore conte Annibale Galateri di Genola, del medaglione che ornava il cofano della bandiera di combattimento della corazzata Conte di Cavour e il regio decreto 11 ottobre 1850 di nomina di Camillo Benso di Cavour a ministro della marina, agricoltura e commercio, controfirmato da Massimo d'Azeglio e seguito da copia dell'atto di giuramento.
Pur essendo il massimo strumento offensivo il vettore aereo, il Cavour è dotato di una serie di sistemi d'arma atti ad aumentare le capacità della portaerei. Il sistema di combattimento è rappresentato da una fitta rete di sensori ed armamenti che garantiscono una difesa costante da qualsiasi tipo di minaccia la nave dovesse incontrare.

La rete sensoristica è composta da:
  • SPY-790 EMPAR: radar volumetrico 3d capace di tracciare 300 tracce e 12 bersagli contemporaneamente, portata superiore ai 100 km;
  • SPS-798 EW: radar 3d "early warning" in grado di rilevare minacce ad elevatissima distanza dalla nave (500 tracce simultanee a 300 km di distanza);
  • SPS-791 RASS: radar di sorveglianza e di superficie in grado di scoprire unità navali, velivoli a bassissima quota e missili in avvicinamento essendo molto efficace contro i missili sea skimmer;
  • SPN-753: radar nautico di ricerca;
  • SPN-720: in grado di guidare gli aerei e gli elicotteri in appontaggio;
  • SPN-41 A e TACAN SRN-15 A: in grado di far eseguire avvicinamenti di precisione e di fornire informazioni agli aerei in navigazione;
  • SNA-2000: sonar di scoperta;
  • IR ST SASS: rilevatore infrarosso;
  • EWSS: scanner radio in grado di analizzare lo spettro e rilevare eventuali emissioni radio (e quindi anche eventuali radar attivi);
  • SLAT: rilevatore di siluri in arrivo;
  • IFF SIR R/S: identificazione certa di bersagli.

Armamenti imbarcati:
  • 32 celle di lancio verticale per missili ASTER15 antiaerei ed antimissile;
  • mitragliere 25/80 KBA;
  • CIWS DAVIDE 76/62 per la difesa di punto antimissile ed antiaerea;
  • SCLAR-H sistema compatto lanciarazzi;
  • SLAT per la difesa antisiluro: è composto dai sottosistemi RATO, CMAT e ALERTO.

Il Cavour imbarca un totale di 20-36 aeromobili, del GRUPAER, il Gruppo aeromobili imbarcati dell'Aviazione Navale. Il gruppo di volo è composto da velivoli V/STOL AV-8B Harrier Pluse, quando disponibili, i nuovi F-35 Lightning II (sviluppati da Lockheed Martin per il programma Joint Strike Fighter commissionato dagli Stati Uniti in collaborazione con Regno Unito, Italia, Paesi Bassi e altre nazioni). Inoltre sono imbarcati elicotteri di vario tipo, dagli SH-3D agli NH-90 ai pesanti EH-101, sia come piattaforme radar (versione AEW su elicotteri) che con compiti di ricerca e soccorso (SAR), di attacco antisommergibile (ASW) o antisuperficie (ASuW).

I dati ufficiali per l'hangar indicano che «è dimensionato per accogliere fino a 12 elicotteri oppure, in alternativa, 4 elicotteri e max 8 aerei». Per garantire maggiore libertà di movimento in coperta può, in caso di necessità o emergenza, ospitare circa 16 aeromobili in hangar. Il ponte di volo ha una dimensione tale che si ipotizza vi si possano parcheggiare fino a un massimo di 24 velivoli in diverse configurazioni tra aerei ed elicotteri per un massimo complessivo di 40 velivoli. Il ponte di volo misura 220 m × 34,50 m per una superficie netta di 6,800 m² netti, ossia togliendo lo spazio occupato dall'isola di comando e l'ascensore di prua. Comunque, l'intero ponte di volo così come appare, è lungo 232,36 x 34,50, quindi ben oltre le dimensioni considerate come spazio di volo. La lunghezza della pista di decollo è di 180 metri e la larghezza è di 14 metri. Risulterebbe in questa configurazione che, in caso di necessità stile "Royal Navy nella guerra delle Falkland", potrebbe trasportare un mix massimo di 36 velivoli tra caccia F-35 ed elicotteri EH 101 e NH 90, questo per garantire un minimo di movimento dei velivoli sia sul ponte che in hangar (quindi, per ragioni tecniche, non si potranno mai far operare 40 velivoli, in quanto la nave diverrebbe un semplice trasporto aerei, infatti per operare come portaerei, serve spazio sia per il movimento velivoli, sia per le dovute riparazioni nella piazzola officina all'interno dell'hangar).

Nel gennaio del 2011, in seguito ad incremento dei costi e a problemi di sviluppo, il progetto del caccia F-35B STOVL è stato definito "a rischio" dal segretario della difesa degli Stati Uniti d'America Robert Gates. In caso di cancellazione di tale progetto, la Marina Militare non avrebbe potuto sostituire gli ormai datati Harrier, e sarebbe stata costretta a declassare la nuova portaerei al rango di portaelicotteri, dal momento che il Cavour non ha un ponte di volo adatto al decollo di velivoli ad ala fissa convenzionali[9]. Tale impasse nel 2013 è apparsa comunque ormai superata.

La Marina Militare Italiana, dopo l'entrata in servizio del Garibaldi, aveva pianificato l'acquisizione di un'altra portaereomobile che doveva avere caratteristiche simili a quelle dell'ammiraglia della flotta italiana dell'epoca, potendo però disporre di un ponte più grande e con un dislocamento leggermente superiore (15000 t) a vuoto.

Il progetto venne però cancellato dopo la fine della guerra fredda, quando i requisiti della Marina militare italiana cambiarono e si passò al progetto 156.

La nuova portaereomobile, infatti, avrebbe dovuto avere un tonnellaggio tra le 18 000 e le 20 000 tonnellate, con una lunghezza di 200 metri e una larghezza di 34 metri e in grado di imbarcare 10/12 AV-8B e 6/8 EH-101.

Nel 1995 si decise di optare per un'unità anfibia di 13 000 tonnellate, ma successivamente si passò ad una nuova unità anfibia maggiore, in grado di imbarcare 4 AV-8B e 6/8 EH-101; alla fine si passò al progetto 163/168 a favore di una nuova nave da più di 27 000 tonnellate di dislocamento a pieno carico, ossia il Cavour, poi consegnato alla Marina italiana nella primavera del 2008.
Altre ulteriori modifiche fatte nel 2008 renderanno il tonnellaggio massimo della nave vicino alle 30 000 tonnellate in caso d'imbarco di mezzi militari di massimo peso per operazioni aeronavali di supporto ad eventuali sbarchi.

La nave è predisposta per ospitare un comando navale complesso (MCC) e, a tal fine, dispone di 174 postazioni di lavoro tutte connesse alla 5 diverse reti telematiche disponibili, nonché di specifiche 12 aree di lavoro dedicate e riconfigurabili.

Le capacità ospedaliere si basano su 2 sale operatorie e 32 posti di degenza, su una superficie complessiva di 400 m².

Il Cavour, a differenza di altre unità della flotta, è stato concepito con una capacità duale: è in grado, cioè, di compiere anche missioni di natura non militare, soprattutto in caso di calamità. La portaerei può imbarcare un completo comando della Protezione Civile e garantire energia elettrica, acqua potabile, pasti caldi e supporto sanitario, oltre che a fungere come snodo di smistamento dei soccorsi. Il vantaggio, già sperimentato in altri interventi della Marina Militare degli ultimi anni, è quello di poter agire dal mare, indipendentemente dallo stato delle infrastrutture della zona sinistrata.
Per tali emergenze, il Cavour può dispiegare a terra, grazie agli aeromobili, un centro di assistenza per 250 persone e può aiutare nell'evacuazione della popolazione civile con 700 posti letto. L'infermeria è altresì dotata di due sale operatorie complete, che possono operare in contemporanea per gli interventi più complessi, accogliendo all'occorrenza personale medico civile.
L'impianto di propulsione dell'unità, con i suoi 88 000 kW generati da quattro turbine General Electric – Avio, è il più potente non nucleare realizzato al mondo negli ultimi decenni.
La centrale operativa di combattimento (COC) ha 150 postazioni operative informatizzate e schermi al plasma di grandi dimensioni per visualizzare i contenuti informativi necessari allo svolgimento delle operazioni.
La prima missione operativa del Cavour, al comando del capitano di vascello Gianluigi Reversi, ha avuto luogo il 19 gennaio 2010 ad Haiti, allo scopo di recare aiuto alla popolazione colpita dal catastrofico terremoto.
Si è trattato di un'operazione congiunta tra le forze armate italiane e quelle brasiliane. Il dispositivo nazionale interforze, che ha preso parte all'operazione, denominata "White Crane", risultava composto da quasi mille unità di personale tra militare e civile e con circa 200 tonnellate di viveri.
La portaerei ha preso poi parte, nel golfo di Napoli, alle celebrazioni della Festa della Marina Militare il 10 giugno 2010.
Il 24 febbraio 2011 il Ministro della difesa La Russa ha dichiarato che anche questa nave era stata mobilitata all'interno del meccanismo navale italiano disposto nel Mediterraneo in risposta ai rivolgimenti socio-politici in Libia.
Da novembre 2013 ad aprile 2014, assieme al 30º Gruppo Navale, ha effettuato il periplo del continente africano.
Nel mese di novembre 2014 è stata impegnata per attività di rappresentanza ed intensa attività addestrativa nel mar Adriatico ("solcato" per la prima volta) e nel mar Ionio, toccando i porti di Augusta, Trieste, Bari, Ortona (fonda), Teodo (Montenegro) e Ragusa (Croazia).
Dal giugno 2015 è stata la nave ammiraglia della missione Operazione Sophia (EUNAVFOR Med), fino al maggio 2016.

La costruzione della sola piattaforma è costata circa 900 milioni di euro, cui vanno aggiunti circa 23 milioni di euro per la fornitura di apparati minimi per la navigazione, 35 milioni relativi al supporto integrato ed ulteriori 150 milioni di euro in forniture dei sistemi di comando e controllo, le comunicazioni, i sistemi d'arma a corto/medio raggio. Per un totale di 1 108 milioni di euro, a queste spese poi vanno ad aggiungersi circa 192 milioni di euro per tutti i sistemi d'arma non compresi in quelli precedentemente menzionati per un costo complessivo pari a 1,3 miliardi di euro. Tale somma è stata coperta con fondi ordinari del Ministero della difesa e dello sviluppo economico per una somma di 1 003 milioni di euro suddivisa in stanziamenti pari a 50 milioni di euro fino al 2001, 35 milioni di euro nel 2001, 78 milioni di euro nel 2002, 92 milioni di euro nel 2003, 185 milioni di euro nel 2004, 177 milioni di euro nel 2005, 25 milioni di euro nel 2006, 211 milioni di euro nel 2007, 150 milioni di euro nel 2008. I restanti 297 milioni di euro sono stati stanziati con fondi straordinari del ministero.

Il 30 luglio 2013, in un'audizione parlamentare, il ministro della difesa Mario Mauro dichiarò che i costi relativi alla portaerei sarebbero ammontati a complessivi 3,5 miliardi di euro. Il ministero successivamente precisò che i reali costi della piattaforma navale erano di circa 1,5 miliardi di euro, al netto dei futuri aeromobili F-35 e del relativo sistema di supporto logistico.






2021: L.H.D. L-9890 TRIESTE

Il Trieste, distintivo ottico L 9890, è un'unità anfibia multiruolo della Marina Militare, classificata ufficialmente come LHD (portaelicotteri d'assalto anfibio) e ordinata a seguito del programma navale 2014-2015, costruita nei cantieri navali di Castellammare di Stabia della Fincantieri.

















La bella unità sta ultimando le prove in mare dei sistemi di piattaforma e di combattimento. Il giorno 9 novembre 2021 è iniziato il corposo programma di prove ufficiali e le acque del Mar Ligure sono tornate ad essere la cornice delle attività della Nave. L’Unità aveva lasciato lo stabilimento Fincantieri Muggiano alla volta di quello di Palermo lo scorso 3 settembre. L’attraversata del Mar Tirreno è stata il primo vero banco di prova che la Nave ha affrontato dopo le prime prove a mare industriali condotte nel mese di agosto, 480 miglia nautiche da percorrere tutte d’un fiato senza vedere a poppa il profilo della costa spezzina. La navigazione di rientro non è stata meno interessante della precedente. Per la prima volta Nave TRIESTE ha incontrato le sferzate di vento e i marosi delle caratteristiche perturbazioni autunnali che corrono sul Mar Tirreno. Con le sue attuali 30.000 tonnellate di dislocamento non ha perso la calma che la contraddistingue, quasi come se il nome della città battuta dalla Bora che fregia le sue fiancate la rendesse avvezza a quella forza esercitata sul suo grande scafo. Ora le prove sono iniziate e tu, TRIESTE, "risplendi sul mare".
Facente parte delle unità previste con la legge navale 2014-2015, la nuova nave anfibia multiruolo/multifunzione ha un dislocamento a pieno carico di circa 38 000 tonnellate e una lunghezza, fuori tutto, di circa 245 metri, detenendo così il titolo di unità più grande della flotta. Il progetto innovativo si rifà allo stile adottato anche dalle portaerei britanniche classe Queen Elizabeth. Infatti presenta due isole distinte, la prima (quella a proravia) per la navigazione, la seconda (a poppavia) per la gestione ed il controllo delle operazioni di volo. Questo assetto ha una triplice funzione, garantendo infatti un maggior raggio visivo, più spazio sul ponte di volo e anche una gestione più fluida ed efficiente delle varie attività.
Il ponte di volo ha una lunghezza di 230 metri ed una larghezza di 36 metri, con un totale di 9 punti per mezzi aerei. È dotato di 2 elevatori per aeromobili (15 m x 15 m) con una portata massima di 42 tonnellate.
Secondo i dati dichiarati, la nave è dotata di un bacino di sbarco allagabile al di sotto dell'aviorimessa, che consente di utilizzare mezzi anfibi tipo LCM (Landing Craft Mechanized), gommoni a scafo rigido (RHIB), aeroscafi LCAC (noti comunemente come hovercraft), L-CAC e i più innovativi mezzi da sbarco anfibio rapido (L-CAT) in dotazione alle marine NATO ed europee. A differenza della portaeromobili Cavour, che ha un'unica aviorimessa riconfigurabile in ponte veicoli non allagabile, questa unità dispone, al di sotto del ponte di volo, di due ulteriori ponti, di cui uno è un'aviorimessa di 2300 m² (e 530 metri lineari di corsia per parcheggio mezzi) con paratie rimovibili come nel Cavour (in modo da raggiungere i 2600 m²), collegata ad un ponte inferiore di 2200 m², diviso in un'autorimessa da 700 m² con 253 metri lineari per parcheggio mezzi e in un bacino allagabile (55 m x 15 m), dimensionato per l'ingresso di 4 LCM-1E o 1 LCAC.
Come il Cavour e il Giuseppe Garibaldi, anche il Trieste, sul ponte di volo, è dotato di trampolino di lancio inclinato (ski-jump) per facilitare il decollo degli aerei STOVL F-35B, come riportato anche nella scheda tecnica, mantenendo una capacità aerea secondaria da utilizzare in caso di necessità qualora il Cavour non fosse disponibile.
Il gruppo motore ha due assi con eliche pentapala a passo variabile e due timoni compensati a spada, due pinne stabilizzatrici retrattili, due eliche di manovra prodiere ed un'elica di manovra poppiera intubate, che garantiscono una maggiore manovrabilità in spazi ristretti rispetto alla sola accoppiata timoni/eliche.
Il taglio della prima lamiera è avvenuto il 12 luglio 2017 nello stabilimento Fincantieri di Castellammare di Stabia, mentre, poco più di 7 mesi dopo, il 20 febbraio 2018, ha avuto luogo l'impostazione della chiglia sullo scalo del cantiere navale stabiese, dando il via alla costruzione della nave. Essa è stata varata, e contestualmente battezzata il 25 maggio 2019, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, cerimonia cui ha fatto da madrina la figlia.
Il 12 agosto 2021 è avvenuta la prima prova in mare, al largo di La Spezia.
Si prevede che la nave d'assalto anfibio Trieste entri in servizio a metà 2023, andando a sostituire il Giuseppe Garibaldi e forse una delle tre navi da sbarco della classe San Giorgio.

SISTEMI D’ARMA DI ULTIMA GENERAZIONE

L'unità presenta sistemi d'arma di ultima generazione. Per quanto riguarda il comparto d'artiglieria, sono presenti:
3 cannoni multiruolo Leonardo-OTO da 76/62 (due a prua e uno a poppa) del tipo Super Rapido MF Davide, con munizionamento guidato e predisposizione per il nuovo munizionamento Vulcano;
3 torrette mitragliere a controllo remoto OTO Melara 25/80 equipaggiate con un cannone Oerlikon KBA da 25 mm (25x137mm);
2 lanciarazzi OTO Melara ODLS-20 per il lancio di ingannatori (esche elettroniche) subacquei ed aerei.

CANNONI MULTI-RUOLO LEONARDO-OTO da 76/62 mm Super Rapido

Il cannone OTO Melara da 76 mm è un cannone navale costruito e progettato dalla compagnia di difesa italiana Oto Melara (ora Leonardo). Si basa sull'Oto Melara 76/62C e si è progressivamente evoluto verso il 76/62 SR e il 76/62 Strales. 
Il sistema è abbastanza compatto da poter essere installato su navi da guerra relativamente piccole. La sua alta cadenza di fuoco e la disponibilità di diversi tipi di munizioni lo rendono adatto per la difesa antimissilistica a corto raggio, il supporto antiaereo, anti-superficie e di terra. Le munizioni includono proiettili perforanti, incendiari, a frammentazione diretta e un proiettile guidato commercializzato come in grado di distruggere i missili anti-nave altamente manovrabili. L’arma può essere installata anche in uno scudo “stealth”.
L'OTO Melara 76 mm è stato ampiamente esportato ed è utilizzato da oltre sessanta marine in tutto il mondo. E’ risultato il favorito rispetto al cannone navale francese da 100 mm per il progetto congiunto francese / italiana delle fregate FREMM.
Il 27 settembre 2006 l'Iran ha annunciato di aver avviato la produzione in serie di un cannone navale chiamato Fajr-27, che è un cannone Oto Melara da 76 mm retro-ingegnerizzato. Di recente anche la Turchia ha realizzato un “clone”.
Specifiche: Raffreddamento: acqua di mare, acqua dolce per il risciacquo; Alimentazione elettrica: 440 V, trifase, 60 Hz, circuito principale; Rete 115 V, monofase, 400 Hz, servo e sincronizzata.
Varianti: Compatto - La versione originale ha una cadenza di fuoco di 85 colpi al minuto. Super rapido - La variante Super Rapido o " Super Rapido ", con una cadenza di fuoco maggiore di 120 colpi al minuto, è stata sviluppata all'inizio degli anni '80 ed è rimasta attuale a partire dal 2020. La maggiore cadenza di fuoco del Super Rapido è stata ottenuta progettando un sistema di alimentazione più veloce.  Sistema Strales - La marina italiana ha tempo fa preferito il Super Rapido migliorato con sistema Strales e munizioni DART al Fast Forty 40 mm CIWS nel ruolo di difesa antimissilistica in quanto è in grado di contrastare diversi missili subsonici fino a 8.000 metri di distanza. È un cannone di medio calibro con una portata relativamente lunga e può essere utilizzato anche contro bersagli di superficie. Sovraponte - Il 76/62 Sovraponte ("over deck") è un nuovo supporto leggero compatto per il cannone 76/62. Il sistema è circa il 30-40% più leggero del Super Rapid standard e la sua installazione non richiede la penetrazione della coperta sottostante; la montatura ospita 76 proiettili pronti al fuoco ed è disponibile per la vendita sia con che senza il sistema Strales. Il Sovraponte è stato installato per la prima volta sui PPA classe Thaon di Revel della Marina Militare Italiana, posizionata sopra l'hangar elicotteri a poppa.
Per fornire più ruoli per il cannone OTO fornisce all'utente un'ampia gamma di munizioni specializzate: 
  • Standard HE: peso 6.296 kg, autonomia 16 km, effettivi 8 km (4 km contro bersagli aerei a 85°);
  • MOM: sviluppato da OTO (Multirole OTO Munition);
  • PFF: proiettile antimissilistico, con spoletta di prossimità e sfere di tungsteno incorporate nell'involucro per un effetto di frammentazione definito;
  • SAPOM: 6,35 kg (0,46 kg HE), portata 16 km (SAPOMER: 20 km) semi-perforante;
  • DART: proiettile guidato per bersagli di manovra antiaerei e antimissilistici;
  • VULCANO: 5 kg, proiettile guidato con una gittata massima di circa 40 km (è una versione più piccola del Vulcano da 127 mm).

Dai primi anni '80 il cannone era stato dotato di un sistema più potente e flessibile, l'RTN-30X (utilizzato con il sistema Dardo-E CIWS e noto nella Marina Militare Italiana come SPG-73), in grado di gestire i cannoni da 40, 76 e 127 mm e missili Sea Sparrow - Aspide. Questo sistema entrò in servizio con la Marina Militare Italiana sull'incrociatore Garibaldi (C551: l'RTN-30X entrò in servizio per primo sulle fregate classe Maestrale; la torretta Dardo da 40 mm fu asservita ai più piccoli e vecchi radar RTN-20X), ma pur sempre con le torrette binate Dardo da 40 mm. Le prime unità equipaggiate con il Dardo E e il Super Rapido da 76 mm furono i DDG AUDACE, seguiti poi dalla classe Durand de la Penne. Il 76/62 è stato utilizzato anche con molti altri sistemi di controllo del tiro esteri.
Ci sono stati molti sviluppi nelle spolette, essenziali per abbattere missili a bassa quota. La migliore spoletta sviluppata per i cannoni 76/62 è probabilmente la spoletta multiruolo programmabile 3A-Plus, prodotta da Oto Melara e Simmel Difesa, introdotta all'inizio degli anni 2000. Questa spoletta richiede l'installazione di un programmatore spoletta nel supporto. 
La spoletta multiruolo programmabile presenta diverse modalità tra cui una modalità temporale per l'esplosione in aria e una serie di modalità di prossimità: prossimità con cancello, prossimità antimissilistica, prossimità di difesa aerea convenzionale e prossimità anti-superficie. 
La spoletta include un DSP che annulla il disordine terra/mare ed è quindi in grado di rilevare un missile che vola fino a due metri sul livello del mare. Ha la capacità di riconoscere un bersaglio a una distanza di 10 metri. In tutto, la spoletta aumenta notevolmente l'efficacia del cannone quando si affrontano lanci di missili antinave.
Dagli anni '80 sono stati compiuti sforzi per lo sviluppo di munizioni guidate da 76 mm, ma ciò non è stato raggiunto fino a tempi recenti. La prima munizione di questo tipo fu la CCS (Course Corrected Shell), nota anche come 'CORRETTO'; un programma congiunto di OTO e British Aerospace.  I lavori iniziarono nel 1985. Il proiettile aveva diversi piccoli razzi per deviare la traiettoria. I comandi radio venivano inviati dalla nave FCS. L'FCS non conosceva la posizione esatta del proiettile, solo quella del bersaglio. Questo sistema era troppo complesso e inaffidabile, quindi OTO studiò un altro sviluppo per ottenere una vera "munizione guidata".
Il risultato di questo sviluppo è un sistema che è stato chiamato DAVIDE per il solo mercato italiano e STRALES per l'esportazione mentre le munizioni guidate sparate sono state chiamate DART (Driven Ammunition Reduced Time of flight). 
Il proiettile DART è simile per molti aspetti ad altri sistemi di ipervelocità, ad esempio la testata multi-dardo del missile Starstreak SAM, ma è un proiettile guidato tramite radiocomando e una spoletta di prossimità per l'ingaggio a basso livello (fino a 2 metri sopra il mare). Il DART viene sparato a 1.200 m/s (3.900 piedi/s), può raggiungere una portata di 5 km in soli 5 secondi e può eseguire manovre fino a 40G.  Il proiettile DART è composto da due parti: quella anteriore è libera di ruotare e ha due piccole ali canard per il controllo del volo. La parte poppiera ha la testata da 2,5 kg (con cubetti di tungsteno e la nuova spoletta 3A millimetrica wave), sei ali fisse e le riceventi radio. 
Il sistema di guida è Command Line of Sight (CLOS). Utilizza un'antenna TX installata sul cannone. Il comando radio è fornito tramite collegamento dati di trasmissione (Ka Band). 
Il primo lotto di munizioni guidate DART 76mm, prodotte dalla OTO Melara, venne collaudato con successo a fine marzo 2014. Le prove di tiro furono condotte a bordo di una delle navi della Marina Militare Italiana equipaggiate con il sistema Strales 76mm SR e con il sistema di controllo del tiro Selex NA25.  Le prime prove di tiro delle munizioni DART acquistate dalla Colombia nel 2012 sono state condotte con successo nel Mar dei Caraibi il 29 agosto dal sistema di difesa dello strato interno 76/62 Strales montato sulle sue fregate classe Padilla FS 1500 modernizzate. 
Lo sviluppo più recente è il sistema di munizioni VULCANO 76. Fondamentalmente, è una versione ridotta della famiglia Vulcano da 127–155 mm di proiettili a raggio esteso sviluppati dalla Oto Melara; guidato dal sistema di navigazione inerziale e dai sistemi di posizionamento globale, è in grado di colpire bersagli a una distanza doppia rispetto alle normali munizioni da 76 mm. Utilizza la guida GPS-IMU e un sensore terminale IR o SALT.  Si prevede che le munizioni Vulcano 76 GLR completeranno il processo di sviluppo, test e qualificazione entro la fine del 2022 con la consegna dei proiettili di produzione ai clienti dal 2023 al 2024 in poi. 

ARMAMENTO MISSILISTICO MARE-ARIA

Il comparto missilistico comprende invece:
predisposizione per 4 lanciatori verticali (VLS Sylver) da 8 celle (due a prua e due a poppa) per una capacità totale di 32 missili Aster 15/30.
L’Aster è un missile antimissile in grado di intercettare ogni tipologia di minaccia aerea ad alte prestazioni come:
  • aerei, 
  • UAV, 
  • missili balistici, 
  • missili da crociera 
  • e missili anti-nave a distanze fino a 120 km. 

Aster è una famiglia di missili antiaerei superficie/aria costruiti da Eurosam, un consorzio Europeo formato da MBDA Italia, MBDA Francia e Thales.
La famiglia è composta da due varianti Aster 15 con gittata di 30 km e Aster 30 con gittata di 120 km, Il sistema di guida si avvale di un radar attivo nella fase finale, mentre nella fase di crociera il missile riceve aggiornamenti tramite un data-link. I missili Aster sono progettati per essere utilizzati sia da unità navali che da lanciatori terrestri. La versione 30 differisce dalla 15 per la presenza di un primo stadio (booster)..In entrambi i missili, la parte che effettua l'intercettazione (dardo) è caratterizzata dai sistemi di manovra PIF (dal francese Pilotage en Force) e PAF (Pilotage Aerodinamic Fort).
Il PAF è una architettura nella quale parte dei timoni (TVC) viene investita dal flusso aerodinamico generato del motore a razzo, mentre il PIF è basato su getti di aria compressa che modificano rapidamente la traiettoria del missile. Il PIF viene usato soprattutto in prossimità del bersaglio, dove la forza aerodinamica generata dai timoni classici ha un'isteresi più alta e quindi non è in grado di far cambiare traiettoria al missile con sufficiente rapidità, peggiorando le caratteristiche di precisione del sistema d'arma.
Sono operative da tempo due versioni della famiglia di missili Aster: 
  • la versione a corto raggio, Aster 15 
  • e la versione a lungo raggio, Aster 30. 

I corpi dei missili sono identici; li differenza la portata e la velocità di intercetto che è dovuta al fatto che l’Aster 30 utilizza un booster più potente. I pesi totali dell'Aster 15 e dell'Aster 30 sono rispettivamente di 310 kg e 450 kg. L’Aster 15 ha una lunghezza di 4,2 metri, che sale a poco meno di 5 metri per l’Aster 30. L’Aster 15 ha un diametro di 180 mm.
Date le dimensioni maggiori dell'Aster 30, un sistema navale richiede tubi-contenitori di lancio più lunghi utilizzabili dal sistema di lancio verticale Sylver A50 o A70 (VLS). Anche il sistema di lancio verticale americano type Mark 41 può lanciare l’Aster 30.
Il missile Aster 30 è in grado di raggiungere velocità vicine a Mach 4,5 ad un’altezza di circa 20 km ed è in grado di manovrare a oltre 60 G mantenendo una elevatissima manovrabilità. Questo grazie alla combinazione di alette di controllo aerodinamico supportate da un controllo vettoriale della spinta diretta denominato “PIF-PAF" che sono intenzionalmente posizionati al centro di gravità del missile, massimizzando così la reattività agli impulsi di controllo. Questo sistema impedisce anche la rottura del missile sotto manovre ad alta gravità durante le correzioni di traiettoria, e consente di eseguire tali manovre senza perdere le prestazioni aerodinamiche, migliorando la precisione dell'impatto sul bersaglio. Un lancio operativo dell'Aster consente normali cambi di traiettoria di 90°.
La società “Eurosam” descrive l’Aster come un "intercettore missilistico hit-to-kill".
Il missile Aster è guidato autonomamente che gli consente di far fronte ad attacchi di saturazione ed è dotato di un cercatore RF attivo. Il radar di bordo svolge ruoli di: 
  • sentinella, 
  • meteo, 
  • discriminazione del bersaglio, 
  • acquisizione 
  • e inseguimento. 

Quando accoppiato con l'avanzato sistema di difesa aerea del PAAMS che utilizza i radar SAMPSON ed S1850M, l’Aster è in grado di mirare e ingaggiare simultaneamente più bersagli contemporaneamente. La società produttrice MBDA afferma che l’Aster ha "capacità di coinvolgimento multiplo con alta velocità di fuoco".
Varianti:
  • Aster 15 - Difesa di punto nave e area locale;
  • Aster 30 Block 0 - Difesa area locale e ampia della nave;
  • Aster 30 Block 1 - Difesa ad ampio raggio a terra capace contro missili balistici a distanza di 600 km come Scud-B;
  • Aster 30 Block 1NT (Nuova tecnologia) - Difesa ad ampio raggio capace contro missili balistici a distanza di 1500 km;
  • Aster 30 Block 2 BMD - Difesa ad ampio raggio capace contro missili balistici di portata 3.000 km.
  • Difesa contro i missili balistici strategici;
  • Aster Block II - Difesa medio-alto endo-atmosferico.

DOTAZIONE SENSORISTICA COMPLESSIVA IN DOTAZIONE ALLA LHD TRIESTE:
  • PAR SPN-720, radar di approccio di precisione, sistema volumetrico 3D capace di inseguire 300 tracce e 12 bersagli contemporaneamente, portata superiore ai 200 km;
  • Radar Kronos Power Shield (AESA in banda L), un sistema di sorveglianza multifunzione, con una portata di 1.500-2.000 km;
  • IFF SIR-M-PA, radar secondario per l'identificazione di navi ed aeromobili;
  • Radar Kronos bibanda (DBR AESA 4FF): banda C (Kronos Quad - Fitted For) e banda X (Kronos StarFire);
  • TACAN AN-553/N, per avvicinamenti di precisione ed invio di informazioni agli aerei in volo;
  • Sistema EWS "Zeus", sviluppato da Elettronica SpA, dotato di un sottosistema di attacco elettronico basato su moduli GaN TRX a stato solido. La componente elettronica di scoperta (EW) è integrata con un RESM (Intercettatore di emissioni Radar), RECM (Ingannatori radar) e CESM (Intercettatore di comunicazioni radio) efficaci sia in alto mare che in acque costiere, con una sorveglianza marittima e valutazione della situazione avanzate tramite ELINT e COMINT, e un algoritmo SEI;
  • Sistema automatico per la direzione delle operazioni di combattimento SADOC 4.

RADAR AESA LEONARDO “KRONOS POWER SHIELD”

Parte della famiglia di radar KRONOS, la caratteristica principale dell'architettura di KRONOS Power Shield è l'antenna completamente digitale basata sulla tecnologia già collaudata nei radar multifunzione AESA (Active Electronically Scanned Antenna) in servizio. Il blocco centrale dell'antenna digitale è il DAT, Digital Active Tile, che implementa una catena radar completa per ogni singolo elemento radiante, a partire dalla generazione di forme d'onda fino all'ADC a banda larga. Più di 1000 elementi radianti raggruppati in DAT forniscono un'architettura completamente distribuita e controllata a livello di singolo elemento. Ciò comporta un aumento delle prestazioni, nuove funzionalità e la possibilità di implementare un'ampia gamma di architetture di scansione radar necessarie per coprire i cavi requisiti operativi di oggi e di domani.
KRONOS Power Shield è il radar di allerta precoce scelto per le nuove flotte di difesa dai missili balistici (BMD) della Marina Militare Italiana e degli Emirati del Qatar. Il radar di allerta precoce Kronos Power Shield è completamente digitale ed è stato progettato per la sorveglianza e la difesa dai missili balistici tattici.  Il nuovo sistema rappresenta un aggiornamento sostanziale e una nuova architettura del datato radar SMART-L, introducendo una serie di miglioramenti hardware, software e della modalità operativa, tra cui una nuova antenna AESA (Active Electronically Scaned Array) ad alta potenza basata su nitruro di gallio (GaN) moduli di trasmissione/ricezione (TRM), un enorme miglioramento nell'elaborazione e la forma d'onda brevettata Extended Long Range (ELR) ampiamente testata in diverse campagne ed esercitazioni, che consente il rilevamento e il tracciamento di oggetti in rapido movimento attraverso lo spazio.
E’ progettato per rilevare bersagli aerei, di superficie e eso-atmosferici ad alta velocità come missili balistici e oggetti spaziali fino a una portata strumentale di circa 2.000 km. 
Il nuovo radar rileva autonomamente i bersagli di tipo missilistico balistico e, dopo l'avvio rapido, la traccia di questi bersagli viene mantenuta fino allo zenit. Con le stesse dimensioni dello SMART-L e un'antenna da 9 tonn, il sistema ha una portata strumentata rispettivamente di 480 e 60 km contro bersagli aerei e di superficie, mentre la capacità di tracciamento raggiunge le 1.000 tracce. Combinando il raggio multiplo a doppio asse con la precisione monopulse istantanea in azimut ed elevazione e l'elaborazione Doppler istantanea per la copertura dell'intera gamma di azimut ed elevazione con la forma d'onda ELR brevettata, SMART-L MM è progettato per funzionare in quattro diverse modalità.
Il Kronos Power Shield, imbarcato sulla nuova LHD Trieste della Marina Militare Italiana, ha una portata strumentata rispettivamente di 400 e 1.500 km contro bersagli aerei e missili balistici. 
Una caratteristica fondamentale del Kronos Power Shield è la manutenibilità: utilizzando una struttura ad antenna rotante con sportelli laterali, consente al personale di portare a termine l’eventuale manutenzione stando al coperto.
Il KRONOS Power Shield copre: 
  • l'intero spettro delle capacità BMD che i moderni scenari complessi richiedono a un radar di allarme rapido (EWR), 
  • Difesa dai missili balistici tattici,
  • Elevata velocità di trasmissione dei dati ed eccellente precisione di rilevamento per uno spunto tempestivo di missili balistici tattici (TBM) in fase discendente per la difesa d’area,
  • Sorveglianza dei missili balistici tattici,
  • Raggio d'azione molto esteso per la sorveglianza di vaste aree e l'allerta precoce di TBM in fase ascendente, 
  • Flessibilità della missione per supportare l'aggiornamento dell'immagine tattica o il cueing alla FCR per l'auto-reazione contro le minacce ABT e TBM.

Nel presentare le attività di Leonardo in questo settore negli ultimi 40 anni, l’ing. De Fazio di Leonardo ha posto in evidenza come gli sviluppi tecnologici che hanno portato alla realizzazione dell’MFRA (Multi-Function Radar Active), – il radar multifunzionale con antenna rotante a scansione elettronica attiva, facente parte del noto e provato sistema SAAM-ESD (Surface-to-Air Missile – Extended Self Defence) sviluppato da MBDA ed imbarcato inizialmente sulle fregate multi-missione FREMM e successivamente in versioni evolute sulle più recenti unità della Marina Militare (PPA ed LHD) e Marine straniere – abbiano dato impulso ed accelerato l’evoluzione della produzione radaristica sia navale che terrestre per la difesa aerea e missilistica del gruppo, dando vita alla famiglia di radar Kronos. 
Lo sviluppo del Kronos è stato portato a termine grazie agli sviluppi tecnologici ed agli avanzati algoritmi di tracciamento messi a punto da Leonardo; “le capacità del radar MFRA contro le minacce rappresentata da bersagli in grado di simulare in modo reale missili balistici tattici sono state testate con successo nel corso delle due importanti esercitazioni navali multinazionali della NATO dedicate alla difesa aerea e missilistica integrata (IAMD, Integrated Air Missile Defence) Formidable Shield 2017 e Formidable Shield 2019. 
Tale capacità è stata finora la più importante e complessa che siamo stati in grado di dimostrare, consentendo al sistema di essere proposto per l’immediata integrazione in pacchetti per la difesa contro missili balistici tattici. 
L’MFRA è stato ad oggi testato da tecnici di Leonardo e dai militari addetti delle nostre FF.A. nel corso di oltre 18 tiri reali coronati da successo contro bersagli aerei e missilistici di diversa tipologia. 
La famiglia Kronos, oggi comprende radar AESA sia in banda C (la stessa del radar MFRA) che in banda X, per applicazioni sia navali che terrestri che sfruttano gli ultimi sviluppi in termini di moduli trasmettitori ricevitori (TRM) con applicazione rispettivamente della tecnologia del Nitruro di Gallio (GaN, Gallium Nitride) e Arseniuro di Gallio (GaAs, Gallium Arsenide), capacità elaborazione dati e componentistica elettronica, unitamente all’applicazione del cosiddetto “cervello del sistema radar”, meglio conosciuto come “system manager”.
Il ‘cervello del sistema radar’ che opera in tempo reale è in grado di offrire non solo capacità avanzate e d’impiego congiunto come un solo sistema radar (con ben otto facce fisse nella versione più complessa) ma anche l’integrazione funzionale con il sistema di guerra elettronica. 
Sulla scorta dei fondi stanziati dalla Difesa italiana con la Legge Navale, si è consentita la messa a punto di questi radar e del ‘system manager’; tali capacità sono oggi offerte dal radar bi-banda (Dual-Band Radar) dei nuovi Pattugliatori Polivalenti d’Altura per la Marina Militare (sia nella versione PPA Full ma in quelle meno capaci PPA Light e Light Plus e dell’LHD TRIESTE) che comprende ben otto facce fisse AESA (quattro in banda C e quattro in banda X) e l’integrazione funzionale con il sistema di guerra elettronica (nel caso specifico fornito dal Gruppo Elettronica). Un complesso che ha già dimostrato funzionalità avanzate come l’impiego del radar in banda X per l’attacco elettronico ed aspetta di dimostrare le sue capacità e potenzialità in ambiente operativo. 
Nell’ambito delle capacità evolutive della famiglia Kronos, è stato realizzato il nuovo radar multifunzionale per l’impiego terrestre Kronos (Grand) (Mobile) HP (High Power). 
Si tratta di uno sviluppo ulteriore dell’attuale Kronos Grand Mobile con un’antenna rotante che sfrutta la più recente tecnologia GaN (con maggior potenza e banda) applicata ai TRM del radar in banda C (a quattro facce fisse) nonché gli altri sviluppi tecnologici e componentistica del sistema DBR sviluppato per l’impiego a bordo dei PPA. 
Il (Grand) Kronos (Mobile) HP rappresenta il sistema radar multifunzionale e l’elemento di sviluppo e produzione nazionale che insieme agli elementi di sviluppo e produzione bi-nazionale nell’ambito del consorzio Eurosam (capo-commessa del sistema SAMP/T), rappresentati da un nuovo modulo di comando, controllo e ingaggio e a nuove versioni del missile MBDA Aster 30, costituiscono il cuore della suite per il programma di ammodernamento di mezza vita del sistema missilistico per la difesa aerea SAMP/T. 
Denominato SAMP/T NG (New Generation) il sistema è destinato al Ministero della Difesa italiano (nella configurazione francese è previsto l’utilizzo del nuovo radar Thales Ground Fire) nell’ambito dello stesso programma congiunto italo-francese gestito dall’agenzia OCCAR per assicurare l’evoluzione ed il supporto futuri del sistema. 
Partendo dalle tecnologie messe a punto per i radar della predetta Legge Navale, ed in particolare il radar completamente digitale in banda L Kronos Power Shield, è stata tratteggiata a grandi linee la roadmap che Leonardo ha elaborato per la realizzazione di una nuova versione evoluta della famiglia di radar 3D a lunga portata per la sorveglianza aerea e la difesa missilistica RAT-31/DL anch’esso in banda L. Quest’ultima famiglia è stata certificata a livello NATO e risulta in dotazione a paesi NATO ed asiatici, oltre ad essere impegnata in attività dimostrative della capacità di sorveglianza e tracciamento spaziale di oggetti sempre più piccoli come i detriti di satelliti o vettori. La nuova versione rappresenta un ulteriore salto tecnologico che introduzione la digitalizazione dei segnali a livello di elemento radiante e puntamento elettronico del fascio (digital beam forming) con un’architettura e TRM completamente digitali che a loro volta sfruttano la tecnologia GaN. Allo stesso tempo viene offerto un sistema mobile completamente nuovo anch’esso in banda L della medesima famiglia del radar navale Kronos Power Shield di nuovo sviluppo anch’esso completamente digitale e destinato sia alla Marina Militare che operatore estero. Si tratta del Kronos Ground Shield che copre, secondo quanto reso noto dalla stessa Leonardo, l’intero spettro di missioni per la difesa contro missili balistici (BMD, Ballistic Missile Defence).

SISTEMA EWS ELETTRONICA “ZEUS”

Elettronica viene sempre più riconosciuta nel ruolo di Solution Provider/Capability Integrator e non più solo in quello di Equipment Supplier. E questo sarà l’indirizzo futuro: l’approccio all’Electronic Warfare è e sarà sempre più caratterizzato da un’architettura in cui i vari sottosistemi non saranno più federati e fisicamente divisi per tipologia bensì integrati a livello funzionale, basati su un progetto che già parte con una filosofia integrata per sfruttare al massimo le sinergie tra le varie funzioni, massimizzando notevolmente il risultato operativo e di performance sulla piattaforma. In tale ottica futuristica, ELT lavora già da oltre un decennio anticipando i futuri bisogni di mercato attraverso soluzioni architetturali integrate sia a livello EW che tra funzioni EW e funzioni RADAR, ma anche tra funzioni EW e funzioni Cyber. Sono tali le famiglie di prodotto VIRGILIUS, e la sua evoluzione ZEUS, esempi di sistema EW integrato “all-in-one” in cui le funzioni di allarme, sorveglianza e inganno condividono le risorse come parte di un unico sistema EW multifunzionale. SOLUZIONI DEL FUTURO E TECNOLOGIE ABILITANTI Elettronica, come Solution Provider, considera le tecnologie un mezzo e non un fine, volendo rafforzare la propria posizione di sistemista del dominio EW nei più alti livelli della catena del valore. Ci contraddistingue, in questo senso, la capacità di integrare tecnologie apparentemente ortogonali in sistemi più complessi che, in alcuni casi, sono stati capaci di guidare il requisito operativo dello user. Sebbene l'identificazione delle tecnologie chiave sia un compito essenziale, esiste comunque un principio fondamentale secondo cui l’architettura creata deve essere in grado di sfruttare tecnologie innovative e dirompenti man mano che emergono nei prossimi decenni. La differenza tra le due sta nel livello di disponibilità a livello industriale, prima, e da parte dell’utilizzatore finale, poi. Le tecnologie innovative, quindi, nonostante apparentemente in contraddizione col termine, sono comunque ad un livello di maturità tale da poter essere inserite nelle architetture di sistema di prossima generazione. Con riferimento all’offerta di Elettronica, tra quelle di tipo innovativo va messa in evidenza la grande famiglia degli algoritmi di Artificial Intelligence che consentono di affrontare e risolvere con un diverso paradigma le problematiche di classificazione di segnali, patterns ed eventi, particolarmente adatte a soluzioni di Signal Intelligence, System Management, Management e Integrazione di Sistemi complessi, supporto al Decision Making Process sia autonomo che supervisionato dall’umano. Questo implementa le funzioni di gestione EW ed EMS su più piattaforme, suddividendo correttamente i compiti tra sensori e attuatori che operano in modo cooperativo. Dare autonomia alle piattaforme e/o ai payload (in termini di accesso allo spettro e gestione dello spettro) è un cambiamento di paradigma nel processo decisionale, che non è più totalmente dipendente dall'essere umano nel ciclo ma dalla capacità di creare esempi attendibili per addestrare la macchina (piattaforma/sensore/effettore) a reagire autonomamente all'ambiente, sotto la supervisione dell'essere umano quando applicabile. Ne fanno inoltre parte i sistemi cosiddetti SW-defined, evoluzione di quelli EW che consentono la digitalizzazione diretta del segnale. Inoltre, la connotazione dell’Azienda come Jamming House riconosciuta in tutto il mercato e in ogni dominio del warfare ha spinto ad una continua ricerca che ha consentito all’azienda il primato sul mercato e in servizio sistemi di contromisura a stato solido: GaN (Nitruro di Gallio) e QCL (Quantum Cascade Laser). Infine, la prevista diffusione delle piattaforme unmanned in tutti i domini fisici del warfare, ha spinto ad anticipare lo sviluppo e la produzione di sistemi cosiddetti Low SWaP (Low Size Weight and Power), affrontando con approccio sistemistico le diverse discipline relative all’uso di materiali e tecnologie di raffreddamento e dissipazione innovativi, spesso mutuandole da domini di applicazioni non militari. Infine la Cyber EW, ovvero della capacità di perpetrare operazioni cyber, in ottica CEMA (cyber electro-magnetic activities) utilizzando lo spettro elettromagnetico. La ricerca di Elettronica è iniziata già oltre cinque anni e oggi sono chiari i confini di applicabilità di questa capacità che rappresenterà, a nostro avviso, un breakthrough tecnologico per il paradigma tradizionale delle contromisure elettroniche.
Per la nuova portaelicotteri d'assalto anfibio Trieste è in corso lo sviluppo del sistema EWS "Zeus", dotato di un sottosistema di attacco elettronico estremamente potente basato su moduli GaN TRX a stato solido. La componente elettronica di scoperta (EW) è integrata con un sistema RESM (Intercettatore di emissioni Radar), un sistema RECM (Ingannatori radar) e un sistema CESM (Intercettatore di comunicazioni radio) efficaci sia in alto mare che in acque costiere, con avanzate capacità di sorveglianza marittima e di valutazione della situazione tramite ELINT e COMINT.
Il sistema EWS "Zeus" fornisce alle piattaforme navali un'efficace difesa elettronica utilizzando un potente trasmettitore Active Phased Array e un set completo di tecniche e programmi ECM dedicati. Le tecniche sono segmenti di programmi di contromisure che vengono selezionati automaticamente e in modo adattivo per l'efficacia del sistema contro attacchi missilistici terminali e sistemi radar di designazione a lungo raggio. Un approccio di progettazione modulare consente l'adattamento della configurazione alle singole classi di navi. I Sistemi EWS "Zeus" possono essere composti da uno o due JASS (Jamming Antenna Sub System) a seconda anche delle esigenze operative. In ogni caso i sistemi possono cooperare con altri sensori e attuatori EW a bordo. 
PUNTI DI FORZA DEL SISTEMA:
  • Gamma di frequenza: bande da H a J
  • Copertura spaziale: 360° Az, 50° El
  • ERP: Altissimo e adeguato a proteggere grandi navi
  • Sensibilità: molto alta e adeguata per il jamming sui lobi laterali del radar
  • Risposta ECM: capacità di jamming multithreat (direzione e frequenza diverse)
  • Programmi ECM: set completo di programmi di jamming che sfruttano sia tecniche noise che deception (DRFM), efficaci anche contro emettitori codificati
  • Governo elettronico del fascio (stabilizzato elettronicamente contro i movimenti della nave)
  • Alto livello di prontezza (nessun riscaldamento)
  • Design a stato solido completo che garantisce un elevato ERP e un grazioso degrado in caso di guasto
  • Elevata affidabilità e manutenibilità.
  • La famiglia Nettuno 4100 è completamente supportata da un set completo di apparecchiature di supporto del prodotto che include:
  • Apparecchiatura di prova sul campo
  • Attrezzature di supporto a terra
  • Apparecchiatura di prova automatica
  • Programmazione libreria
  • Caricamento/scaricamento della libreria.
E’ notorio che Elettronica SpA collabora da tempo con la Marina Militare italiana per lo sviluppo dei sistemi elettronici imbarcati sulle unità navali della flotta della Marina Militare con sistemi EW che si basano su un ampio uso delle ultime tecnologie nel campo delle antenne Active Phase Array con il suo sottosistema ECM/ESM attivo NETTUNO-4100, che opera nel jamming e nell'inganno delle minacce in arrivo, e fa parte dell'equipaggiamento della portaerei Cavour, delle unità della classe Orizzonte e delle fregate multiruolo FREMM della Marina Militare Italiana e delle fregate Horizon della Marine nationale francese. Per la nuova portaelicotteri d'assalto anfibio Trieste e per i nuovi Pattugliatori Polivalenti d'Altura è in corso lo sviluppo del sistema EWS "Zeus", dotato di un sottosistema di attacco elettronico estremamente potente basato su moduli GaN TRX a stato solido. La componente elettronica di scoperta (EW) è integrata con un sistema RESM (Intercettatore di emissioni Radar), un sistema RECM (Ingannatori radar) e un sistema CESM (Intercettatore di comunicazioni radio) efficaci sia in alto mare che in acque costiere, con avanzate capacità di sorveglianza marittima e di valutazione della situazione tramite ELINT e COMINT.

CAPACITA’ AEREA IMBARCATA DEL TRIESTE

L'unità presenta un ponte di volo di 230 × 36 m, coprendo così un'area di circa 7400 m², con 9 punti di decollo per elicotteri pesanti o per 4 caccia F-35B.
Inoltre, il ponte può ospitare, in condizioni di piena operatività, circa 14-20 aeromobili AW-101 e SH-90 in diverse configurazioni (presumibilmente anche 4-6 F-35B a poppa e 8-10 elicotteri a prua). L'aviorimessa di 2600 m² (rispetto ai 2500 m² della Cavour) è dimensionata per l'ingresso di massimo 14 aeromobili, anch'essi in diverse configurazioni. Sono infine presenti a poppa due elevatori 15 × 15m per un carico massimo di 42 tonnellate.
Tutte le operazioni di volo sul ponte sono controllate dall'isola di poppa.

VELIVOLI STOV/L F-35B

Il velivolo F-35B è un caccia multiruolo di 5^ generazione con caratteristiche di bassissima segnatura radar (LO – Low Observability). La variante STOVL (Short Takeoff and Vertical Landing) è stata sviluppata per l’impiego da Unità Portaerei non dotate di catapulta e cavi di arresto ed equipaggerà, uniche nel mondo, le Unità dei Marines, della Royal Navy, del Giappone e dell’Italia. Il punto di forza del velivolo è rappresentato dalla moderna suite avionica e dalle potenzialità dei sensori di bordo che, completamente integrabili nei moderni campi di battaglia digitali, forniscono al pilota capacità di valutazione dello scenario operativo del tutto innovative. Nello specifico, il velivolo F-35B nasce con lo scopo di soddisfare un ampio spettro di missioni, che spaziano dalla proiezione in profondità all’interno del territorio nemico, alla soppressione di sistemi missilistici avversari, concorrendo, al contempo, al conseguimento e mantenimento della superiorità aerea. L’impiego del velivolo F-35B a bordo della Portaerei Cavour, rappresenta per la Marina e per l’Italia un vero e proprio salto generazionale, in grado di aumentare le capacità di proiezione di forze sul mare e dal mare ed il livello di protezione delle Unità navali della Flotta. 

COMBAT MANAGEMENT SYSTEMS “ATHENA-SADOC Mk.4”

Il Combat Management System ATHENA, è un evoluto sistema di comando e controllo di nuova generazione, ad architettura aperta in grado di garantire le migliori capacità di acquisizione, fusione e gestione dei dati per un’efficace valutazione degli scenari operativi e per la gestione delle risorse a disposizione, assicurando così rapidi ed efficaci processi decisionali.
Il CMS viene inoltre installato nel nuovo cockpit navale sviluppato da Leonardo insieme a Fincantieri per le nuovissime unità della Marina militare italiana. Si tratta di un avanzato sistema di controllo dell’intera nave, alla stregua di un cockpit aeronautico, una sorta “Postazione Integrata Condotta Nave”, che consentirà, per la prima volta, di gestire in modo integrato le operazioni relative sia alla conduzione della nave sia al sistema di combattimento, con un numero ridotto di operatori grazie anche all’impiego di nuove tecnologie di realtà aumentata.
ATHENA (Architecture & Technologies Handling Electronic Naval Applications), sistemi avanzati di gestione dei combattimenti (CMS), dalle navi pattuglia fino alle portaerei, nonché per programmi di ristrutturazione o refitting.
Il CMS ATHENA integra tutte le funzioni necessarie per la sorveglianza, la gestione dei sensori e delle immagini tattiche, il supporto alla navigazione, la valutazione delle minacce e l'assegnazione delle armi, la gestione del sistema d'arma, la pianificazione della missione, il collegamento dati tattici multipli e l'addestramento a bordo. Il CMS ATHENA si basa su un'architettura modulare e scalabile completamente ridondante che può essere personalizzata per soddisfare le esigenze specifiche del cliente.
Leonardo ha messo a punto un sistema di comando e controllo (CCS), una versione personalizzata del sistema di gestione del combattimento (CMS) ATHENA. Il nuovo sistema copre tutte le esigenze di gestione operativa in tempo reale attraverso sensori, armi e comunicazioni interconnesse, tutte facilmente accessibili e gestibili attraverso Console Multifunzionali avanzate (MFC). La sua architettura hardware è caratterizzata da nodi di elaborazione completamente remoti e ha un ingombro ridotto grazie alla struttura leggera in fibra di carbonio. 
Il nuovo Combat Management System è stato progettato come un unico prodotto, scalabile a diverse tipologie di piattaforme/unità navali a seconda delle loro esigenze e dei loro compiti. La sua struttura portante si basa su una struttura architettonica comune e moduli software/hardware standard in grado di soddisfare le esigenze delle navi da combattimento e di supporto. L'elaborazione remota rende l'intero sistema più resiliente e permette di inglobare l'hardware in una stanza più piccola e dedicata. Questo crea un data center C4I a bordo, riducendo al minimo la necessità di infrastrutture IT al di fuori della sala operativa.
Questo nuovo CMS è in qualche modo un taglio con il passato che sia Leonardo che Marina Militare italiana hanno perseguito appositamente per fornire i nuovi Pattugliatori Polivalenti d’Altura / PPA, le LHD, le Logistic Support Ship / LSS, etc. con un nuovo hardware per essere più interattivi. Gli algoritmi sono invisibili all'equipaggio durante lo svolgimento delle sue missioni, e naturalmente il sistema deve essere affidabile e ben funzionante. Tuttavia, questo nuovo CMS si concentra sull'interfaccia uomo-macchina (HMI).
I CMS vengono messi a punto da Leonardo in collaborazione con Marina Militare e attraverso gruppi di lavoro con marine straniere che richiedono personalizzazioni e/o caratteristiche particolari. Da tutto ciò la MM ha tratto grande beneficio dall'esperienza operativa degli utenti sul campo, che risale ai primi anni 2000, quando i primi CMS della famiglia ATHENA sono stati montati su cacciatorpediniere di classe Orizzonte / Horizon. Per la sua storia operativa, la Marina Militare ha chiamato il CMS con l'acronimo Sistema Automatico per la Direzione delle Operazioni di Combattimento (SADOC). Il SADOC Mk.2 era il CMS di precedente generazione in servizio a bordo di navi militari italiane messe in servizio negli anni '80 e '90 (ad esempio le fregate classe Maestrale e Lupo). Il CMS della famiglia ATHENA che equipaggia cacciatorpediniere di classe Horizon e fregate di classe Bergamini si chiama SADOC Mk.3. Sebbene ciò possa suggerire successivi sviluppi della stessa architettura, SADOC Mk.2 e SADOC Mk.3/ATHENA non hanno nulla in comune. SADOC Mk.3 è stato sviluppato ex novo per il programma Horizon ed è stato influenzato dalla cooperazione con la marina francese. ATHENA è installato su tutte le attuali navi della marina italiana e su 19 navi costruite per clienti stranieri.
L'evoluzione del SADOC Mk.3 richiesta dalla Marina Militare italiana per le sue nuove classi di navi è il nuovo CMS in trattazione. Ma non si tratta di un miglioramento lineare rispetto al prodotto precedente. Al contrario, Marina Militare ha richiesto di rimodellare il sistema sulla base di una vasta esperienza operativa. Leonardo, invece, ha portato in dote un consistente know-how e feedback anche di operatori stranieri. Il processo di costruzione del CMS ha richiesto un anno di lavoro congiunto tra Leonardo e Marina Militare, compresa la realizzazione di alcuni prototipi. Il prodotto finale, è unico e diverso da qualsiasi altro CMS in Europa e negli Stati Uniti. La fase di sviluppo si conclude con la consegna degli ultimi esemplari dei nuovi pattugliatori PPA classe Paolo Thaon di Revel; quindi questo nuovo CMS avrà una lunga vita avanti e capacità in continua crescita.
L'hardware è molto diverso da molti CMS, soprattutto per quanto riguarda il numero limitato di console, che sono meno numerose rispetto ad altri CMS. Il numero di console dipende dal tipo di navi di missione per cui sono concepite. In generale, le marine militari di oggi richiedono più automazione e un numero decrescente di operatori. Un'unità avanzata e complessa come una fregata classe Bergamini dispone di 16 console di bordo. Sull'LHD TRIESTE ci saranno ben 40 consolle. I PPA hanno requisiti simili, ma devono essere dotati di un diverso modo di avvicinarsi alle operazioni. In particolare, essi saranno dotati di un ponte di combattimento attraverso con il quale potranno essere eseguiti sia i compiti di navigazione che quelli di combattimento. Di solito, le navi da combattimento hanno due sale diverse, la sala di navigazione e la sala di combattimento (Centrale Operativa di Combattimento, COC) per il CMS. Nel corso degli anni, l'esperienza operativa ha dimostrato che le navi militari trascorrono il 70% del loro periodo in mare in operazioni non combattenti o a bassa intensità (es. navigazione, transito, scorta, ecc.). In questi casi, Marina Militare ha scoperto che i compiti assegnati richiedono in media sette operatori di console. Solo in caso di operazioni di combattimento ad alta intensità tutte le console sono presidiate. Pertanto, il ponte di combattimento proposto per la prossima generazione di CMS dispone di 7 postazioni di lavoro, compresa quella del comandante. Il comandante cesserà di essere un supervisore e potrà lavorare direttamente sul CMS. Per le operazioni ad alta intensità, invece, il ponte di combattimento consente di installare un ulteriore set di console in una sala adiacente, dietro il ponte di combattimento. Sui PPA, il loro numero è da dodici a 16, a seconda della versione. In sintesi, l'apparente riduzione delle console riguarda solo operazioni non da combattimento o a bassa intensità. Quando si tratta della piena capacità di combattimento della nave, il numero di console di bordo non cambia e anzi si espande. Il CMS ha diverse modalità: addestramento, difesa, combattimento, prontezza per il combattimento e modalità personalizzate che abilitano o disabilitano i sistemi e le armi in proporzione al livello previsto di minaccia o a seconda delle disposizioni di sicurezza. Al fine di eseguire al meglio qualsiasi operazione, ogni postazione di lavoro può anche avere accesso ad applicazioni dedicate per il recupero e la modifica di rapporti di intelligence, traffico marittimo e documenti senza..... camminare intorno alla nave!
L'esportazione all'estero rende indispensabile la progettazione di hardware e software a supporto di armi e sistemi diversi, siano essi ereditati o scelti deliberatamente dai clienti. L'intera architettura del sistema ATHENA-SADOC prende in considerazione la necessità di consentire l'integrazione di una gamma diversificata di sistemi con il minor impatto possibile. Di solito, rendere i sistemi compatibili con l'hardware cinese o russo implica solo qualche aggiustamento software, ma si sono verificati casi in cui si sono dovuti installare unità/moduli speciali per "tradurre" i segnali dal CMS ai sistemi e viceversa. Per fare questo, alcuni componenti utilizzano già protocolli tecnologici agnostici e si sta già lavorando per la realizzazione di una progettazione software di tipo SOA (Service-Oriented Architecture) da implementare sul CMS attuale e futuro.
L'aggiornamento pre-programmato più importante per il CMS è l'aggiornamento di mezza età (MLU) che quasi ogni imbarcazione fa almeno una volta nel corso della sua vita utile. Durante l'obsolescenza dell'MLU vengono affrontati sia l'hardware che il software, e gli esperti di Leonardo portano il CMS allo stato dell'arte attraverso modifiche radicali al software e all'hardware. Oltre ad un aggiornamento radicale pianificato, vengono rilasciati dall’azienda produttrice kit di aggiornamento che possono essere installati a bordo autonomamente dalle singole marine militari. Tali kit sono spesso rilasciati solo su richiesta. In effetti, i militari spesso preferiscono avere un sistema conosciuto e mantenerlo in servizio il più a lungo possibile. Questo perché qualsiasi modifica importante richiede un addestramento aggiuntivo; quindi, il cliente a volte opta per rilasci importanti soltanto quando necessario. Leonardo cerca di mantenere il CMS aggiornato, possibilmente allineato con la migliore tecnologia disponibile, in modo da poter intervenire quando il cliente ritiene indispensabile per modificare i propri sistemi.
Quando il nuovo CMS sarà installato sul primo PPA, qualsiasi miglioramento derivante dal processo di integrazione sarà preso in debita considerazione per la seconda nave e poi eventualmente riadattato sulla prima, e così via per le navi successive. Lo stesso vale per i clienti stranieri, ad esempio con il CMS ATHENA. La società Leonardo raccoglie tutti i feedback basati sull'esperienza operativa al fine di migliorare le prestazioni del prodotto, al fine di proporre miglioramenti alle marine clienti o semplicemente rispondere alle loro esigenze con un rilascio coerente. Tale modo di sfruttare l'esperienza degli utenti si applica sia ai componenti hardware che a quelli software.
Leonardo è già impegnata in attività di ricerca volte ad introdurre nei suoi sistemi un set di strumenti di Intelligenza Artificiale (IA). Il nuovo CMS in consegna alla Marina Militare Italiana metterà già in campo alcuni elementi di analisi predittiva. Nel dettaglio, il CMS sarà in grado di simulare una serie di situazioni di combattimento che possono essere basate su dati reali, come i rapporti di intelligence. La nave può quindi creare uno scenario fittizio per studiare la situazione ed entrare in sala operativa con una buona consapevolezza situazionale sulle capacità del nemico e sul comportamento più appropriato da tenere in combattimento. In breve, per ora quello che si potrà mettere in campo è un sistema di simulazione, ma si sarà presto in grado di comprovare veri e propri set di strumenti di IA per la pianificazione e la previsione delle operazioni. Il primo passo avanti sarà la capacità di analizzare i grandi dati provenienti da fonti multiple per fonderli in risultati completi per i responsabili delle decisioni. In seguito, se il cliente lo sceglie, un programma di ricerca di due-tre anni dovrebbe essere in grado di fornire capacità innovative basate su applicazioni di pura IA.
Il software di Leonardo è basato su versioni hardened dei sistemi operativi Linux e il CMS opererà in un ambiente chiuso. Per le comunicazioni esterne, il sistema comunica solo attraverso connessioni militari sicure (certificate NATO). In parole povere, il CMS non naviga in Internet. Anche la connessione internet disponibile a bordo per la comunicazione privata dell'equipaggio è disaccoppiata dalla rete di comunicazione del CMS. In questo modo, nulla può entrare nella nave semplicemente sfondando attraverso Internet. Nonostante queste precauzioni, le comunicazioni sono continuamente monitorate attraverso applicazioni di early warning che analizzano tutto il traffico in entrata e in uscita da e verso la nave. I sistemi sono dotati di ridondanza di interruttori e firewall che impediscono anche a persone fisiche come hacker o componenti dell'equipaggio non autorizzati di sfondare. In effetti, l'integrazione di sistemi come questi a bordo non è facile, ma è stata una richiesta specifica della Marina Militare Italiana, e i clienti internazionali sono molto interessati ad essere resistenti agli attacchi informatici. Nel prossimo futuro, verranno implementate anche alcune soluzioni contro gli effetti elettromagnetici, ovvero le intrusioni attraverso segnali radar. Secondo alcune voci, aerei come l'F-35 sono già in grado di farlo. È difficile capire fino a che punto il CMS possa entrare in profondità nel CMS (si tratta di dati altamente classificati che, naturalmente, non vengono divulgati). Ma c'è un interesse crescente in tutto il mondo per questo tipo di capacità, quindi si ha bisogno di valutarle e fornire qualche soluzione per proteggere il CMS.
Il mercato primario di Leonardo è la Marina Militare Italiana. Tutte le navi che saranno messe in servizio negli anni a venire monteranno una versione di questo CMS. 
Ci si augura che queste navi servano da vetrina per dimostrare le nostre eccezionali capacità sul campo, con un occhio ai mercati in cui siamo già presenti e con l'ambizione di espandersi verso i mercati più dinamici come il Sud-Est asiatico. Il Sud America sembra offrire un terreno fertile per i programmi della società Leonardo da molto tempo, ma i vincoli di bilancio in quelle regioni a volte giocano contro il nostro successo commerciale.
CARATTERISTICHE CHIAVE DEL C.M.S. “ATHENA-SADOC Mk.4”:
  • Elevato livello di integrazione di sistema e automazione
  • Ampia gamma di operazioni di missione supportate
  • Architettura aperta, distribuita e modulare
  • Ampia adozione di componenti COTS adeguati
  • Supporto avanzato per le decisioni tattiche e di pianificazione
  • Integrazione con i sistemi Maritime C4I
  • Digitalizzazione video (radar, TV), distribuzione e presentazione
  • Alto livello di integrazione automatica dei dati dei sensori e coordinamento automatico dei sistemi d'arma
  • Prestazioni e affidabilità del sistema per garantire la continuità delle funzioni operative senza perdita di dati
  • Flessibilità e modularità con potenziale di crescita e capacità di aggiornamento.

CAPACITA’ DI PROIEZIONE ANFIBIA

Le capacità anfibie della nave sono molto avanzate, essendo queste la principale arma dell'unità.
Il secondo ponte, sotto l'hangar, con un'area di 2300 m², presenta infatti un bacino allagabile 55m x 15m dimensionato per l'ingresso di 4 LCM, denominati LC23, o 1 LCAC / LCAT.
Gli LCM, saranno in grado di trasportare: 1 MBT C-2 Ariete, 5 Iveco LMV Lince-2, oppure 1 blindato 8x8 Centauro-2, 1 IFV 8x8 Freccia o 300 militari della Brigata Anfibia interforze (San Marco e Lagunari).

MEZZI ANFIBI LCM (Landing Craft Mechanized classe LC23) DEL CANTIERE VITTORIA DI ADRIA (RO)

Il Cantiere Navale Vittoria di Adria (Ro) consolida la sua specializzazione in un settore strategico del comparto difesa, quello dei mezzi da sbarco, con la realizzazione di quattro unità Landing Craft per l’equipaggiamento della nuova unità anfibia multiruolo LHD, prevista nell’ambito del piano di rinnovamento della flotta della Marina Militare Italiana. Le Landing Craft, classe LC23, in costruzione al Cantiere polesano, dovranno svolgere funzioni di supporto nelle operazioni di trasporto e sbarco di personale, veicoli militari e civili e attrezzature logistiche. Il Cantiere di Adria si è aggiudicato, nella primavera di quest’anno, il bando per la fornitura delle unità ausiliarie indetto da Fincantieri, uno dei più importanti complessi cantieristici al mondo e il primo per diversificazione e innovazione. La consegna delle quattro imbarcazioni è prevista per il 2021. Vittoria vanta anni di esperienza nella ricerca e progettazione di mezzi da sbarco per la difesa militare. Queste unità rappresentano, infatti, sul piano tecnico e strutturale, soprattutto in termini di stabilità e performance, l’evoluzione dei mezzi da sbarco costruiti nel 2007 per la Marina Militare e delle unità fornite, nel 2011, con trasferimento di tecnologia, alla Marina Nazionale Algerina. Le future Landing Craft, lunghe 23.8 metri, larghe fuori tutto 6.6 metri e alte 2.8 metri ciascuna, potranno raggiungere una velocità massima di 22 nodi, avranno un peso di 140 tonnellate e una capacità di carico massimo pari a 60 tonnellate. Ogni mezzo sarà, infatti, configurato per trasportare fino a 2 veicoli anfibi d’assalto o 2 semoventi d’artiglieria imbarcati sull’unità madre, un carro armato Ariete da 60 tonnellate e fino a 300 militari. "Proseguiamo con piacere la fruttuosa collaborazione con Fincantieri – dichiara Luigi Duo’, presidente del Cantiere Navale Vittoria- e rafforziamo lo storico rapporto con il Ministero della Difesa. Questa commessa rappresenta un importante riconoscimento della nostra specializzazione nel campo della difesa militare e conferma la validità dei nostri sforzi, in termini di ricerca e innovazione, anche nel mercato dei mezzi da sbarco. Dopo dieci anni dall’ultima fornitura di unità di questa tipologia, siamo orgogliosi di dotare nuovamente la Marina Militare di imbarcazioni estremamente moderne, innovative e dalle ottime performance, in grado di fornire il massimo supporto alle operazioni anfibie della Difesa.”
La nave sarà dotata anche di un ospedale completamente attrezzato con sale operatorie, laboratori di radiologia e analisi, ambulatorio odontoiatrico e zona degenza per 28 ricoverati gravi, per un totale di 700 m²; mentre ulteriori posti letto saranno sistemati in moduli contenitorizzati, all'uopo predisposti.
A maggio del 2019, la nave è stata varata dai cantieri di Castellammare di Stabia e trasferita a La Spezia per il completamento degli allestimenti, in previsione della consegna finale annunciata entro il 2022. La fase di costruzione ha coinvolto più di 300 operatori, mentre la fase installativa e di completamento dovrebbero impegnare 800 persone.


2028?: PORTAEREI DA 60.000 TONN. (PROGETTO FINCANTIERI), ISPIRATA NELLE FORME DI CARENA ALLA “PANG” DELLA MARINE NATIONALE




Sul sito "Portaledifesa.it" sono apparsi di recente alcuni rendering di una progetto relativo ad una portaerei di Fincantieri da circa 60.000 tonn, chiaramente derivata dalla LHD TRIESTE. Siamo in attesa di sapere buone nuove….





Ripensare la guerra, e il suo posto
nella cultura politica europea contemporanea,
è il solo modo per non trovarsi di nuovo davanti
a un disegno spezzato
senza nessuna strategia
per poterlo ricostruire su basi più solide e più universali.
Se c’è una cosa che gli ultimi eventi ci stanno insegnando
è che non bisogna arrendersi mai,
che la difesa della propria libertà
ha un costo
ma è il presupposto per perseguire ogni sogno,
ogni speranza, ogni scopo,
che le cose per cui vale la pena di vivere
sono le stesse per cui vale la pena di morire.
Qualcuno è convinto che coloro che seguono questo blog sono dei semplici guerrafondai! 
Nulla di più errato. 
Quelli che, come noi, conoscono le immense potenzialità distruttive dei moderni armamenti 
sono i primi assertori della "PACE". 
Quelli come noi mettono in campo le più avanzate competenze e conoscenze 
per assicurare il massimo della protezione dei cittadini e dei territori: SEMPRE!
….Gli attuali eventi storici ci devono insegnare che, se vuoi vivere in pace, 
devi essere sempre pronto a difendere la tua Libertà….
La difesa è per noi rilevante
poiché essa è la precondizione per la libertà e il benessere sociale.
Dopo alcuni decenni di “pace”,
alcuni si sono abituati a darla per scontata:
una sorta di dono divino e non, 
un bene pagato a carissimo prezzo dopo innumerevoli devastanti conflitti.…
…Vorrei preservare la mia identità,
difendere la mia cultura,
conservare le mie tradizioni.
L’importante non è che accanto a me
ci sia un tripudio di fari,
ma che io faccia la mia parte,
donando quello che ho ricevuto dai miei AVI,
fiamma modesta ma utile a trasmettere speranza
ai popoli che difendono la propria Patria!
Signore, apri i nostri cuori
affinché siano spezzate le catene
della violenza e dell’odio,
e finalmente il male sia vinto dal bene…

(Fonti: https://svppbellum.blogspot.com/, Web, Google, Wikipedia, You Tube)








 

1 commento:

  1. la poertaerei apparsa sul portaledifesa.it non si riferisce ad un progetto fincantieri, ma è il lavoro di fantasia di un utente del forum

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GUERRA CIVILE SIRIANA 2015 - 2023: la feroce “battaglia di Khasham”, ovvero, i numerosi contatti a fuoco avvenuti tra “special forces” statunitensi, ribelli siriani e “gruppo Wagner”…

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