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1923 - 2023: IL CENTENARIO!
L’A.M.I., Aeronautica Militare italiana, ha celebrato da pochi giorni il suo centenario (1923 - 2023), offrendo la possibilità di guardare indietro a una delle storie più ricche - e turbolente - di qualsiasi arma aerea europea, che ha operato sotto diverse identità e in varie zone di guerra intorno il globo. Dalle sue umili origini come reparto del Regio Esercito italiano, attraverso leggendari voli da record nel periodo tra le due guerre, poi Regia Aeronautica (con una parentesi della R.S.I.) e con l'odierna Aeronautica Militare offre capacità all’avanguardia tecnologica, di combattimento e addestrativa, tra cui aerei da combattimento stealth e potenti mezzi di sorveglianza e guerra elettronica, che si addicono al suo status di forza aerea di "quinta generazione".
Venne istituita come entità indipendente il 28 marzo 1923, l'Aeronautica Militare Italiana ha segnato ieri il suo traguardo dei 100 anni, con un sorvolo su larga scala sull’Altare al Milite Ignoto sul centro di Roma, testimoniato dalle più alte cariche dello Stato, tra cui il presidente e il primo ministro Giorgia Meloni. Il sorvolo includeva tutti i più recenti aviogetti e aerei trasporto dell'AMI e della Pattuglia Acrobatica Nazionale "Frecce Tricolori", certamente i più noto rappresentanti dell’Italia nel mondo.
Le radici dell'aviazione militare italiana risalgono però a più lontano del 1923. L'esercito italiano iniziò a utilizzare mezzi più leggeri dell'aria in combattimento già nel 1888, quando tre palloni furono utilizzati nell'allora colonia italiana dell'Eritrea durante la guerra italo-etiope del 1887-89. Distribuiti intorno alla città portuale di Massawa, questi palloni sono stati utilizzati per osservare i movimenti delle truppe etiopi.
Una volta dimostrato che gli aerei erano più pesanti dell'aria, l'allora Regno d'Italia li adottò rapidamente per scopi militari. Fu da un monoplano italiano Etrich Taube che fu sganciata la primissima bomba aerea, il 1° novembre 1911. Il pilota, Giulio Gavotti, stava tentando di attaccare le postazioni turche in Libia, durante la guerra italo-turca, combattuta tra il 1911 e e 1912.
Queste attività pionieristiche italiane hanno contribuito a stabilire il posto degli aerei più pesanti dell'aria nell'utilizzo militare, in modo tale che dalla prima guerra mondiale gli aerei venivano utilizzati per una più ampia varietà di ruoli, tra cui osservazione, bombardamento e infine anche aria- aria combattimento. Gran parte delle tradizioni e dell'araldica della moderna Aeronautica Militare italiana possono essere fatte risalire alla prima guerra mondiale, quando una serie di assi tra cui Baracca, Scaroni, Piccio, Baracchini, Ruffo di Calabria e Ranza erano celebrati come celebrità.
Negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale, gli aviatori militari italiani divennero nomi familiari più lontano, con una serie di audaci voli a lungo raggio che spinsero i limiti delle tecnologie dell'epoca - e la resistenza e l'abilità degli stessi equipaggi. Nel 1920 un equipaggio guidato da Arturo Ferrarin e Guido Masiero vinse una gara aerea tra Roma e Tokyo, coprendo con il loro biplano Ansaldo SVA una distanza di quasi 5.000 miglia in 109 ore di volo.
Dopo la formale istituzione dell'Aeronautica Militare Italiana nel 1923 - all'epoca l'Aeronautica era conosciuta come Regia Aeronautica - questi voli pionieristici continuarono, il più delle volte al servizio del Partito Nazionale Fascista di Benito Mussolini, salito al potere nel 1922. Come ricorda la stessa Aeronautica Militare, “l'aereo incarnava perfettamente il modello di modernità, eroismo e capacità di record auspicato dal regime”.
Nel 1925, Francesco de Pinedo ed Ernesto Campanelli volarono per oltre 34.000 miglia, da Sesto Calende in Italia a Melbourne, poi a Tokyo e ritorno a Roma. Due anni dopo, de Pinedo guidò un equipaggio in un epico volo di 30.000 miglia "quattro continenti" con una rotta che ha toccato Rio De Janeiro, Buenos Aires, Asunción, New York, Lisbona e Roma. Vennero sfruttate anche le potenzialità dei dirigibili per i voli a lungo raggio, primo fra tutti il Norge che effettuò il primo viaggio accertato di qualsiasi tipo al Polo Nord, con un sorvolo nel 1926.
Sotto la guida di Italo Balbo, ministro dell'Aeronautica, le imprese a lungo raggio della Regia Aeronautica avrebbero presto raggiunto il loro apice. Nel 1928, la crociera nel Mediterraneo occidentale vide una formazione di 61 Savoia-Marchetti S.55 e S.69 dall'idroscalo italiano di Orbetello volare verso la penisola iberica e ritorno. L'anno successivo 35 idrovolanti si sono avventurati nel Mediterraneo orientale, con scali a Taranto, Atene, Istanbul, Varna, Odessa e Costanza, prima di rientrare a Orbetello. Le più impressionanti, sicuramente, furono le traversate atlantiche, guidate dallo stesso Balbo, che includevano un volo nel 1930-31 per Rio de Janeiro, nonché un volo per New York nel 1933 da una formazione di 24 idrovolanti S.55X.
Mentre la Regia Aeronautica catturava l'immaginario del pubblico e, contemporaneamente, 33 degli 84 primati riconosciuti a suo tempo dalla Fédération Aéronautique Internationale, si addensavano anche nuvole di guerra. La seconda guerra italo-etiope del 1935-1937 vide un ampio coinvolgimento della Regia Aeronautica, che acquisì notorietà per i suoi attacchi. Il sostegno dell'Italia alla Spagna vide anche la Regia Aeronautica entrare in guerra durante la guerra civile spagnola del 1936-1939, in una tragica prova generale per ciò che sarebbe seguito nella seconda guerra mondiale.
L'ingresso dell'Italia nella seconda guerra mondiale a fianco della Germania il 10 giugno 1940, trovò la Regia Aeronautica numericamente forte, con circa 3.000 velivoli, anche se solo circa i due terzi di questi erano operativi e molti di essi erano tecnicamente obsoleti, o surclassati dagli ultimi equipaggiamenti alleati.
La Regia Aeronautica fu impegnata in combattimenti in più teatri, anche attraverso il Mediterraneo, in Nord Africa, nei Balcani, nonché sul fronte orientale a sostegno dell'invasione tedesca dell'Unione Sovietica. Alla fine, il collasso della macchina da guerra italiana e l'invasione alleata della Sicilia, seguita dallo sbarco sulla terraferma italiana, lasciarono la Regia Aeronautica a combattere una disperata guerra difensiva nella stessa Italia.
L'armistizio italiano con gli Alleati nel settembre 1943 lasciò una situazione complessa per quel che restava della Regia Aeronautica. Alcuni dei suoi aviatori continuarono a combattere a fianco dei tedeschi, ora sotto la bandiera della Repubblica Sociale Italiana. Altri aderirono all'armistizio e si unirono alla lotta contro i tedeschi che occupavano l'Italia, mentre altri ancora entrarono a far parte di formazioni partigiane irregolari.
In questo modo, nonostante l'armistizio, diversi elementi dell'Aeronautica Militare continuarono a combattere fino alla definitiva sconfitta della Germania nazista l'8 maggio 1945. Un anno dopo, nel 1946, la Regia Aeronautica fu sciolta e fu costituita l'Aeronautica Militare italiana.
La ricostruzione dell'aeronautica dopo le devastazioni della guerra ha presentato sfide significative, ma l'Aeronautica Militare italiana le ha affrontate, sostenuta anche da una ripresa dell'industria aeronautica nazionale del dopoguerra. Nel 1949 l'Italia aderì alla NATO e l'AMI fornì una forza sempre più capace per l'alleanza. L'ampio sostegno arrivò sotto forma di aiuti militari statunitensi, ma fu un aereo britannico, il de Havilland Vampire, a fornire il primo caccia a reazione dell'AMI, anch'esso costruito localmente su licenza.
Negli anni '60, l'Aeronautica Militare italiana era entrata saldamente nell'era supersonica, con l'F-104 Starfighter capace di Mach-2+, anch'esso prodotto localmente, alla guida delle sue unità di caccia, attacco e ricognizione. L'Italia è stata un operatore tragicamente entusiasta dell'F-104, con gli ultimi esemplari che non sono stati ritirati fino al 2004, ormai completamente aggiornati. Nel frattempo, l'industria locale ha prodotto una serie di velivoli da addestramento e da trasporto di livello mondiale, adottati con entusiasmo dall'Aeronautica Militare, mentre i produttori italiani hanno anche contribuito alla messa a punto del Panavia Tornado (strike/defence-suppression/reconnaissance aircraft) e all'AMX (ground-attack e da ricognizione), entrambi ancora in uso, in numero decrescente, ancor oggi.
Se la difesa del fianco meridionale della NATO, anche attraverso attacchi nucleari, sarebbe stata la principale missione dell'AMI durante la Guerra Fredda, dagli anni '60 in poi divenne sempre più attiva anche nelle missioni internazionali, anche nell'ex Congo belga per conto delle Nazioni Unite. Uno degli incidenti più disastrosi del dopoguerra dell'aeronautica avvenne durante quella missione in Congo, quando 13 membri dell'equipaggio di due aerei da trasporto C-119 Flying Boxcar furono massacrati a Kindu Port-Émpain, l'11 novembre 1961 per una missione di trasporto umanitario per conto dell’ONU.
Con la fine della Guerra Fredda, l'AMI è stata sempre più coinvolta in operazioni fuori area, sia di mantenimento della pace che di combattimento. Un contingente dell'Aeronautica Militare ha combattuto nella Guerra del Golfo del 1990-91 e altri incarichi nello stesso decennio hanno portato l'aviazione in Somalia, ex Jugoslavia e Balcani, Eritrea e Timor Est.
In risposta ai cambiamenti nella situazione della sicurezza globale dopo gli attacchi terroristici dell'11 settembre, l'Italia ha partecipato attivamente alle operazioni sia in Afghanistan che in Medio Oriente. Le operazioni nel teatro afghano sono state gestite tramite un Reparto Operativo Autonomo (ala operativa autonoma) stabilito a Bagram e un altro a Manas, in Kirghizistan. Il contingente italiano è stato successivamente impegnato nell'Operazione Enduring Freedom e a supporto dell'International Security Assistance Force (ISAF), svolgendo anche un ruolo importante nell'addestramento del personale dell'Aeronautica Militare Afghana.
Dal 2003, nell'ambito di un'operazione denominata Antica Babilonia, elementi dell'AMI furono schierati a Tallil in Iraq, e ad Abu Dhabi. Le prime risorse ad essere schierate furono i trasporti C-130J, gli elicotteri di ricerca e salvataggio da combattimento HH-3F e i droni Predator MQ-1C, mentre i jet Tornado e AMX furono successivamente utilizzati per la ricognizione in Medio Oriente.
Il nuovo millennio ha visto l'AMI emergere come un'arma aerea modernissima e poliedrica, sempre all'avanguardia per nuove tecnologie e capacità, almeno nel contesto europeo. Nel 2005 la coscrizione militare era terminata e il veterano F-104 era stato ritirato, mentre entrava in servizio il multiruolo Eurofighter Typhoon (altro risultato della coproduzione italiana), con la denominazione locale F-2000.
All'inizio del decennio successivo, l'Aeronautica Militare italiana era di nuovo in guerra, questa volta in risposta al deterioramento della situazione in Libia, sotto le operazioni Odyssey Dawn e Unified Protector.
La modernizzazione dell'AMI è oggi racchiusa nel caccia stealth F-35, utilizzato sia in versione a decollo e atterraggio convenzionale (CTOL) sia in versione a decollo corto e atterraggio verticale (STOVL), quest'ultimo imbarcato sulle portaerei dall'aviazione di marina. Ancora una volta, l'Italia è parte dello sforzo produttivo, con una struttura Joint Strike Fighter Final Assembly and Check Out (FACO) — una delle uniche due al di fuori degli Stati Uniti — gestita dalla italiana Leonardo a Cameri.
Tuttavia, il caccia stealth di 5^ generazione è solo un elemento all'interno di una forza aerea lungimirante e che continua a offrire una combinazione di capacità che non può essere trovata in nessun altra forza aerea europea. Oltre a continuare a operare unità dedicate di soppressione della difesa (Tornado ECR), rifornimento aereo (KC-767) e ricerca e salvataggio in combattimento (HH-101 e HH-139), l'Aeronautica Militare italiana ha sfruttato il potenziale dei moltiplicatori di forza nel dominio C4ISR: comando, controllo, comunicazioni, computer, intelligence, sorveglianza e ricognizione: è una delle poche forze aeree europee con una capacità sovrana di allerta aerea (AEW), nel suo velivolo Gulfstream E-550A Conformal AEW che offrono anche funzioni di gestione della battaglia e di comando e controllo (C2) e sono un'aggiunta altamente logica ai potenti sensori di bordo dell'F-35 e alle capacità di rete uniche, che possono essere utilizzate anche per migliorare l'efficacia del Typhoon di quarta generazione e altri risorse.
Oltre ai due E-550A di fornitura israeliana, l'AMI attende anche un potenziale C4ISR ampliato attraverso l'aggiunta di ben 8 Gulfstream G550 statunitensi in configurazione Multi-Mission Multi-Sensor (MMMS) che avranno in dotazione sistemi elettro-ottici e IR, un radar AESA (Active Electronically Scan Array) e apparecchiature ISR e di guerra elettronica (AISREW) aviotrasportate.
Il primo nuovo Gulfstream G550 giungerà alla base aerea di Pratica di Mare, nell'aprile 2022, prima della conversione alla configurazione MMMS.
Nel frattempo, dopo circa 3.800 sortite (la maggior parte delle quali nei teatri operativi), il drone Predator ha lasciato il posto al ben più potente MQ-9A Reaper armato. L'offerta di addestramento dell'AMI rimane seconda a nessuno al mondo: il suo centro di addestramento internazionale attira cadetti da tutto il mondo, con piloti di caccia che completano il loro programma di studi sull'avanzato T-346 Master. Anche il nuovissimo T-345 sta ora entrando a far parte del programma di addestramento, in sostituzione del vecchio addestratore a getto di base MB-339 e sarà assegnato a breve anche alle Frecce Tricolori, fornendo al team dimostrativo nuova linfa vitale per le sue numerose apparizioni locali e internazionali.
Guardando più avanti, l'Italia fa da non molto parte dell’avveniristico progetto "Global Combat Air Program (GCAP)”, una coalizione internazionale che coinvolge anche Regno Unito e Giappone e che mira a sviluppare congiuntamente un nuovo caccia stealth di 6^ generazione entro il 2035.
Questo ulteriore sforzo tecnologico è solo agli inizi e l’Aeronautica Militare italiana continua ad essere impegnata in una costante modernizzazione, mentre inizia il suo secondo secolo di vita: Ad majora, AMI!
UN SIMBOLO DI ARDIMENTO E CORAGGIO DELLA NOSTRA ITALIA: Francesco Baracca
Francesco Baracca (Lugo, 9 maggio 1888 – Nervesa, 19 giugno 1918) è stato il principale asso dell'aviazione italiana durante la prima guerra mondiale nel corso della quale gli vennero attribuiti trentaquattro abbattimenti di aerei nemici, il numero più alto mai raggiunto da un aviatore dell'Aeronautica italiana.
Fu insignito della medaglia d'oro al valor militare.
Francesco Luigi Giuseppe Baracca nacque a Lugo, nell'attuale Corso Garibaldi, da Enrico (1855-1936), uomo d'affari e proprietario terriero, e dalla contessa Paolina de Biancoli. Il giovane Francesco studiò dapprima nella città natale di Lugo, quindi a Firenze per poi scegliere la carriera militare all'Accademia militare di Modena, dove fu ammesso nel 1907 e da cui due anni dopo ne uscì come sottotenente dell'Arma di cavalleria del Regio Esercito. Nel 1909 frequentò il corso di specializzazione presso la Scuola di Cavalleria di Pinerolo e l'anno successivo venne assegnato al 2º Reggimento cavalleria "Piemonte Reale" di stanza a Roma nella caserma "Castro Pretorio", dove dimostrò le sue doti di cavaliere vincendo il concorso ippico di Tor di Quinto.
Nel 1912, affascinato da un'esercitazione aerea presso l'aeroporto di Roma-Centocelle, passò in aviazione, che allora era parte dell'esercito. La sua domanda fu accettata il 24 aprile. Frequentò i corsi della scuola di pilotaggio a Bétheny in Francia con un Nieuport 10, e il 9 luglio 1912 conseguì il brevetto di pilota numero 1037. Si distinse presto per l'eccezionale abilità nelle tecniche acrobatiche. Nel 1914 venne assegnato al Battaglione Aviatori, prima presso la 5ª e poi con la 6ª Squadriglia. Alla vigilia della prima guerra mondiale, Baracca fu inviato a Parigi dove si addestrò sul caccia Nieuport 10.
Rientrato in Italia nel luglio del 1915 all'8ª Squadriglia da ricognizione e combattimento su Nieuport-Macchi Ni.10, cominciò i voli di pattugliamento il 25 agosto con la 2ª Squadriglia da ricognizione e combattimento. Dopo ripetuti infruttuosi combattimenti, gli venne assegnato un Nieuport 11 "Bébé" con il quale – in forza dal 1º dicembre alla 1ª Squadriglia caccia che diventa il 15 aprile 1916 70ª Squadriglia caccia – entrò ripetutamente in azione nella seconda metà del 1915. Il suo primo abbattimento venne effettuato sopra il cielo di Gorizia: il 7 aprile 1916, ai comandi di un Ni 11 presso Medeuzza, dopo vari minuti di ingaggio riuscì a portarsi con una cabrata in coda a un ricognitore Hansa-Brandenburg C.I austro-ungarico che, ricevuti quarantacinque colpi, fu costretto ad atterrare e l'equipaggio, composto dal Sergente Adolf Ott e dal Tenente osservatore Franz Lenarcic (che in seguito morirà per le ferite) della Flik 19, venne fatto prigioniero.
Per un'altra fonte l'aereo abbattuto era un biposto Aviatik. Per l'azione Baracca venne decorato con la medaglia d'argento al valor militare. La sua prima vittoria fu anche la prima in assoluto dell'aviazione italiana. Tornato a terra, incontrò uno dei due aviatori nemici abbattuti e gli strinse la mano, mostrando simili atteggiamenti di conforto e cavalleria anche verso altri nemici nel prosieguo della guerra; egli, infatti, sosteneva: «è all'apparecchio che io miro, non all'uomo». Sarà decorato di altre due medaglie d'argento, delle quali, l'ultima sarà convertita in medaglia d'oro nel maggio 1918. Altre vittorie seguirono presto la prima, e, all'inizio di maggio, aveva ottenuto già sette vittorie individuali e tre in collaborazione, diventando di fatto uno dei pochi assi dell'aviazione, con tutta la celebrità che ne conseguiva. Promosso capitano nel giugno 1916, rimase sempre nella stessa squadriglia, anche quando questa divenne la 70ª. Il 28 novembre abbatté in battaglia il suo quinto aereo, ottenendo l'iscrizione nell'Albo degli Assi. Quel giorno Baracca consegue la sua vittoria nella tarda mattinata a Tolmezzo con 30 colpi di mitragliatrice ai danni del Brandenburg C.I della Flik 16 dell'osservatore Kálmán Sarközy che rimane ferito e prigioniero e di Fritz Fuchs, il quale non sopravvisse al duello.
Il 1º gennaio 1917 Baracca abbatte un aereo Brandenburg austriaco della Flik 12 vicino a Castagnevizza volando sull'Ni 17 2614. L'11 febbraio Baracca (su Ni 17) con Fulco Ruffo di Calabria (su Ni 17), il serg. Giulio Poli ed il caporale Antonio Pagliari (su Ni 11) abbattono il Br. C.1 del caporale Ludwig Fleck con l'osservatore Tenente Wilhelm Siemienski della Flik 35 che, dopo aver colpito il serbatoio del Nieuport 11 del caporale Anselmo Caselli che rientra in emergenza, mentre al ricognitore con i due membri dell'equipaggio feriti riesce un atterraggio di fortuna urtando un albero e rovinando le ali nei prati vicino a Remanzacco dopo una battaglia sul cielo di Udine alla quale assiste Vittorio Emanuele III di Savoia che il giorno dopo si reca al campo per complimentarsi con i piloti. Baracca arrivando alla quinta vittoria diventa un asso dell'aviazione. Il 25 aprile Baracca vola in ricognizione strategica su Brunico e Bressanone con lo SPAD S.VII dotato di macchina fotografica. Il 26 aprile Baracca abbatte il Br. C.1 del Zgsf. Josef Majsai e del Leut. Emmerich Treer della Flik 35 con l'aiuto del serg. Goffredo Gorini (ex della 3ª Squadriglia per l'artiglieria) ed Attilio Imolesi della 79ª Squadriglia vicino a San Martino del Carso arrivando ad 8 vittorie e ricevendo la croce dell'Ordine militare di Savoia.
Il 1º maggio successivo si trasferì alla 91ª Squadriglia, soprannominata "La squadriglia degli assi" perché costituita da grandi assi dell'aviazione scelti da Baracca in persona, quali Pier Ruggero Piccio, Fulco Ruffo di Calabria, Gaetano Aliperta, Bartolomeo Costantini, Guido Keller, Giovanni Sabelli, Enrico Perreri e Ferruccio Ranza.
L'unità aveva in dotazione il nuovo Nieuport 17 costruito in Italia dalla Macchi. Sul suo aereo in onore alla sua Arma di appartenenza Baracca dipinse il cavallino nero rampante destinato a diventare una delle insegne più care agli italiani (anni dopo la madre di Baracca consegnò quel simbolo a Enzo Ferrari e gli disse: "Ferrari, metta sulle sue macchine il cavallino rampante del mio figliolo. Le porterà fortuna"). Il 1º maggio, durante una missione di ricognizione su Monfalcone, pilotando l'Hansa-Brandenburg C.I 229.08 della Flik 12, Frank Linke-Crawford ebbe modo di scontrarsi con lo SPAD S.VII di Baracca: i due duellarono a lungo, in un combattimento molto duro che si sviluppò da 4 000 metri fino a bassa quota. Baracca si convinse di aver abbattuto il suo avversario, ma Linke-Crawford riuscì a portare a termine la missione nonostante ben 68 fori di proiettile rinvenuti sull'aereo. Il 10 maggio Baracca abbatté l'Hansa-Brandenburg D.I del Zugsführer Rudolf Stöhr della FliK 41J vicino a Vertoiba conseguendo la nona vittoria ufficiale. Il 13 maggio Baracca ottenne un'altra vittoria in collaborazione sul Br. C.1 dell'asso Julius Busa e dell’osservatore Hermann Grössler della Fluggeschwader 1 sul Monte Korada. Sempre nello stesso mese di maggio Baracca passerà sullo SPAD S.VII.
Il 20 maggio nell'ambito della decima offensiva dell'Isonzo Baracca colpisce sul Monte Santo di Gorizia un ricognitore Brandenburg della Flik 12 con pallottole incendiarie che precipita a quota 363 di Plava a pochi metri dalle trincee italiane. Il 3 giugno Baracca abbatte l'Hansa-Brandenburg C.I del Zgsf. Johann Rotter con l'Oblt. Max Bednarzik del Fluggeschwader 1 o FlG. I fra Plava e Monte Cucco di Plava. Presso la 91ª Squadriglia, di cui divenne il comandante, conseguì ventisei vittorie. Il 6 settembre venne abbattuto sul Monte Sabotino da Sabelli e Baracca il Br.C.1 della Flik 34 del Zgsf. Stefan Morth che rimase ferito e dell'osservatore Oblt. Béla Gerey che morì. Nel settembre 1917, con diciannove vittorie al suo attivo, era l'asso italiano con il maggior numero di abbattimenti. Il 6 di quel mese venne promosso maggiore. Altri cinque successi seguirono in ottobre, con due doppi abbattimenti in due singoli giorni. La seconda di queste duplici vittorie venne conseguita il 26 ottobre, ai danni di due Aviatik tedeschi. Quando gli austro-ungarici, rinforzati da forze germaniche, incluse tre squadriglie di caccia (Jagdstaffeln, più semplicemente Jastas), lanciarono la loro offensiva che portò alla disfatta di Caporetto, la 91ª Squadriglia venne riequipaggiata con lo SPAD S.XIII. Pilotando questo nuovo aereo, Baracca portò il totale delle sue vittorie a trenta, ma subito dopo venne messo a riposo. Il 6 novembre abbatté a Fossalta di Portogruaro l'asso Rudolf Szepessy-Sokoll.
Ritornò in azione nel maggio 1918, dopo che il 5 gli fu commutata una medaglia d'argento in medaglia d'oro. Il 15 giugno, con l'abbattimento di altri due aerei, conseguì le sue ultime vittorie, abbattendo per ultimo un caccia Albatros D.III con uno SPAD S.XIII nei pressi di San Biagio di Callalta.
Era la sua vittoria ufficiale numero trentaquattro riportata in sessantatré combattimenti aerei, sebbene ci sia chi alza questo numero a trentasei e chi lo abbassa a trentatré. Il 19 giugno, dopo aver compiuto una missione, il trentenne Baracca rientrò al campo di Quinto di Treviso; lo SPAD S.XIII con cui aveva compiuto i primi voli della giornata aveva il rivestimento in tela delle ali e della fusoliera danneggiato, perciò egli decollò con il suo aereo di riserva, uno SPAD S.VII, per la quarta missione del giorno. Altri due aerei della 91ª Squadriglia sarebbero decollati con lui, il giovane Osnago e il più esperto Costantini. Al momento della partenza tuttavia si scoprirà che Costantini era già partito, lasciando a Baracca la sola scorta dell'inesperto Osnago. Mentre i piloti erano impegnati in un'azione di mitragliamento a volo radente sopra Colle Val dell'Acqua, sul Montello, l'asso italiano venne abbattuto. Baracca fu colpito da un biplano austro-ungarico non visto, o visto troppo tardi quando già l'asso era stato colpito dalla prima delle due raffiche sparate dall'osservatore. Il pilota Max Kauer e l'osservatore Arnold Barwig hanno fornito una documentazione che sarebbe stata sufficiente a far accreditare loro la vittoria verso chiunque altro, ma continuamente rifiutata dalle autorità italiane per motivi propagandistici, in tempi in cui l'esito della guerra era ancora incerto.
Verrà ritrovato qualche giorno dopo, il 23 giugno, dal capitano Osnago, compagno dell'ultimo volo, che su segnalazione dell'ufficiale Ambrogio Gobbi raggiunse le pendici del Montello (località "Busa delle Rane") con il tenente Ranza ed il giornalista Garinei del Secolo di Milano. Qui, accanto ai resti del velivolo, si trovava il corpo di Baracca: ustionato in più punti, presentava una ferita nell'incavo dell'occhio destro, alla radice del naso. Le ali e la carlinga dello SPAD S.VII erano carbonizzati, il motore e la mitragliatrice infissi nel suolo e il serbatoio forato da due pallottole. Le esequie si svolsero il 26 giugno a Quinto di Treviso, alla presenza di autorità civili e militari, e l'elogio funebre venne pronunciato da Gabriele D'Annunzio, ammiratore del pilota di Lugo. La salma di Baracca verrà poi inumata in una cappella sepolcrale nel cimitero di Lugo. Il sarcofago, fuso col bronzo di cannoni austriaci del Carso, è sormontato da un'aquila che solleva la bandiera italiana con la croce di Savoia.
Solo nel 1995 diviene di pubblico dominio la storia d'amore di Francesco Baracca con Norina Cristofoli, nata nel 1902 a Tolmezzo. I due si erano conosciuti a Udine il 20 settembre 1917, pochi giorni prima della disfatta di Caporetto. La giovanissima Norina si rifugiò a Milano, dove ricevette numerose lettere da Francesco Baracca, l'ultima delle quali datata 4 giugno 1918, pochi giorni prima del 19 giugno 1918, giorno della morte dell'aviatore. Norina Cristofoli diventerà cantante lirica di un certo successo e morirà nel 1978, senza avere altre relazioni sentimentali in quanto si considerò per sempre legata al ricordo di Baracca.
Baracca fu membro della Massoneria di Rito scozzese antico ed accettato di Piazza del Gesù, dove raggiunse il 18º grado.
IL TRAGICO EPILOGO DEL NOSTRO EROE
È stata avanzata una tesi secondo la quale Baracca, piuttosto che bruciare con il velivolo o essere fatto prigioniero, avrebbe preferito suicidarsi (il corpo, ustionato in più punti, presentava una profonda ferita nell'orbita destra, alla radice del naso, e si osservava la fondina della pistola vuota, con l'arma scoppiata nella caduta), anche se, a causa della mancata autopsia, resta il dubbio delle ferite al petto riscontrate dai soldati. Inoltre, non è affatto chiaro se la ferita all'orbita sia da colpo di pistola oppure da pallette di shrapnel, a causa dei bombardamenti d'artiglieria che imperversarono nei tre giorni prima che ritrovassero il corpo (alcune pallette hanno lasciato persino traccia sul motore dello SPAD, attualmente ancora conservato nel museo dell'Aeronautica); da tempo, inoltre, esiste la rivendicazione dell'abbattimento da parte di un pilota austro-ungarico.
L'ultima tesi è supportata da fonti austriache e si basa sul rapporto della missione, le testimonianze degli osservatori a terra e una foto del luogo dello schianto presa dal biposto nei minuti successivi alla morte di Baracca.
Anche secondo uno storico anglosassone, Christopher Shores, da ricerche nei registri austro-ungarici risulterebbe che Baracca venne ucciso dal mitragliere di un biposto austriaco che l'italiano stava attaccando dall'alto, o comunque iniziando lo scontro da una quota superiore. Questo avrebbe causato difficoltà nell'avvistamento del biposto austriaco da parte degli italiani, dato che si confondeva col suolo, e viceversa una migliore visibilità da parte degli austriaci, con i caccia nemici stagliati contro il cielo. Fonti austriache riportano come le truppe di terra non fossero dotate di munizioni incendiarie. La vampata che si sprigionò dal velivolo di Baracca, decollato da soli 15 minuti col pieno di carburante, fu talmente vivida e intensa da essere avvistata dai suoi compagni nell'aerodromo di Quinto di Treviso, distante svariati chilometri; essi pensarono, sulle prime, che Baracca e Osnago avessero intercettato e abbattuto un velivolo nemico.
In ogni caso, nei giorni del ritiro delle truppe austro-ungariche da Bavaria e Nervesa per raggiungere la riva sinistra del Piave, un giornalista di guerra al seguito delle truppe italiane disse che fu difficile localizzare l'aereo caduto, poiché era finito in una fitta selva di alberi: di qui la certezza che il nemico non lo avesse trovato; inoltre la stampa austro-ungarica, in quei giorni di combattimento, non se ne era occupata, tanto che qualcuno sperava di trovare Baracca ancora in vita, magari ferito e nascosto da qualche parte. Tuttavia la vittoria da parte dei piloti austriaci fu riportata immediatamente al rientro dalla loro missione. Il re Vittorio Emanuele III aveva fatto inviare ai genitori dell'asso un telegramma in cui auspicava una risoluzione positiva, speranza che si infranse solo in seguito, con il ritrovamento del cadavere e dell'aereo caduto.
Dal lato austriaco, la scomparsa di Baracca non fu trascurata, nonostante la violenta battaglia a terra ponesse molti altri problemi da risolvere. Secondo gli austriaci quel giorno, proprio legato alla battaglia, alle 18.10 decollò un ricognitore C.I della Flik 28 pilotato da Max Kauer con Arnold Barwig come osservatore-mitragliere. Dovevano volare sul fronte della 17ª divisione per scattare delle fotografie, compito pericoloso con il dominio aereo oramai assicurato dall'aviazione italiana. Durante il volo videro due caccia Spad in avvicinamento a circa un chilometro e manovrarono prontamente per combatterli. Prima l'osservatore sparò una raffica di 15-20 colpi ad uno di essi che stava andando in picchiata, poi lo videro risalire sulla destra e gli spararono ancora, incendiandolo. Scattarono anche due foto dell'abbattimento e la vittoria fu omologata subito, ben prima che si sapesse della sorte di Baracca. Inoltre, a seguito delle notizie italiane che Baracca era morto sì, ma per fuoco da terra, gli austriaci tennero una lunga indagine in corso e con il rapporto finale del 28 agosto, poterono constatare come i mitraglieri a terra non avessero munizioni incendiarie SP, né rivendicassero nessuna vittoria quel giorno, cosa sorprendente se si considerava molti altri episodi contesi. Piuttosto, tre ufficiali a terra seguirono lo scontro aereo e confermarono che lo Spad venne abbattuto dal ricognitore, avendo modo di seguire anche con l'uso di un cannocchiale a 40 ingrandimenti l'andamento della battaglia. In conclusione, non è chiaro se fosse stato abbattuto da un aereo austriaco, mentre Osnago, al rientro, negò che vi fossero altri velivoli, tesi subito sposata dal comando italiano. Con la guerra che stava volgendo faticosamente a vantaggio degli italiani, le notizie che potessero provocare sconforto non erano certo tollerate. Scrisse in merito l'asso Mario Fucini anni dopo Era la stessa fiducia in noi stessi che riceveva un colpo: se è possibile abbattere Baracca, cosa potrò fare io per non subire la stessa sorte?... Ed anche subentrò in noi una specie di conforto nel quale non avevamo sperato: Baracca non era stato abbattuto da caccia avversari. Il suo prestigio di cacciatore non era stato intaccato. Come Sigfrido soltanto un colpo a tradimento aveva potuto finirlo. Nessun vanto il nemico avrebbe potuto fare di questa fine. È questo più di tutto importava. Un altro fatto che resta davvero impossibile da discernere, a causa della mancata autopsia, è se Baracca si sia davvero ucciso per non bruciare vivo, oppure sia stato ucciso dalle mitragliate dell'aereo austriaco.
La bara fu trasferita nella dimora abituale di Baracca, Villa Borghesan, e il funerale privato si tenne nella chiesa parrocchiale di San Giorgio, a Quinto di Treviso. Una seconda cerimonia funebre, pubblica, si tenne nel cimitero di Quinto, vicino all'aeroporto di San Bernardino da cui l'asso era partito per quella che sarebbe stata la sua ultima missione (e dove oggi, presso il sito su cui sorgeva l'aeroporto, si erge una stele composta da un'ala e da una targa ricordo). Al passaggio della bara, resero omaggio al caduto le autorità civili e militari, oltre alla gente del paese. Il giorno dopo la salma venne trasportata a Lugo, dove ebbero luogo i funerali ufficiali.
IL CAVALLINO RAMPANTE
L'insegna personale di Baracca, che l'asso faceva dipingere sulla fiancata sinistra del proprio velivolo - sulla destra trovava posto quella della 91ª Squadriglia (un grifone) - era il famoso cavallino rampante, sulle cui origini e sul cui stesso colore esiste un piccolo mistero.
Diversi indizi sembrano infatti indicare che il colore originario del cavallino fosse il rosso, tratto per inversione dallo stemma (che in un quarto reca appunto un cavallo d'argento in campo rosso) del 2º Reggimento cavalleria "Piemonte Reale" di cui l'asso romagnolo faceva parte, e che il più famoso colore nero sia stato invece adottato in segno di lutto solo dopo la morte di Baracca dai suoi compagni di squadriglia che rinunciarono alle proprie insegne personali. L'attaccamento al Reggimento di provenienza è peraltro confermato dal fatto che Baracca conservò sull'uniforme i baveri rossi e sul berretto la granata a fiamma dritta (cui aggiunse una piccola elica) propri dei Cavalieri di Piemonte Reale.
Secondo un'altra tesi, il cavallino rampante di Baracca deriverebbe invece non dallo stemma del suddetto reggimento bensì da quello della città tedesca di Stoccarda. Gli aviatori di un tempo, infatti, venivano considerati "assi" solo dopo l'abbattimento del quinto aereo, di cui assumevano talvolta le insegne in onore del nemico sconfitto. Baracca, noto per la sua lealtà e il suo rispetto per l'avversario, avrebbe quindi fatto dipingere sulla carlinga del suo velivolo il cavallino rampante (già nero, secondo questa tesi) visto su quella del quinto aereo da lui abbattuto, un Aviatik (o, secondo altri, un Albatros B.II) tedesco probabilmente guidato da un aviatore di Stoccarda. Se così fosse, allora i cavallini (o meglio le giumente: Stutengarten - da cui Stuttgart, il nome tedesco di Stoccarda cui l'arma parlante fa riferimento - in antico altotedesco significava "recinto delle giumente") che compaiono negli attuali stemmi della Ferrari e della Porsche (quest'ultimo desunto direttamente dallo stemma della città tedesca) avrebbero, benché leggermente diversi nella grafica, la medesima origine.
In ogni caso, qualche anno dopo il termine della prima guerra mondiale, nel 1923, la madre di Francesco Baracca diede ad Enzo Ferrari l'autorizzazione a utilizzare l'emblema usato da suo figlio. Il Cavallino, modificato nella posizione della coda e nel colore dello sfondo, ora giallo in onore della città di Modena, apparve per la prima volta sulle due Alfa Romeo 8C 2300 "Mille Miglia Zagato Spider" passo corto, schierate dalla Scuderia alla 24 Ore di Spa del 9 luglio 1932: le due Alfa si classificarono al 1º e 2º posto con gli equipaggi Brivio/Siena e Taruffi/D'Ippolito.
Enzo Ferrari utilizzò il Cavallino rampante anche nella squadra che fondò subito dopo la seconda guerra mondiale: ancora oggi è il simbolo dell'omonima casa automobilistica. Meno conosciuto è il fatto che anche la Ducati utilizzò il cavallino rampante (pressoché identico a quello della Ferrari) sulle proprie moto dal 1956/57 al 1960/61. Il marchio fu scelto dal celebre progettista della Ducati Fabio Taglioni, che era nato a Lugo come Baracca.
Intitolazioni e dediche
Subito dopo la sua morte, la 91ª Squadriglia venne ribattezzata "Squadriglia Baracca". Successivamente sono stati numerosi i reparti aerei italiani intitolati all'aviatore lughese. L'Aeronautica Nazionale Repubblicana gli dedicò il 3º Gruppo caccia, mentre l'Aeronautica Militare l'attuale 9º Stormo. L'insegna di Baracca, il cavallino nero, è anche usata nell'emblema del 10º Gruppo e compare anche in quello del 12º Gruppo caccia, mentre è presente a colori invertiti nello stemma del 4º Stormo e del dipendente 9º Gruppo caccia. In campo navale, la Regia Marina battezzò con il suo nome un sommergibile della classe Marconi. L'aeroporto di Roma-Centocelle che è sede del Comando della squadra aerea e del Comando operativo di vertice interforze, così come l'aeroporto di Lugo che è sede di una scuola volo elicotteristi portano entrambi il suo nome. A questi si aggiunga l'intitolazione dello Squadrone Comando del Reggimento Piemonte Cavalleria.
Il portale web dell'Aeronautica Militare ha proposto una pagina, intitolata "I grandi aviatori", dove vengono citate le maggiori personalità storiche dell'aviazione italiana, ponendo Baracca tra di esse. L'odierno stadio comunale di calcio di Mestre, così come l'Istituto tecnico aeronautico statale di Forlì e la squadra di calcio della sua città natale, il Baracca Lugo sono intitolati all'aviatore scomparso.
Il nome di Baracca campeggia su molte strade e piazze d'Italia, tra le altre: una via a Roma nel quartiere di Torpignattara, così come un'importante arteria di comunicazione fiorentina, mentre in piazzale Baracca, a Milano, è posto anche un monumento in suo onore. Anche la sua città natale, Lugo, gli ha dedicato un monumento. La realizzazione fu affidata allo scultore faentino Domenico Rambelli che ideò una gigantesca ala d'aereo. Ai piedi dell'ala, la statua dell'eroe vestito con la tuta da aviatore. Il basamento dell'opera reca incise, sul fronte, le date ed i luoghi delle sue vittorie aeree. Ai fianchi vi sono i simboli dei reparti a cui appartenne l'aviatore: l'ippogrifo (91ª Squadriglia) e il cavallino rampante. Il monumento fu inaugurato il 21 giugno 1936. Sempre a Lugo si trova un museo a lui dedicato. Sul Montello, alle porte di Treviso, esiste un monumento (vicino Nervesa della Battaglia), con una dedica di Gabriele D'Annunzio.
Contrariamente a quanto si crede, il punto nel quale l'opera sorge non è quello dove l'aereo del pilota di Lugo impattò contro il suolo. Lo "SPAD" di Baracca infatti, cadde in località "Busa delle rane" al termine della "valle dell'acqua", una depressione che si insinua nel Montello. Il sito dell'attuale monumento fu scelto negli anni trenta, per le sue caratteristiche di panoramicità, che permettevano di osservarlo dalla pianura sottostante. Francesco Baracca compare come personaggio, assieme ad altri celebri aviatori italiani quali Arturo Ferrarin e Adriano Visconti, nel film d'animazione giapponese Porco Rosso, del 1992, opera di Hayao Miyazaki.
Opere su Francesco Baracca
- Paolo Varriale e Giulia Garuffi, Francesco Baracca. Il carteggio 1900-1918, Imola, Il Nuovo Diario-Messaggero, 2020.
- (FR) Riccardo Freda, "Francesco Baracca", un scénario de Riccardo Freda, in L'Avant-scène cinéma, n. 400, marzo 1991, pp. 43-48.
- Filmografia: Televisione - RAI1: I cacciatori del cielo, regia di Mario Vitale - docufilm (2023).
IL FILM SULL’ASSO DELLA CACCIA ITALIANA: FRANCESCO BARACCA
I cacciatori del cielo, docu-film sulla storia dell’asso dell’aviazione Francesco Baracca interpretato da Giuseppe Fiorello, prodotto da Anele in collaborazione con Aeronautica Militare, con Rai Documentari, in coproduzione con Istituto Luce Cinecittà e con il sostegno di Intesa Sanpaolo. Alcune scene saranno effettuate pure sul nostro territorio.
A suo nome nel 1926 fu infatti inaugurato a Lugo, nel ravennate, il Museo Baracca, dal 1993 trasferito nella casa natale del pilota, luogo particolarmente suggestivo che ospita anche il suo caccia e dove si effettueranno alcune riprese grazie alla collaborazione con il Comune di Lugo di Romagna e Emilia-Romagna Film Commission.
Il progetto, scritto da Pietro Calderoni e Valter Lupo, con la collaborazione di Mario Vitale e la consulenza storica di Paolo Varriale, celebra il Centenario della costituzione dell’Aeronautica Militare attraverso il racconto delle imprese eroiche, della vita e dell’amicizia di quei pionieri che si distinsero per le loro azioni e il loro coraggio durante la Prima Guerra Mondiale e le cui gesta gettarono le basi per la nascita dell’Aeronautica Italiana avvenuta il 28 marzo 1923.
Un racconto avvincente che intervalla alla fiction vera e propria preziosi materiali di repertorio, sia foto che filmati d’epoca, e animazioni originali e che abbraccia temi universali come amicizia, grandi sogni e amore.
Giuseppe Fiorello è dunque il tenente pilota del Regio Esercito Francesco Baracca, poi promosso per meriti a Comandante della 91a squadriglia: romagnolo, sanguigno, istintivo e coraggioso, affascinante e colto, di ottima famiglia, generoso, spavaldo ma mai inutilmente votato al sacrificio. Ricordato come “l’Asso degli assi” per i suoi rischiosi blitz a quote basse che gli permisero di abbattere 34 velivoli nemici, il numero più alto mai raggiunto da un aviatore dell’Aeronautica italiana, Francesco Baracca divenne in quei drammatici anni bellici un eroe nazionale la cui morte, avvenuta a 30 anni il 19 giugno 1918 nel corso di una missione sul Montello, suscitò grande commozione in tutto il Paese.
Giuseppe Fiorello, nel cast troviamo anche Luciano Scarpa nel ruolo del Comandante Pier Ruggero Piccio, in seguito primo Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, Claudia Vismara, che dà il volto a Norina Cristofori, giovane cantante lirica che intraprenderà un’intensa storia d’amore con Francesco e Andrea Bosca che interpreta il personaggio di finzione Bartolomeo Rocca, meccanico addetto alla manutenzione dell’aereo di Baracca.
LA REPLICA VOLANTE DI DUE SPAD S.XIII
La replica funzionante di uno dei due SPAD S.XIII pilotati da Francesco Baracca, realizzata da Giancarlo Zanardo, è stata presentata in un volo dimostrativo a Nervesa della Battaglia, il 5 aprile 2008, in occasione della serie di commemorazioni previste per il 90º anniversario della Battaglia del solstizio.
Il biplano, costruito con le tecniche e i materiali dell'epoca, è stato impreziosito con un frammento di tela proveniente dalla fusoliera di uno degli aerei della 91ª Squadriglia, cui apparteneva Baracca.
Sul Montello, alle porte di Treviso, esiste un monumento vicino a Nervesa della Battaglia (foto sopra), con una dedica di Gabriele D'Annunzio.
Contrariamente a quanto si crede, il punto nel quale l'opera sorge non è quello dove l'aereo del pilota di Lugo impattò contro il suolo.
Lo SPAD di Baracca infatti, cadde in località «Busa delle rane» al termine della «valle dell'acqua», una depressione che si insinua nel Montello.
Il sito dell'attuale monumento fu scelto negli anni trenta, per le sue caratteristiche di panoramicità, che permettevano di osservarlo dalla pianura sottostante.
Onorificenze Italiane di Francesco Baracca:
Cavaliere dell'Ordine militare di Savoia.
«Pilota di meriti eccezionali, già decorato di tre medaglie al valore, costantemente dedica l'assidua opera sua alla riuscita di brillanti azioni aeree. Il 26 aprile 1917 in fiero e accurato combattimento, con rara abilità e sommo disprezzo del pericolo, abbatteva un nuovo apparecchio nemico, conseguendo così l'ottava sua vittoria. Cielo Carnico, 26 aprile 1917.»
5 agosto 1917.
Medaglia d'oro al valor militare
«Primo pilota da caccia in Italia, campione indiscusso di abilità e di coraggio, sublime affermazione delle virtù italiane di slancio e di audacia, temprato in sessantatré combattimenti, ha già abbattuto trenta velivoli nemici, undici dei quali durante le più recenti operazioni. Negli ultimi scontri, tornò due volte col proprio apparecchio colpito e danneggiato da proiettili di mitragliatrici. Cielo dell'Isonzo, della Carnia, del Friuli, del Veneto e degli Altipiani, 25 novembre 1916, 11 febbraio, 22, 25, 26 ottobre, 6, 7, 15, 23 novembre, 7 dicembre 1917»
5 maggio 1918.
Medaglia d'argento al valor militare
«Nell'occasione d'una incursione aerea nemica, addetto al pilotaggio d'un aeroplano da caccia, con mirabile sprezzo del pericolo, arditamente affrontava un potente aeroplano nemico e, dando prova di alta perizia aviatoria e di grande sangue freddo, ripetutamente lo colpiva col fuoco della propria mitragliatrice fino a causarne la discesa precipitosa nelle nostre linee. Per impedire che gli aviatori nemici distruggessero l'apparecchio appena atterrato, discendeva anch'egli precipitosamente raggiungendo lo scopo e concorrendo alla pronta cattura dei prigionieri. Cielo di Medeuzza, 7 aprile 1916.»
18 maggio 1916.
Medaglia d'argento al valor militare
«Pilota aviatore addetto a una squadriglia da caccia, con sereno sprezzo di ogni pericolo e grande sangue freddo dando prova di molta perizia aviatoria, affrontava potenti aeroplani nemici, concorrendo molto efficacemente, con altro apparecchio da caccia, a determinare la caduta precipitosa di due velivoli avversari: l'uno in territorio nemico fra Bucovina e Ranziano, l'altro entro le nostre linee a Creda, Caporetto. Cielo di Gorizia 23 agosto 1916, cielo di Caporetto, 16 settembre 1916.»
15 marzo 1917.
Medaglia di bronzo al valor militare
«Informato con altri aviatori che un aeroplano nemico volteggiava con insistenza sopra Monte Stol e Monte Stariski per regolare il tiro delle proprie batterie montato su un velivolo da caccia arditamente affrontava l'apparecchio avversario che strenuamente si difese con una mitragliatrice e con un fucile a tiro rapido, e dopo una brillante e pericolosa lotta concorreva ad abbatterlo rimanendo ucciso l'ufficiale osservatore e ferito mortalmente il pilota. Monte Stariski, 16 settembre 1916»
10 giugno 1917.
Onorificenze Straniere:
- Croix de guerre con palma di bronzo (Francia)
- Croce militare britannica
- Ufficiale dell'Ordine della Corona del Belgio
- Stella dei Karađorđević di IV classe (Regno di Serbia).
Ripensare la guerra, e il suo posto
nella cultura politica europea contemporanea,
è il solo modo per non trovarsi di nuovo davanti
a un disegno spezzato
senza nessuna strategia
per poterlo ricostruire su basi più solide e più universali.
Se c’è una cosa che gli ultimi eventi ci stanno insegnando
è che non bisogna arrendersi mai,
che la difesa della propria libertà
ha un costo
ma è il presupposto per perseguire ogni sogno,
ogni speranza, ogni scopo,
che le cose per cui vale la pena di vivere
sono le stesse per cui vale la pena di morire.
Qualcuno è convinto che coloro che seguono questo blog sono dei semplici guerrafondai!
Nulla di più errato.
Quelli che, come noi, conoscono le immense potenzialità distruttive dei moderni armamenti
sono i primi assertori della "PACE".
Quelli come noi mettono in campo le più avanzate competenze e conoscenze
per assicurare il massimo della protezione dei cittadini e dei territori: SEMPRE!
….Gli attuali eventi storici ci devono insegnare che, se vuoi vivere in pace,
devi essere sempre pronto a difendere la tua Libertà….
La difesa è per noi rilevante
poiché essa è la precondizione per la libertà e il benessere sociale.
Dopo alcuni decenni di “pace”,
alcuni si sono abituati a darla per scontata:
una sorta di dono divino e non,
un bene pagato a carissimo prezzo dopo innumerevoli devastanti conflitti.…
…Vorrei preservare la mia identità,
difendere la mia cultura,
conservare le mie tradizioni.
L’importante non è che accanto a me
ci sia un tripudio di fari,
ma che io faccia la mia parte,
donando quello che ho ricevuto dai miei AVI,
fiamma modesta ma utile a trasmettere speranza
ai popoli che difendono la propria Patria!
Signore, apri i nostri cuori
affinché siano spezzate le catene
della violenza e dell’odio,
e finalmente il male sia vinto dal bene…
(Fonti: https://svppbellum.blogspot.com/, Web, Google, Thedrive, cinema.emiliaromagnacultura, Wikipedia, You Tube)
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