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Nonostante fosse considerata costosa, complicata da costruire e non scevra di difetti, la Mod. 1910 si dimostrò un'arma eccellente e semplice da maneggiare. Esteticamente simile alla Luger P-08 Tedesca, fu simpaticamente chiamata "la Luger dei poveri”.
Dati tecnici:
- Produttore: Metallurgica Bresciana già Tempini (MBT),
- Calibro: 9 mm Glisenti,
- Lunghezza: 206 mm,
- Peso: 800 g (scarica),
- Canna: Lunghezza 95 mm; rigatura a 6 righe destrorse con passo di 250 mm,
- Funzionamento: chiusura stabile a corto rinculo di canna con percussore lanciato; azione singola,
- Sicura automatica all’impugnatura, manuale a leva,
- Organi di mira: fissi, tacca di mira e mirino inserito a coda di rondine,
- Alimentazione: serbatoio ad astuccio monofilare da 7 colpi.
Storia
L'arma deriva da un brevetto dell'ufficiale di artiglieria del Regio Esercito Abiel Bethel Revelli (progettista anche dell'omonima mitragliatrice realizzata dalla FIAT) in calibro 7,65 mm Glisenti, una cartuccia simile al 7,65 × 21 mm Parabellum ma con bossolo di forma leggermente diversa e carica di poco inferiore. Il brevetto fu acquistato nel 1905 dalla Società Siderurgica Glisenti di Villa Carcina, in Val Trompia ed una prima versione, chiamata Pistola automatica Glisenti venne acquistata per gli ufficiali del Regio Esercito. L'arma è conosciuta informalmente anche come Glisenti Mod. 1906.
Successivamente il 7,65 venne ritenuto inadatto all'uso militare e, quando venne indetta dal governo italiano una gara per dotare le forze armate, per la prima volta, di una pistola semiautomatica, tra le specifiche venne imposto il calibro 9 mm. Ciò indusse la MBT (Società Metallurgica Bresciana già Tempini), che aveva rilevato la sezione armi della Glisenti, a partecipare modificando la Mod. 1906 per il nuovo calibro. Ovviamente la struttura della pistola ed in particolare il sistema di chiusura a blocchetto rotante, nati per un calibro inferiore, mal sopportavano le pressioni generate dalla cartuccia da 9 mm Parabellum. Per evitare di riprogettare l'arma, la soluzione della MBT fu quella di depotenziare la cartuccia a parità di dimensioni di bossolo e proiettile, creando di fatto una nuova munizione ad hoc, la 9 × 19 mm Glisenti. Le forze armate, forse più interessate al peso del proiettile che alla gittata utile scelsero proprio quest'arma, che così risultò vincitrice su altri marchi di notevolissima caratura, quali Luger, Mannlicher e Colt. Fu adottata con la denominazione ufficiale di Pistola automatica modello 1910, anche se sarà conosciuta come Glisenti Mod. 1910, nonostante fosse prodotta dalla MBT.
La Mod. 1910, insieme alla Ruby acquistata in Spagna durante la Grande Guerra, sostituì (in parte) nelle armerie del Regio Esercito, della Regia Marina e dei Reali Carabinieri i vecchi revolver Bodeo Mod. 1889 e la Mauser Mod. 1899 Regia Marina. Ebbe il battesimo del fuoco con la guerra italo-turca del 1911, dove la delicatezza della meccanica e la sensibilità allo sporco spinsero la Regia Marina ad adottarne la versione semplificata ed irrobustita Brixia Mod. 1913. Il Regio Esercito ne iniziò la sostituzione con la Beretta Mod. 15 già durante la prima guerra mondiale. La Glisenti servì comunque nelle truppe sedentarie e di seconda linea fino a tutta la seconda guerra mondiale.
Caratteristiche
La canna è in acciaio, esternamente troncoconica e con anima a 6 righe destrorse con passo di 250 mm; essa è avvitata al carrello, in ferro, che sul dorso, subito dietro alla filettatura, presenta una finestra d'espulsione larga quanto il carrello stesso. Esso ospita internamente l'otturatore, squadrato e sporgente posteriormente con due alette zigrinate (che facilitano la presa). Sulla superficie superiore dell'otturatore si trova l'estrattore a gancio, internamente il percussore attivato dalla stessa molla di recupero e lateralmente le scanalature longitudinali che vengono intercettate da un traversino passante, inserito nella parte posteriore del carrello, che ne limita il movimento e contrasta la molla di recupero.
La slitta del carrello si inserisce su due guide del fusto; questo presenta, dall'avanti all'indietro, il gruppo di scatto con il grilletto ed il suo ponticello rotondo; l'espulsore che a caricatore esaurito viene sollevato dall'elevatore e funge quindi da hold open bloccando il carrello in apertura; il blocco rotante per il ritardo di apertura munito di dente e molla a lamina. Il castello è asimmetrico, poiché il lato sinistro è formato da una cartella di smontaggio, fissata posteriormente da un dente ed anteriormente da una vite godronata; questo, se da una parte offre un comodo accesso alla meccanica interna, dall'altra indebolisce l'arma, soprattutto a livello del blocchetto rotante che così è imperniato solo sul lato destro, mentre a sinistra esso può fare forza solo su un incavo sulla cartella. Il calcio ha due guancette in ebanite con impresso lo stemma sabaudo che si rivelarono estremamente fragili, tanto che nel 1912 ne fu avviata la sostituzione con quelle in legno di noce senza stemma; la guancetta sinistra è incastrata sulla coccia del calcio e sulla cartella apribile, mentre quella di sinistra si rimuove con l'apposita chiave/cacciavite (che serve anche allo smontaggio dell'otturatore) custodito nel calcio. Sul lato sinistro dell'impugnatura si trovano superiormente il pulsante zigrinato della leva sgancio otturatore ed inferiormente quello per lo sgancio del caricatore, mentre sotto alla guancetta è fissato il piccolo cacciavite di smontaggio; sul bordo posteriore infine è ricavato per fresatura il porta-correggiolo. Il caricatore è in lamiera d'acciaio ed ospita 7 cartucce su un'unica fila; lateralmente, dalle ampie fenestrature, delle zigrinature permettono di afferrare ed abbassare l'elevatore per facilitare la ricarica. Le mire sono metalliche, fisse, costituite da un mirino inserito a coda di rondine sulla volata e la tacca di mira ricavata dal vivo del dorso del carrello.
La Mod. 1906 in 7,65, oltre al calibro minore e quindi alla capacità del caricatore di 8 colpi invece che 7, differisce dalla sua erede per la canna, più snella, più lunga e con l'anima a sole 4 righe; inoltre la finestra d'espulsione è più piccola e diversamente sagomata; sulle guancette manca lo stemma sabaudo e la sicura si trova sul lato sinistro del carrello.
L'arma è munita di due sicure manuali: una prima è costituita da un cilindretto cavo avvitato in fondo all'otturatore e sporgente da questo con una chiavetta a farfalla con due alette zigrinate; in posizione di fuoco le due alette della farfalla sono in posizione orizzontale; ruotandole in senso antiorario di circa 45°, un dente va ad impegnare un intaglio sulla guida, bloccando così il percussore in posizione armata. La seconda sicura è costituita da una lunga leva zigrinata sulla parte anteriore del calcio che, se l'arma non è saldamente impugnata, blocca il grilletto.
Le prestazioni balistiche della cartuccia 9 mm Glisenti si rivelarono non soddisfacenti; inoltre, essendo questa cartuccia meccanicamente indistinguibile dalle ben più potenti munizioni tipo 9 mm Parabellum, lo scambio delle due munizioni poteva provocare la distruzione della pistola ed il ferimento dell’operatore.
Azione
La Mod. 1910 è adotta percussore lanciato ed un sistema di apertura a corto rinculo originale brevettato da Abiel Bethel Revelli. Arretrando l'otturatore e rilasciandolo, grazie alla molla di ritorno, viene camerata la prima cartuccia del caricatore ed il dente di arresto sul lato sinistro della testa del percussore viene intercettato dalla leva di scatto della catena di scatto. Il ritardo di apertura dell'otturatore è ottenuto dal blocchetto rotante: questo è imperniato sul castello e con un grosso dente verticale ingrana un incavo fresato sotto all'otturatore e lo blocca; posteriormente il dente viene contrastato da una superficie verticale del carrello. Quando il grilletto, agendo sulla leva di scatto dente di scatto, causa il rilascio del percussore, la cartuccia esplode; il blocco canna/carrello rincula solidale con l'otturatore per 8 millimetri, poiché il dente ruota incuneato tra di essi, tenendoli uniti; dopo una rotazione di 45° circa, il dente si abbassa abbastanza da perdere il contatto con l'incavo dell'otturatore. A questo punto il carrello con la canna viene bloccato da un rilievo del castello e viene riportato in batteria dalla sua molla di ritorno, presente sotto alla culatta; l'otturatore invece è libero di continuare la sua corsa retrograda, espellendo il bossolo spento e riarmando il percussore; poi, richiamato dalla sua molla di ritorno, camera una nuova cartuccia ed il blocchetto con il dente ruota in senso inverso ripristinando la chiusura.
LA PISTOLA IN DOTAZIONE ALLE FF.AA., ALL’ARMA DEI CARABINIERI E AI CORPI ARMATI DELLO STATO (da carabinieri.it)
Il revolver mod. 1889 era un'arma robusta, economica e funzionale, ma superata dai tempi sin dalla sua adozione; ciò indusse lo Stato Maggiore del Regio Esercito, dai primi del '900, a premere sul Governo per sostituirlo, almeno per gli ufficiali, con una pistola semiautomatica. Gli sforzi andarono a buon fine nel 1909, allorché si decise di bandire un concorso per la fornitura appunto di una nuova pistola in calibro 9 mm. da distribuire agli ufficiali in luogo del vecchio revolver. Già nel 1905 la Società Siderurgia Glisenti di Carcina (BS) aveva brevettato una pistola semiautomatica, progettata da Abiel Bethel Revelli, ufficiale di artiglieria, in calibro 7,65 parabellum, per cui la gara indetta dal governo italiano indusse la MBT (Meccanica Bresciana Tempini), che aveva rilevato la sezione armi della Glisenti e nel frattempo aveva condotto esperimenti per elevare il calibro di quella pistola, a parteciparvi risultandone poi inspiegabilmente vincitrice su altri marchi di notevolissima caratura, quali Luger, Mannlicher e Colt.
Con tutta probabilità si trattò di un fatto di costi, com'è noto da sempre i nostri governanti, non avendo a disposizione fonti naturali di ricchezza, si dibattono con problemi di spesa. Fatto sta che la Glisenti (così, impropriamente, è noto il modello della MBT), arma non scadente, ma neppure eccelsa, fu adottata il 2 maggio 1911, con il nome di Pistola mod. 1910. La canna, lunga 95 mm., aveva sei righe destrorse ed era avvitata alla culatta, di forma squadrata, entro la quale scorreva l'otturatore con alette posteriori zigrinate, la cui corsa veniva limitata da una chiavetta situata sul retro della culatta stessa che tratteneva anche la molla di recupero; l'otturatore a sua volta recava il percussore azionato dalla molla di recupero e la sicura con alette sporgenti, che avevano la funzione di blocco e sblocco del percussore. Il dente di arresto di quest'ultimo era avvitato sulla testa dell'asta guidamolla ed era azionato dalla leva di scatto imperniata alla culatta.
L'estrattore si trovava sulla faccia superiore dell'otturatore; l'espulsore era situato nel castello. La culatta, infine, scorreva sul castello dell'arma tramite due guide ed aveva una sua molla di recupero alloggiata sotto la parte anteriore. Sempre nel castello si trovava imperniato un sistema di chiusura a blocco rotante, invenzione originale ed esclusiva di Revelli, munito di un dente azionato da una molla a lamina, che agganciava l'otturatore mantenendolo, durante il rinculo seguente allo sparo, vincolato alla culatta per una brevissima corsa sinché la rotazione del blocco non disimpegnava il dente. Nella parte anteriore dell'impugnatura, una leva assolveva la funzione di sicurezza contro gli spari accidentali bloccando il grilletto, per cui la pistola doveva essere impugnata correttamente in modo che la leva, premuta, svincolasse il grilletto stesso. Il caricatore era alloggiato nell'impugnatura inserito dal basso e trattenuto da un fermo con bottone zigrinato per lo svincolo posto sulla guanciola sinistra; come pressoché per ogni pistola semiautomatica, dopo l'ultimo colpo l'otturatore era bloccato in apertura dall'espulsore spinto dall'elevatore del caricatore. Questo aveva una capacità di sette cartucce.
La Glisenti era brunita interamente, eccettuati l'otturatore, la chiavetta, il grilletto, il caricatore ed un particolare cacciavite inserito nell'impugnatura per lo smontaggio dell'arma, che erano nichelati. Il funzionamento avveniva in questo modo: afferrato l'otturatore per le alette, lo si tirava indietro e lo si rilasciava inserendo in tal modo la prima cartuccia in canna; poi, premendo il grilletto, si otteneva lo sgancio del percussore che veniva proiettato in avanti dalla molla sino a percuotere il fondello del bossolo; avvenuto lo sparo, la molla stessa, fermata da due dentini interni all'otturatore, si ridistendeva richiamando indietro il percussore; contemporaneamente canna, culatta ed otturatore arretravano determinando la rotazione all'indietro anche del blocco di chiusura; quindi canna e culatta si fermavano su un risalto, mentre il dente del blocco, persa la presa, liberava l'otturatore che, per effetto della pressione residua dei gas, si apriva ed estraeva il bossolo espellendolo; la corsa si arrestava sul traversino posteriore dell'arma, poi la molla di recupero, compressa, si distendeva nuovamente riportando avanti l'otturatore, che sfilava dal caricatore e incamerava un'altra cartuccia. Del mod.1910 fu realizzata successivamente anche un'altra versione, più semplificata e robusta, ovviamente per abbassare i costi di produzione, detta "Brixia" dal nome latino di Brescia; le differenze non sono molto evidenti e riguardano soprattutto l'aspetto, la robustezza appunto ed altri non rilevanti accorgimenti costruttivi. In particolare può essere menzionata l'assenza della sicura all'impugnatura e la presenza di una nuova sicura, che serviva ad evitare la percussione a caricatore estratto, la cosiddetta "sicura a prova di stupido": una leva bloccava il grilletto, scostata appunto dal caricatore. Per chiarire: lo "stupido" era ed è evidentemente chi ritiene l'arma scarica solo perché priva di caricatore, senza pensare che potrebbe avere il colpo in canna.
Ripensare la guerra, e il suo posto
nella cultura politica europea contemporanea,
è il solo modo per non trovarsi di nuovo davanti
a un disegno spezzato
senza nessuna strategia
per poterlo ricostruire su basi più solide e più universali.
Se c’è una cosa che gli ultimi eventi ci stanno insegnando
è che non bisogna arrendersi mai,
che la difesa della propria libertà
ha un costo
ma è il presupposto per perseguire ogni sogno,
ogni speranza, ogni scopo,
che le cose per cui vale la pena di vivere
sono le stesse per cui vale la pena di morire.
Si può scegliere di vivere da servi su questa terra, ma un popolo esiste in quanto libero,
in quanto capace di autodeterminarsi,
vive finché è capace di lottare per la propria libertà:
altrimenti cessa di esistere come popolo.
Qualcuno è convinto che coloro che seguono questo blog sono dei semplici guerrafondai!
Nulla di più errato.
Quelli che, come noi, conoscono le immense potenzialità distruttive dei moderni armamenti
sono i primi assertori della "PACE".
Quelli come noi mettono in campo le più avanzate competenze e conoscenze
per assicurare il massimo della protezione dei cittadini e dei territori:
SEMPRE!
….Gli attuali eventi storici ci devono insegnare che, se vuoi vivere in pace,
devi essere sempre pronto a difendere la tua Libertà….
La difesa è per noi rilevante
poiché essa è la precondizione per la libertà e il benessere sociale.
Dopo alcuni decenni di “pace”,
alcuni si sono abituati a darla per scontata:
una sorta di dono divino e non,
un bene pagato a carissimo prezzo dopo innumerevoli devastanti conflitti.…
…Vorrei preservare la mia identità,
difendere la mia cultura,
conservare le mie tradizioni.
L’importante non è che accanto a me
ci sia un tripudio di fari,
ma che io faccia la mia parte,
donando quello che ho ricevuto dai miei AVI,
fiamma modesta ma utile a trasmettere speranza
ai popoli che difendono la propria Patria!
Signore, apri i nostri cuori
affinché siano spezzate le catene
della violenza e dell’odio,
e finalmente il male sia vinto dal bene…
(Fonti: https://svppbellum.blogspot.com/, Web, Google, Carabinieri, Wikipedia, Armifrigerio, You Tube)
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