domenica 16 febbraio 2020

3 maggio 1945: l’eccidio a Basovizza (TS) di 97 militari della Guardia di Finanza infoibati.


3 maggio 1945: l’eccidio a Basovizza (TS) di 97 militari della Guardia di Finanza infoibati.

La foiba di Basovizza è un inghiottitoio che si trova in località Basovizza, nel comune di Trieste, nella zona nord-est dell'altopiano del Carso a 377 metri di altitudine. In questa foiba fu gettato dai partigiani jugoslavi un numero imprecisato di persone, nel periodo dell'occupazione jugoslava di Trieste.
A ricordo di tutte le vittime degli eccidi è stato collocato un monumento nei pressi di questo luogo. Nel 1992 il presidente della Repubblica Italiana Oscar Luigi Scalfaro ha dichiarato il pozzo monumento nazionale. La cosiddetta "Foiba di Basovizza" è in origine un pozzo minerario: esso divenne però nel maggio del 1945 un luogo di esecuzioni sommarie per prigionieri, militari, poliziotti e civili, da parte dei partigiani comunisti di Tito, dapprima destinati ai campi d'internamento allestiti in Slovenia e successivamente uccisi a Basovizza.
A far data dall’otto Settembre, fino alla fine della Seconda Guerra mondiale, i Reparti territoriali della Guardia di Finanza ricadenti nell’asse del confine iugoslavo, diedero un notevole supporto al CLN di Trieste, il quale agiva in sinergia d’intenti con il comitato antifascista C.E.A.I.S.
L’intento era quello di liberare quella porzione di terra da eventuali persistenze di contingenti nazisti che, collegandosi ad unità provenienti dal Trentino, avrebbero occupato maggiormente l’intero Nord Italia e "nazificata" l’area.
Il 1 Maggio del 1945, grazie a questa opera di respingimento dall’invasore nazista, il CLN gestiva la città di Trieste e già dalle prime ore del mattino, dei volantini a firma di Togliatti, già in distribuzione in città, recitavano: “ Popolo di Trieste, accogliete le truppe di Tito come liberatori nella vostra città ed apportatori di benessere e democrazia “.
Il destino dei Finanzieri, purtroppo, era già segnato dai bestiali appetiti del bolscevismo titino che, nella logica della ripulitura etnica della Venezia Giulia e dell’Istria, iniziarono azioni di rappresaglia in ogni angolo e via: la macchina da guerra del genocidio verso ogni italiano era dunque iniziata, altro che apporto di libertà e democrazia.
Il giorno dopo dell’entrata delle truppe di Tito, difatti, le milizie bolsceviche dell’ O.Z.N.A, entrarono in azione nei Comandi e nelle Caserme delle Forze Armate e di Polizia del territorio e cominciarono un’autentica opera di rastrellamento, comprese le Caserme della Guardia di Finanza.




Con l’inganno, i soldati titini, entrarono così all’interno della Caserma del Corpo di via Udine e Campo Marzio, rassicurando i militari presenti, di effettuare una ricerca di eventuali soldati tedeschi scappati da una postazione vicina, ma ben presto le loro intenzioni si manifestarono chiaramente.
I Finanzieri della Caserma di Campo Marzio, specialmente, subirono un destino peggiore, così come fu peggiore il trattamento e le umiliazioni a cui andarono incontro.
Disarmati, furono costretti a consegnare orologi, penne, giubbotti, vestiario, scarpe. Alcuni restarono scalzi, altri ricevettero in cambio ciabatte rotte dai soldati slavi.
La notte furono guardati a vista con mitra puntati, all’interno di una scuola, per poi essere trasportati la mattina seguente in una stalla nelle vicinanze della Caserma. Minacciati da fucili puntati, i Finanzieri di Campo Marzio, subirono l’ultima umiliazione prima di essere portati nei lager di Borovnica: accatastati come bestie, vittime di insulti e percosse personali, 156 uomini delle Fiamme Gialle dovettero consegnare ciò che rimaneva del vestiario personale ad uomini e donne slave, comprensivo di maglie, pantaloni e roba intima.
Destino diverso toccò ai Finanzieri della Caserma di via Udine: catturati, furono subito condotti nei lager titini e solo alcuni di loro non morirono di stenti tornando vivi in Italia.
Le ricerche sull’amaro destino toccato ai Finanzieri vittima di Tito, venne proseguita qualche anno dopo la fine della guerra, da un Ufficiale del Corpo che, con molta cautela, raccolse informazioni riservate da persone del luogo, senza destare nessun sospetto alcuno sul suo compito di investigazione storica demandato.
Il Colonnello De Angelis, il nome dell’ Ufficiale, scoprì che numerosi testimoni scorsero la presenza di militari del Corpo sulla rotabile Trieste-Basovizza-Sesana, scortati e con i mitra puntati.




L’Ufficiale del Corpo anzidetto ebbe a ricevere informazioni riservate, riguardo a dei cadaveri nudi, presenti vicino la rotabile fra Trieste e S. Canziano, con accanto fregi e distintivi della Guardia di Finanza.
Molti di quei militari del Corpo, fra l’altro, finirono gettati nella Foiba di Basovizza, dove si contarono complessivamente 97 cadaveri di appartenenti al Corpo, gettati fra le viscere della terra.
Altra foiba dove si raccolsero, dopo anni, cadaveri di appartenenti al Corpo, fu la foiba di Monrupino.
Una notevole attività di raccolta di informazione ed elementi storici precisi, venne supportata da un ex Finanziere scampato alla deportazione titina, il Sig. Francesco Zurzolo, il quale affermò senza mezzi termini, che fu testimone dell’eccidio riservato ad alcuni uomini delle Fiamme Gialle: condotti all’interno di cave di carbone, furono dapprima spogliati e poi fatti fuori da raffiche di mitra (il territorio, denominato ‘Cave Auremiame’ adesso ricade nell’attuale Slovenia).
Alla data odierna, all’interno del Museo storico della Guardia di Finanza sito in Roma a Piazza Del Campidano, è possibile visionare un reperto storico di straordinaria rarità: la fotografia dei Finanzieri trucidati, in forza alla Caserma di Campo di Marzio di Trieste, immortalati nell’attesa di ricevere ordini riguardo a ciò che sarà il loro ignaro, tragico destino.
La strage dei Finanzieri è inglobata, dunque, nella tragedia immane delle Foibe istriane, dove la pulizia etnica della Kosovelova Brigada, agli ordini dell’ E. L. P. (Esercito Popolare di Liberazione iugoslava), ha commesso crimini efferati verso qualsiasi italiano e nei riguardi di qualsiasi aspetto sociale, identificazione territoriale, idiomatica e qualsiasi senso di appartenenza che avrebbe ricondotto alla nostra nazione. E’ storia ormai risaputa che, nella logica assassina del Maresciallo Tito, qualsiasi italiano di quelle zone, fascista o partigiano, era da eliminare e gettare nelle voragini carsiche (foibe, appunto), liberando il territorio da ogni forma di identitarismo italiano millenario, in sostituzione di un ‘entità’ chiamata Jugoslavia (attuale Slovenia), che altro non si dimostrerà nel tempo che un aggroviglio di etnie in contrasto fra loro, costrette a convivere sotto un regime dispotico fino al crollo della cortina di ferro.
Riguardo ai massacri effettuati dai titini verso gli italiani, agli infoibamenti e le fucilazioni sommarie, un’ulteriore tecnica, attuata dall’ Kosovelova Brigada, fu l’impalatura : la vittima restava così appesa ad un albero, con un palo che infilato dall’ano fuoriusciva dalla spalla, scardinando il corpo senza intaccare tessuti vitali, provocando un agonia che si prolungava per ore.




All’interno delle voragini carsiche, amara ironia della sorte, finirono pure e soprattutto chi si animò in una guerra di resistenza contro le truppe di Hitler o fu partecipe di unità partigiane. Comunisti, fascisti, liberali, militari, borghesi, operai, le vittime delle Foibe non furono distinte per estrazione politica, o di classe sociale, ma l’ordine era preciso: necessitava essere semplicemente italiani.
Questa è stata la lucida, assassina logica criminale del bolscevismo titino, una macchina da guerra figlia di un odio razziale molto simile a quello messo in atto da Hitler verso ciò che, definiva, la ‘soluzione finale’ verso i giudei.
La tragedia delle Foibe, accompagnata da quella della Shoah, è stata, all’interno della Seconda Guerra Mondiale, la chiara dimostrazione di come l’odio ideologico ha condotto l’ uomo a compiere atti disumani, contro ogni etica ed ogni morale. Basta solo pensare, ad esempio, che fino ad inizio epoca delle Foibe, la città di Gorizia era stata divisa da un muro da truppe invasori naziste, con assonanze sociali e politiche simili a quella che sarà la Berlino Est fino al 9 Novembre 1989.
Riguardo le Foibe, al di fuori della tragedia riservata ai Finanzieri, si contano circa dodici mila le vittime innocenti recuperate dalle viscere della terra, ma gli studiosi stabiliscono che il numero è di gran lunga superiore.
Oltre a quella dei Finanzieri, si contano storie personali innumerevoli di esuli e di uomini e donne massacrati tragicamente (particolarmente toccante è la storia di Norma Cossetto, ragazza violentata brutalmente dai comunisti titini i quali recisero le mammelle della donna esibendole come trofeo di guerra).
Gli esuli di quelle terre furono costretti a lasciare le loro case, sradicati dalla loro terra millenaria ed italiana nella cultura e nella storia e parecchi di loro, grazie ad un’ azione di disinformazione storica artificiosa, subirono ulteriori persecuzioni perché tacciati, ingiustamente, di essere fascisti. Da qui, un viaggio disperato in altre regioni d’ Italia, con valigie improvvisate, contenenti abiti e ricordi chiusi a chiave.
Testimonianze storiche accreditate ricordano che, ad esempio, quando il treno colmo di esuli istriani, fiumani, dalmati, giuliani, disperati, si soffermò alla stazione di Bologna, dovette ripartire subito perché oggetto di un fitto lancio di pietre, sputi, bottiglie ed invettive a chi era considerato in forma assolutamente aberrante, come "fascista".
Ad oggi, alla stazione di Bologna, una targa ricorda il passaggio drammatico di quegli italiani, asserendo però, difformemente alle testimonianze storiche reali, di essere stati accolti benevolmente. Questa forma di ipocrisia tipicamente italiana, è l’esempio fulgido di una nazione che, a distanza di oltre sessant’anni dal termine della guerra, fa fatica a fare i conti con la propria storia, il proprio passato e riconoscere parte di quella dose di vergogna necessaria.
Rimangono le responsabilità politiche di tali massacri, a cominciare da chi, per oltre cinquant’anni, all’interno della classe politica italiana, indipendente del colore politico di appartenenza, sapeva di tali crimini, ma ha taciuto. Ad iniziare dall’ex premier dell’ex P.C.I. Palmiro Togliatti che, in epoca di repressione fascista, dapprima inviò numerosi italiani nei gulag staliniani, garantendo il "paradiso sovietico", successivamente, a fine guerra, consegnò territori italiani ai criminali intenti di Tito. 




E’ notorio che a tale figura politica, dal dopo guerra ad oggi, sono intitolate numerose vie in ogni città italiana, perché ricordato come "statista" di un processo di liberazione nazionale, nonostante delle storture politiche mai riconosciute, le quali si classificano in: 
  • contiguità con i regimi comunisti tirannici instauratisi dopo il Trattato di Yalta, 
  • affinità d’intenti con Stalin nel creare dell’ Italia uno Stato sovietico per garantire alla confederazione di Stati satelliti all’ Urss ‘l’affaccio sul mare’, 
  • finanziamenti oscuri ricevuti dall’ ex Unione Sovietica negli anni di maturazione dell’ex P.C.I (che diverrà il più forte partito comunista dell’ Occidente), 
  • responsabilità politiche e decisionali gravissime sulla tutela di quelle porzioni di terra ricadenti nel territorio nazionale che diverranno teatro di genocidi.

“Abbiamo taciuto per giochi di strategia politica e sistemi di alleanze“, è stata la frase detta pubblicamente qualche anno fa dal Presidente della Repubblica Napolitano, il quale, commemorando le vittime, ha ripercorso le tappe che dal Trattato di Osimo del 10.11.1975 (che seppur consegnando terre italiane all’ ex Iugoslavia, è sembrato a molti una resa mai perdonata), ha condotto al riconoscimento di tale crimine etnico, fino alla commemorazione del giorno della memoria del dieci Febbraio (tale data rievoca il trattato di pace con la Jugoslavia nel 1947, dove la nostra nazione rinunciò a territori italiani consegnandoli a Tito, salvaguardando Trieste).
Oltre alle responsabilità di natura politica, si sono aggiunte delle anomalie tipiche del Bel Paese, che non hanno fatto altro che alimentare polemiche ed indignazioni: il nostro Istituto di Previdenza Sociale, ha maturato per anni indennità pensionistiche a criminali di guerra autori di massacri verso italiani, soltanto perché all’epoca nati in territorio italiano (ovviamente diventato iugoslavo, in seguito agli eccidi di cui sopra).





Ultima considerazione. 

Parecchi studiosi si dividono nell’attribuire la sciagura delle Foibe istriane alla logica dell’ "ultranazionalismo iugoslavo", altri attaccandosi alla logica del "comunismo sovietico acquisito dalla scuola comunista balcanica", impiantando la tesi storica dell’esportazione della scuola dello stalinismo (quest’ultima tesi, la più accreditata sotto l’ottica storica in virtù dei Governi comunisti successivamente applicati in quelle terre). Determinate analisi storiche pertinenti alla natura di fondo di tale eccidio attribuiscono un concentrato di efferatezza maggiore rispetto ad altri crimini ideologici perpetrati, perché la risultanza di un condensato odio di classe travasato in una damigiana di odio razziale. Qualunque sia la connotazione che abbraccia tale crimine, ogni rappresaglia ideologica, essendo tale, va condannata a prescindere, indifferentemente dalle conformazioni ideologiche originarie o prodotte da distillati ideologici differenti.
Tragedie, queste, che non dovrebbero dividere in inutili e misere disquisizioni politiche, ma convergere in unità d’intenti propositivi.
Sciagure che dovrebbero fare riflettere e condurre ad una sola verità: ogni forma di odio sciovinista, di classe o razziale, di prevaricazione criminale dell’uomo nei riguardi di altri uomini, partorisce solo terrore e disumana regressione del genere umano.

Il pozzo

Sulle alture che attorniano Trieste, alla fine del XIX secolo si ritenne potessero trovarsi importanti depositi di carbone o lignite. Fra il 1901 e il 1908 la società boema Škoda fece quindi scavare un preesistente pozzo minerario poco distante la frazione di Basovizza, ma gli scavi furono scarsamente fruttuosi, tanto che la miniera venne abbandonata. La profondità verticale era di 256 metri, ed a -254 metri si apriva una galleria lunga 735 metri, che arrivava direttamente nel vicino villaggio di Basovizza. Fra i 1936 e il 1943 vennero eseguite quattro discese: nel 1936 la società carbonifera "Arsa" incaricò un gruppo di speleologi triestini di calarsi nel pozzo; la massima profondità raggiunta fu di -225 metri, poi vennero trovati circa 30 metri di detriti e legname che impedirono di proseguire. Nel 1939 una squadra del Club Alpino Italiano si calò per recuperare il corpo di un abitante di Basovizza che era caduto nella voragine: il cadavere venne trovato alla profondità di -226 metri. Nel 1941 un solo alpinista si calò per recuperare il corpo di una ragazza, giungendo sempre a -226 metri. Infine, il 2 aprile 1943 un gruppo di sette speleologi si calò fino a -220 metri.

I massacri delle foibe

In origine la cosiddetta foiba di Basovizza era un profondo pozzo minerario, nel territorio della frazione di Basovizza, nel comune di Trieste. Scavato all'inizio del XX secolo per l'estrazione del carbone e poi abbandonato per la sua improduttività; fu una concessione di ricerca dell'A.Ca.I. (Azienda Carboni Italiani). Nel maggio 1945 fu utilizzato dai partigiani jugoslavi per l'occultamento di un numero imprecisato di cadaveri di italiani e tedeschi durante l'occupazione jugoslava di Trieste. Fu gettato all'interno del pozzo un numero rilevante di cadaveri di prigionieri, militari e civili trucidati dall'esercito e dai partigiani titini. Storici come Raoul Pupo, Roberto Spazzali, e Guido Rumici sostengono che sia impossibile calcolare il numero esatto dei corpi infoibati, altri invece all'opposto affermano che il calcolo può essere compiuto sulla base di stime. È invalso l'uso di stimare il numero dei corpi in base alla constatazione che il pozzo minerario prima del 1945 era profondo 228 metri, mentre dopo il 1945 i metri erano diventati 198, per cui si hanno 250 metri cubi riempiti con materiali che, secondo questa stima, sarebbero corpi umani. L'11 settembre 1992 è stata dichiarata monumento nazionale.
La documentazione raccolta dagli alleati anglo-americani in merito agli infoibamenti è basata in parte sulle testimonianze dei parroci di Sant'Antonio in Bosco e di Corgnale, rispettivamente don Francesco Malalan e don Virgil Šček. Le due testimonianze riferivano di processi lampo - a loro dire regolari - tenuti dall'armata jugoslava a carico di alcune centinaia fra agenti dell'Ispettorato locale e militari (compresi circa 40 tedeschi), con fucilazioni e corpi gettati nel pozzo della miniera. Don Malalan - il cui fratello era commissario jugoslavo a Basovizza - affermò che gli ufficiali della IV Armata jugoslava avevano le liste complete delle persone condannate, liste che sarebbero in seguito state pubblicate - cosa che in realtà non avvenne - per dimostrare la legalità delle esecuzioni. Don Malalan, pur invitato dal fratello, non fu presente agli infoibamenti ma testimoniò che don Šček gli aveva confidato d'aver assistito alle uccisioni, dando conforto ad alcuni condannati. Oltre a quelle dei due sacerdoti, è stata raccolta anche la testimonianza di un'anziana del luogo e di alcuni bambini, che riferirono delle grida dei condannati. Un'ulteriore ricostruzione degli avvenimenti è contenuta in una relazione del servizio segreto jugoslavo (OZNA) del 3 settembre 1945, nella quale si afferma che «in questa voragine [di Basovizza] ci sono in gran numero cadaveri putrefatti di militari delle SS, della Gestapo, dei "Gebirgsjaeger", di questurini e anche di quaranta cavalli. I partigiani hanno gettato in questa voragine una notevole quantità di munizioni e poi di esplosivo; a causa dell'esplosione tutti i cadaveri vennero in parte ricoperti da detriti (…)».

Lo stato attuale

Nel 1980 la foiba è stata riconosciuta come monumento d'interesse nazionale e nel 1991 vi ha fatto visita il presidente Francesco Cossiga. Il presidente Oscar Luigi Scalfaro ha dichiarato il pozzo minerario di Basovizza monumento nazionale con decreto datato 11 settembre 1992. Il 10 febbraio 2007 dopo una serie di lavori di recupero e di restauro dell'area monumentale presso la foiba di Basovizza è stato ufficialmente inaugurato il nuovo sacrario in onore dei martiri delle foibe.

Il 1 maggio 1945 l’esercito popolare jugoslavo del Maresciallo Tito assumeva il controllo della città di Trieste, rendendosi responsabile, come nel resto della Venezia Giulia, di Istria e Dalmazia, dell’eccidio di un numero elevatissimo di persone. Tra questi vanno ricordati 97 militari della Guardia di finanza in servizio in città nella caserma di via Campo Marzio. Dopo essere stati indotti con l’inganno a consegnare le armi, furono catturati e trucidati nelle foibe del carso triestino il successivo 3 maggio.
Ricordato a Basovizza l’eccidio dei finanzieri infoibati
Per ricordare il loro sacrificio, considerato uno degli episodi bellici più dolorosi nella storia del Corpo, alla Foiba di Basovizza, si è svolta una cerimonia commemorativa articolata in due parti, tra Alzabandiera, messa e deposizione di una corona di alloro da parte del comandante regionale, Giuseppe Gerli, accompagnato dal comandante provinciale di Trieste, Generale Brigata Giovanni Padula. Il generale Gerli ha ricordato, tra l’altro, il «drammatico epilogo del percorso esistenziale dei militari, chiaro esempio di amor patrio e di senso dell’onore, spinto fino all’estremo sacrificio».

Dal 1943 al 1945, durante l'occupazione di Trieste e dell'Istria da parte del 9° Corpus jugoslavo e delle forze partigiane titoiste, furono barbaramente uccisi e gettati nelle Foibe di Basovizza circa 12 mila cittadini residenti a Trieste, nell'Istria e provenienti da varie parti d'Italia di cui circa 350 finanzieri, e un numero imprecisato di Carabinieri, Agenti di Polizia e civili di altre amministrazioni dello Stato.

All'oppressione tedesca a Trieste ne era subentrata un'altra, di segno opposto, ma altrettanto feroce. Alla Gestapo aveva dato il cambio l'Ozna. E fu l'ora degli odi scatenati, delle vendette, delle rappresaglie e delle stragi. Una realtà storica tremenda che ora, anche dalla parte su cui grava la responsabilità degli eccidi, si comincia ad ammettere, sia pure sottovoce.

Dopo l'olocausto degli ebrei nei campi di sterminio nazisti, quello delle Foibe di Basovizza è stato certamente una delle più grandi tragedie che hanno colpito l'umanità. Per le Foibe di Basovizza si è trattato di un preordinato massacro di “pulizia etnica” che mirava alla distruzione di tutto ciò che era “Italia” e “italiano” e ciò anche per favorire l'annessione alla Jugoslavia dei territori di Trieste, del Goriziano e dell'Istria.

Da allora sono trascorsi quasi 60 anni e questa terribile pagina della nostra storia è passata sotto silenzio, perchè venissero dimenticati i fatti e le gravissime colpe di uomini e di partiti politici, impedendo alla nostra collettività nazionale di prenderne coscienza e conoscenza.

Nel corso della Seconda guerra mondiale 1940- 1945 in Italia sono state commesse altre stragi che hanno colpito i nostri soldati, combattenti per la difesa della Patria e durante la guerra di liberazione, nei Balcani e sul territorio italiano, come ad esempio i gloriosi fatti d'arme di Cafalonia-Corfù di che sono stati portati a conoscenza della collettività italiana che ha potuto così commemorarli, erigendo monumenti e celebrando cerimonie a carattere nazionale e locale.

Ma per i martiri delle Foibe nulla è stato fatto perchè il tutto è stato ammantato da un pietoso velo di silenzio.

Lo storico Gianni Oliva nel suo libro “Le stragi degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria” afferma che da parte sua il PCI non ha nessun interesse a tornare sulla questione che evidenzia la contraddizione tra la sua nuova collocazione come partito nazionale, la vocazione internazionalistica e gli stretti legami con Mosca: parlare di Foibe significherebbe rivisitare le indicazioni operative inviate al PCI triestino a partire dall'autunno 1944, riproporre il tema del passaggio della Divisione Garibaldina “Natisone” alle dipendenze dell'Esercito di liberazione sloveno. Il risultato complessivo è che i fatti di settembre-ottobre 1943 e del maggio 1945 non entrano a far parte della consapevolezza storica del Paese, ma rimangono confinati nella coscienza locale giuliana.

Pertanto solo a livello locale, a Trieste, a Gorizia e nelle altre città dove vivono migliaia di famiglie che non sanno darsi pace per l'orrenda fine dei loro cari, massacrati senza alcuna colpa se non per quella di essere italiani, si sono svolte cerimonie commemorative col timore di essere boicottate da alcune forze politiche.

In questa ottica, il giorno 21 settembre 1995, ricorrendo il cinquantennale dell'eccidio nelle Foibe dei 97 finanzieri della brigata di Campo Marzio di Trieste, il Gen. D. Luciano Luciani, Ispettore per l'Italia Nord-Orientale scopriva una Lapide commemorativa, affissa al muro della nuova Caserma della Guardia di Finanza di Basovizza, recante i nomi dei 97 finanzieri.

Subito dopo il Presidente Nazionale, Gen. C.A. Pietro Di Marco, provvedeva allo scoprimento di una stele, voluta dallo stesso, con la collaborazione dell'allora Consigliere Nazionale ANFI per il Friuli Venezia Giulia, Gen. D. Emilio Giosio, e dal Presidente della Sezione di Trieste, Comm. Sergio Fachin, formata da un monoblocco di pietra carsica, eretta presso la Foiba di Basovizza, vicino alla grande Pietra Tombale che chiude la Foiba principale.

Nel corso della cerimonia prendeva la parola il Comandante della Legione di Trieste, Col. Umberto Picciafuochi, per significare alle Fiamme Gialle in congedo che il Gen. Di Marco rappresentava più degnamente la Legione di Trieste, avendo egli fatto parte, nel 1945, della Brigata di Campo Marzio di Trieste, e che attualmente, nella carica di Presidente Nazionale, meglio di lui nessuno avrebbe potuto revocare quelle tragiche giornate del maggio 1945.

Pubblichiamo il seguente discorso pronunciato dal Gen. Di Marco per l'inaugurazione della grande Stele eretta a ricordo dei Caduti delle Foibe:

<< Siamo al cospetto di questo sacro luogo, ove cinquant'anni fa si consumò la tragedia di migliaia di cittadini triestini, di soldati e di appartenenti alle forze di Polizia, fra i quali circa 350 Finanzieri che prestavano servizio a Trieste e nell'Istria, compresi i 97 Finanzieri prelevati dalla Caserma di Via Campo Marzio, il 2 maggio 1945, tutti impietosamente trucidati nelle foibe per il solo motivo che molte delle persone eliminate erano colpevoli soltanto di essere italiane.

Noi vogliamo ricordare con particolare commozione e con amore profondo questi nostri commilitoni, questi soldati in fiamme gialle che qui fecero dono della loro giovane vita per assolvere al dovere di rimanere al proprio posto di servizio, senza cercare scampo fuggendo di fronte ad una minaccia tanto grave quanto imprevedibile, che eventi drammatici, del tutto estranei ai modi di guerra lealmente combattuta, condannarono a sofferenze ed a morte atroce proprio nelle viscere di questa terra carsica che vide rifulgere l'eroismo di tanti soldati italiani nel primo conflitto mondiale.

Ed è con sentimento di intima, commossa partecipazione che avverto l'impulso irresistibile a rievocare loro e il sacrificio che ne eterna la memoria di fronte agli eventi e ai destini della Patria, in quelle circostanze ferita a morte nell'intimo della sua gente fiera di cuore e di fede nazionale.

A Trieste, in particolare, appena dopo la cacciata dei tedeschi con l'insurrezione del 27 aprile 1945, alla quale avevano partecipato efficacemente anche i finanzieri del Comitato di Liberazione Nazionale, assieme alle avanguardie dell'esercito jugoslavo che si accingevano ad occupare la città, ci fu un momento di sbandamento generale quando la maggior parte dei finanzieri rimase a presidiare gli impianti e i depositi più importanti, con l'incarico di mantenere anche l'ordine pubblico, in quanto la Guardia di Finanza era l'unico Corpo armato organicamente inquadrato rimasto a presidio della città.

Nel contempo ci furono momenti di eroismo e di grande solidarietà, come quando un pugno di finanzieri rischiò la vita per salvare i loro commilitoni rimasti isolati in alcuni reparti dell'Istria, alla mercè delle truppe jugoslave che stavano completando l'occupazione della zona.

Nel momento di quei tragici fatti mi trovavo a Trieste, reduce dalla guerra di Balcania, dove prestavo servizio d'Istituto e nel contempo avevo partecipato con il locale Comitato di liberazione per la cacciata dei tedeschi dalla città.

Successivamente, mentre le forze jugoslave del Maresciallo Tito stavano completando l'occupazione di Trieste e dell'Istria, a capo di un nucleo di finanzieri volontari mi portai con un autocarro nelle varie località dell'Istria per salvare alcuni nostri commilitoni dalla prigionia o dalla morte.

Quindi rivivo oggi i terribili momenti del calvario con l'angoscioso tormento di allora, chiedendomi come sia stato possibile che la coscienza di tanti uomini politici italiani abbia consentito che un velo di oblìo, pur supportato da contingenze del tutto particolari per mentalità opportunistiche e accomodanti, potesse far dimenticare l'eccidio di circa 12 mila infoibati nella sola zona di Basovizza.

A conclusione dell'intensa commemorazione odierna desidero, all'unisono con tutti voi e con tanti altri presenti in spirito, esprimere il pensiero e la volontà di pace e di accordo tra le genti e anche per i vicini popoli slavi, duramente provati da una lunga e sanguinosa guerra, perchè tale esigenza è oggi più che mai avvertibile nel mondo intero come irrinunciabile motivo di vita, come speranza sublime di quella più umana e civile esistenza della presente generazione e di quelle venture.

Perciò oggi, nel cinquantennale del martirio delle foibe di Basovizza, siamo qui riuniti per lo scoprimento di una Stele eretta alla cara memoria dei nostri Caduti, a poche ore di distanza dalla inaugurazione di una Lapide commemorativa nella caserma del Corpo, a Basovizza, che porta incisi i nomi dei 97 Finanzieri della caserma di Via Campo Marzio.

Sono emblemi marmorei che resteranno a perenne memoria dei nostri Caduti e quali simboli di ammonimento per tutti i popoli, affinchè nella pace ritrovata, nella comprensione e nel rispetto reciproco possa essere ripreso il cammino verso quelle mete di libertà, di giustizia e di democrazia tanto auspicate>>.

Terminato il discorso, il Gen. Di Marco, con il volto visibilmente segnato dalla grande commozione, accompagnato dal Comandante della Legione di Trieste, Col. Picciafuochi, scopriva il Cippo commemorativo, coperto da un panno tricolore, Cippo costituito da un gran masso di pietra carsica.

(Web, Google, Wikipedia, Il Secolo d’Italia, Leganazionale, You Tube)


















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