mercoledì 28 dicembre 2022

Regia Marina italiana - 1941 - 1952: RN Aquila e il Re.2001OR Falco II, scelto per l'imbarco


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“Regia Nave Aquila” era una portaerei italiana convertita dalla nave passeggeri transatlantica SS  Roma. Durante la seconda guerra mondiale, i lavori sull'Aquila iniziarono alla fine del 1941 presso i cantieri Ansaldo di Genova e continuarono per i due anni successivi. Con la firma dell'armistizio italiano l'8 settembre 1943, però, tutti i lavori furono interrotti e la nave rimase incompiuta. L'Aquila fu infine demolita nel 1952.


"Aquila" era stata denominata, nella prima metà del secolo XIX, una nave da guerra del Re di Sardegna, Carlo Felice.
Nonostante i vertici militari italiani avessero sempre osteggiato la costruzione di portaerei, in seguito all'attacco della base di Taranto nella notte dell'11-12 novembre 1940 (in cui la marina italiana in un solo colpo ebbe tre navi da battaglia gravemente danneggiate) che rese particolarmente evidente l'efficacia della aviazione imbarcata, venne deciso urgentemente di dotare la Regia Marina di una portaerei.







LA CONVERSIONE DELLO SCAFO DEL TRANSATLANTICO “ROMA”

Tra i possibili candidati alla trasformazione in portaerei venne scelto il transatlantico Roma, in quanto pur essendo una nave relativamente recente (aveva 15 anni di età) necessitava di lavori di riparazione e dell'installazione di un nuovo impianto motore e sarebbe stata quindi ceduta abbastanza facilmente dalla società armatrice. 


La nave era stata costruita per la Società "Navigazione Generale Italiana" di Genova dal cantiere navale G. Ansaldo & Co di Sestri Ponente dove venne varata il 26 febbraio 1926. L'ipotesi del trasformare il transatlantico Roma in portaerei era stata già ipotizzata sin dalla fine del 1935 quando il peggiorare dei rapporti tra l'Italia e il Regno Unito a causa della Guerra d'Etiopia mise lo Stato Maggiore di fronte alla necessità di garantire, nell'eventualità di un conflitto, la protezione aerea delle navi a fronte di una Marina, quella inglese, dotata di portaerei. La necessità di contenere i tempi di realizzazione e i costi fecero optare per un progetto che prevedeva la modifica del transatlantico Roma o in alternativa il transatlantico Augustus. Nel 1938, in occasione della crisi dei Sudeti, si tornò a valutare la possibilità di costruire una portaerei, e venne valutata la possibilità di trasformare l'incrociatore pesante Bolzano in incrociatore lancia-aerei, basato sul progetto dell'incrociatore portaerei del generale del Genio navale Giuseppe Rota del 1925, mediante la demolizione delle sovrastrutture ad esclusione delle due torri da 203 mm all'estrema prora e all'estrema poppa, con l'installazione di quattro catapulte, di cui una incassata nel ponte e tre brandeggiabili; sul lato destro della nave sarebbe stata realizzata una piccola isola con uno o due fumaioli. La nave in tale configurazione sarebbe stata in grado di movimentare una dozzina di aerei da caccia. Il progetto di trasformazione venne sviluppato dal colonnello del Genio navale Luigi Gagnotto e prevedeva un'unità con due ponti sovrapposti, con il ponte inferiore da utilizzarsi per il decollo degli aeromobili e quello superiore da utilizzarsi per gli atterraggi, come avveniva per le giapponesi Akagi e Kaga e per l'inglese Furious. Il ponte inferiore prevedeva l'installazione di due catapulte per facilitare il decollo degli aerei. Il progetto prevedeva la sostituzione dell'apparato motore e la modifica della carena, allo scopo di permettere all'unità di raggiungere la velocità di 26 nodi, sufficiente per permetterle di operare senza problemi con il resto della flotta.  La nave sarebbe stata in grado di imbarcare un totale di 56 aerei, tutti ad ali ripiegabili, di cui 18 da bombardamento, 30 da caccia più 8 smontati, che sarebbero stati ricoverati nell'unica aviorimessa prevista sotto il ponte di volo; erano previsti due elevatori di grandi dimensioni per gli aerei più quattro di dimensioni inferiori per le bombe. L'armamento previsto era di due cannoni binati da 120/50 e altrettanti da 100/47 oltre ad altre armi di calibro inferiore. Allo scopo di privilegiare la velocità della nave la protezione passiva sarebbe stata del tutto inesistente, priva di corazzatura e di compartimentazione aggiuntive rispetto a quelle originali della nave passeggeri. Iniziò la guerra e le prime battaglie navali contro gli inglesi resero evidente la necessità di avere una portaerei in squadra, sin dalla Battaglia di Punta Stilo, in cui gli aerei della Royal Navy attaccarono, fortunatamente senza esito, le navi italiane e si tornò a considerare la trasformazione in portaerei del transatlantico Roma. Nel giugno 1941 venne presentato il progetto del generale del Genio navale Gustavo Bozzoni per la trasformazione di tale nave in portaerei. Il progetto prevedeva l'installazione di doppi fondi affiancati alle carene e riempiti di cemento armato fino al galleggiamento. Il sistema aveva dato ottime prestazioni alle prove di scoppio in vasca ed inoltre richiedeva poco acciaio per la sua realizzazione rispetto ad una corazzatura classica. Non era peraltro previsto nessun tipo di corazzatura per la difesa contro bombe d'aereo o artiglieria navale. Veniva prevista la sostituzione dell'apparato motore con quello di due incrociatori leggeri della nuovissima classe Capitani Romani, allo scopo di permettere all'unità di raggiungere la velocità di 30 nodi. La nave avrebbe imbarcato un totale di 34 aerei da caccia o in alternativa 16 aerei da caccia e 9 da bombardamento, mentre la difesa sarebbe stata assicurata da otto dei nuovi cannoni da 135/45 in quattro impianti binati, dodici cannoni antiaerei singoli da 65/64 ed almeno venti mitragliere da 20mm in dieci impianti binati pre-stabilizzati. Il progetto non ebbe seguito poiché presentava un grosso limite operativo consistente nel fatto che gli aerei, dopo l'involo, non sarebbero stati recuperati, vista la difficoltà della manovra di atterraggio ed il lungo addestramento necessario ai piloti per effettuarla. La trasformazione del transatlantico "Roma" in portaerei venne ordinata nel luglio del 1941. Accantonato il progetto originario di modifica, sviluppato dal generale del Genio navale Gustavo Bozzoni, la realizzazione finale ha visto la protezione passiva realizzata mediante 18 paratie stagne (di cui 11 doppie), contro-carene esterne e doppi fondi riempiti di calcestruzzo armato sino alla linea di galleggiamento. L'applicazione di contro-carene avrebbe permesso alla nave sia di raggiungere velocità elevate sia di migliorare la protezione subacquea nei confronti dei siluri. Le contromisure passive consistettero anche in una corazzatura ai depositi di carburante e di munizioni, mentre il riempimento delle contro-carene con uno spessore di cemento armato, previsto anche nel progetto Bozzoni e che aveva dato ottime prestazioni alle prove di scoppio in vasca, richiedeva meno acciaio per la sua realizzazione rispetto ad una corazzatura classica. Lo scafo, contro-carene comprese, venne allungato di circa 5 metri. L'apparato motore fu realizzato utilizzando, come prevedeva già il progetto Bozzoni, due apparati originariamente destinati a incrociatori leggeri della classe Capitani Romani, diventati disponibili dopo la cancellazione della costruzione di quattro delle dodici unità previste, con otto caldaie e quattro turbine. La potenza di ciascuno dei gruppi caldaie/turbina venne limitata da 50.000 a 37.500 CV, per un totale di circa 150.000 CV, consentendo alla nave di raggiungere una velocità massima di circa 30 nodi.
Il ponte di volo, continuo da prora a poppa e sostenuto da apposite strutture, aveva una voluminosa isola a più piani sul lato di dritta, a circa metà nave, con la plancia di comando e numerose piazzole per le armi antiaeree. Ai lati dello scafo erano presenti piazzole simili per l'armamento anti-silurante.
L'Aquila era equipaggiata con due catapulte Demag ad aria compressa di produzione tedesca con due elevatori. L'hangar era divisibile in quattro sezioni da paratie tagliafuoco. L’unità avrebbe potuto imbarcare 51 aerei da caccia tipo Reggiane Re.2001 di cui 10 sul ponte di volo, 26 nell'hangar e i rimanenti sospesi al cielo dell'hangar stesso con un espediente ingegnoso inventato per poter aumentare la capacità di carico della nave. Era stata prevista anche la costruzione di una versione del Re.2001 ad ali ripiegabili che avrebbe potuto portare a 66 caccia la capacità di imbarco.
L'armamento, destinato principalmente alla difesa contraerea, era costituito da otto cannoni singoli da 135/45 mm e dodici da 65/64 mm installati a prua, poppa e su mensole ai lati dei ponti di volo e da 132 mitragliereda 20/65 mm installate ai lati del ponte di volo e davanti e dietro l'isola.
Pur essendo stata danneggiata nel novembre 1942, mentre era ancora in allestimento a Genova, alla data dell'armistizio dell'8 settembre 1943, la nave era già completata al 90%, praticamente pronta per i collaudi e le prove in mare ed aveva già effettuato le prime prove statiche dell'apparato motore, ma non fece in tempo ad entrare in servizio attivo.
Il 9 settembre la nave, che era stata sabotata prima di essere abbandonata dall'equipaggio, cadde nelle mani dei tedeschi che se ne impadronirono affidandola alle autorità della Repubblica Sociale Italiana, che ne tentarono il completamento per immetterla in servizio nella Marina Nazionale Repubblicana, ma senza successo, a causa dei continui bombardamenti alleati, come quello nel porto di Genova del 16 giugno 1944 in cui la nave subì gravi danni.

Genesi

Aquila è stato il primo progetto di portaerei italiano; non è stato costruito dalla chiglia in quanto tale e non è mai stato completato.
Dopo la prima guerra mondiale, la Regia Marina italiana iniziò a esplorare l'uso di velivoli di bordo convertendo la nave mercantile Città di Messina nell'idrovolante Giuseppe Miraglia dotato di doppia catapulta. Commissionata nel 1927, la nave poteva trasportare fino a quattro idrovolanti grandi e 16 medi ed è stata utilizzata principalmente come catapulta sperimentale per la maggior parte della sua carriera. Nel 1940 fu designata nave da trasporto aereo / scuola e funzionò come tender per idrovolanti per le navi capitali italiane. 
Per tutti gli anni '20 e '30, i circoli militari e politici italiani hanno discusso vigorosamente del ruolo e della necessità delle portaerei nella flotta italiana in espansione. Gino Ducci (capo di stato maggiore della Regia Marina nei primi anni '20), Romeo Bernotti (assistente capo di stato maggiore) e l'ufficiale di marina Giuseppe Fioravanzo sostenevano tutti lo sviluppo di un braccio aereo della flotta, la costruzione di portaerei e il consolidamento delle accademie aeronautiche e navali. Altre fazioni si opposero a queste idee, in particolare la costruzione di portaerei, non tanto per motivi di utilità militare, ma piuttosto per costi e praticità. Più di ogni altra cosa, la limitata capacità industriale dell'Italia, lo spazio inadeguato dei cantieri navali e la mancanza di capitale finanziario le hanno impedito di costruire il tipo di flotta ben bilanciata immaginata dai suoi teorici navali. La priorità è andata a quelle navi ritenute più necessarie in un futuro conflitto.
Poiché la Francia era considerata il nemico più probabile dell'Italia in un'altra guerra europea, mantenere la parità con la sua marina divenne una preoccupazione fondamentale. Tra il 1932 e il 1937, la Marina francese stabilì quattro nuove navi capitali: (Dunkerque, Strasbourg, Richelieu e Jean Bart). Ciò ha indotto il dittatore Benito Mussolini e l'Ammiragliato italiano a rinunciare a qualsiasi piano per la costruzione di portaerei. Invece, l'Italia ha modernizzato due navi da guerra più vecchie (Cavour e Cesare nel 1933) e ha iniziato la costruzione di due nuove (Vittorio Veneto e Littorio nel 1934). 
Poiché si prevedeva che la Regia Marina operasse principalmente nei confini relativamente ristretti del Mediterraneo e non sugli oceani del mondo, la mancanza di un braccio aereo della flotta da parte della marina sembrava un'omissione tollerabile (soprattutto considerando che i vettori erano una merce costosa e non provata all'epoca). La terraferma italiana e le isole come Pantelleria e la Sicilia erano viste come portaerei naturali, le cui numerose basi aeree, gestite dalla Regia Aeronautica italiana, potevano fornire un'adeguata copertura aerea della flotta quando richiesto dalla marina. 
Tuttavia, nel giugno 1940, poco dopo l'entrata in guerra dell'Italia, Mussolini approvò la conversione del transatlantico Roma da 30.800 tonnellate lunghe (31.300 t) e 21 kn (39 km / h; 24 mph) in un vettore ausiliario, dotato di un flush deck e un piccolo hangar. Il 7 gennaio 1941, meno di due mesi dopo il successo del raid della portaerei britannica su Taranto, Mussolini autorizzò una conversione molto più ambiziosa ed estesa della Roma in una portaerei a flotta completa, in grado di gestire un gruppo aereo più numeroso e di tenere il passo con la Regia Marina Le corazzate più veloci e gli incrociatori pesanti.
Entro il 27 gennaio, però, l'ordine è stato altrettanto rapidamente revocato a seguito di numerose obiezioni della Regia Marina. Questi includevano costi eccessivi; ostacoli tecnici che comportano lo sviluppo di catapulte, dispositivi di arresto ed ascensori; un tempo di sviluppo stimato di due anni per i velivoli ad ala pieghevole; il tempo necessario per studiare gli effetti della turbolenza dell'aria sul ponte di volo da una sovrastruttura dell'isola; problemi che i tedeschi stavano incontrando nella costruzione della propria portaerei, la Graf Zeppelin; e recenti resoconti dei gravi danni inflitti dai bombardieri in picchiata tedeschi alla portaerei britannica Illustrious, dimostrando graficamente la vulnerabilità dei vettori operanti nel Mediterraneo.
Poi, il 21 giugno, tre mesi dopo aver perso tre incrociatori pesanti al largo di Capo Matapan, una perdita potenzialmente evitabile se gli italiani avessero posseduto una propria portaerei, la Regia Marina e la Regia Aeronautica si accordarono finalmente per procedere con la conversione di Roma.



Progettazione e costruzione

I lavori per convertire la Roma in una portaerei iniziarono seriamente ai Cantieri Ansaldo di Genova nel novembre 1941. Poiché una corazzata chiamata Roma era già in costruzione, il nome della nave fu cambiato in Aquila.

Scafo 

L'interno del transatlantico venne completamente sventrato per consentire la sostituzione dei macchinari originali e l'aggiunta di un ponte hangar e officine. Furono aggiunti profondi rigonfiamenti su entrambi i lati dello scafo per migliorare la stabilità, la forma dello scafo e fornire un modesto grado di difesa dai siluri. Uno strato di cemento armato, spesso 4–8 cm (1,6–3,1 pollici), venne applicato all'interno dei rigonfiamenti per la protezione dalle schegge. Anche lo scafo fu allungato per sfruttare la maggiore potenza dei nuovi macchinari dell'Aquila e la svasatura di prua venne aumentata per aumentare la navigabilità e fornire spazio aggiuntivo per le esigenze aeree. Per migliorare la resistenza ai danni subacquei, la nave era fortemente suddivisa con 18 paratie stagne che si estendevano fino al ponte "C" o "D", 11 delle quali erano doppie.
I progettisti lavorarono con 60–80 mm (2,4–3,1 pollici) di corazze sui caricatori e sui serbatoi di carburante per aviazione. I serbatoi del carburante copiavano la pratica britannica e consistevano in cilindri o dighe a cassettoni separati dallo scafo della nave da compartimenti pieni d'acqua. Questa era una misura di sicurezza intesa a prevenire la frattura del sistema di alimentazione e la diffusione involontaria di fumi AvGas volatili a causa di forti vibrazioni o "frusta" da colpi di bombe, quasi incidenti e colpi di siluri.  Un'armatura da 30 mm (1,2 pollici) fu applicata sulla placcatura esterna per proteggere gli ingranaggi della timoneria. 

Macchinari

I test di autopropulsione al serbatoio Freude di La Spezia nel gennaio 1942 indicarono che per un dislocamento di prova di 26.700 tonnellate, si poteva raggiungere una velocità di 29 nodi con 132.660 shp. Ciò indicava che una velocità sostenuta di 29,5 nodi poteva essere raggiunta con una potenza di 140.000 shp e 30 nodi se il sistema di propulsione poteva sviluppare 151.000 shp senza essere forzato. 
Il nuovo sistema di propulsione dell'Aquila venne preso da due incrociatori leggeri di classe Capitani Romani cancellati (Cornelio Silla e Paolo Emilio), poiché nonostante la loro cancellazione la fabbricazione dei loro sistemi di propulsione era in fase avanzata. Complessivamente otto caldaie e quattro gruppi turbina, ognuno di questi era in grado di generare 55.000 cv a 310 giri/min, più che adeguati alle esigenze dell'Aquila. Ciascuna caldaia funzionava ad una pressione di 29 kg/cm2 (410 psi), con il vapore surriscaldato alimentato alle turbine ad una pressione di 26 kg/cm2 (370 psi) e ad una temperatura di 320°C (608°F). Come installato su Aquila, la potenza complessiva in cavalli all'albero venne ridotta, fino a un massimo di 37.750 shp per gruppo turbina a piena potenza normale. Anche le eliche utilizzate furono modificate in un tipo più adatto a una nave più grande - mentre le eliche originali utilizzate dalla classe Capitani Romani avevano tre pale e un diametro di 4,2 m (14 piedi), quelle usate da Aquila avevano quattro pale e un diametro di 3,9 m (13 piedi). 
Per aumentare la sopravvivenza, i sistemi di propulsione furono raggruppati in quattro sale macchine, ciascuna con un gruppo turbina e due caldaie, una soluzione simile a quella adottata dagli americani per le corazzate di classe North Carolina . Questa soluzione permise di semplificare le tubazioni di ogni tipo (vapore, acqua, olio, ecc.), i sistemi di ventilazione, migliorare le condizioni di vita dell'equipaggio e aumentare la facilità di supervisione e manutenzione.  Ogni stanza era separata dagli spazi adiacenti da doppie paratie stagne, che aumentavano la resistenza strutturale e riducevano la possibilità che un singolo colpo di siluro disabilitasse due sale macchine alla volta. 
Il sistema nel suo insieme era in grado di generare 151.000 shp (113.000 kW) e l’Aquila avrebbe dovuto raggiungere 30 kn (56 km / h; 35 mph) nelle prove e 29,5 kn (54,6 km / h; 33,9 mph) a pieno carico.  Con un dislocamento di 27.800 tonnellate, la fornitura massima di carburante era di 2.800 tonnellate e la portata operativa di 4.150 nmi a 18 nodi e 1.210 nmi a 29 nodi. Con il carico massimo di carburante, 3.660 tonnellate, Aquila avrebbe dislocato 28.800 tonnellate, con un'autonomia di 5.500 nmi a 18 kn e 1.580 nmi a 29 kn. 

Hangar

La portaerei Aquila aveva un hangar con una lunghezza totale di 160 m (520 piedi), una larghezza di 18 m (59 piedi) e un'altezza di 5,5 m (18 piedi). Questo spazio era diviso in quattro sezioni da cinque porte tagliafuoco, la cui lunghezza da prua a poppa era di 32, 25, 25 e 35 metri. La capacità di piano dell'hangar era di 26 velivoli per il Re.2001 OR Serie II, di cui sette nelle sezioni da 32-35 metri e sei nelle sezioni da 25 metri. Inoltre, quindici velivoli potevano essere sospesi dal soffitto dell'hangar. Una versione pianificata dell'aereo ad ala pieghevole avrebbe dovuto consentire lo stivaggio di sessantasei aerei nell'hangar. 

Ponte di volo

Aquila aveva un unico ponte di volo continuo di 211,6 m × 25,2 m (694 piedi 3 pollici × 82 piedi 8 pollici). Era parzialmente corazzato con una piastra da 7,6 cm (3,0 pollici) sopra i bunker di benzina e le riviste. Il ponte di volo terminava prima della prua ma sporgeva a poppa, dove presentava un pronunciato arrotondamento per migliorare il flusso d'aria. Due ascensori ottagonali da 50 piedi (15 m) con una capacità di 5 tonnellate corte (4,5 t) consentivano il trasferimento di aeromobili tra il ponte dell'hangar e il ponte di volo. Uno era direttamente a centro barca e il secondo altri 90 piedi (27 m) in avanti, posizionandoli così abbastanza lontano dai cavi di arresto di poppa che entrambi potevano essere usati per abbattere gli aerei nell'hangar subito dopo un atterraggio. 
Due catapulte ad aria compressa Demag fornite dalla Germania, ciascuna in grado di lanciare un aereo ogni 30 secondi, sono state installate parallele l'una all'altra all'estremità anteriore del ponte di volo. Questi erano originariamente destinati alla "Carrier B" della Germania, la nave gemella incompleta e alla fine demolita del Graf Zeppelin. Gli italiani li ottennero, insieme a cinque serie di dispositivi di arresto e altri piani componenti, durante una missione tecnica navale in Germania nell'ottobre-novembre 1941. 
Una serie di binari conduceva a poppa dalle catapulte agli ascensori e agli hangar. Per i lanci assistiti da catapulta, gli aerei sarebbero stati issati nell'hangar su un carrello per catapulta pieghevole portatile, sollevato sugli ascensori fino al livello del ponte di volo e poi fatto rotolare in avanti sui binari fino alle posizioni di partenza della catapulta, lo stesso sistema impiegato su Graf Zeppelin.
I motori e le catapulte dell'Aquila furono collaudati con successo nell'agosto 1943 ma il dispositivo di arresto installato sulla portante, costituito da quattro cavi, inizialmente non funzionò correttamente. Ciò avrebbe impedito agli aerei, una volta lanciati, di rientrare a bordo. È stato quindi proposto che gli aerei in decollo dall'Aquila , dopo aver svolto la loro missione, tornassero al più vicino aeroporto terrestre o semplicemente si gettassero in mare, una grave e imbarazzante limitazione alle sue capacità di portaerei.  Tecnici italiani e tedeschi hanno lavorato per mesi all’avio-superficie di Perugia Sant'Egidio su un mock-up del velivolo dell’Aquila ponte di volo e nel marzo 1943 l'attrezzatura di arresto pesantemente modificata fu ritenuta utilizzabile. Una valutazione della Marina degli Stati Uniti del dopoguerra ha concluso, tuttavia, che l'accordo avrebbe reso gli atterraggi estremamente pericolosi, soprattutto data l'assenza di una barriera di sicurezza. 
L'isola di tribordo dell'Aquila conteneva un unico grande imbuto verticale per trasportare i gas di scarico fuori dal ponte di volo. Comprendeva anche un'alta torre di comando e i direttori del controllo del fuoco per i cannoni da 135 mm (5,3 pollici).

Armamento antiaereo

Sei cannoni antiaerei (AA) calibro 65 (cal) da 20 mm (0,79 pollici) a 6 canne erano posizionati a prua e a poppa dell'isola. Inoltre, l'Aquila trasportava otto cannoni da 135 mm (5,3 pollici)/45 cal prelevati da uno degli incrociatori classe Capitani Romani cancellati. Sebbene non progettate come armi a doppio scopo, questi cannoni avevano un'elevazione di 45° ed erano quindi in grado di fornire un utile sbarramento contro l'attacco di aerei nemici (in confronto, il miglior cannone contraereo pesante d'Italia, il calibro 90 mm (3,5 in)/50, aveva un'elevazione di 85°). Doveva montare 12 cannoni antiaerei da 65 mm (2,56 pollici) di nuova concezione su sponsor appena sotto il livello del ponte di volo (sei su entrambi i lati dello scafo). Tuttavia, quest’arma, con un alimentatore automatico e una velocità di fuoco di 20 colpi al minuto, non è mai andata oltre lo stadio del prototipo. Altri 16 cannoni da 20 mm a sei canne, anch'essi montati sotto il ponte di volo, completavano la difesa contraerea della nave. 

Aerei imbarcati

Per tutto il 1942 e il 1943 furono condotti test a Perugia e Guidonia - l'equivalente della Regia Aeronautica dell'impianto di prova della Luftwaffe tedesca a Rechlin - per trovare velivoli adatti alla conversione all'uso su portaerei. Furono quindi selezionati il SAIMAN 200, il Fiat G.50/B e il Reggiane Re.2001 OR Serie II come potenziali candidati. 
Nel marzo 1943 arrivarono ingegneri e istruttori tedeschi con esperienza sul Graf Zeppelin per consigliare sui test degli aerei e per aiutare ad addestrare i futuri piloti di portaerei selezionati dal 160 Gruppo CT della Regia Aeronautica. Portarono con sé esemplari di un bombardiere in picchiata Junkers Ju 87C Stuka (una versione navalizzata con ali pieghevoli, gancio di arresto e punti di attacco per catapulta) e un addestratore monomotore Arado Ar 96B . Dopo aver condotto prove di volo comparativo, gli italiani alla fine optarono per il Re.2001 come loro caccia / cacciabombardiere da portaerei standard e persino i tedeschi conclusero che aveva un potenziale migliore rispetto alla loro controparte, il Messerschmitt Bf 109T. Tutti i test di volo, inclusi gli atterraggi simulati sul ponte frenato, furono svolti a terra. 
La dotazione aerea pianificata dell'Aquila era di 51 cacciabombardieri Reggiane Re.2001 OR con ali non ripiegabili: 41 stivati nel ponte dell'hangar (di cui 15 sospesi alla testata del ponte) e 10 sul ponte di volo in un parco ponte permanente.  Era prevista una versione ad ala pieghevole del Re.2001, che avrebbe aumentato il gruppo aereo dell'Aquila a 66 velivoli, ma ciò non si è mai concretizzato. Solo 10 Re.2001 vennero completamente convertiti per l'uso come vettore. Furono muniti di ganci d’arresto, apparecchiature radio navali RTG e rastrelliere per bombe per il trasporto di 650 kg (1.430 libbre) di bombe. Erano anche armati con due mitragliatrici Breda-SAFAT da 12,7 mm (0,5 pollici) montate sopra il cofano motore. Almeno un Re.2001G era stato in prova a Perugia come aerosilurante navale ed era stato dotato di un montante della ruota di coda allungato per accogliere l'altezza aggiunta di un siluro sospeso sotto la fusoliera. 

IL VELIVOLO SCELTO PER ESSERE IMBARCATO: il Re.2001 Falco II

Lo sviluppo del Reggiane Re.2001 ebbe le sue origini nella possibilità per il Ministero dell'Aeronautica italiano di disporre per prove tecniche di valutazione, nell'estate 1939, di propulsori tedeschi Daimler-Benz DB 601: si trattava di motori a dodici cilindri a V rovesciata, raffreddati a liquido, capaci di erogare 1 175 CV (864 kW) di potenza.








Il periodo coincideva con i test del prototipo del Reggiane Re.2000 "Falco" che, se fornito del motore tedesco, sarebbe potuto diventare un caccia con prestazioni superiori; risulta, peraltro, che lo stesso ingegner Roberto Longhi, progettista del Re.2000, avesse pensato ad una versione di quel modello motorizzata con il V12 Hispano-Suiza 12Y. Alle Reggiane venne così chiesto di rivedere il progetto del loro velivolo, al fine di installare il propulsore tedesco.
Le modifiche che Longhi ed il team da lui guidato dovettero apportare per adattare la cellula del "Falco" al motore Daimler-Benz non furono radicali: venne infatti ridotta la sezione della parte anteriore della fusoliera e, in ragione della maggior lunghezza, venne rivisto il baricentro, mentre rimase inalterata, nonostante le critiche suscitate negli organi valutatori della Regia Aeronautica, la soluzione con i serbatoi integrali nelle ali pentalongherone.
Il primo prototipo (MM.409) venne portato in volo per la prima volta fra il 22 e il 24 giugno 1940 dal pilota Mario de Bernardi, già vincitore della Coppa Schneider, all'aeroporto di Reggio Emilia, città dove avevano sede le Officine Meccaniche Reggiane, di proprietà della Caproni. Il velivolo passò quindi al tenente colonnello Pietro Scapinelli, che compì diciassette voli dal 25 luglio al 28 agosto, prima che la macchina venisse trasferita a settembre a Guidonia per le prove comparative. Le prestazioni (563 km/h a 5 500 m e 540 km/h a 4 500 m) risultarono superiori a quelle dei successivi esemplari di serie, perché il prototipo risultava più leggero e montava un DB 601 originale tedesco e non la copia costruita su licenza dall'Alfa Romeo con metalli meno raffinati. Altre fonti, meno recenti, fanno risalire invece il primo volo del Re.2001 a qualche giorno dopo il 10 luglio 1940, subito pilotato da Scapinelli. Secondo questa ipotesi, l'aereo sarebbe stato poi trasferito a Guidonia il 9 agosto, anziché a settembre. In ogni caso, dopo le prove di Guidonia, la Regia Aeronautica richiese alcune modifiche da introdurre anche in un secondo prototipo: ala trilongherone con serbatoi protetti, ruotino di coda retrattile e aggiunta di due mitragliatrici Breda-SAFAT calibro 7,7 mm da 600 colpi ciascuna nelle ali e di altre due mitragliatrici Breda-SAFAT calibro 12,7 mm da 350 colpi ciascuna sistemate sopra il motore. Le modifiche vennero completate nel primo prototipo nel novembre 1940, con il secondo prototipo (MM.408, lo stesso numero di matricola del primo prototipo del Re.2000) pronto poco dopo. Questo secondo esemplare si schiantò al suolo il 14 marzo 1941 dopo un guasto al motore, uccidendo il collaudatore Pietro Scapinelli durante l'atterraggio d'emergenza. Un'altra fonte colloca l'incidente il 17 marzo e ricostruisce i fatti in maniera più dettagliata: Scapinelli, arrivato lungo sulla pista in fase d'atterraggio, ridiede gas ma non riuscì a riprendere quota perché il passo dell'elica (variato elettricamente da un attuatore ancora in fase sperimentale) si era portato al massimo, con conseguente arresto del motore. L'aereo continuò la sua corsa e si infilò tra due alberi che staccarono di netto l'ala, ma la fusoliera proseguì impastandosi sul terreno; il pilota, nel contraccolpo dell'impatto, sbatté la testa contro la barra di comando e morì poco dopo. L'Alfa Romeo venne ritenuta responsabile del malfunzionamento e subì una penale.
Fu proposta la costruzione di un terzo prototipo (chiamato Re.2001bis) con i radiatori annegati nelle ali, prive delle mitragliatrici, per migliorare l'aerodinamica: le fonti non concordano sull'effettiva realizzazione del velivolo e, mentre alcuni indicano che tale modifica sia stata realizzata direttamente nel primo prototipo, altri indicano che fu realizzata una cellula con matricola MM.538, dettagliando anche trattarsi di una sorta di ibrido, frutto dell'accoppiamento della fusoliera del Re.2000 matricola MM.5068 e della deriva del primo prototipo MM.409. Il velivolo, portato in volo da Francesco Agello (nell'aprile o nel luglio del 1941) nonostante avesse fatto registrare una velocità 50–60 km/h superiore rispetto alla configurazione standard, non trovò seguito nella produzione di serie e, dopo alcune valutazioni utili ad acquisire dati successivamente utilizzati per la progettazione del Re.2006, venne riconvertito allo standard dei primi modelli consegnati.
Nel frattempo, il 31 ottobre 1940, dopo un piccolo ordine alla Reggiane di dieci Re.2001 per accelerare le prove tecniche (la cosiddetta "Serie Zero", di cui fece parte, tra l'altro, il velivolo che nel marzo 1943 sganciò una sperimentale bomba propulsa da ossigeno liquido, che tuttavia non esplose), vennero ordinati duecento esemplari alla Reggiane, cento alla fabbrica Caproni di Taliedo e cinquanta (aumentati poi a cento) a quelle di Predappio. I velivoli, che avrebbero inglobato tutte le modifiche apportate ai due prototipi eccetto il ruotino di coda, ora fisso, avrebbero avuto come propulsore un Alfa Romeo RA 1000 RC.41, versione del Daimler-Benz DB 601 prodotta su licenza.
Subito ci si accorse che le scadenze di consegna sarebbero state impossibili da rispettare: le fabbriche Reggiane erano ben attrezzate per produrre un gran numero di aerei, ma la manovalanza, assunta in massa per far fronte alle necessità di guerra, non aveva, per la maggior parte, esperienza di costruzioni aeronautiche; oltretutto le forniture del motore Alfa Romeo, la cui costruzione era rallentata dalla carenza di materie prime, e delle mitragliatrici non seguirono mai il ritmo di produzione dei Re.2001, diventando una delle cause della lentezza con cui vennero consegnati i caccia ai reparti di linea.
Il primo Re.2001 Serie Zero venne spedito alla Regia Aeronautica nel maggio 1941 e l'ultimo in settembre, quando era in spedizione il primo esemplare della "Serie I". Considerate le difficoltà di produzione, la Regia Aeronautica cancellò l'ordine alle fabbriche di Taliedo e alla Breda, cui nel frattempo si era appoggiata la Caproni, mentre l'ordine alla Reggiane venne diminuito di cento unità (gli aerei che scaturirono da questo ordine sono inquadrati dalle fonti nella Serie I) e quello fatto alle fabbriche di Predappio ridotto a dieci aerei. Per la fine del 1941 la Regia Aeronautica aveva ricevuto solo i dieci esemplari della Serie Zero più altri ventisette della Serie I.
Fu proprio per sopperire alla lentezza degli approvvigionamenti dei motori Alfa Romeo che la Regia Aeronautica richiese alla Caproni di Taliedo l'installazione del motore a dodici cilindri a V invertito Isotta Fraschini Delta IV RC.16-48, raffreddato ad aria, nella cellula di un Re.2001.
Consapevoli della ridotta potenza del motore, 840 CV (626 kW) a 5 300 m, i vertici dell'aeronautica speravano che la riduzione di peso consentisse di mantenere prestazioni paragonabili a quelle del Re.2001 di serie. Nell'estate 1942 venne costruito un prototipo (MM.9920) denominato Re.2001 Delta, ordinato in cento esemplari l'8 settembre seguente, quattro giorni prima che il velivolo fosse portato in volo. Le prestazioni raggiunte (523 km/h a 5 600 m, 10 min 30 s per toccare i 6 000 m) erano inferiori a quelle delle macchine di serie; inoltre il prototipo venne distrutto da un incendio dovuto al surriscaldamento del motore il 27 gennaio 1943 e l'ordine venne cancellato.
Nel frattempo, nel dicembre 1941, il Ministero dell'Aria aveva modificato l'ordine dei cento Re.2001 fatto alla Reggiane: trentanove aerei avrebbero dovuto ospitare un aggancio ventrale per una bomba da 250 kg, due dovevano essere attrezzati per il lancio dalle navi tramite una catapulta, e dodici avrebbero dovuto essere equipaggiati con ganci d'arresto per impiegarli nelle portaerei Aquila e Sparviero, che tuttavia non entrarono mai in servizio. Alcuni dei trentanove cacciabombardieri, designati Re.2001CB (Caccia-bombardiere), vennero testati con bombe speciali, o con siluri, insieme ad un sistema che correlava il passo dell'elica con i comandi motore, compiendo anche voli di prova ospitando uno speciale attacco ventrale per una bomba da 250 kg. I dodici aerei per le portaerei più i due "catapultabili" vennero completati, e l'entusiasmo fu tale che il Ministero dell'Aeronautica ordinò cinquanta Re.2001OR (Organizzazione Roma) nella versione imbarcata, le cui uniche differenze rispetto al progetto originale erano il gancio d'appontaggio e la predisposizione ad essere lanciati dalle catapulte.
Mentre erano in costruzione i primi Re.2001OR il Ministero dell'Aeronautica chiese di adattare l'aereo per la caccia notturna. Il progetto del Re.2001CN (Caccia Notturna) prevedeva scarichi antifiamma e una gondola sotto ogni ala, ciascuna dotata di un cannone Mauser da 20 mm con sessanta colpi. Vennero eliminate le mitragliatrici da 7,7 mm nelle ali. Ne vennero ordinati duecento, ma in totale se ne costruirono solo settantaquattro prima che l'annuncio dell'armistizio di Cassibile ponesse fine ad ogni lavoro.
Un piccolo numero di aerei venne fornito di fotocamere/cineprese orizzontali e verticali posizionate sul bordo d'entrata di entrambe le ali, ma sembra che questa versione non sia mai stata impiegata a livello operativo. Venne anche sviluppata una versione in grado di trasportare un siluro (Re.2001G) ed una destinata a missioni anticarro (Re.2001H).
Oltre all'Italia, l'unico altro paese che si interessò al caccia della Reggiane fu la Svezia, le cui autorità valutarono di acquistare cento Re.2001 sprovvisti del motore, viste le difficoltà dell'Alfa Romeo, che invece sarebbe stato acquistato direttamente dalla Germania. Nel luglio 1941 la Svezia chiese ufficialmente la disponibilità della Reggiane a produrre gli aerei, ma un ordine vero e proprio non si materializzò mai.
In merito al soprannome del velivolo, che non faceva parte della denominazione ufficiale, alcune fonti non concordano sull'impiego del nome "Falco II" ed indicano il Re.2001 come "Ariete" o "Ariete I" stabilendo un rapporto di stretta parentela con il Re.2002 (indicato come "Ariete II") sviluppato quasi contemporaneamente.
Il Re.2001 era un monoplano monoposto ad ala bassa, dalla struttura interamente metallica.
La fusoliera era del tipo a semimonoguscio in duralluminio con rivestimento lavorante; la cabina di pilotaggio era situata nella parte mediana, di poco posteriore al bordo d'entrata alare, ed era chiusa da una cappottina vetrata con apertura a ribaltamento laterale, verso la parte destra del velivolo; dotata di seggiolino corazzato, posteriormente al poggiatesta terminava (negli esemplari di serie) in una carenatura metallica sagomata al fine di garantire al pilota un angolo di visuale, seppur minimo, verso la parte posteriore del velivolo.
L'ala aveva pianta ellittica ed era del tipo a cassone, costituito da tre longheroni in duralluminio e da nervature in duralluminio ed Alclad (duralluminio placcato in alluminio puro, al fine di conferire maggior resistenza alla corrosione). Derivata da quella, a cinque longheroni, del Re.2000, su precisa richiesta delle autorità militari, abbandonava la soluzione dei serbatoi integrali per ospitarne due, blindati, nella radice alare. Nella parte interna del bordo d'uscita erano collocati quattro ipersostentatori, mentre in quella esterna si trovavano gli alettoni, rivestiti in tela. L'impennaggio era di tipo classico, in duralluminio con le superfici mobili rivestite in tela.
Il carrello d'atterraggio era di tipo triciclo posteriore, con gli elementi principali monoruota controventati posteriormente ed incernierati nella parte interna delle semiali; la retrazione avveniva verso la parte posteriore e le ruote, con un movimento di rotazione di 90°, alloggiavano di piatto nello spessore dell'ala. Il ruotino posteriore era orientabile ma non retraibile e la gamba era realizzata in una lega d'alluminio denominata Avional.
Il motore installato sugli esemplari di serie del Re.2001 era il V12 Alfa Romeo RA 1000 RC.41, copia prodotta su licenza del Daimler-Benz DB 601; si trattava di un'unità motrice in grado di sviluppare la potenza di 1 175 CV al decollo e di 1 050 CV a 2 400 giri al minuto alla quota di 4 100 m.
Anche l'elica era prodotta dall'Alfa Romeo ed era del tipo tripala, di costruzione metallica; aveva passo variabile in volo, velocità costante ed un diametro di 3,10 m.
Nella versione da caccia diurna, il Re.2001 era armato con due mitragliatrici Breda-SAFAT Mod.1935 calibro 12,7 mm (dotate di 350 colpi per ogni arma), alloggiate sopra il motore e sparanti attraverso il disco dell'elica, e con due Breda-SAFAT Mod.1928Av calibro 7,7 mm (con 600 colpi ciascuna), disposte nelle semiali.
Carichi di caduta erano previsti per le diverse varianti del velivolo ed erano specifiche, come meglio descritto in seguito, a seconda della rispettiva tipologia d’impiego.













Il velivolo prescelto per l’imbarco fu il caccia Re.2001OR (Organizzazione Roma, dal nome della struttura incaricata della realizzazione delle portaerei italiane): versione di cacciabombardiere imbarcato ordinata in cinquanta unità, destinate ai reparti da impiegare sulle portaerei Aquila e Sparviero. Differiva dalla versione originale per il gancio d'appontaggio e la predisposizione ad essere lanciato da una catapulta. Questi aerei, che andarono a formare la cosiddetta Serie II del Re.2001, non prevedevano le ali ripiegabili dal momento che era previsto di risparmiare spazio attaccando i velivoli al soffitto degli hangar delle portaerei con delle speciali imbracature. La Serie II venne completata costruendo dei Re.2001CN al posto della versione OR.
Re.2001S: alcuni esemplari della Aeronautica cobelligerante vennero convertiti nel 1944 a questo standard con l'adozione di un serbatoio ventrale supplementare; in questo caso il suffisso "S" stava ad indicare l'impiego come caccia di scorta.

Il destino di una bella nave

L'Aquila era in fase di completamento e aveva superato il suo primo collaudo statico quando l'8 settembre 1943 l'Italia si arrese agli Alleati. La Germania quindi sequestrò la nave e la pose sotto scorta. L'Aquila fu successivamente danneggiata il 16 giugno 1944, durante un attacco aereo alleato su Genova. Verso la fine della guerra, il governo “co-belligerante" italiano temeva che i tedeschi potessero utilizzare l'Aquila come nave da blocco all'ingresso del porto di Genova. Inviarono sommozzatori dell'ex Decima Flottiglia MAS, che il 19 aprile 1945 affondarono parzialmente Aquila in un luogo innocuo.
I tedeschi cominciarono un parziale smantellamento per riciclarne il ferro ed infine il 19 aprile 1945 la nave venne attaccata da mezzi d'assalto subacquei "chariot" di Mariassalto facenti parte delle forze co-belligeranti italiane del Regno del Sud, per impedire che i tedeschi ne utilizzassero il grosso scafo per affondarla e bloccare l'imboccatura del porto di Genova.
Alla fine della guerra, il 24 aprile 1945, venne ritrovata ancora a galla, semi-sommersa e posta a metà del porto in un estremo tentativo di bloccare il passaggio fra il bacino della Lanterna e gli scali occidentali.
Rimorchiata dagli inglesi alla Calata Bettolo, vi rimase qualche anno finché fu rimorchiata nel 1949 a La Spezia, in attesa di una decisione su di un suo eventuale riutilizzo per usi civili, ma riscontrata la difficoltà e l'alto costo necessario per riportare la nave allo stato originale di piroscafo, ne venne decisa la demolizione, avvenuta nel 1952.


….Gli attuali eventi storici ci devono insegnare che, se vuoi vivere in pace, 
devi essere sempre pronto a difendere la tua Libertà….
La difesa è per noi rilevante
poiché essa è la precondizione per la libertà e il benessere sociale.
Dopo alcuni decenni di “pace”,
alcuni si sono abituati a dare la pace per scontata:
una sorta di dono divino 
e non, un bene pagato a carissimo prezzo dopo innumerevoli devastanti conflitti.…

(Fonti: Web, Google, Wikipedia, Digilander, You Tube)


























































































 

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