giovedì 7 febbraio 2019

LA CORAZZATA "ROMA" E IL DESTINO DELL'AMMIRAGLIO Carlo Bergamini




Il Roma fu una nave da battaglia, la terza unità della classe Littorio e rappresentò il meglio della produzione navale bellica italiana della seconda guerra mondiale. Costruita dai Cantieri Riuniti dell'Adriatico e consegnata alla Regia Marina il 14 giugno 1942, fu danneggiata da un bombardamento aereo statunitense quasi un anno dopo mentre era alla fonda a La Spezia, subendo in seguito altri danni che la costrinsero a tornare operativa solamente il 13 agosto 1943.


A seguito dell'armistizio italiano, al Roma fu ordinato, assieme ad altre navi militari, di raggiungere l'isola sarda della Maddalena, come concordato con gli Alleati. La squadra navale italiana, tuttavia, fu attaccata da alcuni bombardieri tedeschi che, servendosi delle bombe radioguidate plananti Ruhrstahl SD 1400, affondarono la corazzata il 9 settembre 1943.
Nei suoi quindici mesi di servizio il Roma percorse 2.492 miglia in venti uscite in mare, senza partecipare a scontri navali, consumando 3.320 t di combustibile, rimanendo fuori servizio per riparazioni per sessantatré giorni.
Il 28 giugno 2012 il relitto della corazzata è stato rinvenuto a 1000 metri di profondità ed a 16 miglia dalla costa nel golfo dell'Asinara dopo decenni di ricerche.



Caratteristiche

Progettata dal generale ispettore del Genio Navale Umberto Pugliese.
Il sistema di protezione subacquea denominata cilindri assorbitori modello Pugliese consisteva in una "struttura ad assorbimento" costituita da grossi cilindri di scarsa resistenza, contenuti in una struttura molto più resistente e prendeva il suo nome dall'ingegnere e generale del Genio Navale Umberto Pugliese che fu il progettista di tale sistema.
La protezione consisteva in due lunghi cilindri deformabili, di 3,80 m di diametro (massimi) e 120 m di lunghezza (massimi), collocati all'interno di una paratia piena in una intercapedine tra lo scafo interno e la murata esterna, e riempiti con acqua, che in caso di esplosione di un siluro o di una mina, ne avrebbe attenuato la potenza d'urto che sarebbe stata distribuita in tutte le direzioni disperdendosi all'interno del cilindro e diminuendo i relativi danni.
L'efficacia di tale protezione rimane controversa, dalle vicende della seconda guerra mondiale sembrerebbe che questo sistema riuscisse ad assorbire adeguatamente le esplosioni se i cilindri erano di dimensione massima, nelle unità minori e dove (estrema prua, estrema poppa) le dimensioni venivano ridotte, talvolta notevolmente, il sistema diventava poco efficiente.
Il sistema venne adottato per la prima volta nella ricostruzione delle Cavour e sarebbe stato adottato in seguito anche nella ricostruzione delle Duilio e nella costruzione delle Littorio.
Questa classe di navi da battaglia costituì uno dei primi esempi al mondo di unità sopra le 35 000 tonnellate, limite imposto dal trattato navale di Washington in vigore all'epoca della progettazione e costruzione dell'unità, ma che venne disatteso di oltre il 15% per ottenere le caratteristiche desiderate, come già accaduto con la classe Zara di incrociatori pesanti; in effetti il limite fissato in un documento riservato redatto da parte del Sottosegretario alla Marina fu di 40.000 t. Dopo l'impostazione, nel 1934, delle prime due unità della classe, Littorio e Vittorio Veneto, in seguito al deteriorarsi della situazione internazionale con la guerra d'Etiopia e la guerra civile spagnola, fu dato nuovo impulso al riarmo navale, nel 1938, con l'impostazione del Roma e della sua gemella Impero.




Impianti

La propulsione era a vapore con quattro gruppi turboriduttori alimentati dal vapore di otto caldaie tipo Yarrow/Regia Marina alimentate a nafta in cui l'acqua di alimentazione era preriscaldata passando attraverso tubi investiti dai gas di scarico, sfruttando in maniera più efficiente il calore sprigionato dai bruciatori. Nel XX secolo questo tipo di caldaia diventò il modello standard per tutte le caldaie di grosse dimensioni, grazie anche all'impiego di acciai speciali in grado di sopportare temperature elevate e allo sviluppo di moderne tecniche di saldatura. L'apparato motore era protetto da cilindri corazzati singoli per ogni caldaia e per ogni ventilatore, mediante coperture corazzate a distanza sul ponte superiore e da diaframmi corazzati alla base; il sistema di protezione era coordinato alla corazzatura di murata sovrastante e alle strutture sottostanti del triplo fondo.



Secondo varie fonti l'apparato motore forniva una potenza massima di 130 000-140 000 CV e consentiva alla nave di raggiungere la velocità massima di 31 nodi, con un'autonomia che ad una velocità media di 20 nodi era di 3 920 miglia. Tuttavia la velocità massima poteva essere raggiunta solo per brevi periodi e solo impiegando la "extrapotenza" di 160.000 CV. Velocità massima che non fu mai raggiunta perché sfruttare la extrapotenza significava consumare una notevole quantità di nafta, nel 1942-1943 preziosa per la Regia Marina.
Comunque, nel diario di bordo della nave reperito nell'archivio dell'ufficio storico della Marina Militare, è scritto che nelle prove a tutta forza del 21 agosto 1942, le prove si svolsero con velocità crescenti (24 – 26 – 28 nodi) e infine, spingendo le macchine a tutta forza, il Roma raggiunse e mantenne per un'ora la velocità di 29,2 nodi. La modesta autonomia, se comparata con unità analoghe di altre marine militari rendeva queste unità idonee solo all'impiego nel Mediterraneo. Le quattro turbine erano collegate a quattro assi dotati di eliche tripala, due centrali e due laterali, mentre il sistema di governo era costituito da un timone principale poppiero, posizionato nel flusso delle eliche poppiere centrali, e da due timoni ausiliari laterali, distanziati dal primo, situati nel flusso delle due eliche laterali, che costituivano il governo di emergenza della nave.
La nave poteva ospitare al massimo tre velivoli (tutti della Regia Aeronautica, visto che la Marina non poteva possedere velivoli), generalmente i ricognitori IMAM Ro.43 anche se, dall'estate 1943, giunsero due caccia Reggiane Re.2000 Catapultabile. La nave era dotata di due gru per il recupero degli idrovolanti, ma visto il tempo necessario al ricupero da effettuare a nave ferma, normalmente gli idrovolanti erano fatti dirigere verso un aeroporto amico, prassi obbligatoria per i caccia. I Reggiane Re.2000 appartenevano inizialmente ad una squadriglia speciale, la "Squadriglia di Riserva Aerea delle FF.NN.BB." (Forze Navali da Battaglia), composta da otto velivoli dei quali sei operativi alla data dell'armistizio inquadrati nel "1º Gruppo di Riserva Aerea delle FF.NN.BB." e, di questi, uno si trovava sul Roma alla partenza per La Maddalena. La nave disponeva inoltre di un radar EC3/ter "Gufo", sviluppato dalla SAFAR di Milano.




Costruzione

La nave fu impostata sugli scali del Cantiere San Marco di Trieste il 18 settembre 1938 e dopo il varo, avvenuto il 9 giugno 1940, il giorno prima della dichiarazione di guerra, fu inviata a Monfalcone per il completamento. Sin dal varo, al comando dell'unità fu designato il capitano di Vascello Adone Del Cima che seguì tutte le fasi dell'allestimento. La nave fu consegnata il 14 giugno 1942.

Armamento

L'armamento principale era costituito da nove cannoni da 381/50 Mod. 1934 in tre torrette trinate ad azionamento elettrico, che sparavano proiettili da 885 kg (perforanti) e 774 kg (esplosivi) con un alzo massimo di 36º alla velocità iniziale di, rispettivamente, 850 m/s (perforanti) e 870 m/s (esplosivi) capaci di colpire alla distanza di 44,6 km. 
Il cannone 381/50 Modello 1934 fu la più potente arma balistica sviluppata dall'industria bellica italiana, il cui progetto fu sviluppato a partire dal 1934 per equipaggiare le navi da battaglia della classe Littorio.
La Regia Marina pianificò nel 1932 la costruzione di due moderne navi da battaglia; la costruzione fu avviata nel 1934 e furono battezzate Littorio e Vittorio Veneto. Nello stesso anno fu decisa la costruzione di altre due navi da battaglia, la cui costruzione fu avviata nel 1938 cui furono assegnati i nomi Roma e Impero, mai completata.
Per le nuove unità furono progettati nuovi cannoni da 381 mm i cui studi furono avviati nel 1934.
Le quattro corazzate avrebbero dovuto essere equipaggiate da tre torri trinate, nove cannoni per nave.
Il cannone aveva una gittata massima superiore a quella di tutte le altre navi da battaglia della seconda guerra mondiale, nonostante la sua massima elevazione di soli 36° fosse modesta; oltre a questo, la loro alta velocità iniziale (superiore a quella di tutti i contemporanei calibri) e la pesantezza della munizione (oltre 880 kg) consentivano una eccellente capacità perforante, confrontabile con i cannoni da 406 e 460 mm di produzione americana e giapponese; una corazza da 350 mm era perforabile ad oltre 25 km, mentre a breve distanza la perforazione possibile era di circa 80 centimetri. La perforazione delle corazze verticali era assai elevata a causa della velocità dei proiettili, ma essendo la traiettoria anche molto tesa, data la ridotta elevazione, la perforazione delle armature orizzontali, essenziale nel tiro curvo da lunga distanza era inferiore a quella dei cannoni da 381 inglesi (che avevano un'elevazione di 30°) a pari gittata, poiché i proiettili colpivano con un'angolazione più vicina alla verticale (ma i cannoni italiani potevano raggiungere e superare questi valori a distanze superiori) e appena migliore di quelli tedeschi.
La cadenza di tiro era piuttosto ridotta, un colpo ogni 45 secondi, e ciascun pezzo in torre era separato dall'adiacente da una paratia corazzata. I cannoni avevano un'anima ricambiabile a freddo che doveva essere necessariamente cambiata con una frequenza eccessiva: il totale stimato di colpi sparabili con un degrado accettabile delle qualità balistiche era in media di 140 e in ogni caso la vita utile dell'anima del cannone non superava i 220 colpi, e la durata della canna era circa la metà dei cannoni di altre marine.
La dispersione di tiro era molto elevata, sicuramente per l'alta velocità iniziale dei proiettili (problema di cui soffrivano molti dei cannoni italiani, specialmente i cannoni da 152 mm e 203 mm più datati, soprattutto per l'eccessiva vicinanza tra loro) e, pare, anche alla qualità scarsa e non omogenea delle munizioni, vecchio problema che aveva afflitto i cannoni italiani nella prima guerra mondiale e che si protrasse anche nella seconda. Altri inconvenienti erano una ridotta riserva di munizioni e talvolta problemi ai meccanismi di brandeggio che in alcuni casi ne limitavano l'efficacia.
La costruzione dei cannoni fu commissionata all'Ansaldo di Genova (i cannoni per la Littorio e la Impero, più tre altri per la Roma) e alla Odero-Terni-Orlando di La Spezia (i cannoni della Vittorio Veneto e sei cannoni della corazzata Roma).
Le torri avevano un peso di 1.595 t con una corazzatura massima sulla piastra frontale di 350 mm. La torre poggiava su di un piano di rotolamento a rulli (la virola) con un angolo di orientazione max che andava tra +160° e -160° per la torre poppiera, ma per problemi dovuti alle onde d'urto, erano solitamente usate tra +-120°, con una velocità di rotazione di 6 gradi al secondo. L'elevazione oscillava tra -5,5° e +36° con una velocità di elevazione di 6 gradi/s, e la ricarica avveniva all'elevazione fissa di +15°. Nel caso in cui il calcatoio principale fosse stato danneggiato, uno secondario permetteva la ricarica a -2°.
Oltre a questi la corazzata ospitava come armamento secondario antinave dodici cannoni da 152/55 Mod. 1936 in torri trinate usati anche per lo sbarramento antiaereo, dodici cannoni antiaerei da 90/50 mm in installazioni singole e quattro da 120/40 mm per tiro illuminante, più venti cannoni Breda 37/54 mm (in otto installazioni binate più quattro singoli) e ventotto mitragliere antiaeree da 20/65 mm (in quattordici installazioni binate). Secondo alcune fonti, invece, sarebbero state presenti trentadue mitragliere in sedici installazioni binate. I cannoni da 90/50, di tipo duale (antiaereo ed antinave) a caricamento manuale ed elevazione massima di 75º, avevano una gittata massima con alzo 45º di 15.548 metri (antinave), stimata in 13.000 secondo altre fonti, ed una tangenza di 9.000 metri (antiaerea), 10.500 secondo altre fonti.

Protezione

Il Roma aveva la corazza di murata costituita da due strati di piastre inclinate, a differenza di tutte le altre costruzioni mondiali, in cui era costituita da piastre verticali. Quella principale, che a centro nave era di 350 mm, scendeva a 207 alle estremità, seguita da una secondaria di 36 mm. La compartimentazione e il bilanciamento interno assicuravano buona stabilità e galleggiabilità anche nel caso le navi fossero state colpite da siluri, come dimostrarono dalle vicende belliche, quando le corazzate della sua classe, ripetutamente colpite, riuscirono a rientrare alle loro basi. La protezione dagli attacchi subacquei era ottenuta tramite il sistema dei Cilindri Pugliese, ideati dall'ingegnere e generale del genio navale Umberto Pugliese. I Cilindri Pugliese consistevano in contenitori di 3,80 m di diametro e 120 m di lunghezza, collocati all'interno di una intercapedine tra lo scafo interno e la murata esterna e riempiti con acqua o nafta. In caso di esplosione di mina o siluro, la potenza d'urto sarebbe stata distribuita in tutte le direzioni, diminuendo i relativi danni.

Servizio

La nave fu consegnata il 14 giugno 1942, ma non ebbe la possibilità di partecipare ad azioni belliche contro la flotta britannica. Il 21 agosto arrivò a Taranto dove fu assegnata alla IX divisione navale, comprendente le navi Roma, Littorio e Vittorio Veneto.
Il 5 giugno 1943, durante il bombardamento della base di La Spezia, alle 13:59 due bombe perforanti da 908 kg danneggiarono lo scafo, facendo imbarcare 2.350 t d'acqua. Anche la gemella Vittorio Veneto fu danneggiata, riducendo la squadra da battaglia al solo Littorio, già precedentemente danneggiato nel bombardamento di La Spezia della notte tra il 18 e il 19 aprile, in cui era stato affondato il cacciatorpediniere Alpino. Mentre il Vittorio Veneto poté essere riparato in arsenale, rientrando in squadra in poco più di un mese, per la corazzata Roma, colpita da altre due bombe, che non causarono falle nello scafo, durante il bombardamento della notte del 24 giugno, furono necessari l'entrata in bacino e il trasferimento a Genova, rientrando in squadra solamente il 13 agosto.

La partenza

Il giorno in cui Badoglio proclamò l'armistizio italiano, 8 settembre 1943, la nave si trovava a La Spezia pronta a muovere per affrontare le navi Alleate impiegate a proteggere le truppe impegnate nello sbarco di Salerno previsto per il giorno successivo, ma nella stessa giornata dell'8 settembre l'ammiraglio Carlo Bergamini, comandante delle forze navali da battaglia, venne avvertito telefonicamente dal capo di Stato maggiore della Marina Raffaele De Courten dell'armistizio ormai imminente, e delle relative clausole che riguardavano la flotta, che prevedevano il trasferimento immediato delle navi italiane a Malta, dove sarebbero rimaste in attesa di conoscere il proprio destino e che durante il trasferimento avrebbero innalzato, in segno di resa, pennelli neri sui pennoni e disegnato due cerchi neri sulle tolde. De Courten, dopo aver escluso l’auto-affondamento e la possibilità di tentare un'ultima battaglia (in accordo con Bergamini), accettò le disposizioni impartite dal capo della Mediterranean Fleet britannica Andrew Cunningham.

Bergamini inizialmente era andato su tutte le furie per poi formalmente accettare con riluttanza gli ordini, dopo che ebbe l'assicurazione che era esclusa la consegna delle navi e l'abbassamento della bandiera e dopo essere stato informato che il generale Vittorio Ambrosio aveva chiesto agli angloamericani che la flotta per motivi tecnici potesse trasferirsi all'isola sarda de La Maddalena, dove tutto era pronto per l'ormeggio delle navi e dove si sarebbero trovati il re Vittorio Emanuele III e il governo.
Cunningham, conscio che le navi italiane non avevano protezione aerea, informò che avrebbero dovuto mollare gli ormeggi da La Spezia al tramonto dell'8 settembre, ma la squadra navale italiana, sottovalutando il pericolo rappresentato dalla Luftwaffe, salpò solamente alle 03:00 del mattino del 9 settembre. Con Bergamini al suo posto, la corazzata Roma con l'insegna di nave ammiraglia della flotta, salpò per La Maddalena, insieme alle corazzate Vittorio Veneto e Italia che con la corazzata Roma costituivano la IX Divisione, con gli incrociatori Montecuccoli, Eugenio di Savoia e Attilio Regolo, che in quel momento costituivano la VII Divisione, i cacciatorpediniere Mitragliere, Fuciliere, Carabiniere e Velite della XII Squadriglia e i cacciatorpediniere Legionario, Oriani, Artigliere e Grecale della XIV Squadriglia ed una Squadriglia di torpediniere formata da Pegaso, Orsa, Orione, Ardimentoso e Impetuoso, nave insegna della squadriglia.

La navigazione

La formazione, circa tre ore dopo la partenza, si ricongiunse con il gruppo navale proveniente da Genova, formato dalle unità della VIII Divisione, costituita da Garibaldi, Duca d'Aosta e Duca degli Abruzzi, nave insegna dell'ammiraglio Luigi Biancheri, preceduti dalla torpediniera Libra, al cui comando c'era il capitano di corvetta Nicola Riccardi. Dopo il ricongiungimento delle due formazioni navali, per ottenere una omogeneità nelle caratteristiche degli incrociatori, il Duca d’Aosta passò dalla VIII alla VII Divisione, sostituendo l'Attilio Regolo che passò alle dipendenze della VIII Divisione.
La formazione navale, composta da ventitré unità, navigava senza avere issato i pennelli neri sui pennoni e aver disegnato i dischi neri sulle tolde come prescritto dalle clausole dell'armistizio, ma la corazzata Roma con a bordo l'insegna dell'ammiraglio Bergamini aveva innalzato il Gran pavese. La formazione passata tra Imperia e Capo Corso puntò a sud, mantenendosi ad una ventina di chilometri dalle coste occidentali della Corsica, quindi le unità si diressero verso est in direzione delle Bocche di Bonifacio. Durante la navigazione vi furono tre allarmi aerei, in occasione dei quali le navi si misero a zigzagare. All'imboccatura delle Bocche di Bonifacio, all'altezza di Capo Testa, la squadra si dispose in linea di fila, con in testa le sei torpediniere, quindi i sei incrociatori seguiti dalle tre corazzate e infine gli otto cacciatorpediniere.
Pur avendo l'ammiraglio Bergamini richiesto una scorta aerea, quasi tutte le squadriglie da caccia in Sardegna e Corsica erano in trasferimento verso Roma, e solo quattro Macchi M.C.202 decollarono da Vena Fiorita, un aeroporto militare ora dismesso vicino Olbia, per la scorta, ma non essendo stato indicato che la flotta navigava ad ovest e non ad est della Corsica, la cercarono senza esito per oltre un’ora. Tra le 14:30 e le 14:45, quando la flotta stava per giungere al punto più stretto delle Bocche di Bonifacio, l'ammiraglio Bergamini ricevette da Supermarina un messaggio con il quale si comunicava che La Maddalena era stata occupata dai tedeschi e gli venne ordinato di cambiare rotta e dirigersi a Bona in Algeria. Bergamini ordinò di invertire subito la rotta di 180° e dopo che la manovra venne eseguita a velocità elevata l'ordine della linea di fila si trovò ad essere esattamente opposto a quello precedente, con i cacciatorpediniere in testa e le torpediniere in coda.
Durante la giornata, aerei tedeschi avevano eseguito senza successo un attacco sulla formazione italiana, con uno sgancio in picchiata, ed un ricognitore Ju-88 aveva già avvistato, intorno alle 10:50, la flotta e segnalato che faceva rotta in direzione dell'Asinara.

L'attacco della Luftwaffe



Verso le 15:10, al largo dell'isola dell'Asinara la formazione fu sorvolata ad alta quota da ventotto bimotori Dornier Do 217K del Kampfgeschwader 100 della Luftwaffe partiti dall'aeroporto di Istres, presso Marsiglia, in tre ondate successive, la prima delle quali si alzò in volo poco dopo le 14:00, con l'istruzione di mirare unicamente alle corazzate. Gli aerei, in volo livellato, sganciarono degli "oggetti" affusolati, la cui coda luminosa, data l'altezza alla quale volavano gli aerei, fu inizialmente scambiata per un segnale di riconoscimento; si trattava di bombe teleguidate Ruhrstahl SD 1400, conosciute dagli Alleati con il nome di Fritz X, la cui forza di penetrazione era conferita dall'alta velocità acquistata in caduta, essendo prescritto il lancio da un'altezza non inferiore ai 5000 metri. La bomba era munita di un apparecchio ricevente ad onde ultracorte trasmesse dall'aereo, che permetteva di dirigerla verso il bersaglio e che sarebbe potuto essere contrastato solo con disturbi radio, poiché a 6500 metri anche per gli ottimi cannoni contraerei da 90/50 mm, gli aerei sarebbero stati irraggiungibili una volta avvicinatisi alla nave e superato il massimo angolo di elevazione di 75º. Inoltre il comandante della formazione tedesca, maggiore Jope, come dichiarato in un'intervista degli anni settanta, riteneva (erroneamente) che la massima quota raggiungibile dalle artiglierie contraeree italiane fosse di 4000 metri.



Invece, per la troppo stretta ottemperanza alle disposizioni del comando supremo di osservare la neutralità, fu solo quando gli aerei sganciarono la prima bomba (e ci si rese conto che si trattava di una bomba), che fu dato alla contraerea delle unità l'ordine di aprire il fuoco; data però l'elevata quota degli aerei tedeschi, le contraeree furono costrette a sparare alla massima elevazione, che ne penalizzava la precisione, utile solo come fuoco di sbarramento.
Alle 15:30 la prima bomba fu diretta contro l'Eugenio di Savoia, cadendo a circa 50 metri dall'incrociatore senza provocare alcun danno, mentre una seconda bomba cadde vicinissima alla poppa dell'Italia (ex Littorio) danneggiando la centrale elettrica e immobilizzandone temporaneamente il timone, per cui la nave fu governata con i timoni ausiliari. Successivamente toccò al Roma; gli aerei fallirono una prima volta il tiro, ma alle 15:42, l'Oberleutnant Heinrich Schmetz centrò la corazzata una prima volta tra le torri antiaeree da 90 mm; il colpo non produsse effetti devastanti ma attraversò lo scafo esplodendo sott'acqua e aprendo una falla. Il secondo colpo alle 15:50 centrò la nave verso prua, sul lato sinistro fra il torrione di comando e la torre sopraelevata armata con cannoni da 381 mm, con conseguenze ben diverse: a prua si allagarono le caldaie causando l'arresto nella nave e i depositi di munizioni deflagrarono, cessò l'erogazione dell'energia elettrica e la torre numero 2 (quella coi cannoni da 381 mm) saltò in aria con tutta la sua massa di 1500 tonnellate, cadendo in mare; la torre corazzata di comando fu investita da una tale vampata che fu deformata e piegata dal calore, fatta a pezzi e proiettata in alto in mezzo a due enormi colonne di fumo; morirono l'ammiraglio Bergamini e il suo Stato Maggiore, il comandante della nave Adone Del Cima e buona parte dell'equipaggio, morti pressoché all'istante. La vampata salì almeno a 400 metri di quota (ma alcune fonti parlano di 1500 m), formando il classico fungo delle grandi esplosioni.
La nave, alle 16:11, si capovolse e in pochi minuti, spezzata in due tronconi, affondò, mentre sul ponte si affannavano i marinai superstiti, molti gravemente feriti ed ustionati. Chi era a bordo, specialmente a poppa, fu condannato: cinquanta marinai in procinto di gettarsi in acqua furono disintegrati. Chi riuscì a lasciare la nave poté allontanarsi ed essere salvato dai cacciatorpediniere di scorta. La scena del Roma che si spacca in due tronconi fu immortalata in una fotografia scattata dal ricognitore britannico Martin B-26, pilotato a media quota dal tenente colonnello Herbert Law-Wright. L'aereo fu fatto segno dal fuoco contraereo delle navi italiane che stavano sparando sugli aerei tedeschi.
Successivamente l'Italia fu nuovamente attaccato e questa volta colpito da una bomba, ma essendo la carica di scoppio assai ridotta, la nave da battaglia, nonostante avesse imbarcato circa ottocento tonnellate di acqua continuò, seppure appesantita, a navigare in formazione.



Il soccorso

Senza attendere ordini Mitragliere e Carabiniere invertirono immediatamente la rotta per recuperare i superstiti del Roma, seguiti da Regolo e Fuciliere. A queste unità si aggiunsero le torpediniere Pegaso, Orsa e Impetuoso. Ben 1352 marinai del Roma persero la vita. I naufraghi, recuperati dalle unità navali inviate in loro soccorso, furono 622, di cui 503 salvati dai tre cacciatorpediniere, 17 dall'Attilio Regolo e 102 dalle tre torpediniere.
A prendere il comando della flotta diretta a Malta, dopo l'affondamento del Roma, fu l'ammiraglio Oliva, il più anziano tra gli ammiragli della formazione e comandante della VII Divisione con insegna sull'Eugenio di Savoia, che adempì ad una delle clausole armistiziali, quello di innalzare il pennello nero del lutto sui pennoni ed i dischi neri disegnati sulle tolde. Mentre le sette navi si erano fermate a recuperare i morti e i feriti dell'ammiraglia, il resto della squadra proseguì la navigazione dirigendo verso Malta, destinazione scelta dagli Alleati, dove la formazione si sarebbe ricongiunta con il gruppo proveniente da Taranto guidato dall'ammiraglio Alberto Da Zara e costituito dal Caio Duilio, dagli incrociatori Luigi Cadorna e Pompeo Magno e dal cacciatorpediniere Nicoloso da Recco.

Il trasporto dei naufraghi alle Baleari

Il recupero dei naufraghi si concluse poco prima delle 18:00. Il comandante del Mitragliere, capitano di vascello Giuseppe Marini, come ufficiale più anziano, si ritrovò a capo del gruppo composto da sette navi. Marini perse i contatti con la formazione al comando dell'ammiraglio Oliva (che non dava risposta ai suoi messaggi), e l'intercettazione di alcuni messaggi di Supermarina dimostrò l'impossibilità di poter rientrare in porti italiani per sbarcare i feriti: il capitano di vascello ritenne a quel punto necessario raggiungere le coste neutrali più vicine, anche perché le navi avevano ormai una ridotta autonomia a causa della carenza di carburante a bordo.
Marini diede alle torpediniere libertà di manovra sotto il comando del capitano di fregata Riccardo Imperiali, comandante del Pegaso, assumendo il comando del resto della formazione composta dal Regolo e dai tre cacciatorpediniere. Marini decise di dirigere la propria formazione verso le isole Baleari, considerato che la Spagna era neutrale, sperando che avrebbe consentito lo sbarco dei feriti e fornito i necessari rifornimenti di carburante e acqua potabile, senza procedere all'internamento delle navi; per giunta, le Baleari avevano il vantaggio di essere in posizione centrale rispetto ad eventuali successivi spostamenti verso l'Italia, Tolone o l'Africa settentrionale. Marini alle 7:10 del 10 settembre inviò un messaggio alla VII Divisione Incrociatori in cui informò che avrebbe fatto rotta per Mahón, nell'isola di Minorca, dove arrivò alle 08:30.
Le tre torpediniere al comando del capitano di fregata Imperiali lungo la rotta furono ripetutamente attaccate da aerei tedeschi, e perso ogni contatto con le altre navi, anche questo gruppo decise di dirigersi autonomamente verso le Baleari giungendo nel mattino del 10 settembre nella baia di Pollensa, nell'isola di Maiorca.
Dei 622 naufraghi recuperati dalle sette unità, 9 decedettero a bordo delle navi e 16 avrebbero fatto la stessa fine all'ospedale di Mahón.



Le ricerche e il ritrovamento del relitto

Sono stati diversi i tentativi di localizzare e recuperare il relitto del Roma, generalmente ritenuto "riposare" ad una ventina di miglia al largo di Castelsardo (SS). Se la Marina Militare ha dato il benestare e fornito appoggio al raggiungimento del primo obiettivo (su cui comunque non c'è pieno consenso), non ha fatto altrettanto nel dare il via libera al recupero del relitto perché, come ha spiegato l'ex capo di stato maggiore della Marina Paolo La Rosa, lo considera un cimitero da non profanare. Da decenni oggetto di interesse di ricercatori ed esploratori subacquei, ma l'imprecisione delle coordinate del presunto luogo dell'affondamento (41°08′N 8°09′E secondo quanto riferito dai piloti Luftwaffe o 41°10′N 8°40′E secondo quanto comunicato dall'ammiraglio Oliva alle 16:20 del 9 settembre 1943) e la variabile profondità del mare hanno frustrato i tentativi di ritrovamento. Nel 2007 un'altra spedizione sembrò aver individuato l'esatta posizione del relitto (di cui è stata scattata anche una foto da un ROV) nelle coordinate 41°07′52″N 8°37′44″E, attirando addirittura l'attenzione di due case cinematografiche, la tedesca Contex Tv e la svizzera Polivideo, che si misero in contatto con la Marina Militare per ottenere il permesso di girare un documentario, senza tuttavia giungere a nulla.



Alla fine dell'estate del 2007 un ricercatore italiano, Fernando Cugliari, ha dichiarato di avere con buona probabilità localizzato il relitto della corazzata, identificando anche, con un ROV, un giubbotto di salvataggio compatibile con quelli usati dalla Regia Marina all'epoca dell'affondamento comunicando anche le coordinate geografiche del punto. L'8 settembre 2009 il ritrovamento del cacciatorpediniere Antonio da Noli, colato a picco a sud di Bonifacio, mentre cercava di unirsi alla formazione di cui faceva parte il Roma, per aver urtato una mina navale, ridestò le attenzioni sul Roma.
Chiarito il fatto che questa si trova a circa 400 m di profondità, il ricercatore catanzarese Francesco Scavelli chiese aiuto alla francese COMEX e alla sua nave oceanografica Minibex. Aiutati anche dalle coordinate fornite da Cugliari due anni prima, Scavelli e la COMEX, assistiti dalla Marina Militare, per il maggio 2008 avevano perlustrato 100 miglia quadrate di mare; solo allora sono emersi documenti riposti negli archivi militari di Washington, Friburgo, Londra e Roma che hanno permesso di identificare la posizione dei campi minati tedeschi, dando così modo al team di ricercatori di ricostruire la probabile rotta seguita dal convoglio italiano nel 1943, nella quale, in un certo punto, è stata riscontrata una forte anomalia magnetica che proverebbe la presenza del Roma. Nel 2011 un'associazione marinara sarda ha avanzato nuove coordinate circa l'esatta ubicazione del Roma. Questa, tenendo conto delle infruttuose ricerche della Marina Militare avvenute nel 2003 e 2007, e dopo aver vagliato documenti ufficiali italiani, è giunta alla conclusione che il Roma si trova nelle coordinate 41°24′N 7°48′E, cioè 33 miglia a nord-ovest dell'Asinara.



Il relitto della Corazzata Roma è stato infine trovato il 17 giugno 2012 dall'ingegnere Guido Gay grazie all'ausilio del ROV filoguidato Plutopalla da lui stesso inventato e comandato da bordo del catamarano "Daedalus". Il racconto della scoperta è dello stesso ing. Gay ed è contenuto nel libro di Ugo Gerini "Corazzata Roma Destinazione Finale". La nave è stata individuata nel canyon subacqueo di Castelsardo (Golfo dell'Asinara) a 16 miglia dalla costa ad una profondità di oltre 1000 metri e risulta spezzata in quattro tronconi. Personale della Marina Militare è stato in grado di confermare il 28 giugno 2012 l'esattezza del ritrovamento confrontando le immagini di alcuni cannoni d'artiglieria contraerea (si tratta dei pezzi Ansaldo da 90 mm presenti solo sulle corazzate). Il troncone di prua, capovolto, è adagiato nella sabbia del fondale staccato dal resto dello scafo all'altezza della torre numero due di g.c. Le fotografie scattate permettono di vedere lo scudo della corazzata con le lettere QR dell'acronimo SPQR sporgere dal fondo. Il resto della carena, anch'essa capovolta, giace distante qualche centinaio di metri dalla prua. Lo spezzone conserva gli assi e le eliche esterne ancora in buon stato di conservazione. Il ponte che originariamente stava sopra lo spezzone centrale della nave si è staccato dalla stessa e si è posato in assetto di navigazione con il torrione di comando caduto a dritta. E' proprio sul ponte che è stato possibile individuare l'artiglieria antiaerea (cannoni Ansaldo da 90 mm, mitragliere Breda da 37 e 20 mm) nonchè i telemetri dei cannoni da 381 mm, quelli da 152 e la plancia comando e ammiraglio. Il troncone di poppa si è posato lungo il pendio del canyon. Questa sezione, che si è staccata a sua volta dal resto dello scafo proprio all'altezza del nome ROMA che quindi non è più identificabile, conserva l'elica sinistra e la corona dei Savoia perfettamente conservata posta all'estremità. Nelle vicinanze è presente la torre di g.c. numero tre ed il relitto dell'idrovolante IMAM RO 43 che è stato visto dai testimoni scivolare in mare nel momento dell’affondamento.

ENGLISH

Roma, named after two previous ships and the city of Rome,[N 1] was the third Littorio-class battleship of Italy's Regia Marina (Royal Navy). The construction of both Roma and her sister ship Impero was due to rising tensions around the world and the navy's fear that only two Littorios, even in company with older pre-First World War battleships, would not be enough to counter the British and French Mediterranean Fleets. As Roma was laid down almost four years after the first two ships of the class, some small improvements were made to the design, including additional freeboard added to the bow.

Roma was commissioned into the Regia Marina on 14 June 1942, but a severe fuel shortage in Italy at that time prevented her from being deployed; instead, along with her sister ships Vittorio Veneto and Littorio, she was used to bolster the anti-aircraft defenses of various Italian cities. In this role, she was severely damaged twice in June 1943, from bomber raids on La Spezia. After repairs in Genoa through all of July and part of August, Roma was deployed as the flagship of Admiral Carlo Bergamini in a large battle group that eventually comprised the three Littorios, eight cruisers and eight destroyers. The battle group was scheduled to attack the Allied ships approaching Salerno to invade Italy (Operation "Avalanche") on 9 September 1943, but the news of the 8 September 1943 armistice with the Allies led to the operation being cancelled. The Italian fleet was instead ordered to sail to La Maddalena (Sardinia) and subsequently to Malta to surrender to the Allies.

While the force was in the Strait of Bonifacio, Dornier Do 217s of the German Luftwaffe's specialist wing KG 100—armed with Fritz X radio-controlled bombs—sighted the force. The first attack failed, but the second dealt Italia (ex-Littorio) and Roma severe damage. The hit on Roma caused water to flood two boiler rooms and the aft engine room, leaving the ship to limp along with two propellers, reduced power, and arc-induced fires in the stern of the ship. Shortly thereafter, another bomb slammed into the ship and detonated within the forward engine room, causing catastrophic flooding and the explosion of the #2 main turret's magazines, throwing the turret itself into the sea. Sinking by the bow and listing to starboard, Roma capsized and broke in two, carrying 1,393 men—including Bergamini—down with her.
The Italian leader Benito Mussolini did not authorize any large naval rearmament until 1933. Once he did, two old battleships of the Conte di Cavour class were sent to be modernized in the same year, and Vittorio Veneto and Littorio were laid down in 1934. In May 1935, the Italian Naval Ministry began preparing for a five-year naval building program that would include four battleships, three aircraft carriers, four cruisers, fifty-four submarines, and forty smaller ships. In December 1935, Admiral Domenico Cavagnari proposed to Mussolini that, among other things, two more battleships of the Littorio class be built to attempt to counter a possible Franco-British alliance—if the two countries combined forces, they would easily outnumber the Italian fleet. Mussolini postponed his decision, but later authorized planning for the two ships in January 1937. In December, they were approved and money was allocated for them; they were named Roma and Impero ("Empire").

Laid down nearly four years after Vittorio Veneto and Littorio, Roma was able to incorporate a few design improvements. Her bow was noticeably redesigned to give Roma additional freeboard; partway into construction, it was modified on the basis of experience with Vittorio Veneto so that it had had a finer end at the waterline. She was also equipped with thirty-two rather than twenty-four 20 mm (0.79 in)/65 caliber Breda guns.

Description

Roma was 240.68 m (789 ft 8 in) long overall and had a beam of 32.82 m (107 ft 8 in) and a draft of 9.6 m (31 ft 6 in). She was designed with a standard displacement of 40,992 long tons (41,650 t), a violation of the 35,000-long-ton (36,000 t) restriction of the Washington Naval Treaty; at full combat loading, she displaced 45,485 long tons (46,215 t). The ship was powered by four Belluzo geared steam turbines rated at 128,000 shaft horsepower (95,000 kW). Steam was provided by eight oil-fired Yarrow boilers. The engines provided a top speed of 30 knots (56 km/h; 35 mph) and a range of 3,920 nautical miles (7,260 km; 4,510 mi) at 20 knots (37 km/h; 23 mph). Roma had a crew of 1,830 to 1,950. Roma was fitted with a catapult on her stern and equipped with three IMAM Ro.43 reconnaissance float planes or Reggiane Re.2000 fighters.

Roma's main armament consisted of nine 381 mm (15 in) 50-caliber Model 1934 guns in three triple turrets; two turrets were placed forward in a superfiring arrangement and the third was located aft. Her secondary anti-surface armament consisted of twelve 152 mm (6 in) /55 Model 1934/35 guns in four triple turrets amidships. These were supplemented by four 120 mm (4.7 in) /40 Model 1891/92 guns in single mounts; these guns were old weapons and were primarily intended to fire star shells. Roma was equipped with an anti-aircraft battery that comprised twelve 90 mm (3.5 in) /50 Model 1938 guns in single mounts, twenty 37 mm (1.5 in) /54 guns in eight twin and four single mounts, and sixteen 20 mm (0.79 in) /65 guns in eight twin mounts.

The ship was protected by a main armored belt that was 280 mm (11 in) with a second layer of steel that was 70 mm (2.8 in) thick. The main deck was 162 mm (6.4 in) thick in the central area of the ship and reduced to 45 mm (1.8 in) in less critical areas. The main battery turrets were 350 mm (13.8 in) thick and the lower turret structure was housed in barbettes that were also 350 mm thick. The secondary turrets had 280 mm thick faces and the conning tower had 260 mm (10.2 in) thick sides.

Service history

Roma's keel was laid by the Italian shipbuilder Cantieri Riuniti dell'Adriatico on 18 September 1938, and she was launched on 9 June 1940. After just over two years of fitting-out, the new battleship was commissioned into the Regia Marina on 14 June 1942. She arrived in the major naval base of Taranto on 21 August, and was assigned to the Ninth Naval Division. Although Roma took part in training exercises and was moved to various bases including Taranto, Naples, and La Spezia, in the next year, she did not go on any combat missions as the Italian Navy was desperately short of fuel. In fact, by the end of 1942, the only combat-ready battleships in the navy were the three Littorios because the fuel shortage had caused the four modernized battleships to be removed from service. When combined with a lack of capable vessels to escort the capital ships, the combat potential of the Italian Navy was virtually non-existent.

Roma and her two sisters were moved from Taranto to Naples, on 12 November, in response to the Allied invasion of North Africa; while en route, the three battleships were attacked by the British submarine HMS Umbra, though no hits were made. On 4 December, the United States launched a major air raid on Naples in an attempt to destroy the Italian fleet; one cruiser was destroyed and two others were damaged in the attack, as were four destroyers. Two days later, Roma was transferred with Vittorio Veneto and Littorio to La Spezia, where she became the flagship of the Regia Marina. They remained here through the first half of 1943, without going on any operations.

During this time, La Spezia was attacked many times by Allied bomber groups. Attacks on 14 and 19 April 1943, did not hit Roma, but an American raid on 5 June, severely damaged both Vittorio Veneto and Roma. B-17 aircraft carrying 908 kg (2,002 lb) armor-piercing bombs damaged the stationary battleships with two bombs each. Roma suffered from two near hits on either side of her bow. The starboard-side bomb hit the ship but passed through the side of the hull before exploding. The ship began taking on water through leaks from frames 221 to 226—an area covering about 32 square feet (3.0 m2)—and through flooding from the bow to frame 212. The second bomb missed but exploded in the water near the hull. Leaks were discovered over a 30 sq ft (2.8 m2) area ranging from frames 198 and 207. Approximately 2,350 long tons (2,390 t) of water entered the ship.

Roma was damaged again by two bombs in another raid on 23–24 June. One hit the ship aft and to starboard of the rear main battery turret and obliterated several staterooms, which were promptly flooded from broken piping. The second landed atop the rear turret itself, but little damage was suffered due to the heavy armor in that location. This attack did not seriously damage Roma or cause any flooding, but she nevertheless sailed to Genoa for repairs. Roma reached the city on 1 July, and returned to La Spezia, on 13 August, once repairs were complete.

Loss

Along with many of the principal units of the Italian fleet—including Vittorio Veneto and Italia (the ex-Littorio)—the cruisers Eugenio di Savoia, Raimondo Montecuccoli, and Emanuele Filiberto Duca d'Aosta, and eight destroyers—Roma sailed from La Spezia with Adone Del Cima as captain and also as the flagship of Admiral Carlo Bergamini on 9 September 1943, a day after the proclamation of the 1943 Italian armistice. The group was later joined by three additional cruisers from Genoa, Duca degli Abruzzi, Giuseppe Garibaldi, and Attilio Regolo.
On that same day, the fleet had been scheduled to sail towards Salerno in order to attack the Allied ships sailing to invade Italy as part of Operation Avalanche; the proclamation of the armistice on 8 September, however, had led to the cancellation of this operation. As German forces in Italy launched Operation Achse, Admiral Bergamini was ordered to leave La Spezia, in order to prevent the fleet from falling in German hands, and reach Allied-controlled ports. Due to Bergamini's initial reluctance to bring his ships to Malta (not knowing the details of the armistice and what would be the fate of the fleet once in Allied controlled ports) and to initial plans for the transfer of Victor Emmanuel III, his court and the government from Rome to La Maddalena (the destroyers Vivaldi and Da Noli sailed from Genoa and La Spezia, heading for Civitavecchia, for this purpose), the initial destination was La Maddalena, a naval base in Sardinia. Once at La Maddalena, Bergamini would receive further orders (to proceed to Malta) from Admiral Bruno Brivonesi, naval commander of Sardinia, as well as some documents regarding the conditions of the armistice for the Navy. The transfer of the king to La Maddalena was cancelled, however (he instead fled towards Pescara), and when the fleet arrived off La Maddalena, German troops had occupied that base to transfer their troops from Sardinia to Corsica, therefore the stop at La Maddalena was also cancelled and Supermarina ordered Bergamini to head for Allied-controlled Bône. The fleet then changed course, but when Germany learned that the Italian fleet was sailing towards an Allied base, the Luftwaffe sent Dornier Do 217s armed with Fritz X radio-controlled bombs to attack the ships. These aircraft caught up with the force when it was in the Strait of Bonifacio.

The Do 217s trailed the fleet for some time, but the Italian fleet did not open fire upon sighting them; they were trailing the fleet at such a distance that it was impossible to identify them as Allied or Axis, and Bergamini believed that they were the air cover promised to them by the Allies. However, an attack upon Italia and Roma at 15:37 spurred the fleet into action, as the anti-aircraft batteries onboard opened fire and all ships began evasive maneuvers. About fifteen minutes after this, Italia was hit on the starboard side underneath her fore main turrets, while Roma was hit on the same side somewhere between frames 100 and 108. This bomb passed through the ship and exploded beneath the keel, damaging the hull girder and allowing water to flood the after engine room and two boiler rooms. The flooding caused the inboard propellers to stop for want of power and started a large amount of arcing, which itself caused many electrical fires in the aft half of the ship.

Losing power and speed, Roma began to fall out of the battle group. Around 16:02, another Fritz X slammed into the starboard side of Roma's deck, between frames 123 and 136. It most likely detonated in the forward engine room, sparking flames, and causing heavy flooding in the magazines of main battery turret number two and the fore port side secondary battery turret, and putting even more pressure upon the previously stressed hull girder. Seconds after the initial blast, the number two 15-inch turret was blown over the side by a massive explosion, this time from the detonation of that turret's magazines.

This caused additional catastrophic flooding in the bow, and the battleship began to go down by the bow while listing more and more to starboard. The ship quickly capsized and broke in two. According to the official inquest conducted after the sinking, the ship had a crew of 1,849 when she sailed; 596 survived with 1,253 men going down with Roma. According to naval historian Francesco Mattesini, who cites the research of Pier Paolo Bergamini, the son of Admiral Bergamini, around two hundred men from Bergamini's staff were aboard Roma, and were mistakenly not included in the official inquiry. These men increased the total number aboard to 2,021 and the total fatalities to 1,393. In her 15-month service life, Roma made 20 sorties, mostly in transfers between bases (none were to go into combat), covering 2,492 mi (4,010 km) and using 3,320 tonnes (3,270 long tons; 3,660 short tons) of fuel oil in 133 hours of sailing.

Wreck discovery

The sunken vessel was found in June 2012, by the underwater robot Pluto Palla, designed by Italian engineer Guido Gay. It was discovered about 30 km (19 mi) off the northern coast of Sardinia, at a depth of around 1,000 m (3,281 ft). On 10 September 2012, a memorial ceremony was held on an Italian frigate over the spot where Roma went down. Giampaolo Di Paola, himself a former naval officer and at the time defence minister, at the ceremony described the dead sailors as "unwitting heroes who found their place in history because they carried out their duty right until the end".

(Web, Google, Wikipedia, You Tube)





















L'ammiraglio Carlo Bergamini.

























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