LA RICERCA UNIVERSITARIA ITALIANA E LEONARDO-WASS NELLE NUOVE AVANZATISSIME BATTERIE “LITIO-POLIMERI”
I nuovi sottomarini della Marina Militare Italiana U-212 NFS (Near Future Submarine) saranno un po' più lunghi degli U-212A ma, soprattutto, avranno un maggiore contenuto industriale italiano.
Per esempio, la guerra elettronica, comprendente anche la parte CEMS, sarà di Elettronica. La propulsione sarà AIP, basata sempre sulle celle PEM della Siemens, ma con batterie agli ioni-litio di produzione italiana.
Il dominio subacqueo ha sempre maggiore importanza strategica per la sicurezza delle vie di comunicazione e delle risorse energetiche: per questo motivo la costruzione o il rafforzamento di una componente subacquea è di fondamentale importanza, rappresentando lo strumento principale di deterrenza e di esercizio del controllo, attraverso innanzitutto lo sviluppo di tecnologie in grado di fronteggiare qualsiasi sfida, attuale e futura. In un tale contesto strategico, i nuovi sottomarini sono destinati ad essere tra le nuove frontiere dello sviluppo tecnologico verso cui le principali marine militari, tra cui l’Italia, e le realtà industriali di settore, stanno orientando la Ricerca e Sviluppo (R&D), con importanti ricadute anche nel mondo civile.
Sono state di recente illustrate le notevoli potenzialità di crescita delle nuove batterie al litio, nel campo dello stoccaggio energetico per la propulsione subacquea, con le relative ed importanti implicazioni in termini di sicurezza e certificazione nel peculiare mondo sottomarino. In particolare, le nuove batterie al litio sono completamente sviluppate in Italia, e se ne prevede l’implementazione già nel prossimo futuro sui sottomarini U212 Near Future Submarine (NFS) di nuova generazione di recente ordinati.
Anche la tecnologia delle fuel Cell, basata sulla reazione tra idrogeno e ossigeno, che restituisce energia ed acqua quale unico scarto – quindi totalmente eco-compatibile – installata a bordo dei sottomarini U212A AIP (Air Indipendent Propulsion), è la medesima impiegata con successo dalla NASA già dagli anni ’60 a bordo dei vettori spaziali e che certamente continuerà ad essere preferita per i futuri sviluppi, essendo l’idrogeno l’elemento più abbondante nell’universo nonché risorsa ottenibile per idrolisi dall’acqua di cui si ipotizza la presenza sia sulla Luna che su Marte.
Ancora una volta, la scelta pionieristica della Marina Militare di fine anni ‘90 di dotarsi di sottomarini basati sulla tecnologia fuel cell, si è rivelata vincente in quanto ha permesso alla M.M. di maturare preziose competenze, estremamente specialistiche – dalla produzione allo stoccaggio, al trasporto ed all’impiego, della potenziale “filiera green” dell’idrogeno – tanto da farne un riferimento in campo nazionale, in grado di mettere tali expertise al servizio del Paese, in ottica duale, quale volano di traino per i settori della ricerca e dello sviluppo industriale.
LE BATTERIE UTILIZZATE NEI SILURI LEONARDO-WASS
Una delle innumerevoli applicazioni delle tecnologie di Leonardo nel campo delle batterie avanzate è nel nuovo siluro leggero Whitehead “Black Arrow”, concepito interamente da WASS con l'obiettivo di rispondere a minacce rappresentate da sommergibili convenzionali, nucleari ed unità di superficie. Il Nuovo Siluro Leggero è frutto della tecnologia che WASS ha ideato per sviluppare gli altri siluri leggeri A244/S Mod. 3, MU90 ed il siluro pesante Black Shark; tuttavia racchiude un numero di innovazioni concettuali ed invenzioni che lo rendono praticamente unico al mondo in termini di flessibilità, prestazioni e manutenzione a basso costo per l'intero ciclo di vita del prodotto.
Whitehead Black Arrow è ideato per essere lanciato da piattaforme convenzionali (navi, aerei ed elicotteri) e da altre come gli UAV (Unmanned Aircraft Vehicle) e gli USV (Unmanned Surface Vehicle).
È dotato di una batteria ricaricabile con tecnologia “litio-polimeri” che lo rende particolarmente cost-effective.
Infatti, a differenza dei siluri leggeri convenzionali che prevedono una pila one-shot, può essere lanciato più volte in configurazione di esercizio senza doverne prevedere la sostituzione.
Il Sistema di Navigazione è costituito da una piattaforma inerziale che si chiama IMU (Inertial Measurement Unit), da un pressometro e da un software di pilotaggio dedicato.
Quattro timoni indipendenti posizionati a 45° rispetto al piano orizzontale ne ottimizzano la manovrabilità e la controllabilità nello spazio, rendendolo capace di eseguire manovre estremamente accurate.
Whitehead Black Arrow rappresenta un'arma "insensitive" in base alle relative normative NATO ed è configurabile sia con una testa in guerra direttiva che con una omnidirezionale.
Il Black Shark è un siluro pesante da 533 mm di diametro (21 pollici) filoguidato sviluppato dall'azienda WASS - Whitehead Alenia Sistemi Subacquei Spa, confluita in Leonardo-Finmeccanica dal 2016, in accordo alle esigenze operative della Marina Militare Italiana.
Il siluro Black Shark è un'arma multi bersaglio progettato per essere utilizzata da diverse piattaforme di lancio ed impiegabile sia da unità di superficie che da unità subacquee. Il siluro è destinato alla lotta antinave ed anti-sottomarino ed è dotato di due modalità di lancio: "push-out" mediante catapulta oppure "swim-out" in virtù dalla spinta generata dalle eliche.
L'arma è stata concepita per contrastare le minacce tecnologicamente più moderne, siano esse bersagli di superificie o subacquei. Il siluro è filoguidato tramite un cavo in fibra ottica attraverso il quale il mezzo lanciante rimane in comunicazione per trasmettere e ricevere i dati necessari per il buon esito della missione.
Lo sviluppo è iniziato nel 1997 al fine di soddisfare le esigenze della Marina Militare Italiana circa una nuova generazione di siluri pesanti, da usare con gli ultimi sommergibili U212A sulla base dell'A184 Mod.3 ed era inizialmente conosciuto con la denominazione A184 Enhanced (avanzata) suggerendo che si sono sviluppate le specifiche sulla base dell'A184 Mod.3, ma gli è stato dato un nuovo nome per sottolineare che si trattava di un siluro completamente nuovo, migliore di un normale A-184, combinando un nuovo sistema di sonar avanzato (ASTRA), una guida attiva/passiva, un sistema per migliorare l'orientamento e percorsi di controllo, cavo in fibra ottica per la trasmissione di dati tra il siluro e il sottomarino, un nuovo motore potenziato ed eliche a contro-bilanciamento.
Il siluro Black Shark è lungo circa 6 metri, la lunghezza varia in base alla configurazione, sia essa di esercizio o di servizio, ha un diametro di circa 533 mm, è molto silenzioso e può operare in modalità di autoguida nell'ultima fase della missione.
Nella sua versione più innovativa il siluro di Leonardo è equipaggiato con una nuova batteria Litio-Polimeri.
L'ASTRA (Advanced Sonar Transmitting and Receiving Architecture) è la testa acustica, sia attiva che passiva, del Black Shark, che può essere utilizzata come sensore remoto da parte dell'unità lanciatrice.
Il siluro oltre alla Marina Militare Italiana è stato venduto a diverse marine estere. Il Governo Indiano ha sospeso, nel corso del 2014, le trattative in corso da diversi anni per la fornitura all'Indian Navy di 98 Black Shark, per un controvalore di circa 300 milioni di Euro, a causa delle indagini promosse dalla magistratura italiana a carico di Finmeccanica, per la fornitura di 12 elicotteri AW-101 in versione VIP.
Operatori: Cile - 100 - Ecuador - 16 - Italia - 80 - Malaysia - 30 - Portogallo - 24 Singapore.
Leonardo fornirà inoltre il siluro di nuova generazione Black Shark Advanced alla Marina Militare Italiana munito di nuova “batteria ricaricabile di nuova concezione” per equipaggiare i sommergibili classe U212A 2^ Serie:
- Il Black Shark Advanced sarà impiegato sui sommergibili classe U212A della Marina Militare Italiana;
- Il sistema, un’eccellenza nazionale nel settore degli armamenti subacquei, è caratterizzato da innovative e avanzate prestazioni e da ridotti costi di gestione del ciclo di vita;
- Il risultato è stato ottenuto grazie all’intensa cooperazione tra la Forza Armata e Leonardo.
Il nuovo equipaggiamento incrementerà notevolmente le capacità di lotta anti sommergibile, in chiave deterrente, della M.M..
Il Black Shark Advanced è l’evoluzione del siluro pesante Black Shark, già acquisito da numerosi Paesi tra cui Cile, Indonesia Malesia, Portogallo, Singapore.
Quest’ultima versione integra un’innovativa sezione di produzione di energia, diversificata a seconda dell’uso del sistema, per scopi di addestramento o operativi.
Quando il BSA è impiegato per attività di training, viene utilizzata una “batteria ricaricabile di nuova concezione” che consente un numero di lanci superiore - fino a cento - rispetto a quello delle versioni precedenti, offrendo risparmi significativi sui costi di esercizio.
Nella configurazione operativa, il BSA è dotato di una “pila innovativa” che garantisce un incremento delle capacità e delle prestazioni.
Le nuove soluzioni permettono, inoltre, una notevole riduzione dei costi di gestione durante tutto il ciclo di vita del sistema.
Realizzato in Italia nello stabilimento di Livorno, il Black Shark Advanced rappresenta un’eccellenza nel settore della difesa subacquea, un risultato di grande prestigio ottenuto grazie alla sinergia e all’intensa collaborazione tra la Marina Militare Italiana e l’industria nazionale.
Quest’ultima versione integra un’innovativa sezione di produzione di energia, diversificata a seconda dell’uso del sistema, per scopi di addestramento o operativi.
Quando il BSA è impiegato per attività di training, viene utilizzata una batteria ricaricabile di nuova concezione che consente un numero di lanci superiore – fino a cento – rispetto a quello delle versioni precedenti, offrendo risparmi significativi sui costi di esercizio.
Nella configurazione operativa, il BSA è dotato di una pila innovativa che garantisce un incremento delle capacità e delle prestazioni. Le nuove soluzioni permettono, inoltre, una notevole riduzione dei costi di gestione durante tutto il ciclo di vita del sistema. Realizzato in Italia nello stabilimento di Livorno, il Black Shark Advanced rappresenta un’eccellenza nel settore della difesa subacquea, un risultato di grande prestigio ottenuto grazie alla sinergia e all’intensa collaborazione tra la Marina Militare Italiana e l’industria nazionale.
Super-batterie a lunghissima durata: la scoperta di un dottorando di Tivoli
Marco Natali, 28 anni, studia alla Sapienza e ha vinto il Premio Innovazione Leonardo (ex Finmeccanica) grazie alla ricerca che apre nuove prospettive per cellulari, smartphone e altri apparecchi. Marco Natali, 28 enne di Tivoli e dottorando della Sapienza di Roma, è tra i vincitori del Premio Innovazione Leonardo, la ex Finmeccanica, che da più di un decennio indice la manifestazione per scovare giovani talenti in ambito universitario e tra i dipendenti del gruppo. Marco Natali, dottorando in Nanoscienze ed Elettromagnetismo, è stato premiato per uno studio che forse un giorno rivoluzionerà l’uso di dispositivi elettronici di uso comune come tablet e telefonini. Il progetto ha un nome complicato “Sintesi di nanomateriali C/Si per elettrodi ottimizzati per batterie al litio”. «Il maggior limite di tutti gli apparati elettronici per uso comune che utilizzano batterie al Litio come telefonini e tablet è la durata delle batterie - ha spiegato lui stesso a margine della cerimonia -. Il mio progetto propone l’utilizzo di materiali innovativi per potenziare la capacità energetica delle batterie agli ioni di litio. Abbiamo utilizzato nanotecnologie che consentono di avere proprietà avanzate. I materiali utilizzati sono il carbonio e il silicio che sfruttano, da un lato le proprietà meccaniche di trasporto elettronico, dall’altro una più ampia capacità di carica». Ancora, «l’elemento fondamentale è che utilizzando i nuovi elettrodi le batterie potranno avere una carica molto maggiore rispetto a quella consentita dalle batterie attualmente in uso, per dirla in parole semplici questa potrà essere addirittura decuplicata. Il progetto è nato grazie al lavoro realizzato dal professor Marco Rossi della Sapienza e dal suo team di ricerca che è impegnato in questo progetto da circa un anno».
La batteria del futuro made in Unibo: liquida e ricaricabile
Si chiama Nessox: riesce ad accumulare fino a tre volte l’energia delle batterie oggi in commercio, e si può ricaricare in pochi minuti sostituendo il liquido interno. A svilupparla è Bettery, una start-up nata al Dipartimento di Chimica dell’Alma Mater.
Al Laboratorio di Elettrochimica dei Materiali per l’Energetica dell’Università di Bologna sta nascendo una batteria di nuova generazione, capace di accumulare fino a tre volte l'energia contenuta nelle batterie oggi in commercio: una tecnologia innovativa che potrebbe rivoluzionare il settore della mobilità elettrica.
A sviluppare l’idea è Bettery, progetto guidato da Francesca Soavi e Francesca De Giorgio, ricercatrici al Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician” dell’Alma Mater. Un’avventura, quella di Bettery, che sta attirando molte attenzioni, anche grazie ai tanti riconoscimenti raccolti. L’ultimo in ordine di tempo è il Premio Nazionale per l’Innovazione, che ha visto la start-up Unibo.
Nato da un brevetto sviluppato all’Alma Mater, il progetto Bettery è oggi una start-up che punta ad arrivare sul mercato. Una strada non immediata per chi, di mestiere, si occupa di chimica. “All’inizio non è stato semplice”, conferma la ricercatrice Unibo. “Il pensiero imprenditoriale, con tutte le sue scommesse e incertezze, è molto diverso da quello scientifico a cui è abituato chi fa ricerca. È un percorso impegnativo, con cui ti metti molto in discussione”.
Tutto è iniziato nel 2016. La tecnologia sviluppata da Bettery si chiama Nessox: una nuova batteria che utilizza un sistema litio-ossigeno a flusso. “Le batterie litio-ossigeno sono studiate già da una decina d’anni e considerate molto promettenti per una nuova generazione di batterie del futuro”, spiega Francesca De Giorgio, assegnista di ricerca Unibo che affianca Francesca Soavi alla guida di Bettery. “Fino ad oggi però queste nuove batterie avevano problemi di stabilità”. Qui arriva la novità di Nessox: il brevetto nato dalla ricerca Unibo permette infatti di superare queste difficoltà. “Abbiamo visto che utilizzando una particolare componente liquida era possibile allontanare i prodotti di reazione responsabili del fine vita della batteria”.
Il team di Bettery, che include anche Alessandro Brilloni e Federico Poli, ha già realizzato un primo brevetto ed è ora al lavoro sul secondo. E i risultati sono più che promettenti: Nessox è in grado di accumulare fino a tre volte l’energia delle batterie commerciali tradizionali. Se questa tecnologia venisse applicata ad un’auto elettrica si potrebbe raddoppiare l’autonomia di percorso.
Ma la grande capacità di accumulo di energia non è l’unica arma segreta di Nessox. Funzionando grazie ad una componente liquida, la batteria di nuova generazione può essere ricaricata semplicemente sostituendo il fluido “scarico”: una sorta di rifornimento di carburante che consente di ottenere una ricarica completa in pochi minuti.
“Inizialmente, la possibilità di ricaricare la batteria sostituendo il liquido interno per noi era un elemento scontato: eravamo concentrate piuttosto sulla stabilità e sulla capacità di accumulo di energia”, spiega ancora Francesca Soavi. “Ma ci siamo presto rese conto che questa possibilità di ricarica rapida era invece l’elemento che suscitava più interesse da parte dei potenziali investitori”.
La strada che va dal laboratorio al mercato, del resto, è piena di sorprese. “Oggi i ricercatori hanno ben chiaro che devono impegnarsi per trovare risorse da investire in modo efficace per far crescere i loro progetti”, continua Francesca Soavi. “Da questo punto di vista noi ricercatori abbiamo alcune cose in comune con gli imprenditori”. Anche per questo, opportunità e iniziative che permettono di conoscere chi sta percorrendo strade simili sono fondamentali. “È molto importante poter conoscere e dialogare con altre start-up. Anche se le competenze e i temi sono diversi, si ritrova sempre un punto in comune: l’innovazione nasce dove c’è pensiero e conoscenza. Per chi fa ricerca innovare deve essere un obiettivo naturale”.
E il futuro? Dopo i tanti successi e riconoscimenti ottenuti negli ultimi mesi, il team di Bettery continua ora a lavorare per perfezionare Nessox e cercare nuove opportunità. “Il prossimo passo – conclude Francesca Soavi – sarà la costituzione di Bettery come spin-off accreditato di Ateneo. Poi continueremo a lavorare anche per selezionare con cura nuovi investitori e per raccogliere capitali. Inoltre, cercheremo di ottenere finanziamenti europei per partecipare a nuovi progetti di ricerca applicata”.
Computer quantistico, digitalizzazione genetica in medicina, stoccaggio delle batterie, uso dell'idrogeno, modelli predittivi.
Roberto Cingolani racconta le tecnologie del futuro, ma avverte: "Serve un cambiamento culturale”: Tutto è correlato. In un Pianeta dove ci saranno sempre più abitanti, meno risorse, carenza di acqua e cibo, terre devastate dal cambiamento climatico, più anziani e più rifiuti, il progresso tecnologico guiderà una partita fondamentale per il futuro dell'uomo.
Lo farà con una connessione che attraversa tutti i settori, dall'ambiente alla medicina, dalla tecnologia artificiale sino al cibo. Ma per farlo bene, ha bisogno dell'"umanesimo". E' una correlazione di cui è convinto Roberto Cingolani. A lui, per anni direttore scientifico dell'Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova e oggi Chief technology officer di Leonardo, abbiamo chiesto quali saranno, nella metà di secolo che verrà, le tecnologie che cambieranno il Pianeta.
Per capire le tecnologie del futuro bisogna partire dai problemi: ”Se devo immaginarmi le grandi rivoluzioni tecnologiche che verranno mi viene subito in mente il computer quantistico o la digitalizzazione genetica in medicina. Però per comprendere davvero cosa accadrà è necessario partire dai problemi. Questo è un secolo fortemente impattato dalla chimica, una chimica trasversale, che va dalle sorgenti di energia alla sostenibilità, dalla chimica dei materiali a quella dell'ambiente. Ecco, la chimica sarà fondamentale ora davanti a un enorme problema che stiamo già vivendo: quello della sostenibilità e del cambiamento climatico. Per cui immagino che le nuove tecnologie adesso dovranno concentrarsi su quello". Dunque chimica come chiave per la sostenibilità? “Sì".
Le tecnologie chimiche dovranno ad esempio lavorare sui rifiuti, in particolare sulla biodegradabilità dei materiali che oggi non lo sono, e sul packaging, in modo da trasformare i rifiuti in risorse. Ma soprattutto la tecnologia riguarderà la sfida al grande problema del fossile e la chiave di svolta saranno le batterie. Oggi con un chilo di batterie in media consumiamo 200 wattora, con un chilo di benzina 2000. Ecco perché la rivoluzione tecnologica dovrà essere votata a trovare un sistema per avere batterie che si avvicinino alla stessa funzionalità della benzina, ma in maniera green: si parla di grafene-silicio, zolfo-aria, una serie di tecnologie in fase di studio e si lavora soprattutto nello stoccaggio. Oggi le batterie, come capacità energetica e di accumulo, sono lontane dai maledetti carburanti di natura fossile.
Ecco perché si stanno studiando le celle combustibili a idrogeno o altri sistemi come soluzioni. Se riusciremo ad avere un energia pulita da accumulare il più possibile con poco peso e poco spazio avremo trovato una chiave per sostenere davvero il Pianeta".
Stoccaggio, batterie, celle combustibili a idrogeno. Tutte tecnologie collegate alla mobilità.
"Sì, perché lo stoccaggio è inevitabilmente legato alla mobilità, ai trasporti, al modo in cui ci spostiamo. La mobilità è spesso un settore apripista per le novità, un banco di prova: ora come sappiamo si stanno sviluppando elettrico e motori a idrogeno. Se funzioneranno, a livello globale, questo avrà un grande impatto sulle nostre vite. E per sviluppare queste tecnologie, anche in questo campo, è decisivo ciò che ha originato tutto quello di cui oggi godiamo: la potenza di calcolo”.
L'incremento della potenza di calcolo apre scenari inimmaginabili.
"Tutto quello che oggi abbiamo, i motori di ricerca, l'intelligenza artificiale, la macchina che frena sola, telefonini, social: sembra tutto senza correlazione. Se penso al motore di ricerca Google e all'automobile in garage che ha il cruise control in fondo dico sì, son cose digitali ma con origine diversa. In realtà hanno tutte una stessa origine: l'incremento costante della potenza di calcolo degli elaboratori, della capacità di memorizzare i dati. Anno dopo anno possiamo fare sempre più operazioni al secondo, miliardi di operazioni binarie, funzioni che hanno aperto i Big Data. Con le nuove tecnologie aumenteremo ancora questa velocità, chip sempre più piccoli con milioni di transistor.
Ma il vero salto potrebbe essere un computer che aumenta così tanto la potenza di calcolo da far diventare possibile qualcosa di impossibile possibile: i computer quantistici. Ci si lavora da più di 40 anni. Se ci riusciremo, daremo intelligenze pazzesche a robot, automobili e sistemi che funzioneranno senza bisogno di grandi computer, in enormi stanze, di cui ora sono dipendenti. Macchine che ci "supereranno" e potenze di calcolo tali da prevedere il futuro, come fanno già in parte ora i modelli predittivi".
E i modelli predittivi saranno usati perfino per curarci? Per farci vivere di più?
"Sì, perché tutto è correlato. Grazie alla potenza di calcolo abbiamo i Big data, e con questi studiamo meteo, cambiamento climatico, marketing, ogni cosa. Creiamo modelli in grado di prevedere grazie ai dati. Ora immaginatevi un medico, che infondo è lui stesso un Big data: la bravura di un dottore sta nel riconoscere insieme sintomi e in base al suo "database" personale trovare diagnosi e terapia. Con macchine sempre più potenti è come se un medico in due ore leggesse tutta la letteratura mondiale su una determinata malattia. Ecco perché la digitalizzazione e l'uso dei dati in medicina sarà decisivo: potremmo prevedere le malattia ma anche pensare di poter usare una medicina personalizzata sul codice genetico della persona. Conoscendo il codice genetico si programmeranno farmaci come vestiti su misura, atomo per atomo, personalizzati a seconda delle persone. Una rivoluzione che potrà migliorare le condizioni di vita e far vivere gli umani sempre più a lungo. Un grande progresso con grandi insidie".
A quali pericoli si riferisce?
"Questo Pianeta potrà davvero sostenersi con dieci, dodici miliardi di persone? E' brutale, ma è difficile ipotizzare delle società che grazie alle tecnologie del futuro saranno sempre più anziane, con l'età media a 65 anni. Esiste un coefficiente che si chiama biocapacità, in sostanza i metri quadri minimi che ci servono per vivere. Si stima che ogni essere umano necessiti di 2,7 ettari tra risorse animali, vegetali e idriche per sopravvivere. Oggi la nostra biocapacità è di 1.6. Il progresso, in cui dobbiamo credere, deve tener conto anche dei nuovi problemi generati dalle tecnologie, come il "vivere di più", come lo sfruttare di più le risorse, come aumentare le differenze fra ricchi e poveri. Tutte le tecnologie portano anche controindicazioni. Dobbiamo recuperare l'umanesimo nella tecnologia, umanesimo significa che la tecnologia deve diminuire le differenze, non acuirle. Non possiamo pensare che per progredire i Paesi più tecnologicamente avanzati "scarichino" sempre più CO2 sugli altri. Dobbiamo sviluppare contromisure, attuare un cambiamento culturale, ad esempio per quanto riguarda il cibo. Il cambiamento culturale deve essere considerato come una "tecnologia": lo scienziato del futuro dovrà fare sempre più analisi dei rischi e capire, davanti a rischi alti, che anche le tecnologie più fantastiche dovranno essere frenate, riviste, per il bene di tutti".
(Web, Google, Wikipedia, You Tube)
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