lunedì 4 maggio 2020

I nuovi U212 NFS della Marina Militare utilizzeranno nuove batterie derivate da quelle "ossido di alluminio-argento (Al-AGO) dei siluri WASS?


Rispetto ai precedenti 4 U-212A, i nuovi U-212 NFS includeranno moltissime tecnologie ed apparati sviluppati e realizzati nel nostro Paese:
  • Nuove batterie al “Litio-Polimeri” già utilizzate con successo da Leonardo-Wass sui siluri “Black Shark”, o quelle più diffuse a livello mondiale al “Litio-Ferro-Fosfato”,
  • Un nuovo rivestimento in fluoro-polimero,
  • Nuovo design della prua,
  • Miglioramenti alle FUEL-CELLS,
  • Nuove capacità di guerra elettronica ECM-ECCM, 
  • Le antenne saranno movimentate utilizzando sistemi elettrici invece che idraulici con gli aggiornamenti forniti dalla ditta italiana Calzoni,
  • Un nuovo sistema nazionale di gestione del combattimento e di guerra elettronica, 
  • Possibilità di imbarcare e di lanciare missili mare-mare e mare-terra,
  • un nuovo sistema di emersione d'emergenza sarà di progettazione italiana.

Gli U212 già oggi garantiscono una autonomia in immersione che gli consente di operare per almeno due settimane senza venire in superficie allo snorkel; è un valore di circa 6-7- volte superiore a quello che poteva fare un sommergibile convenzionale senza il sistema di propulsione AIP: ad oggi sembra che si sia arrivati a 3 settimane. Per sottomarini di tale stazza, due-tre settimane continuative in mare sono il massimo sostenibile dall'equipaggio e sono ritenute sufficienti per l'espletamento della stragrande maggioranza delle operazioni in Mediterraneo.
Dimensioni più generose con conseguente aumento dell'autonomia in immersione sono utili per marine che operino in teatri più ampi dove diversi giorni di navigazione occulta sono necessari anche solo per raggiungere l'area di operazione. 
Giappone, India e Australia si sono dotate o sono in procinto di dotarsi di SSK-AIP che possano garantire le maggiori prestazioni indispensabili per l’oceano. Germania e Norvegia, forse con un occhio alle future rotte artiche, hanno sicuramente considerato di dover operare nell'Atlantico Settentrionale e nel Mare del Nord. Dimensioni più generose non aggiungono nulla alla soluzione del fondamentale problema cinematico che rende un SSK drammaticamente inferiore ad un sottomarino nucleare d’attacco: le differenze di velocità e di spunto renderebbero nella maggior parte dei casi impossibile per l'SSK raggiungere una posizione di lancio che consenta di colpire un sommergibile ostile. Semplificando, è indispensabile raggiungere una posizione tra gli 80 ed i 45° di prora rispetto alla rotta del nemico e per fare questo bisogna essere molto più veloci. L'SSK-AIP dopo aver pattugliato magari per giorni davanti ad una base di SSN nemici si troverebbe nella stessa drammatica, frustrante ed irrisolvibile situazione di inferiorità nella quale si trovavano i sommergibili della II GM nell'attaccare navi da guerra o convogli di navi mercantili.
Quindi, secondo alcuni esperti, l'SSK-AIP potrebbe in alcuni casi avere ragione di un SSN in condizioni particolari e favorevoli, molto spesso in concorso con altri mezzi navali ed aerei.  Pertanto, dato che non è e non potrà mai essere paragonabile ad un SSN perché dare al sottomarino AIP dimensioni maggiori a scapito della furtività se non è strettamente necessario?
E’ chiaro che un SSK AIP non potrà mai essere competitivo con un SSN in velocità data la differenza di potenza installata. L'autonomia in immersione dovrebbe essere vicina ai 30 giorni e non. La traversata dello Scirè oltre Atlantico nel 2009 dalle Azzorre alla costa statunitense fu eseguita in immersione per 18 giorni ad una velocità media di 5.5-6 nodi. Le nuove celle a combustibile più piccole e potenti permetteranno di installarne molte di più nel medesimo spazio; se il sottomarino fosse leggermente più grande come auspicato da molti, sia in larghezza che in lunghezza, se ne potrebbero installare ulteriori e questo permetterebbe di generare con le sole celle a combustibile sufficiente potenza per progredire a 10-12 nodi senza l'ausilio delle batterie che, essendo al litio-ferro, hanno un volume ed un peso più piccolo di un terzo delle attuali; quindi, se ne potrebbero installare il triplo accoppiate ad un motore/ generatore di una potenza adeguata. Ciò permetterebbe spunti di velocità importanti. Le maggiori dimensioni altresì permetterebbero di imbarcare più combustibile mettendo in grado l'unità di poter operare a lungo raggio anche in Oceano, dando all'equipaggio una migliore abitabilità, più vettovagliamenti e più armi; in Mediterraneo i Smg AIP potrebbero operare a velocità più elevate se richiesto.
A parere degli esperti, le operazioni dei nostri futuri battelli AIP non devono essere circoscritte al Mediterraneo ma anche oltre. 
La reputazione dell'U-212 è basata sul suo sistema di propulsione indipendente dall'aria, che è alimentato da celle a combustibile a idrogeno e ossigeno e permette lunghi periodi di navigazione subacquea estremamente silenziosi. Il sistema AIP rimane anche nella versione NFS, ma l'industria italiana viene chiamata a sviluppare una nuova batteria agli ioni di litio piuttosto che una batteria al piombo-acido che è italiana al 100%; ha richiesto tre anni di ricerca e sviluppo per essere perfezionata, ed è più performante delle batterie precedenti. L'Italia sarà la prima marina europea ad adottare gli ioni di litio. Ai nuovi battelli U212NFS verrà inoltre applicato allo scafo un nuovo rivestimento in fluoro-polimero che riduce le incrostazioni e la resistenza aerodinamica, migliora l'idrodinamica dell'imbarcazione attraverso regolazioni al design della prua. 

Grazie alle nuove batterie, alla vernice a base di “meta-materiali”, al nuovo design della prua ed ai miglioramenti alle FUEL-CELLS, l'autonomia del nuovo U212NFS sarà molto incrementata.

L'NFS sarà leggermente più lungo della classe TODARO, in parte per ospitare un'antenna in più per fornire nuove capacità di guerra elettronica ECM-ECCM, mentre tutte le antenne saranno movimentate utilizzando sistemi elettrici invece che idraulici con gli aggiornamenti forniti dalla ditta italiana Calzoni.
La Marina Militare Italiana sta valutando opzioni nazionali per un nuovo sistema di gestione del combattimento e di guerra elettronica, mentre i nuovi sottomarini saranno progettati per essere in grado di lanciare missili mare-mare e mare-terra.
Anche un nuovo sistema di emersione d'emergenza sarà di progettazione italiana e non tedesca, come per i precedenti sottomarini.
Il primo NFS dovrà essere in servizio operativo nel 2025. L'obiettivo più importante è quello di aumentare la possibilità che l'Italia possa ora esportare i sistemi costruiti per i sommergibili. E' molto probabile che sui nuovi sottomarini AIP siano utilizzate delle nuove avanzatissime batterie derivate da quelle utilizzate con successo da Leonardo-Wass sui siluri “BLACK SHARK N.S.P.”.



BATTERIE AL “LITIO-POLIMERI”

Le nanotecnologie quintuplicano la capacità delle batterie al Litio.
Nuovi materiali come lo zolfo e una nuova tecnica produttiva per gli elettrodi delle batterie al Litio, consentono di ottenere una eccezionale combinazione di capacità e durata. E’ del tutto ovvio che se diventasse commercialmente disponibile a costi abbordabili un nuovo tipo di batteria al Litio con capacità quintupla e durata oltre doppia rispetto alle attuali, l’impatto positivo e tecnologico sarebbe formidabile. Ed è proprio questo che promettono le nuove batterie.
Quando si parla genericamente di batterie al Litio, questo elemento è sempre presente ma fondamentalmente nell’elettrodo Anodo e spesso anche nell’elettrolita. Invece i composti utilizzati per la realizzazione dell’elettrodo Catodo possono essere svariati e differenziano considerevolmente le prestazioni della batteria.
Nel tipo più comune di batterie al Litio, solitamente chiamate Litio-Ioni, il catodo è realizzato in diossido di manganese. Sono di questo tipo oltre i tre quarti di tutte le batterie al litio attualmente prodotte.
Le batterie note come Litio-Polimeri costituiscono una evoluzione di questo schema, ma con un elettrolita solido anziché liquido, realizzato con un polimero conduttivo. Questi tipi di batterie possono immagazzinare mediamente 250-300 Wh per kg e tipicamente mantengono l’80% della loro capacità dopo 500 cicli di carica-scarica.
Fin qui la tecnologia commercialmente disponibile. Da un punto di vista teorico, però, è noto da tempo che esistono altre combinazioni di materiali per il Catodo che possono incrementare notevolmente la densità energetica delle batterie al Litio, se si riuscissero a risolvere alcuni problemi costruttivi.
Emblematico il caso dello Zolfo. Teoricamente, batterie al Litio con catodo di zolfo dovrebbero immagazzinare ben 1600 Wh/kg, oltre 5 volte la capacità delle comuni batterie Li-Ion e Li-Polymer. In pratica risulta difficile costruire simili batterie, perché i composti che si formano sul Catodo durante la scarica tendono a disperdersi e perché provocano una espansione delle dimensioni del Catodo stesso che col tempo portano alla fessurazione del suo involucro di contenimento.
Ora i ricercatori hanno scoperto il modo di costruire un Catodo di zolfo con un sistema di contenimento che concilia le esigenze elettriche, chimiche e meccaniche permettendo alle reazioni litio-zolfo di avvenire regolarmente ma senza apprezzabile deterioramento della struttura dell’elettrodo, per una lunga durata. L’accorgimento consiste nel polverizzare le particelle di zolfo su una scala di 800 nanometri e nel circondarle singolarmente con dei nanogusci di biossido di titanio di diametro leggermente superiore a quello delle particelle di zolfo contenute: un po’ come un uovo con guscio di titanio, tuorlo di zolfo e albume assente. La cavità tra “guscio” e “tuorlo” permette alla particella di zolfo di formare composti con il Litio e quindi di crescere di dimensioni durante la scarica, ma senza sottoporre a stress l’involucro grazie allo spazio libero.  Il processo nano-tecnologico con cui vengono ottenute queste sferule con cavità è la vera innovazione. Si parte con le nanoparticelle di zolfo, si depone sulla loro superficie il rivestimento di titanio solido nano-poroso e infine si utilizza un solvente dello zolfo, che sia capace di permeare il guscio di titanio (ma senza scioglierlo), penetrare all’interno e qui corrodere il “tuorlo” di zolfo riducendone il diametro a parità di diametro del guscio, creando così la cavità in ogni sferula.
Estremamente interessanti le conseguenze. Con i primi prototipi si è già osservata una densità energetica di 1030 Wh/kg, non ancora al massimo valore teorico eppure già 4-5 volte superiore a quella delle comuni batterie al Litio. Di grande rilievo anche la durevolezza visto che dopo 1.000 cicli di carica-scarica la batteria ha mantenuto il 70% della capacità e ben il 98.4% di efficienza faradica (ossia la frazione di carica che viene effettivamente restituita durante la scarica, senza dispersioni): quest’ultimo dato dimostra che a livello nano-strutturale non ci sono state le temute alterazioni che di solito compromettono la funzionalità dei Catodi di zolfo.
Più cicli di ricarica vive una batteria agli ioni di litio, più il suo elettrodo negativo perde capacità di accogliere elettroni, diminuendo progressivamente la prospettiva di vita del pacco batterie. I ricercatori hanno però trovato il modo di rendere le batterie al litio eterne, anzi, auto-riparanti. Le ricerche degli ultimi anni sono state prevalentemente rivolte all’accrescimento della capacità di accumulo di energia nelle attuali batterie agli ioni di litio: la soluzione più promettente era stata identificata l’anno scorso, con l’inserimento di silicio nella nanostruttura dell’anodo. In questo modo l’elettrodo è in grado di accogliere molti più elettroni e più rapidamente (leggi: far affluire energia nella batteria più velocemente) rispetto agli standard attuali. C’è solo un piccolo problema: per far ciò, la nano-struttura dell’elettrodo si dilata fino al 300% durante la migrazione degli elettroni al suo interno, per poi riprendere le sue dimensioni originali, arrivando a lesionarsi dopo pochi cicli di ricarica.
Una ricerca ha portato a trovare la soluzione. E’ stato infatti sviluppato un polimero capace di riparare da sé ed istantaneamente le fratture provocate dalle repentine dilatazioni, grazie al quale gli elettrodi in silicio durano 10 volte più a lungo di quelli che ne sono sprovvisti.
I ricercatori hanno appositamente indebolito i legami nella struttura dell’elettrodo per facilitarne la rottura, verificando così l’efficacia dell’attrazione chimica che li ripara nel giro di poche ore. Dotare i componenti delle batterie al litio della capacità di auto-ripararsi, fondamentale per molti organismi viventi, può davvero essere la chiave per estenderne il ciclo vitale: se gli attuali elettrodi utilizzati nelle batterie al litio che usano il silicio sopportano un centinaio di cicli di carica-scarica, gli obiettivi da raggiungere per i ricercatori sono i 500 cicli per le batterie destinate ai telefoni e i 3,000 cicli per quelle progettate per i veicoli elettrici. Il tipo di batteria ricaricabile noto come accumulatore litio-polimero, o più raramente batterie litio-ione-polimero (abbreviato Li-Poly o, più comunemente, LiPo) è uno sviluppo tecnologico dell'accumulatore litio-ione.
La principale caratteristica che li differenzia è che l'elettrolita in sale di litio non è contenuto in un solvente organico, come nel molto diffuso disegno litio-ione, ma si trova in un composito di polimero solido, come ad esempio il poliacrilonitrile. Vi sono molti vantaggi in questo tipo di costruzione, che lo rendono superiore al disegno classico litio-ione, tra cui il fatto che il polimero solido non è infiammabile (a differenza del solvente organico utilizzato nelle cellule a Li-Ion) e queste batterie sono dunque meno pericolose se vengono danneggiate. Le celle che oggi vengono vendute come batterie litio-ione-polimero hanno uno schema diverso rispetto alle vecchie celle a ioni di litio. A differenza delle celle in litio-ione, che erano contenute in minuscoli contenitori rigidi in metallo cilindrici o prismatici (a nido d'ape), le attuali celle polimeriche hanno una struttura a fogli flessibili, spesso pieghevoli (laminato polimerico), e contengono ancora un solvente organico. La maggiore differenza tra le celle in polimero e le celle litio-ione è che nelle seconde, il contenitore rigido pressa reciprocamente gli elettrodi e il separatore, mentre in quelle a polimero questa pressione esterna non è richiesta perché i "fogli" di elettrodo e i "fogli" del separatore (dielettrico) sono laminati ciascuno sull’altro. Le batterie in polimero litio-ione sono apparse nel commercio destinato all'elettronica di consumo soltanto nel 1996. In precedenza erano una invenzione sovietica sotto segreto militare, ma in possesso anche del complesso militare industriale statunitense. La tecnologia venne messa a disposizione dell'industria di consumo soltanto qualche anno dopo la caduta del Muro di Berlino.
Dal momento che non è necessario alcun tipo di contenitore in metallo, la batteria può essere più leggera e sagomata per occupare lo spazio che le è riservato nell'apparecchio da alimentare. Dal momento che hanno un impacchettamento più denso senza spazi tra le celle cilindriche e senza contenitore, la densità energetica delle batterie Li-Poly è maggiore di più del 20% rispetto a una Litio-Ione classica ed è circa tre volte migliore rispetto alle batterie NiCd e NiMH. La tensione delle celle Li-Poly varia da circa 2,7 V (scariche) a circa 4,23 V (a piena carica), e le batterie Li-Poly devono essere protette dall'eccesso di carica limitando la tensione applicata a non più di 4,235 V per ogni cella usata in una combinazione di esse in serie. Durante la scarica dovuta a un carico di lavoro, questa dovrà essere rimossa e ricaricata al più presto quando la tensione scende sotto circa 3.0 V per cella (se usate in una combinazione in serie), altrimenti la batteria come conseguenza non potrà essere caricata più a lungo. Nella prima fase dello sviluppo la tecnologia litio-polimeri aveva dei problemi a causa della resistenza interna.
Un'altra sfida include il tempo di carica minore e maggiore corrente di scarica a confronto delle tecnologie già mature. Le batterie Li-Po tipicamente richiedono più di un'ora per una piena ricarica. Alcuni recenti miglioramenti al progetto hanno aumentato la massima corrente di scarica da due a 15 o anche 20 volte la capacità della cella (corrente di scarica in ampere, capacità della cella in Ampere/ora “Ah").
Se confrontate alle batterie Li-ion, le batterie Li-Poly hanno un tasso di degrado maggiore nel ciclo di vita. A ogni modo, recentemente, produttori hanno dichiarato di aver raggiunto un numero di 500 cicli di carica/scarica prima che la capacità si riduca all'80% di quella iniziale. Un'altra variante delle batterie ai polimeri di litio è la "batteria al litio ricaricabile in film sottile" che ha reso possibile più di 10 000 cicli di carica e scarica.
Uno dei grandi vantaggi della tecnologia Li-Poly è che i costruttori possono sagomare la forma alle batterie più o meno come vogliono: questo può essere importante per i costruttori di telefoni cellulari, che costantemente lavorano su telefoni sempre più piccoli, sottili e leggeri. Un altro vantaggio delle batterie ai polimeri di litio rispetto alle batterie Ni-Cd (nichel-cadmio) e NiMH (nichel-metal idruro) è che la corrente di scarica a vuoto (auto scarica) è molto minore. Uno dei principali difetti della tecnologia è la necessità di usare caricabatterie specifici, per evitare incendi ed esplosioni. La batteria può esplodere se corto-circuitata, a causa della bassissima resistenza interna e della conseguente tremenda corrente impulsiva che attraversa la cella. Inoltre una cella Li-Poly può incendiarsi facilmente se forata, per cui le batterie sono, in varie applicazioni, ricoperte da un involucro plastico che dovrebbe prevenire le forature. In applicazioni specifiche, inoltre, sono richiesti controlli elettronici di coppia per i motori elettrici collegati alla cella, al fine di contenere le correnti di scarica e di conseguenza il danneggiamento della batteria. Un problema delle batterie a base di litio è l'approvvigionamento della materia prima: il litio è disponibile in natura in quantità limitata e richiede processi di estrazione particolarmente complicati e costosi; il mercato è in mano a pochi produttori: FMC e CHEMETALL.
Ci sono attualmente due tecnologie in commercio. Entrambe sono ai Li-Ion-Poly (dove Poly sta per "Polimero elettrolita/separatore"). Sono chiamate "Batterie ai polimeri elettrolitici”. L'idea è di usare un polimero permeabile agli ioni al posto della tradizionale combinazione di un separatore microporoso e un elettrolita liquido. Questo promette non solo una migliore sicurezza, dato che l'elettrolita polimerizzato non brucia facilmente, ma anche la possibilità di realizzare batterie molto sottili, dato che non richiederanno una pressione applicata al "sandwich" catodo-anodo. L'elettrolita polimerizzato assicurerà la tenuta di entrambi gli elettrodi come una colla.
Il polimero elettrolita/separatore può essere realmente un polimero solido (polietilenossido, PEO) +LiPF6 o altri sali conduttivi +SiO2 o altri riempitivi con caratteristiche meccaniche migliori (questi sistemi non sono ancora disponibili sul mercato). Alcuni stanno pensando di usare Litio metallico come anodo, mentre altri preferiscono usare il più sicuro anodo a intercalazione di carbonio. Entrambe le tecnologie usano PVdF (un polimero) reso gel con solventi convenzionali e sali, come EC/DMC/DEC ecc. La differenza fra le due tecnologie è che una (Bellcore/Telcordia tecnologia) usa LiMn2O4 come catodo e l'altra, più convenzionale, LiCoO2. Altre, più "esotiche" (comunque non ancora commercialmente disponibili) batterie Li-poly usano un catodo polimerizzato. Per esempio, Moltech sta sviluppando una batteria con un catodo in plastica conduttiva. Ancora un'altra proposta è di usare composti zolfo organico per il catodo in combinazione con un polimero conduttivo come il polyaniline. Questo approccio promette maggiore capacità di potenza (minore resistenza interna) e una maggiore capacità di scarica, ma attualmente ha problemi con il numero di cicli e costi di realizzazione.



Le BATTERIE al “litio-ferro-fosfato” (LiFePO4)

Tale batteria è chiamata anche “LFP” ed è un tipo di batteria ricaricabile; nello specifico una batteria agli ioni di litio, che utilizza il litio-ferro-fosfato come materiale catodico.
Il LiFePO4 fu scoperto dal gruppo di ricerca di John Goodenough all'Università del Texas nel 1996 come un materiale catodico per le batterie al litio. Grazie al suo basso costo, alla sua atossicità, all'abbondanza del ferro, alla sua alta stabilità termica, caratteristiche di sicurezza, buone prestazioni elettrochimiche, e alla sua alta capacità specifica (170 mA·h/g) ha guadagnato una posizione nel mercato.
Il limite tecnico che, inizialmente, ha relegato questa batteria a una nicchia di mercato è stata la sua alta resistenza elettrica. Questo problema, comunque, è stato parzialmente risolto riducendo la dimensione delle particelle utilizzate nella costruzione, rivestendo le particelle di LiFePO4 con materiali conduttori come il carbonio e, parzialmente, ricorrendo al drogaggio dei semiconduttori. È stato poi scoperto che una migliore conduttività veniva creata con nanoparticelle di carbonio create da precursori organici. Molti accumulatori al litio (Li-ion) utilizzati nei prodotti di consumo sono delle batterie al litio ossido di cobalto (LiCoO2). Altre varietà di batterie includono litio-ossido di manganese (LiMn2O4) e litio-ossido di nickel (LiNiO2). Le batterie vengono denominate a seconda del materiale utilizzato per il catodo; gli anodi vengono generalmente costruiti in carbonio e vi è un'ampia scelta nell'elettrolita da utilizzare.
Le batterie LiFePO4 restano sempre delle batterie che utilizzano la chimica del litio, perciò condividono con essa gli stessi vantaggi e svantaggi. I vantaggi chiave delle batterie LiFePO4, rispetto alle LiCoO2, sono una maggiore resistenza termica, una maggiore resistenza all'invecchiamento, una più alta corrente di picco e l'utilizzo del ferro che, al contrario del cobalto, ha un minore impatto ambientale. Gli accumulatori LFP hanno alcune caratteristiche, che possiamo riassumere in vantaggi e svantaggi.
Molte batterie LFP hanno una bassa corrente di auto-scarica. La vita media delle LFP, se usate al 90% della capacità nominale, supera abbondantemente i 2.000 cicli completi di vita utile. Anche sottoposte a grossi carichi, danno una ottima stabilità in tensione. Rispetto ad altre tecnologie al litio, le batterie LFP sono soggette ad un effetto di AGING relativamente basso anche se mantenute ad alte temperature Le celle sono commercialmente disponibili in diversi formati che le rendono particolarmente idonee per realizzare batterie di trazione nelle taglie più popolari di 100 / 200 / 300 / 400 AH
L'energia specifica di un accumulatore LFP è inferiore a un accumulatore LiCoO2, anche se i vari produttori stanno investendo per risolvere questo divario. Le batterie, se nuove, possono subire dei malfunzionamenti se scaricate più del 66%, quindi è consigliato un periodo di rodaggio. Questo, grazie all'introduzione di nuovi catodi, non è più necessario. Le batterie LFP soffrono durante la ricarica rapida. I nuovi catodi, introdotti da un paio d'anni, permettono correnti di carica pari anche a 5-7 volte la capacità nominale.
LiFePO4 è un materiale intrinsecamente più sicuro rispetto al LiCoO2 e alla controparte al manganese. Il legame Fe-P-O è più forte del legame Co-O così, nel caso cui non vengano rispettate le condizioni operative (cortocircuito, surriscaldamento, ecc.) gli atomi di ossigeno sono più difficili da rimuovere. Questa stabilità della reazione redox, oltre a stabilizzare la cella, aiuta anche il trasferimento dell'energia. Solo le temperature superiori agli 800 °C possono rompere il legame ossigeno: ciò assicura un ampio range sopportabile di temperature rispetto al LiCoO2. Poiché il litio tende a migrare all'esterno del catodo della cella LiCoO2, lo ione CoO2 causa un'espansione non lineare, che procura danni strutturali alla cella. I vari stati del litio nella formula LiFePO4 sono strutturalmente simili, così le celle LiFePO4 sono strutturalmente più stabili rispetto alla controparte LiCoO2. Quando totalmente cariche, nel catodo delle celle LiFePO4 non rimane alcuna traccia di litio, mentre nelle celle al cobalto ne rimane circa il 50%.
Attualmente questa tecnologia è impiegata per la costruzione di accumulatori per automobili ibride. Grazie alla loro relativa economicità, queste batterie vengono utilizzate anche da hobbysti e nel progetto "un computer per ogni bambino”. Nell'ambito dei trasporti, il loro utilizzo non si ferma alle automobili: vengono usate anche nelle biciclette a pedalata assistita, nei motoveicoli elettrici e, nell'utilizzo professionale, nei veicoli per le guardie di sicurezza.
Sono presenti in diversi formati: cilindrici (18650, 26650, 38120, 38140, 40160 - dove 18 sta per il diametro in mm e 65 la lunghezza, sempre in mm), o rettangolari, senza però un formato definito. Le capacità per le celle cilindriche possono andare da 1.100 mAh (18650) a 16 Ah (40160). Le capacità per quelle rettangolari partono da 20 Ah e possono arrivare fino a 1000 Ah per cella.

Batterie al "Litio-Ferro-Fosfato"

Le batterie LIFEPo4 sono un’ottima alternativa che va a sostituire le classiche batterie al piombo AGM, con prestazioni elevate e pesi ridotti anche del 60%.
Questa tecnologia è in grado di sopportare 2000 cicli di carica/scarica e si può ricaricare in tempi rapidissimi. La sicurezza è garantita, oltre che dal BMS interno, dal sensore di temperatura che protegge l’intero sistema. Le batterie al Litio hanno: Elevato numero di cicli, Peso ridotto del 60%, Maggior autonomia, Brevi tempi di ricarica.
La batteria in LiFePO4, invece, è più grande ed ha una maggiore resistenza al calore. Una batteria al litio-ferro-fosfato è la scelta migliore, perché è l’unica che per ora soddisfa 4 criteri fondamentali: sicurezza, durata e prestazioni, tecnologia ed eco compatibilità.
La sicurezza è il primo punto da tenere in considerazione quando si produce una batteria per un sistema di accumulo. Per sapere come reagiscono le batterie nel caso di un improbabile cortocircuito interno, vengono testate in laboratorio. Solo quando una batteria è in grado di sopportare un carico senza esplodere o bruciare, è adatta all’utilizzo. L’esplosione oltretutto porta ad un fuoco non esauribile, a causa dell’ossigeno all’interno del materiale della batteria e quindi può bruciare anche sott’acqua. La batteria al litio-ferro-fosfato, anche completamente carica, ha superato brillantemente tutti i test, non mostrando alcuna reazione. Non ci sono stati innalzamenti critici della temperatura tali da poter sciogliere il separatore, anzi essa rimane statica sui 125/130° C., senza pericolo di diffusione.
Una batteria deve essere affidabile per molti anni, solo così può risultare economicamente sostenibile. Ancora una volta, la tecnologia delle batterie è cruciale. Fondamentalmente una batteria, ogni volta che si carica e scarica, perde un po’ della sua capacità originale. Ciò significa che con il passare del tempo la batteria immagazzinerà sempre meno energia. Questo processo si percepisce in misura minima, fino a raggiungere un livello che è comunemente indicato come fine della vita che spesso avviene in modo improvviso. La batteria al litio-ferro-fosfato può arrivare fino 10.000 cicli di carico/scarico, e avrà ancora il 70% della sua capacità iniziale. Un valore senza precedenti nel settore: anche dopo 15.000 cicli, la batteria mantiene ancora circa il 60% della sua capacità. La tecnologia al litio-ferro-fosfato ci fornisce la base giusta per consentire un uso così duraturo della batteria.
La tecnologia al litio-ferro-fosfato è stata sviluppata oltre 15 anni fa. Ha inizialmente dimostrato la sua efficacia sugli autobus e nei sottomarini.
Il litio-ferro-fosfato è l’unico materiale per batterie che si verifica come un minerale naturale nella sua composizione chimica. Una batteria è costituita da due elettrodi, uno dei quali in grafite, mentre l’altro è costituito da un composto di nichel-cobalto oppure uno al litio-ferro-fosfato. In tali batterie non sono presenti né cobalto né nickel, considerati entrambi metalli pesanti tossici.



Tkms ha di recente presentato il nuovo sistema a celle a combustibile di quarta generazione “Fc4G”

Thyssenkrupp Marine Systems ha presentato di recente la nuova versione aggiornata della cella a combustibile di quarta generazione “FC4G” per applicazioni sottomarine dopo aver completato un vasto programma di test con oltre 70.000 ore di funzionamento nell'ambiente di prova; è un miglioramento di un sistema già senza rivali e ultra collaudato.
Il comunicato dell’azienda tedesca:“I nostri clienti utilizzano i nostri sistemi a celle a combustibile da oltre 15 anni. Con questa quarta generazione stiamo realizzando qualcosa di ancora più grande. Questo è il prossimo grande passo con enormi miglioramenti nella disponibilità, ridondanza e invisibilità. Sono orgoglioso che stiamo facendo avanzare nuovamente i nostri clienti stabilendo nuovi standard. "
L'FC4G è progettato per essere un sistema modulare ad alta disponibilità composto da componenti ridondanti per mantenere le massime prestazioni in ogni momento. In termini di stoccaggio dell'H2, i sistemi si basano sul collaudato ed eccezionalmente sicuro sistema di cilindri in idruro di metallo delle generazioni precedenti. Questi cilindri non contengono alcun componente attivo; quindi, riducendo al minimo il fallimento mantenendo in sicurezza le molecole di idrogeno nel reticolo cristallino dell'idruro. Poiché l'idrogeno viene alimentato al sistema nella sua forma più pura, non è richiesta alcuna conversione chimica e, di conseguenza, l'efficienza dell'intero sistema rimane molto elevata. Al contrario, i sistemi di reforming creano inevitabilmente CO2 da un combustibile liquido come il gasolio lasciando una traccia di CO2 - e potenzialmente altri sottoprodotti contenuti nel gasolio come lo zolfo - che devono essere dissolti nell'acqua marina circostante facendo funzionare le pompe elettriche.  Lo stesso vale per i sistemi AIP basati su altri principi, come i motori Stirling, i motori diesel a ciclo chiuso o le turbine a vapore a ciclo chiuso. Non così il sistema FC4G. L'unico sottoprodotto oltre all'energia elettrica è l'acqua pura, che viene immagazzinata a bordo per compensare il peso. H2 è facilmente disponibile ovunque sia attiva l'industria chimica, in genere in ogni paese del cliente, oppure può essere prodotta utilizzando fonti di energia verde suddividendo l'acqua in H2 e O2. Le firme complessive del sistema FC4G sono le più favorevoli sul mercato. Nessun sottoprodotto viene messo a mare, le firme termiche e acustiche sono ridotte al minimo mentre l'efficienza complessiva del sistema è doppia rispetto a qualsiasi motore a combustione.

Come già evidenziato in precedenza, sui nuovi sottomarini messi a punto da Fincantieri, verrà utilizzata una nuova  batteria derivata strettamente da quella all’ossido di alluminio-argento (Al-AGO), già sperimentata ed utilizzata per alimentare i siluri WASS "Black Shark N.S.P.".

Il programma per i nuovi 4 sommergibili U-212 NFS (Near Future Submarine) destinati alla Marina Militare è oramai vicino alla sua finalizzazione ma, a causa dei limitati fondi disponibili, il contratto sarà suddiviso in diverse tranche: 
  • una prima tranche, che dovrebbe partire subito, e comprenderà la realizzazione di un primo sommergibile, più un simulatore ed il supporto logistico; 
  • successivamente un altro sommergibile e poi l’opzione finale per le ultime 2 unità. 



Con quattro nuovi sottomarini AIP sarà possibile rimpiazzare le unità classe Sauro 3a e 4a serie Pelosi, Prini, Longobardo e Gazzana Priaroggia ancora in servizio, mantenendo una componente subacquea abbastanza bilanciata di otto unità.

(Web, Google, greenstart, fambatterie, accumulatorefotovoltaico, Wikipedia, You Tube)































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