4 NOVEMBRE 1918 - 4 NOVEMBRE 2020: LA RICORRENZA MUTILATA
Questa ricorrenza è stata per molti anni la festa della “VITTORIA” e del ritorno all’unità Nazionale. Da qualche anno una classe politicante imbelle l’ha denominata “La Giornata dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate”.
La Festa della VITTORIA fu istituita nel 1919 per commemorare la vittoria italiana nella prima guerra mondiale, evento bellico considerato completamento del processo di unificazione risorgimentale. La festa è il 4 novembre, data dell'entrata in vigore dell'armistizio di Villa Giusti (firmato il 3 novembre 1918) e della resa dell'Impero austro-ungarico.
Storia
Istituita nel 1919, la celebrazione del 4 novembre è l'unica festa nazionale che abbia attraversato decenni di storia italiana: dall'età liberale, al Fascismo, all'Italia repubblicana. Nel 1921, in occasione della celebrazione della Giornata dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate, il Milite Ignoto venne sepolto solennemente all'Altare della Patria a Roma.
Nel 1922, poco dopo la marcia su Roma, la festa cambiò nome in Anniversario della Vittoria, assumendo quindi una denominazione caratterizzata da un forte richiamo alla potenza militare dell'Italia, mentre dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel 1949, il significato della festa è ridiventato la celebrazione delle forze armate italiane e del completamento dell'Unità d'Italia.
Infatti, con la vittoria nella prima guerra mondiale, l'Italia completò l'unità nazionale, iniziata con il Risorgimento, con l'annessione di Trento e Trieste, tant'è che questo conflitto è considerato la quarta guerra d'indipendenza italiana, sebbene oggi tale termine abbia perso di rilevanza, senza però scomparire.
Fino al 1976, il 4 novembre è stato un giorno festivo. Dal 1977, in pieno clima di austerity, a causa della riforma del calendario delle festività nazionali introdotta con la legge n° 54 del 5 marzo 1977, la ricorrenza è stata resa "festa mobile", con le celebrazioni che hanno luogo, ancora oggi, alla prima domenica di novembre.
Nel corso degli anni ottanta e novanta la sua importanza nel novero delle festività nazionali è andata declinando ma negli anni duemila, grazie all'impulso dato dall'ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, che fu protagonista, all'inizio del XXI secolo, di una più generale azione di valorizzazione dei simboli patri italiani, la festa è tornata a celebrazioni più ampie e diffuse.
100º anniversario
Le celebrazioni del centenario della vittoria del Regno d'Italia nella Grande Guerra, portate a festività nazionale il mese prima, sono iniziate già la serata del 3 novembre 2018 con la consegna delle insegne dell'Ordine Militare d'Italia da parte del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, di cui è istituzionalmente Gran Maestro, al Quirinale.
Il 4 novembre 2018 sono continuate nella deposizione di una corona d'alloro al Milite Ignoto dell'Altare della Patria a Roma da parte del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e delle altre massime cariche dello stato, seguita dalla visita ufficiale al Sacrario di Redipuglia per poi spostarsi, a conclusione, in Piazza Unità d'Italia a Trieste.
Nella città storica, insieme a Trento, dell'irredentismo italiano, dopo i discorsi della varie autorità presenti, si è svolta la presentazione delle bandiere di guerra ed una rievocazione in divise storiche dello sbarco dei bersaglieri nel porto della città, evocato tramite il mezzo da sbarco "San Marco" della Marina Militare (che presenziava anche con la fregata Luigi Rizzo), seguito a conclusione da dei colpi d'artiglieria a salve verso il mare e dal passaggio delle Frecce Tricolori.
Contestazioni
Durante la stagione dei movimenti giovanili del Sessantotto, la festa delle forze armate è andata incontro a contestazioni di varia matrice politica.
Specialmente nella seconda metà degli anni sessanta e nella prima metà degli anni settanta, in occasione del 4 novembre, il movimento radicale, gruppi dell'estrema sinistra e gruppi appartenenti al "cattolicesimo dissidente" hanno dato vita a contestazioni per chiedere il riconoscimento del diritto all'obiezione di coscienza o per attaccare in generale l'istituzione militare.
Spesso la contestazione veniva portata avanti attraverso la distribuzione di volantini o l'affissione di manifesti polemici nei confronti delle forze armate. Non di rado i contestatori venivano perseguiti per l'offesa all'onore e al prestigio delle forze armate, e per istigazione dei militari alla disobbedienza.
Il significato della parola “PATRIA” da una riflessione del prof. Giovanni Vernì:
“LA PATRIA IN QUARANTENA”
“””“Patria parens omnium nostrum est”””” (Cic.)
- (La patria è la madre di noi tutti).
Mentre sempre più preoccupante si fa lo scadimento di non pochi valori fondamentali del viver civile (e della stessa sacralità della Storia umana), riesce quanto meno strana, amara ed illogica la messa in quarantena di talune parole che meglio li rappresentano, specie di quelle che invece dovrebbero meritare di essere rispettate onde conservare inalterati pregio, onore e nitore.
Tra le più prese di mira, le più bersagliate, le più osteggiate, le più incomprese e, anche, le più irrise, quasi che essa sia una sorta di appestato o di untore di manzoniana memoria da fuggire, da bandire o da relegare in un lazzaretto ad ogni costo, trovo, con mio sommo rammarico e stupore, la parola Patria (che scrivo con la maiuscola come la si scriveva nei periodi di maggiore fulgore).
Nasce codesta avversione, che è anche voltafaccia, ostracismo, dalla falsa convinzione ch’essa sia simbolo e coagulo di retorica e da una singolare improvvisa folata di antipatia, da un inatteso sussulto di orgoglio frustrato da secoli di sudditanza, da una sorta di curiosa involuzione dell’atteggiamento umano (“Oh, forze mirabili e dolorose, - direbbe il Manzoni (Pr.Sp.XXXII) – d’un pregiudizio generale!”, ma, si potrebbe anche aggiungere, soprattutto, dalla scarsa conoscenza che certamente si ha del suo vero D.N.A. – come oggi si usa dire – o codice genetico o “acido desossiribo nucleico”.
Insomma – ma non ne sono del tutto convinto – da incomprensione, (nel senso di non – comprensione o di mancanza di comprensione o di insufficiente comprensione).
Volendo, allora, ovviare a tutto questo stato di cose e dovendo necessariamente cercare di renderne più chiaro il significato, è d’uopo per noi chiedere aiuto all’etimologia, la scienza, cioè, che studia l’origine, la derivazione di un vocabolo. (Non salgo, o risalgo, in cattedra, per questo, ma resto in piedi, in mezzo agli alunni, tra i banchi, con loro, come facevo una volta, quando spiegavo, prima che agli altri, a me stesso).
Come ben si vede anche da questi due ultimi versi, nell’esprimere un identico pensiero, entrambi i poeti, pur così distanti nel tempo (circa settecento anni, se non andiamo errati) usarono la stessa parola, anche se con grafìa diversa, la parola: Patria.
La quale, pur diversa nella grafìa, denota un’unica origine, un unico tema, un’unica radice, che è “patri” per il latino, “πατρ” per il greco; o, più brevemente,: ”Pat” o “πατ”, che si ritrovano nel nome da cui derivano:”pater, patris”(latino); “πάτήρ, πατρός” (greco) [rad. “Pa o “πα” da “pasco,is (mi nutro) e da “πατέομαι” (mi nutro, mi cibo, mangio] e che significa, sia nell’una che nell’altra lingua, l’avo, il padre, l’antenato, il quale, come tutti ben sappiamo, è la persona, la prima persona, della nostra famiglia, verso la quale un figlio deve, ab immemorabili (da tempo immemorabile) rispetto, amore, onore e verso la quale la Tavola della Legge del cristiano impone, come massima, come 4° Comandamento “Onora il Padre e la Madre”.
Estendendo la nostra ricerca nell’ambito della grammatica latina, troviamo, poi, che la parola, incriminata ed osteggiata “patria”, in origine, non era usata come nome, ma come aggettivo e seguiva sempre il nome astratto res, rei e significa la cosa paterna, la cosa del padre; e ciò in analogia con altri nomi, come, ad es.: Res publica = la cosa pubblica, lo Stato, la repubblica, il governo; res rustica = la cosa rustica, l’agricoltura; res divina = la cosa divina, la cerimonia sacra, il sacrificio; res frumentaria = le vettovaglie, i viveri; res militaris = l’arte della guerra, la pratica militare, ecc…ecc…
Scomparso, nell’uso, il nome res, l’aggettivo patria restò e da solo venne adoperato nel significato originario e letterale di patria e cioè cosa del padre o dei padri e, in senso lato, di luogo o luoghi, terra o terre dove sono nati e vissuti i nostri padri, i nostri avi, i nostri antenati, i nostri progenitori, i padri, gli avi, gli antenati, i progenitori di tutti noi che formiamo la comunità nazionale. La Patria, insomma, è la cosa o la casa di tutti.
Se è questo, come è questo, il significato vero, letterale, della nostra bella parola, se è questo, come è questo – e l’abbiamo ampiamente ed irrefutabilmente dimostrato, il suo vero D.N.A.; se è vero, come è vero che la Patria impersona (o è impersonata da) incarna (o è incarnata da), rappresenta (o è rappresentata da), uomini e cose della nostra piccola famiglia (padri, madri, nonni, bisnonni), ma anche cimiteri, chiese, monumenti, paesi, città, stato, territorio, capitale, gente, nazione, nome, bandiera, storia, glorie, memorie, tradizioni, passato, presente ed altro ancora; se è vero come è vero che Patria indica o viene a indicare il luogo dove sono nati e cresciuti i nostri antenati, i nostri amici, i nostri conoscenti; il luogo dove risiedono tutte le nostre persone più care, lo Stato cui è stato imposto il nome Italia; allora è giusto e doveroso che ogni prevenzione nei suoi confronti cada; che l’odiosa quarantena o delegittimazione cessi e che questa magnifica parola torni a inquietare, a interrogare, a risplendere nella nostra lingua del fulgore della sua immensa sacralità, fatta di tre cose fondamentali per ciascuno di noi: il senso dello Stato, la fedeltà ai valori nazionali, l’amore per la Bandiera: senza più pregiudizi, senza tentennamenti, senza falsi pudori, senza preclusioni ideologiche, soprattutto e prima di tutto, in ogni momento.
La Patria - lo sappiamo tutti - va onorata e rispettata sempre, in pace come in guerra, in umiltà e silenzio.
Con gioia e con spontaneità; come una volta. Come facevano i martiri d’un tempo. Come hanno fatto e fanno i veri patrioti. Come Pasqualino, se è lecito qui nominarlo, come i Caduti del 26 giugno della nostra martoriata città, come i “V.U.” del ’40 –‘45.
Ora, il tempo passa. Cambiano le stagioni, Cambiano gli anni. Cambiano i millenni. Cambiano gli uomini. Cambiano le mode. Mutano le idee. Crollano le ideologie e i muri. Mutano i costumi. Ma la «Patria» resta. Non la si può ignorare. Tanto vero, che torna a far parlare di sé:
Scrive, infatti, il Righetto (Avvenire, marzo 2001): “Dopo un ostracismo durato lunghi decenni, - fino a pochi anni fa, chi faceva uso della parola “patria” passava facilmente, a dir poco, per “passatista”, “retrogrado”, se non addirittura, per “fascista” oppure per “studentello di scuola media” non ancora smaliziato, non ancora aperto al “credo” corrente – qualcuno timidamente ne riparla, ne riscopre l’antico valore…”
Di “patria”, infatti, parlano, scrivono un po’ tutti, oggi, non per moda, ma probabilmente per un istintivo spirituale bisogno di sapere, di capire, di approfondire il nostro passato, da quello più lontano a quello più recente.
Senza infingimenti, senza nascondimenti, senza coloriture o coperture politiche, senza più il velo delle passioni. Con il cuore in mano. Secondo verità e giustizia.
“Dopo un ostracismo durato lunghi decenni”, - ha annotato il Righetto (AVVENIRE, marzo 2001) -. Finalmente non passa più per fascista, retrogrado o ignorante chi fa uso per caso della parola “patria”…
…In nome di certo antifascismo, intere “fette di patria” non hanno avuto diritto di parola, sono state aristocraticamente ignorate, spesso delegittimate, talora censurate.
Solo il lavoro di alcuni storici, in primis Renzo De Felice, ha contribuito ad incrinare non la Resistenza (esperienza fondamentale che consentì all’Italia l’approdo alla democrazia), ma quel mito che le fu costruito d’intorno da parte della “vulgata storiografica dominante”. E quando parliamo di intere “fette di patria” ci riferiamo anche ad ampi settori del corpo elettorale…ed ai credenti che concretamente operarono per evitare ulteriori fratture”.
Di “patria” si occupa, spesso e volentieri, oggi, anche l’attuale Capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi. E, a sentire chi ben lo conosce, lui lo fa con animo sincero, perché Egli nella patria crede veramente, perché vuole rendere più unita la grande famiglia ch’egli si trova a guidare e rappresentare, perché, guardando al futuro europeo della patria italiana e volendo che gli italiani diventino veramente e concretamente cittadini europei a tutti gli effetti, desidera che essi riscoprano, senza false apparenze, il valore ed il significato della bella parola “patria”.
La fece una prima volta, per opporsi fermamente alla nota tesi dell’editorialista del “CORRIERE DELLA SERA” Galli della Loggia, che sosteneva, senza alcun vero fondamento “che la “patria” era morta all’indomani dell’8 settembre ’43 e che di essa non esisteva più alcuna traccia. La “patria”, sostiene il Presidente della Repubblica, e con ragione, è sempre esistita e sempre esisterà nell’animo di tutti noi.
Lo ha fatto, di recente, altre due volte:
- Nella prima, per sostenere che i volontari che avevano combattuto per la Repubblica di Salò “erano sicuramente animati da amor di patria”;
- Nella seconda, per auspicare che in ogni casa sia tenuto ed esposto alla finestra il tricolore in occasione di storiche ricorrenze o di significativi eventi della vita nazionale; che si onorino sempre e dovunque i simboli della “patria”; che se ne canti con vero sentimento e senza falso pudore l’inno nazionale come espressione dell’unità e della storia della nostra “casa o patria” comune.
E, quando diciamo “cosa, casa, patria comune”, intendiamo dire, ripetendo cose già dette in questa sede, in questo stesso medaglione, “cosa, casa, patria” posseduta, avuta, abitata, appartenuta, comune ai nostri padri [dal latino “communis”, che compie il suo incarico (munis e munus) insieme con (cum) altri], che è pertinente a più persone o cose: insomma che si appartiene a tutti. A tutti gli Italiani, proprio a tutti: del nord o del sud; guelfi o ghibellini; fascisti o antifascisti; democratici o antidemocratici; monarchici o repubblicani; civili o militari.
Epperciò:
Sia a “quei militari”, maggioritari che, colti di sorpresa, storditi dalla rapidità degli eventi posteriori all’8 settembre, non essendo appunto indottrinati dalle nuove ideologie o non volendo, come allora si desiderava e si pretendeva, “mutare schieramento” quasi che essi fossero semplici “banderuole al vento”, fedeli al giuramento solennemente prestato ed al senso dell’onore, per fedeltà scelsero di continuare a combattere “in ispirito” la stessa guerra iniziata nel 1940. Combattendo la quale, essi “non avevano creduto di servire”, come erroneamente qualcuno afferma, oggi, ma “avevano di fatto servito” la patria; nella buona come nella cattiva sorte; da vincitori o da vinti;
Sia a quegli altri, minoritari che, “per fede” o per altro, scelsero di proseguirla, invece, o a fianco dei partigiani contro i nazifascisti o a fianco dei “repubblichini” contro gli alleati anglo-americani.
“Gli uni e gli altri, diversi e divisi, sì, nel comportamento e nelle scelte individuali – annota nel suo saggio C. VALLAURI - ma simili e concordi nella comune volontà di riscatto e nella ribellione morale”. “Le virtù individuali, in quei delicati frangenti del dopo l’8 settembre furono alla base – come osserva F. Perfetti - del desiderio di recuperare o far riacquistare all’Italia la sovranità e l’indipendenza perdute con l’armistizio, per cui l’8 settembre non significò affatto la “morte della patria”, anzi, in molti casi, fu la “riscoperta della Patria”.
E, giacché ci siamo, per farvi meglio capire quale rispetto, quanta venerazione si avesse nel passato per quella che abbiamo detto essere la “casa comune” di tutti trovo utile e profittevole richiamare alla memoria, leggervi, una bella pagina di storia dell’ultima Grande Guerra, troppo precipitosamente tolta di mezzo, archiviata, cancellata dal Libro della Storia, a torto ritenuta “scomoda o disdicevole”, raccontare un significativo gesto, individuale e collettivo, di cui attrice e protagonista fu la gioventù studiosa d’Italia.
Quando, ad ostilità appena iniziate, tra la fine del ’40 e il principio del ’41, si cominciò a capire in quale brutta avventura si era incautamente cacciato il nostro Paese e con quali e quanti nemici esso avesse a che fare, gli universitari d’Italia, che per legge erano dispensati dal servizio militare sino al 26° anno di età, non intendendo lasciare ulteriormente solo il loro Paese in una lotta immane, lunga e feroce, liberamente, spontaneamente, rinunziarono al beneficio di cui godevano e, arruolati che furono nell’esercito combattente, spesero da allora in poi ogni loro energia in difesa della “casa comune” ovverosia di un nobile “ideale di vita”, quello stesso che aveva animato gli eroi di “Curtatone e Montanara”, qual che fosse il colore del manto da lei - “la Patria” – indossato.
Fu “in quello spirito” che centinaia, migliaia di studenti, chiusi i libri e resi deserti gli atenei diventarono, dalla sera al mattino, “volontari universitari” o “v.u., come più brevemente e più vezzosamente essi si facevano riconoscere, mostrando le due lettere abbreviate ricucite sul risvolto delle maniche della giacca militare.
Fu così che distretti militari, caserme reggimentali, treni, traghetti, vie e piazze di paesi e di città, si riempirono di brio e di vitalità nuova, di “goliardia” gioiosa ed amorevole.
Fu così che i campi di battaglia d’Europa e d’Africa s’irrorarono, a più riprese, se non del sangue, almeno di un nobile sentire e soffrire.
Infatuazione, spavalderia, servile acquiescenza? No.
Direi piuttosto consapevolezza, coerenza, sentimento, atto dovuto!
C’erano, ricordo, tra essi, e non potevano mancare, tanti, tutti i compagni d’infanzia: i Michele Saliani, i Minguccio Novielli, i Minguccio Lobalsamo, i Cosimino Losurdo, i Giuseppino Adamo (di Luigi), i Franchino Novielli, i Dettino Mondelli, i Franchino Perna, i fratelli Tassielli, Vito Rocco Stangarone ecc. ecc.
C’erano tanti compagni di liceo e di università, di Bari e provincia: i Giovanni Immediato, i Fiore, i Pappalettera, i Franco Ricciardi (sposo felicissimo di Lina Maldari e padre amatissimo dell’avv. Vincenzo Ricciardi del Foro barese, di Enza, Mimmo, Gigi) – (Ah, come mi manchi, caro ed indimenticabile compagno di scuola, inseparabile amico, così provato e segnato dal gelo di Russia!) Ed altri ancora.
C’ero anch’io: fresco laureato, geniere reggimentale, “penna nera” della “JULIA”, intendente d’Armata.
Come ben dimostrano le foto della pagina qui accanto.
Intanto, mentre l’“ammalata” – la “Patria” – se ne sta ancora sotto osservazione e il nuovo bollettino medico tarda a venir fuori, l’opinione pubblica si domanda:
Resipiscenza? Ripensamento? Fine della “quarantena”?
“Timeo ne non” mi vien fatto di rispondere con l’antico saggio latino e, sapete perché?
Perché “non abbiamo il senso unitario e condiviso del concetto di patria” come ha, di recente, acutamente osservato l’ex presidente della Repubblica on. Francesco Cossiga, che ha anche aggiunto: “E’ un male che ci portiamo dentro dal Risorgimento per diversi motivi: per la rottura fra cattolici e laici; per l’Unità fatta attraverso la diplomazia e le armi (cioè senza la partecipazione diretta del popolo); per la manipolazione della Storia della conquista del sud. Giolitti si era messo su una strada costruttiva, ma poi è venuta la guerra (1ª Guerra Mondiale) che ha ulteriormente diviso gli Italiani fra neutralisti e interventisti; è venuto il Fascismo che ha diviso gli Italiani fra buoni e cattivi; è arrivata la “morte della Patria” con l’8 settembre. In seguito c’è stata l’ulteriore manipolazione storica che ci ha messo fra i vincitori della guerra. Non è vero, siamo fra gli sconfitti”;
Perché…il corpo sociale della nostra Comunità…non ha smaltito del tutto le numerose tossine accumulate in tanti anni di “delegittimazione” della nostra pur bella e antica parola e di “rimozione” o “sconfessione” del Passato che la incarna.
ENGLISH
NOVEMBER 4, 1918 - NOVEMBER 4, 2020: THE MUTILATED RECORENCE
This anniversary has been for many years the feast of "VITTORIA" and the return to national unity. For some years now, a political class has called it "The Day of National Unity and Armed Forces".
The VITTORIA Festival was established in 1919 to commemorate the Italian victory in the First World War, a war event considered the completion of the Risorgimento unification process. The feast is on 4 November, the date of the entry into force of the armistice of Villa Giusti (signed on 3 November 1918) and the surrender of the Austro-Hungarian Empire.
History
Established in 1919, the celebration of November 4th is the only national holiday that has spanned decades of Italian history: from the liberal age, to Fascism, to Republican Italy. In 1921, on the occasion of the celebration of the Day of National Unity and Armed Forces, the Unknown Soldier was solemnly buried at the Altar of the Fatherland in Rome.
In 1922, shortly after the march on Rome, the feast changed its name to Anniversary of Victory, thus assuming a name characterized by a strong reference to the military power of Italy, while after the end of the Second World War, in 1949, the meaning of the feast became again the celebration of the Italian Armed Forces and the completion of the Unification of Italy.
In fact, with the victory in the First World War, Italy completed national unity, which began with the Risorgimento, with the annexation of Trento and Trieste, so much so that this conflict is considered the fourth Italian War of Independence, although today this term has lost its relevance, without disappearing.
Until 1976, 4 November was a public holiday. Since 1977, in the midst of austerity, due to the reform of the bank holiday calendar introduced by Law no. 54 of 5 March 1977, the anniversary has been made a "moving feast", with celebrations still taking place on the first Sunday of November.
During the eighties and nineties its importance in the national festivities declined, but in the two thousand years, thanks to the impulse given by the former President of the Republic Carlo Azeglio Ciampi, who was the protagonist, at the beginning of the XXI century, of a more general action of valorization of the Italian patriotic symbols, the festivity returned to wider and more widespread celebrations.
100th anniversary
The celebrations for the centenary of the victory of the Kingdom of Italy in the Great War, brought to national holidays the month before, began on the evening of 3 November 2018 with the handing over of the insignia of the Military Order of Italy by the President of the Republic Sergio Mattarella, of which he is institutionally Grand Master, to the Quirinale.
On 4 November 2018, the ceremony continued with the deposition of a laurel wreath to the Unknown Soldier of the Altar of the Fatherland in Rome by the President of the Republic Sergio Mattarella and the other highest offices of the state, followed by an official visit to the Redipuglia Shrine and then, at the end, to Piazza Unità d'Italia in Trieste.
In the historical city, together with Trento, of Italian irredentism, after the speeches of the various authorities present, there was the presentation of the flags of war and a re-enactment in historical uniforms of the landing of the bersaglieri in the port of the city, evoked by the landing craft "San Marco" of the Navy (which was also present with the frigate Luigi Rizzo), followed at the end by artillery shots towards the sea and the passage of the Frecce Tricolori.
Challenges
During the season of the youth movements of the Sixty-eighth century, the party of the armed forces met with protests of various political origins.
Especially in the second half of the sixties and in the first half of the seventies, on the occasion of the 4th of November, the radical movement, groups of the extreme left and groups belonging to the "dissident Catholicism" gave rise to protests to demand the recognition of the right to conscientious objection or to attack the military institution in general.
Often the protest was carried out through the distribution of leaflets or the posting of polemical posters against the armed forces. Not infrequently the protesters were prosecuted for offending the honour and prestige of the armed forces, and for inciting the military to disobedience.
The meaning of the word "PATRIA" from a reflection of Prof. Giovanni Vernì:
"THE HOMELAND IN QUARANTINE"
""""Patria parens omnium nostrum est"""" (Cic.)
- (The homeland is the mother of us all).
While more and more worrying is the deterioration of many of the fundamental values of civil life (and of the very sacredness of human history), the quarantine of certain words that best represent them, especially those that should deserve to be respected in order to preserve their value, honour and clarity, is at least strange, bitter and illogical.
Among the most targeted, the most targeted, the most opposed, the most misunderstood and even the most mocked, almost as if it were a sort of plague or a manzonian memory to flee, to banish or to relegate to a lazaret at any cost, I find, to my great regret and amazement, the word Patria (which I write in capital letters as it was written in the periods of greatest splendour).
This aversion is born, which is also a turnabout, ostracism34 , from the false conviction that it is a symbol and a clot of rhetoric and from a singular sudden burst of dislike, from an unexpected shudder of pride frustrated by centuries of subjection, from a sort of curious involution of the human attitude ("Oh, admirable and painful forces, - Manzoni would say (Pr. Sp.XXXII) - of a general prejudice!", but, one could also add, above all, by the scarce knowledge one certainly has of his true D.N.A. - as we say today - or genetic code or "nucleic deoxyribo acid".
In short - but I am not completely convinced of it - by misunderstanding, (in the sense of not - understanding or lack of understanding).
Wanting, then, to obviate all this state of affairs and necessarily having to try to make its meaning clearer, it is appropriate for us to ask for help from etymology, science, that is, which studies the origin, the derivation of a word. (I do not go up, or climb, to the desk for this, but I stand, among the pupils, between the desks, with them, as I used to do, when I explained, before others, to myself).
As we can see also from these last two verses, in expressing an identical thought, both poets, even if so far apart in time (about seven hundred years, if we are not mistaken) used the same word, even if with different graphics, the word: Homeland.
The word Patria, although different in the graphìa, denotes a single origin, a single theme, a single root, which is "patri" for Latin, "πατρ" for Greek; or, more briefly, "Pat" or "πατ", which are found in the name from which they derive: "pater, patris" (Latin); "πάτήρ, πατρός" (Greek) [rad. "Pa or "πα" from "pasco,is (I feed) and from "πατέομαι" (I feed, I eat) and which means, in both languages, the forefather, the father, the ancestor, who, as we all know, is the person, the first person, of our family, towards which a child must, ab immemorial (from time immemorial) respect, love, honour and to which the Table of the Law of the Christian imposes, as a maxim, the 4th Commandment "Honour the Father and the Mother".
Extending our research in the field of Latin grammar, we find, then, that the word, incriminated and opposed "homeland", originally, was not used as a name, but as an adjective and always followed the abstract name res, guilty and means the paternal thing, the thing of the father; and this in analogy with other names, such as, for example, the "father". res publica = the public thing, the state, the republic, the government; res rustica = the rustic thing, agriculture; res divina = the divine thing, the sacred ceremony, the sacrifice; res frumentaria = the victuals, the food; res militaris = the art of war, the military practice, etc., etc.
Disappeared, in use, the name res, the adjective patria (homeland) remained and alone was used in the original and literal meaning of patria (homeland) and, in the broadest sense, of place or places, land or lands where our fathers, ancestors, ancestors, ancestors, progenitors of all of us who form the national community were born and lived. The Homeland, in short, is the thing or the home of all.
If it is this, as it is this, the true, literal meaning of our beautiful word, if it is this, as it is this - and we have amply and irrefutably demonstrated it - its true D.N.A. If it is true, as it is true that the Homeland embodies (or is embodied by), represents (or is represented by), men and things of our little family (fathers, mothers, grandparents, great-grandparents), but also cemeteries, churches, monuments, towns, cities, state, territory, capital, people, nation, name, flag, history, glories, memories, traditions, past, present and more; if it is true as it is true that Patria indicates or comes to indicate the place where our ancestors, our friends, our acquaintances were born and grew up; the place where all our dearest and dearest people reside, the State on which the name Italy has been imposed; then it is right and proper that any prevention against it should fall; that the hateful quarantine or delegitimization should cease and that this magnificent word should return to disturb, to question, to shine in our language of the splendour of its immense sacredness, made up of three fundamental things for each of us: the sense of the State, fidelity to national values, love for the Flag: without prejudice, without hesitation, without false modesty, without ideological preclusions, above all and first of all, at all times.
The Fatherland - we all know it - must be honoured and respected at all times, in peace as in war, in humility and silence.
With joy and with spontaneity; as it once was. Like the martyrs of the past. As true patriots did and do. Like Pasqualino, if it is lawful here to name him, like the Fallen of the 26th June of our tormented city, like the "V.U." of '40 -'45.
Now, time passes. The seasons change, the years change. The millennia change. Men change. Fads change. Ideas change. Ideologies and walls collapse. Costumes change. But the "Homeland" remains. It cannot be ignored. So true that it returns to make people talk about it:
In fact, the Righetto (Avvenire, March 2001) writes: "After an ostracism that lasted for decades, - until a few years ago, those who used the word "homeland" passed easily, to say the least, for "passtista", "retrograde", if not even, for "fascist" or "middle school student" not yet crafty, not yet open to the current "creed" - some shyly talk about it, rediscover its ancient value...".
In fact, everyone speaks and writes about "homeland" today, not because of fashion, but probably because of an instinctive spiritual need to know, to understand, to deepen our past, from the most distant to the most recent one.
Without pretence, without concealment, without colouring or political cover-up, without the veil of passions. With the heart in our hands. According to truth and justice.
After an ostracism that lasted for decades," noted the Righetto (AVVENIRE, March 2001), "at last no longer passes for fascist, retrograde or ignorant those who use the word "homeland"...
...In the name of certain anti-fascism, entire "slices of the homeland" have had no right to speak, have been aristocratically ignored, often delegitimised, sometimes censored.
Only the work of some historians, first of all Renzo De Felice, has contributed to the crack not of the Resistance (a fundamental experience that allowed Italy to reach democracy), but of the myth that was built around it by the "dominant historiographical vulgate". And when we speak of entire "slices of the homeland" we also refer to large sectors of the electoral body...and to the believers who concretely worked to avoid further fractures”.
The current Head of State, Carlo Azeglio Ciampi, often and willingly deals with "homeland". And, listening to those who know him well, he does so with a sincere soul, because he truly believes in the homeland, because he wants to make the great family he is leading and representing more united, because, looking at the European future of the Italian homeland and wanting the Italians to become truly and concretely European citizens to all effects, he wants them to rediscover, without false appearances, the value and meaning of the beautiful word "homeland".
He made it for the first time, to firmly oppose the well-known thesis of the columnist of the "CORRIERE DELLA SERA" Galli della Loggia, who claimed, without any real foundation "that the "patria" had died the day after September 8th '43 and that there was no trace of it anymore. The "homeland", the President of the Republic maintains, and with reason, has always existed and will always exist in the minds of all of us.
He has done so, recently, two other times:
The first time, to claim that the volunteers who had fought for the Republic of Salò "were certainly animated by love of country";
In the second, to hope that in every house the tricolour will be held and displayed at the window on the occasion of historical anniversaries or significant events in national life; that the symbols of the "homeland" will always be honoured everywhere; that the national anthem will be sung with true feeling and without false modesty as an expression of the unity and history of our common "home or homeland".
And, when we say "what, house, common homeland", we mean, repeating things already said here, in this same medallion, "what, house, homeland" possessed, had, inhabited, belonged, common to our fathers [from the Latin "communis", which carries out its task (munis and munus) together with (cum) others], which is pertinent to several people or things: in short, that one belongs to all. To all Italians, to everyone: from the North or South; Guelphs or Ghibellines; fascists or anti-fascists; democrats or anti-democrats; monarchists or republicans; civilians or soldiers.
And so it was:
Both "those military men", majority soldiers who, taken by surprise, were stunned by the rapidity of the events after September 8th, not being indoctrinated by the new ideologies or not wanting, as was then desired and demanded, to "change sides" as if they were simple "weathercocks in the wind", faithful to their solemn oath and sense of honour, out of fidelity they chose to continue to fight "in spirit" the same war begun in 1940. By fighting it, they "did not believe they were serving", as some mistakenly say, today, but "had in fact served" their country; for better or for worse, as winners or losers;
Both those others, minorities who, "by faith" or otherwise, chose to continue it, instead, either alongside the partisans against the Nazi-Fascists or alongside the "republicans" against the Anglo-American allies.
"One and the other, different and divided, yes, in individual behaviour and choices - he notes in his essay C. VALLAURI - but similar and in agreement in the common desire for redemption and moral rebellion". "The individual virtues, in those delicate circumstances after 8 September, were at the basis - as F. Perfetti observes - of the desire to recover or make Italy regain the sovereignty and independence lost with the armistice, so that 8 September did not mean at all the "death of the homeland", on the contrary, in many cases, it was the "rediscovery of the Homeland".
And, since we are here, to make you better understand what respect, how much veneration there was in the past for what we said was the "common house" of all, I find it useful and profitable to recall and read to you a beautiful page of history of the last Great War, too hastily taken out of the way, archived, erased from the Book of History, wrongly considered "inconvenient or disgraceful", to tell a significant gesture, individual and collective, of which the actress and protagonist was the young scholar of Italy.
When, with hostilities that had just begun, between the end of 1940 and the beginning of 1941, we began to understand what a bad adventure our country had recklessly embarked upon and with what and how many enemies it had to deal with, the university students of Italy, who by law were exempt from military service until the age of 26, did not intend to leave their country alone in a huge struggle, long and ferocious, freely, spontaneously, they renounced the benefit they enjoyed and, enlisted in the fighting army, from then on they spent all their energy in defence of the "common house" or rather of a noble "ideal of life", the same one that had animated the heroes of "Curtatone and Montanara", whatever the colour of the mantle she wore - "the Homeland".
It was "in that spirit" that hundreds, thousands of students, closed their books and made the universities deserted became, from evening to morning, "university volunteers" or "v.u.", as they were more briefly and more charmingly known, showing the two abbreviated letters sewn on the sleeves of the military jacket.
In this way, military districts, regimental barracks, trains, ferries, streets and squares in towns and cities were filled with new vitality and vitality, with joyful and loving "goliardia".
It was in this way that the battlefields of Europe and Africa sprinkled, on several occasions, if not with blood, at least with a noble feeling and suffering.
Infatuation, bravado, servile acquiescence? No.
I would rather say awareness, coherence, sentiment, due act!
There were, I remember, among them, and they could not miss, many, all their childhood companions: Michele Saliani, Minguccio Novielli, Minguccio Lobalsamo, Cosimino Losurdo, Giuseppino Adamo (di Luigi), Franchino Novielli, Dettino Mondelli, Franchino Perna, the Tassielli brothers, Vito Rocco Stangarone etc. etc..
There were many companions from high school and university, from Bari and its province: Giovanni Immediato, Fiore, Pappalettera, Franco Ricciardi (very happy husband of Lina Maldari and beloved father of Vincenzo Ricciardi of Foro Bari, Enza, Mimmo, Gigi) - (Ah, how I miss you, dear and unforgettable school friend, inseparable friend, so tried and marked by the frost of Russia!) And others.
I was there too: fresh graduate, regimental sapper, "black pen" of "JULIA", Army intendant.
As well demonstrated by the photos on the next page.
Meanwhile, while the "sick" - the "Homeland" - is still under observation and the new medical bulletin is late to come out, public opinion is wondering:
Respience? Afterthought? End of "quarantine"?
"Timeo ne ne" I am asked to answer with the ancient Latin essay and, do you know why?
Because "we do not have the unitary and shared sense of the concept of homeland" as the former President of the Republic, Hon. Francesco Cossiga, who also added: "It is an evil that we have brought in since the Risorgimento for various reasons: for the break between Catholics and lay people; for the Unity made through diplomacy and arms (i.e. without the direct participation of the people); for the manipulation of the History of the conquest of the South. Giolitti had set out on a constructive path, but then came the war (1st World War) which further divided the Italians between neutralists and interventionists; Fascism came which divided the Italians between good and bad; the "death of the Fatherland" with 8th September. Then there was the further historical manipulation that put us among the winners of the war. It is not true, we are among the defeated";
Because...the social body of our Community...has not completely disposed of the numerous toxins accumulated in so many years of "delegitimization" of our beautiful and ancient word and of "removal" or "defeat" of the past that embodies it.
(Web, Google, Wikipedia, Prof. Giovanni Vernì, You Tube)
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