Mario Castoldi (Zibido San Giacomo, 26 febbraio 1888 – Trezzano sul Naviglio, 31 maggio 1968) è stato un ingegnere italiano, importante progettista aeronautico.
BIOGRAFIA
Nacque a Zibido San Giacomo (Milano) il 26 febbr. 1888 da Giovanni e Rosa Rossi. Laureatosi in ingegneria al politecnico di Milano nel 1913, allo scoppio della prima guerra mondiale entrò come sottotenente di complemento nei servizi tecnici dell'aeronautica, e subito dopo alla direzione tecnica dell'aviazione militare in Torino. Nel 1916, promosso tenente, fu comandato presso le officine della Società Pomilio, e l'anno dopo nominato addetto al settore aeroplani presso l'ufficio tecnico della stessa società. Nel 1911 venne trasferito alla direzione sperimentale dell'aviazione militare presso il campo di Montecelio (Roma), poi all'istituto sperimentale aeronautico, ove condusse a termine una serie di studi. È del 1921 il progetto di un aereo di grosso tonnellaggio, il biplano quadrimotore terrestre Breda-Castoldi (800 CV, 6.400 kg di peso totale in volo) previsto, nelle versioni passeggeri e bombardamento; la costruzione, iniziata nella primavera del 1922 dalla Breda Aeronautica, fu poi sospesa.
Nel settembre 1922 il C. passò come progettista alla Società anonima Nieuport Macchi (divenuta in seguito Aeronautica Macchi S.p.A.) di Varese, della quale sarà direttore tecnico fino alla fine della seconda guerra mondiale (1945). Dopo aver iniziato collaborando con l'ing. A. Tonini alla realizzazione dell'idrosilurante bimotore M. 24, a partire dal tipo M. 26 fino allo MC. 206 tutti i progetti della ditta portarono solo la sua firma. A questi vanno aggiunti gli studi e i progetti non passati in produzione, compresi quelli per il caccia MC. 207 (motore D.B. 603 da 1.500 CV) del quale erano stati ultimati i disegni costruttivi. La sigla MC (Macchi-Castoldi) contraddistinse gli aeroplani progettati dal C. a partire dal prestigioso MC. 72 del 1931 fino allo MC. 207 del 1944.
La gran mole di lavoro del C. riguardò principalmente due settori: gli idrovolanti da corsa (1925-1931) e gli aerei da caccia (1935-1943). Un terzo settore d'attività, intermedio ai due periodi, si tradusse in progetti e costruzioni di idrovolanti, di aerei anfibi e terrestri per impieghi vari, civili e militari.
Dall'autunno del 1924 il C. fu incaricato della progettazione degli idrocorsa per la annuale competizione internazionale Coppa Schneider, nella cui edizione del 1921 la casa Macchi si era classificata al primo posto con l'M. 7. Gli idrovolanti, tutti monoplani, furono: l'M. 33 (ultimo idrocorsa italiano a scafo centrale, motore Curtiss D. 12 da 400 CV, anno 1925,30 arrivato); l'M. 39 (primo idrocorsa italiano a galleggianti, motore Fiat A. S. 2 da 800 CV, anno 1926, vincitore della Coppa e di altri primati); l'M. 52 (motore Fiat A. S. 3 da 1.000 CV, anno 1927, primato di velocità sulla base di 3 km.); l'M. 52 R (M. 52 a cellula ridotta anno 1927,primato di velocità sulla base di 3 km nel 1928, e 2º arrivato alla Coppa del 1929); l'M. 67 (motore I. F. Asso 2-800 da 1.400 CV, anno 1929, primato di velocità sulla base di 3 km; l'MC. 72 (motore Fiat A. S. 6 da 2.300 CV, anno 1931, primato di velocità nel 1933 sulla base di 3 km, e sui 100 km; vincitore nel 1933 della Coppa di velocità L. Blériot); l'MC. 72 (motore potenziato Fiat A. S. 6 da 2.800 CV, anno 1933, record mondiale di velocità di 709, 209 km/h tuttora imbattuto nella classe degli idrovolanti a motore alternativo, su base di 3 km).
L'MC. 72 non era stato messo a punto in tempo per la Coppa Schneider del 1931, e quell'anno il trofeo fu assegnato definitivamente alla Gran Bretagna, in quanto vincitrice per tre volte in cinque anni. Questo idrocorsa era dotato di un propulsore a due motori in tandem con due eliche trattive bipale coassiali controrotanti che, annullando l'effetto della coppia motrice e la sua influenza sullafase di decollo, consentirono la massima riduzione dei galleggianti diminuendo così la resistenza aerodinamica.
Altri velivoli costruiti nel periodo tra le due guerre mondiali su progetto del C. furono: l'M. 26 (prototipo di idrocaccia biplano, motore H. S. 42 da 300 CV,anno 1924); l'M. 40 (idrovolante ricognitore catapultabile per navi da guerra, motore Fiat A. 20 da 380 CV, anno 1928); l'M. 41 (prototipo del 1927) e l'M. 41 bis (idrocaccia biplano, motore Fiat A. 20 da 420 CV, anno 1928); l'M. 53 (prototipo di idromonoplano da ricognizione per imbarco su sommergibili, motore Cirrus Mark II da 75-80 CV, anno 1928); l'M. 70 (biplano biposto terrestre e idro, da turismo, motore Colombo S. 53 da 85 CV, anno 1928); l'M. 71 (prototipo di idrocaccia biplano, motore Fiat A. 20 da 420 CV, anno 1930); l'MC. 73 (biplano biposto terrestre e idro, da turismo, motore Colombo S. 63 da 120 CV, anno 1930); l'MC. 77 (idromonoplanoquadriposto da ricognizione e bombardamento, motore I. F. Asso 750 da 900 CV, anno 1935); l'MC. 94 (idromonoplano civile, 12passeggeri, versione anfibia, due motori Alfa Romeo 126R.C. 10 da 800 CV, anno 1936); l'MC. 99 (idromonoplano ricognitore, bombardiere e silurante, due motori I. F. Asso XI R. 2 C. 15 da 890 CV, anno 1937); l'MC. 100 (idromonoplano civile, 26passeggeri e 4 di equipaggio, tre motori Alfa Romeo 126 R. C10 da 800 CV, anno 1938).
La metodologia e la tecnologia elaborate per gli aerei da competizione consentirono al C. brillanti soluzioni per l'aereo da caccia, con un tipo nuovo per concezione aerodinamica, per struttura, per impiego di materiali e per adattamento alle necessità belliche dei reparti. I caccia progettati dal C., che costituirono la spina dorsale dell'aeronautica italiana nella seconda guerra mondiale, erano di tipo terrestre, con carrello retrattile, monoplani ad ala bassa a sbalzo, monomotore e monoposto.
Furono: l'MC. 200 Saetta (da caccia e assalto, motore Fiat A. 74 R. C. 38 da 840 CV, anno 1938, robustissimo, estremamente maneggevole e rapidissimo in salita); l'MC. 201 (motore Fiat A. 76 R. C. 40 S da 1.000 CV, anno 1940);
l'MC. 202 Folgore (motore Alfa Romeo R. A. 1.000 R. C. 41-1 da 1.000 CV, anno 1940); l'MC. 205 Veltro (caccia bombardiere, motore Fiat R. A. 1.050 R. C. 58 da 1.250 CV, anno 1942, tra i migliori velivoli da caccia della seconda guerra mondiale); l'MC. 205 N (motore Daimler Benz 605 A.R.C. 58 da 1.250 CV, anno 1942); l'MC. 206 (simile al 205 N, anno 1943, prototipo in fase di costruzione, distrutto nel 1944 per il bombardamento aereo degli stabilimenti).
Ritiratosi nel dopoguerra nella sua casa di Trezzano sul Naviglio (Milano), dove la passione per l'agricoltura, specie per la risicoltura, non gli impedì di continuare studi riguardanti la propulsione a reazione e gli aerei a getto, il C. vi morì il 31 maggio 1968.
Dopo la laurea lavora alla Direzione Tecnica dell'Aeronautica militare per poi passare alla Pomilio. Passa poi alla Direzione Sperimentale dell'aviazione militare a Montecelio (Roma) che di lì a qualche lustro diverrà l'embrione della "città dell'aeronautica" di Guidonia Montecelio.
L'anno 1922 lo vede approdare alla Nieuport Macchi. Ben presto comincia a progettare una fortunata serie di idrovolanti da velocità: i Macchi M..33, Macchi M..39, Macchi M..52, Macchi M..67, che lo porterà al suo capolavoro, il Macchi M.C.72, tuttora detentore del record di velocità per idroplani con propulsione a pistoni.
Si occupò per la stessa ditta anche della progettazione di idrovolanti di maggiori dimensioni, come il Macchi M.C.94, il Macchi M.C.99 e il Macchi M.C.100.
Passa poi alla progettazione di una famiglia di caccia che si riveleranno essere tra i migliori velivoli italiani della seconda guerra mondiale; dal suo tavolino da disegno prendono vita il Macchi M.C.200, il Macchi M.C.202, il Macchi M.C.205, il Macchi M.C.206, tutti caccia aerodinamicamente ottimi (a parte qualche iniziale problema di autorotazione dello M.C.200 presto risolto), molto manovrabili e dotati di una ridotta corsa di decollo.
Nelle relazioni compilate dagli alleati del tempo si fa menzione del Castoldi come uno dei migliori progettisti al mondo di velivoli. Nel 1945 si dimise da qualunque incarico, ritirandosi a vita privata.
17 novembre 1926: IL MACCHI-CASTOLDI M.39
17 novembre 1926: ad Hampton Roads, Virginia, il maggiore Mario de Bernardi, Regia Aeronautica , batté il proprio record, stabilito solo quattro giorni prima, quando volò con l'Aeronautica Macchi M.39, numero MM.76, verso una nuova Fédération Aéronautique Internationale (FAI) Record mondiale di velocità su un percorso di 3 chilometri con una velocità media di 416,62 chilometri orari (258,88 miglia orarie). L'aereo da corsa Macchi M.39 è stato progettato da Mario Castoldi. Era un monoplano monomotore con due pontoni o galleggianti. L'ala è controventata esternamente, ha un diedro di 0 ° e incorpora radiatori di superficie. L'M.39 era lungo 6,473 metri (22 piedi, 2,8 pollici) con un'apertura alare di 9,26 metri (30 piedi, 4,6 pollici) e un'altezza di 3,06 metri (10 piedi, 0,5 pollici). Il peso a vuoto dello Schneider Trophy racer era di 1.300 chilogrammi (2.866 libbre) e il suo peso lordo massimo era di 1.615 chilogrammi (3.560 libbre). L'M.39 era alimentato da un motore Fiat AS.2 60 ° DOHC V-12 raffreddato ad acqua, normalmente aspirato, da 31,403 litri (1.916,329 pollici cubi) a trasmissione diretta con un rapporto di compressione di 6: 1. Utilizzava tre carburatori e due magneti e produceva 882 cavalli a 2.500 giri / min. Il motore azionava un'elica metallica a due pale a passo fisso progettata dal Dr. Sylvanus A. Reed. Il motore AS.2 è stato progettato da Tranquillo Zerbi, basato sul motore D-12 della Curtiss Airplane and Motor Company. Il motore era lungo 1,864 metri (6 piedi, 1,4 pollici), largo 0,720 metri (2 piedi, 4,4 pollici) e alto 0,948 metri (3 piedi, 1,3 pollici). Pesava 412 chilogrammi (908 libbre). Il Macchi M.39 raggiungeva i 420 chilometri all'ora (261 miglia all’ora). Il Macchi M.39 MM.76 è nella collezione del Museo dell'Aeronautica Militare.
UN PROGETTO DELL’ING. CASTOLDI, AVVENIRISTICO PER L’EPOCA
Il Macchi-Castoldi M.C.72 è un idrocorsa (idrovolante da corsa) con configurazione "a scarponi" ideato nel 1930 come l'ultima speranza dell'Italia per la terza vittoria necessaria alla conquista della prestigiosa Coppa Schneider.
La preparazione della rivincita italiana cominciava nel 1930. Altissima la posta in gioco: cercare di battere gli inglesi, rimettendo così in gara il blasonato trofeo, e riportare a casa il primato mondiale di velocità, da sempre legato alla manifestazione.
Questo era il compito del R.A.V. (Reparto Alta Velocità) di Desenzano del Garda, che iniziò subito la selezione dei piloti che avrebbero portato in gara il futuro bolide. Intanto a Roma si davano disposizioni per la macchina e il motore; la maggiore esperienza in campo di idrocorsa era sicuramente appannaggio della Fiat per il motore e della Macchi per la cellula e furono queste le due ditte sulle quali si concentrarono gli sforzi che avrebbero portato al motore AS.6 e all'idrocorsa M.C.72.
Il nuovo aereo fu realizzato nei tempi previsti e le prove di collaudo iniziali fecero ben sperare chi su questo aereo aveva puntato tutto. Invece, ben presto si presentarono dei gravi problemi di detonazioni e ritorni di fiamma nel propulsore, e il collaudo risultò molto più lungo e laborioso del previsto. Quando poi le prove di volo costarono la vita di due piloti collaudatori, il 2 agosto al capitano Giovanni Monti in fase di decollo e successivamente al tenente Stanislao Bellini, si capì che l'M.C.72 non sarebbe mai stato pronto per il settembre del 1931.
Persa ogni speranza di rimettere in gioco la Schneider, il R.A.V. ricevette l'ordine perentorio di stabilire il nuovo record di velocità il giorno stesso in cui gli inglesi si sarebbero aggiudicati il trofeo, ma naturalmente era un'impresa impossibile; se l'M.C.72 fosse stato in grado di stabilire il record per quella data, allora avrebbe potuto anche partecipare alla competizione in Inghilterra, cosa che non avvenne.
Il primo record comunque arrivò: il 10 aprile 1933 alle ore 11:00 il Maresciallo Francesco Agello decollava a bordo dell'M.C.72 siglato MM.177 ed effettuava cinque giri del circuito designato sul Lago di Garda alla velocità media di 682,078 km/h; dopo l'ultimo passaggio Agello, resosi conto del successo, si lanciò verso l'idroscalo colmo di spettatori concludendo con una secca virata a coltello come segno di saluto.
Successivamente fu inviata una sezione del Reparto presso Falconara Marittima per nuovi tentativi di record. Il giorno 8 ottobre, utilizzando lo stesso M.C.72 M.M. 177 ma con un motore meno spinto, il tenente colonnello Guglielmo Cassinelli, sul percorso Falconara (località Fiumesino) - porto di Pesaro e ritorno stabilì il record del mondo di velocità sui 100 km con la media di 629,39 km/h, senza prima effettuare voli di prova del percorso con l'idrocorsa. Il successivo 21 ottobre il capitano Pietro Scapinelli, sempre con lo stesso M.C.72 M.M. 177, decollando al largo di Falconara Marittima e seguendo il percorso Porto Recanati - Porto Corsini e ritorno, conquistò la prestigiosa Coppa Blériot, destinata al primo pilota che avesse volato ad almeno 600 km/h per mezz'ora, con la media di 619,37 km/h, nonostante avesse incontrato condizioni meteorologiche avverse che resero difficilissimo anche il decollo a causa del mare grosso.
Il successivo ed ultimo traguardo fu fissato al superamento del muro dei 700 km/h, ed anche questo obiettivo fu raggiunto; il 23 ottobre 1934 Agello, a bordo dell'M.C.72 siglato MM.181, con una velocità media di 709,209 km/h, batté il suo stesso record; quest'ultimo primato rimane da allora imbattuto per quanto concerne la categoria idrovolanti propulsi da motore alternativo. Lo stesso M.C.72 MM.181, l'ultimo rimasto dei cinque esemplari prodotti, è gelosamente custodito nel Museo storico dell'Aeronautica Militare di Vigna di Valle, sul lago di Bracciano (Roma). A causa delle particolari necessità e della unicità delle relative soluzioni applicative, non furono realizzati sviluppi successivi, del motore FIAT AS.6 e dell’aereo.
Era chiaro a tutti che il motore dell'M.C.72 dovesse essere qualcosa di davvero eccezionale: il contratto con la Fiat esigeva un motore con una potenza di 2 300 CV, aumentabile in tempi brevi a 2 800 CV, un peso non superiore agli 840 kg ed un consumo massimo di 250 g/cv/h. Il compito era arduo, in quanto il più potente motore prodotto fino ad allora dalla fabbrica torinese, l'AS.5, già impiegato sull'idrocorsa Fiat C.29, non superava i 1 000 CV; si trattava quindi di più che raddoppiare la potenza e di adottare un riduttore e un turbocompressore, cosa che la Fiat aveva affrontato fino ad allora solo allo stadio sperimentale.
La soluzione fu individuata nell'accoppiamento in tandem di due unità AS.5 conservando dello stesso motore alesaggio, corsa e numero di giri. L'idea di due motori in tandem presentava diversi vantaggi: innanzitutto un ingombro trasversale straordinariamente limitato, la possibilità di sfruttare l'esperienza già acquisita con l'AS.5, il poter sistemare il riduttore tra le due unità, che rimanevano indipendenti l'una dall'altra, e il far passare l'asse elica tra le bancate del motore anteriore.
Inoltre in questo modo si disponeva di una cilindrata davvero considerevole (più di 50 litri), il che avrebbe permesso di raggiungere comodamente la potenza contrattuale senza dover sovralimentare eccessivamente il motore, mantenendo così i consumi eccezionalmente bassi, come richiesto. Nasceva così l'AS.6, una sorta di "doppio motore" con due unità indipendenti nel funzionamento (tanto che venivano avviate separatamente) ma con le eliche coassiali controrotanti. Questo propulsore, come del resto tutti quelli della serie AS, venne progettato dall'ingegnere Tranquillo Zerbi, direttore del Reparto Progetti Speciali della Fiat.
L'albero a gomiti del motore anteriore non usciva anteriormente in corrispondenza dell'elica, bensì posteriormente dove, mediante ruote dentate che fungevano anche da riduttore, metteva in movimento un albero cavo rotante tra la "V" dei cilindri. Allo stesso modo, il motore posteriore muoveva, tramite ruote dentate, un secondo albero che passava all'interno del primo. I due motori erano montati nel senso avanti-indietro, col risultato di far girare gli alberi, e quindi le eliche, l'uno nel senso opposto dell'altro.
Il combustibile veniva imbarcato all'interno dei galleggianti e arrivava al motore attraverso dei condotti passanti internamente ai sostegni a traliccio degli scafi. Anche i circuiti erano indipendenti e ogni unità pescava il combustibile dal proprio galleggiante/serbatoio; in questo modo si evitava che, dopo un tempo di volo prolungato, ci si trovasse con un serbatoio pieno ed uno vuoto, situazione che avrebbe originato fastidiosi squilibri.
Caratteristiche tecniche del Fiat AS.6 (versione anno 1934):
- Architettura: 24 cilindri a V di 60°
- Raffreddamento: a liquido
- Cilindrata totale: 50,256 litri
- Alesaggio: 138 mm
- Corsa: 140 mm
- Rapporto di compressione: 7
- Velocità media del pistone: 15,4 m/s
- Alimentazione: carburatore aspirato ad otto corpi
- Distribuzione: 4 valvole per cilindro, 2 alberi a camme per ogni bancata
- Accensione: doppia, a quattro magneti
- Sovralimentazione: compressore centrifugo ad uno stadio
- Velocità di rotazione del compressore: 19000 giri/min
- Pressione di sovralimentazione: 1,82 bar
- Riduttore: coppie di ingranaggi a dentatura cilindrica
- Rapporto di riduzione: 0,6
- Peso a secco: 930 kg
- Potenza massima: 3100 CV a 3300 giri/min
- Rapporto peso/potenza: 0,3 kg/cv.
L'ingegner Mario Castoldi aveva pensato all'idea di due eliche coassiali controrotanti già alla Schneider del 1929, quando risaltarono agli occhi di tutte le difficoltà degli idrocorsa in fase di decollo. L'elica, infatti, ruotando attorno al proprio asse, produce (per la Terza Legge della Dinamica) un momento meccanico di reazione che tende a far rollare il velivolo nel senso opposto a quello di rotazione dell'elica stessa. Se, durante la corsa di decollo di un aeroplano "terrestre", tale momento meccanico può essere assorbito dall'ammortizzatore della gamba del carrello, in un idrovolante a scarponi avviene lo sprofondamento di un galleggiante rispetto all'altro e questo comporta un notevole squilibrio in termini di resistenza idrodinamica.
Con l'aumento della potenza dei motori si rendeva necessaria l'adozione di galleggianti sempre più grandi che potessero opporre una adeguata resistenza al rollio indotto senza sprofondare eccessivamente; i galleggianti sovradimensionati però, una volta in volo, producevano una resistenza aerodinamica notevole.
L'adozione di due eliche coassiali controrotanti, soprannominata poi elica "birotativa", ha tra i tanti vantaggi quello di azzerare il momento meccanico di reazione, in quanto il momento meccanico generato dalla rotazione di un'elica viene contrastato dalla rotazione dell'altra. Questo ha sicuramente reso il velivolo meno difficile da pilotare, sia in volo che in flottaggio, ed ha inoltre consentito di adottare galleggianti meno voluminosi.
Il fatto poi che la lunghezza delle pale fosse ripartita tra due eliche ridusse il diametro del disco, il che offrì due ulteriori vantaggi: in primo luogo scongiurò il pericolo che le estremità delle pale raggiungessero velocità supersoniche ad elevati regimi di rotazione del motore, ed in secondo luogo ridusse la superficie del disco stesso, migliorando la penetrazione aerodinamica dell'aereo.
Altro vantaggio aerodinamico era il fatto che l'idrocorsa veniva investito da una corrente d'aria non turbolenta, come per i monoelica, bensì da una corrente pressoché lineare, il che evitava anche che i gas di scarico venissero deviati verso l'abitacolo, causando problemi sia di respirazione sia di visibilità al pilota per annerimento del parabrezza. Oltretutto, un disco con un diametro così ridotto non avrebbe sicuramente interferito in alcun modo con l'onda prodotta dagli scafi durante il movimento in acqua.
L'ala era realizzata in duralluminio, piuttosto spessa ed a profilo biconvesso, simmetrico, e completamente coperta da un radiatore alare costituito da tubetti d'ottone in modo da utilizzare quasi tutta la superficie esterna del velivolo per raffreddare il motore.
Gli impennaggi di coda erano a croce, come nei modelli veloci Macchi.
Nella parte anteriore e centrale la fusoliera era in metallo mentre la coda era realizzata in legno. Buona parte della lunghezza della fusoliera era occupata dal complesso motore che era sostenuto da un castello nel quale si innestavano le gambe di forza dei galleggianti e le semiali.
Le gambe di forza dei galleggianti erano in legno e duralluminio e la loro superficie anteriore era quasi completamente coperta dai radiatori per l'olio e per l'acqua.
Uno dei problemi più seri per il funzionamento del prestante motore era il raffreddamento.
UNO DEGLI ULTIMI PROGETTI DELL’ING. MARIO
Il Macchi MC.205 Veltro fu l'ultimo aereo da caccia progettato dall'ing. Castoldi ad essere prodotto in serie a partire dal 1942. Si trattava di un'evoluzione del precedente MC.202 Folgore, equipaggiato con un più potente motore Fiat RA 1050 RC.58 Tifone, versione su licenza del propulsore Daimler Benz DB.605A, da 1.475 cavalli e per l'introduzione di due radiatori esterni a barilotto sui fianchi del muso, a sostituzione del precedente radiatore unico. I primi modelli costruiti vennero consegnati nel gennaio 1943 al 1° Stormo Caccia di stanza a Pantelleria, dove furono impegnati in operazioni belliche sui cieli africani e nell'aerea mediterranea. Nonostante questo aeroplano dimostrò sul campo di poter combattere ad armi pari con gli aerei alleati Spitfire IX P-47 Thunderbolt e P-38 Lightning, non fu mai disponibile in un sufficiente numero per poter influire in modo sostanziale sugli eventi bellici.
Monoplano da caccia ad ala bassa, montata a sbalzo, monomotore. L'aeroplano ha una struttura interamente metallica con una fusoliera a semiguscio, costituita da quattro profilati in lega leggera con paratie ovoidali e correntini. Anche l'ala ha un'ossatura metallica formata da due longheroni e centinatura; l'ala inoltre presenta un profilo variabile ed è dotata di alettoni con intelaiatura metallica e rivestimento in tela e di ipersostentatori ventrali metallici. L'impennaggio posteriore comprende due piani di coda, montati a sbalzo, in metallo, con le superfici mobili rivestite in tela. L'abitacolo di pilotaggio è chiuso da una coperura vetrata, ribaltabile lateralmente; il seggiolino del pilota è corazzato ed è provvisto di un pilone di protezione nella carenatura del poggiatesta. L'aeroplano poggia su un carrello a tre ruote con ruote anteriori retrattili con rotazione verso l'interno e ruotino posteriore orientabile pure retrattile. Il velivolo dispone di quattro serbatoi del carburante situati due nella fusoliera e due alla radice delle semiali. L'armamento consiste in due mitragliatrici da 12,7 millimetri. La fusoliera e le ali presentano la verniciatura militare mimetica con l'emblema policromo fascista sui lati della fusoliera; il direzionale presenta una croce bianca e una banda bianca è posta anche sulla fusoliera.
- Autore: Aermacchi (costruttore) (1913/ 2003); Castoldi Mario (progettista) (1888/ 1968);
- Datazione: 1943;
- Materia e tecnica: metallo; legno; vetro;
- Categoria: industria, manifattura, artigianato;
- Misure: 885 cm x 1680 cm x 303 cm;
- Peso: 3408 kg.
(Web, Google, Wikipedia, Treccani, Lombardiabeniculturali, Thisdaynaviation, You Tube)
for several years I am collecting and inquiring everything concerning Breda aeroplanes/projects.
RispondiEliminaDo you have any information/materials how the Breda-Castoldi or Breda B.C. Bomber should have looked?
Thank you for your help
Jan
https://www.secretprojects.co.uk/threads/breda-aircraft-designations.18731/
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