Base missilistica "JUPITER" in contrada "LA CATTIVA", tra Sannicandro di Bari ed Acquaviva delle Fonti, a pochi metri da un podere del prof. Giovanni Vernì di Sannicandro.
IL RICORDO
I ragazzi di oggi ignorano che nei primi anni ‘60, durante la Guerra Fredda, le province di Bari, Taranto e Matera hanno ospitato ben dieci basi NATO italo-statunitensi, ciascuna delle quali ospitava al massimo approntamento operativo tre missili Jupiter, ognuno dei quali con potenza pari a circa cento bombe atomiche come quella lanciata su Hiroshima.
All’epoca le nostre popolazioni erano completamente ignare della situazione visto che era tutto coperto da segreto militare: tutto fino a qualche anno fa!
Tra le sopra citate province a cavallo di Puglia e Basilicata, anche in contrada “LA CATTIVA”, tra i comuni di Sannicandro ed Acquaviva delle fonti, in un leggero avvallamento del terreno circostante, tra ulivi secolari, viti meravigliose e mandorli in fiore, era ubicata una base di missili del tipo statunitense “Jupiter”, armati di testata nucleare e con portata massima di 1.500 Km.; la base era diventata operativa nei primi anni ’60.
In quel periodo, sui cieli di Gioia del Colle, Acquaviva delle Fonti, Sannicandro di Bari ecc… si notavano spesso volare aerei non meglio identificabili che sorvolavano dall'imbrunire in continuazione il cielo. Quei triangoli verdastri, dalla coda rossa, non erano fenomeni ottici, atmosferici o meteoriti: erano aerei militari che atterravano nella vicina base di Gioia del Colle.
Un mistero è legato alla scelta di questa zona rigogliosa al perché questo territorio fu bloccato, abbastanza riservatamente, sin dalla fine del 1957!
Sulla via vecchia di Sannicandro, a poca distanza tra il centro abitato di Acquaviva e quello di Sannicandro di Bari, fu realizzata una base NATO, soprannominata dal popolino il “Campo dei Missili”. Qui era situata per l’esattezza la base n. 9 della 2^ Squadriglia del 111° Gruppo; la base era gestita in prima persona da personale della nostra Aeronautica Militare, mentre le doppie chiavi per il lancio eventuale dei missili nucleari erano tenute da personale statunitense.
Sette basi furono altresì operative dal 1958 al 1963 sulle Murge lungo il tracciato della via Appia a Spinazzola, Gravina, Casal Sabini-Altamura, Ceraso-Altamura, Gioia del Colle, Laterza e Mottola, mentre due basi furono localizzate in Basilicata, presso Irsina e Matera.
Il 1 marzo 1957 venne lanciato il primo missile IRBM (Intermediate Range Ballistic Missile) Jupiter dalla base statunitense di Cape Canaveral. Due anni dopo, a partire dal 5 settembre 1959, cominciò l’istallazione del “sistema d’arma Jupiter” in Italia, operazione che si concluse il 20 giugno 1961, quando anche l’ultima base divenne operativa.
Prima che nella Turchia, i missili Jupiter vennero istallati, unico sito dell’Europa Occidentale, in Italia, sulla Murgia, lungo il confine tra la Puglia centrale e la Lucania.
Nel gennaio 1963 gli Stati Uniti comunicarono al governo italiano la decisione, presa durante la crisi di Cuba, di smantellare le basi. Nel giugno dello stesso anno, l’ultimo missile Jupiter fu rimosso dalla Murgia e imbarcato per essere riportato oltreoceano.
Questa vicenda, svoltasi nel giro di cinque anni, sembra non aver lasciato traccia, persino nella memoria dei contemporanei.
IL MISSILE “JUPITER”
Il missile statunitense PGM-19 Jupiter era un missile bistadio a medio raggio (MRBM) con portata tra i 1 000 e i 5 500 km, armato con una potente testata termonucleare, prodotto dalla Chrysler, che aveva già sviluppato il precedente PGM-11 Redstone.
STORIA DEL PROGETTO
La nascita del missile ebbe luogo, concettualmente, nel 1954, presso l'arsenale di Redstone, su richiesta della Ballistic Missile Agency dell'esercito statunitense. Alla realizzazione del missile si doveva porre la massima cura nell'aerodinamica, in quanto era previsto il rientro nell'atmosfera sarebbe avvenuto ad alta velocità.
Il 14 febbraio 1955 il Technological Capabilities Panel, meglio conosciuto come Killian Committee, raccomandò di avviare al più presto lo sviluppo di nuovi tipi di missile che potessero raggiungere la distanza di 1 500 miglia (c.a 2400 km), da sviluppare parallelamente agli ICBM (Inter-Continental Ballistic Missile). Questa tipologia di missili destò subito interesse, tanto che il l'Army Deputy Chief, Research & Development (A.D.C., R. & D), fu interrogato dall'O.C.O. sulla reale possibilità di sviluppare un missile della gittata di 1 000-1 500 mi. Vennero prese in considerazione diverse tipologie di operazioni. Secondo il comandante dell'A.D.C.R. & D. assalti aviotrasportati a grandi distanze potevano caratterizzare le future operazioni dell'esercito, ed in questo caso il trasporto in zona di operazione dei sistemi missilistici a corto raggio Redstone e Sergeant poteva rappresentare un serio problema di natura logistica. Pertanto poteva risultare efficace ed economico il lancio di missili a medio raggio da luoghi relativamente arretrati del fronte. Tale raccomandazione sortì alcuni effetti, il 15 marzo 1955 l'Assistent Chief on Staff, G-3 (Training), raccomandò l'immediato inizio del programma di sviluppo dei missili balistici classe 1.000 - 1.500 miglia. Inoltre il CON.AR.C. (Continental Army Command) iniziò a esaminare e ad aggiornare le proprie concezioni operative relative al 1954. La proposta per un missile a corto raggio (75 miglia) rimase la stessa, in quanto l'adozione del Sergeant rappresentava la miglior soluzione per soddisfare tale requisito. Nel settore del medio raggio fu suggerito lo sviluppo di un'arma con gittata da 250 miglia, al posto della precedente da 150 miglia. Il missile da 250 miglia eliminava, nel pensiero del CON. AR.C., lo sviluppo di quello da 500 miglia, ma l'esercito richiedeva la possibilità di effettuare attacchi con testate nucleari contro bersagli a lungo raggio. Entro il maggio 1955 il Redstone Arsenal completò uno studio di massima, che era stato commissionato dall'O. C. O. nel gennaio dello stesso anno. Tale studio riguardava tre tipi di missili, uno dei quali era un IRBM (Inter Mediate Ballistic Missile).
Nel settembre 1955 Wernher von Braun, durante un briefing sui missili a lungo raggio tenutosi presso il Segretario alla Difesa statunitense, affermò che l'estensione della gittata dei missili a 1 500 miglia (3 400 km) era il logico sviluppo del successore del missile PGM-11 Redstone. Di conseguenza, nel dicembre dello stesso anno, i Segretari di Stato alla Marina ed all'Esercito avviarono lo sviluppo congiunto di un missili MRBM lanciabile da navi e da basi terrestri. Il requisito per la conservazione e bordo ed il lancio, dettato dalla grandi dimensioni e dalla forma del missile, diedero vita ad un'arma dalla grande circonferenza. Ciò portò, nel novembre 1956, all'abbandono del programma da parte dell'US Navy, che preferì sviluppare in proprio il missile SLBM Lockheed UGM-27A Polaris lanciabile da sommergibili in immersione. Lo Jupiter mantenne tuttavia la sua forma, il che lo rese troppo grosso per il trasporto da parte degli aerei cargo Douglas C-124 Globemaster II dell'US Air Force.
TECNICA
Il missile balistico superficie-superficie a medio raggio Jupiter era una versione maggiorata del precedente Chrysler SSM-A-14 Redstone, dotato di minore lunghezza, diametro maggiore, e pesante l'80% in più. Il sistema missilistico Jupiter era mobile, ed il missile veniva trainato nella postazione di lancio ed eretto con un cavo sollevatore. Uno speciale riparo ripiegabile a petalo copriva la parte inferiore del missile durante la preparazione prima del lancio e le operazioni di rifornimento del carburante. La sezione del serbatoio carburante era ottenuta saldando pannelli estrusi di lega di alluminio. Dalla sua base piatta si protendeva l'ugello della camera di scoppio che poteva ruotare su supporti a sospensione cardanica in qualsiasi direzione di 7°, in modo da far virare il missile in ogni direzione. La velocità in fase di rientro nell'atmosfera era molto alta, e per proteggere la testata bellica dall'attrito venne installata una speciale ogiva dotata di scudo termico.
L'apparato propulsore era rappresentato dal motore-razzo Rocketdyne LR70-NA (Model S3D) erogante 68 100 kg/s, utilizzante come combustibile ossigeno liquido e cherosene RP-1. Il propulsore garantiva una spinta di 68 040 kg a livello del mare per 2'37”. La capacità di trasporto carburante, a pieno carico, era pari a 31 189 kg di ossigeno (Oxygen, LOX) e 13 796 kg di cherosene RP-1. Il consumo del propellente era pari a 284,7 kg/s. Con il motore principale in funzione il missile era controllato sugli assi di beccheggio ed imbardata con spostamenti del motore, e in rollio dall'orientamento dei gas di scarico della turbopompa. Dopo 70" dal lancio avveniva lo spegnimento del motore principale, quando il missile aveva raggiunto una velocità di Mach 13,04. Il motore vernier, erogante 227 kg/s e funzionante a propergolo liquido, si accendeva 2 s dopo lo spegnimento del motore principale, con conseguente distacco del corpo del missile ("power unit"), e controllava la velocità della sezione anteriore ("body unit") lungo la traiettoria finché non venivano soddisfatti i parametri del computer del sistema di guida e controllo. Il sistema di controllo dell'assetto spaziale era costituito da otto ugelli distribuiti intorno alla base della sezione anteriore e funzionanti ad azoto assicuravano l'assetto. Stabilizzato in volo, entravano in funzione i due razzi "spin", sempre posti alla base della sezione anteriore che conferivano una rotazione di 60 giri al minuto. A questo punto il cono anteriore ("nose cone" si separava dal resto della sezione anteriore ("aft unit"). Il cono anteriore iniziava il rientro nell'atmosfera ad una velocità di 17 131 km/h (10 645 mph, Mach 15.45). A questo punto il cono anteriore impattava il suolo, dopo aver percorso 2 844 km, ad una velocità di 0,49 Mach con un CEP (Circular Error Probable) di 1 500 m.
La carica bellica era costituita da un veicolo di rientro (Re-entry Vehicle) Goodyear Mk.2 (dotata di razzo di manovra da 225 kg/s) per la testata da 545 kg dotata di carica all'idrogeno Los Alamos/Sandia Mk.49 Mod.3 da 1,44 MT. Il CEP era pari a 1 500 m.
IMPIEGO OPERATIVO
Il sistema, nato per essere usato dall'United States Army, era caratterizzato da un'eccellente mobilità, in maniera similare a quella di armi sovietiche equivalenti. Esso veniva trainato da un autocarro pesante, parte di un convoglio di almeno 20 veicoli, poi veniva eretto, mentre un riparo a petalo proteggeva la parte inferiore dell'arma durante le operazioni di trasporto e rifornimento.
Il 28 novembre 1956 il segretario alla difesa americano Charles E. Wilson emise la direttiva "Roles and Missions" con cui stabiliva che la giurisdizione dell'US Army fosse limitata ai missili con gittata utile fino a 200 miglia (322 km). Il sistema SM-78 Jupiter venne quindi ceduto all'USAF, che stava sviluppando il proprio missile MRBM Douglas PGM-17 Thor. A questo punto la mobilità del sistema Jupiter non ebbe più molta importanza, ed i missili furono schierati in silos fissi. Il 16 dicembre 1956 il Consiglio Atlantico accettò la proposta americana di schierare missili IRBM sul territorio europeo. La nuova filosofia operativa fu elaborata nel 1958, con la creazione della componente offensiva (il gladio), con cui integrare quella difensiva (lo scudo). Il primo missile PGM-19 Jupiter venne lanciato con successo il 1º marzo 1957, mentre la massima gittata operativa venne raggiunta con un lancio nel maggio dello stesso anno. Il 27 novembre 1957 il segretario alla difesa Neil McElroy, annunziò il contemporaneo sviluppo dei sistemi missilistici Thor e Jupiter. Nel gennaio 1958 il missile superficie-superficie PGM-19A Jupiter fu dichiarato operativo dall'US Army Ballistic Missile Division di Huntsville (Alabama), entrando in servizio, il 15 dello stesso mese, presso l'864th Strategic Missile Squadron. A questo reparto seguirono l'865th Strategic Missile Squadron e l'866th Strategic Missile Squadron, attivati presso il Redstone Arsenal rispettivamente il 1º giugno ed il 1º settembre dello stesso anno. La missione principale dell'866th S.M.S. consistette nell'addestramento degli equipaggi italiani e turchi destinati ad operare con il missile in Europa. La produzione del missile avvenne, ad opera della Chrysler Corporation, presso l'Army's Michigan Missile Plant. L'arma venne prodotta in circa 100 esemplari, fu operativa dal 1960 al 1963, ed uscì definitivamente dal servizio nel 1965.
Nell'aprile 1958, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti informò l'US Air Force del progetto di schierare, a titolo di prova, i primi tre squadroni divenuti operativi con l'MRBM Jupiter (45 missili) in Francia. Le trattative fra la Francia e gli Stati Uniti per arrivare all'effettivo schieramento dei missili fallirono nel giugno 1958. Il nuovo presidente francese, Charles De Gaulle, rifiutò di accettare l'installazione di qualsiasi missile MRBM Jupiter in Francia. Gli Stati Uniti esplorarono allora la possibilità di schierare i missili in Italia e Turchia. Nel frattempo l'U.S. Force già stava effettuando i programma relativo all'installazione di quattro Squadron (60 missili) di MRBM Douglas PGM-17 Thor in Gran-Bretagna, nella zona intorno a Nottingham. Il 26 marzo 1959 uno specifico accordo bilaterale tra USA, Italia e Turchia sancì la partecipazione dell'Aeronautica Militare Italiana e della Turk Hava Kuvvleteri alla gestione di Wing (Stormi) di missili IRBM.
La minaccia portata all'Unione Sovietica dallo schieramento in Europa del missili PGM-19A Jupiter e PGM-17 Thor, arrivò a provocare la Crisi dei missili di Cuba del 1962. In risposta a tale schieramento il leader sovietico Chruščёv diede il via all'Operazione Anadyr, che portò al posizionamento dei missili SS-3 e SS-4 sull'Isola di Cuba. La crisi che ne seguì portò ad un accordo tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica che stabiliva l'immediato ritiro dei missili sovietici da Cuba, cui sarebbe seguito lo smantellamento delle postazioni americane in Turchia, Italia e Gran Bretagna. I missili Jupiter vennero così ritirati dal servizio nel 1963, quando il deterrente a medio raggio passò ai missili balistici Polaris sublanciati.
Dal missile Jupiter derivò il razzo vettore Juno II, utilizzato dal 1958 al 1961 per il lancio di satelliti artificiali.
OPERATIVITA’ IN ITALIA
Il 10 agosto 1959 lo Strategic Air Command diede il via all'Operazione Deep Rock, cioè al rischieramento di missili balistici IRBM PGM-19A Jupiter in Italia.
L'Aeronautica Militare italiana schierò 30 missili Chrysler PGM-17 Jupiter alle dipendenze dell'appositamente costituita 36ª Aerobrigata Interdizione Strategica, con comando a Gioia del Colle (oggi sede del 36º Stormo), che venne istituita il 1º gennaio 1960 (in realtà il 23 aprile 1960) ed entro sei mesi le previste dieci postazioni vennero tutte attivate.
La 36ª Aerobrigata si articolava su:
- 1º Reparto I.S. che comprendeva:
56º Gruppo Interdizione Strategica (Gioia del Colle)
57º Gruppo Interdizione Strategica (Mottola)
58º Gruppo Interdizione Strategica (Laterza)
59º Gruppo Interdizione Strategica (Altamura alta)
60º Gruppo Interdizione Strategica (Gravina di Puglia).
- 2º Reparto I.S., che comprendeva:
108º Gruppo Interdizione Strategica (Altamura bassa)
109º Gruppo Interdizione Strategica (Spinazzola)
110º Gruppo Interdizione Strategica (Irsina)
111º Gruppo Interdizione Strategica (Acquaviva delle Fonti - contrada LA CATTIVA);
112º Gruppo Interdizione Strategica (Matera).
Ognuno di essi quali controllava cinque postazioni con un missile di pronto impiego e due ricariche per complessivi trenta colpi. Ad essi si affiancavano il 7230th Support Squadron e il 7230th USAF Dispensary, dall'ottobre 1962 sostituito dal 305th Minition Manteinance Squadron, dell'USAF.
Il comando dell'Aerobrigata venne assunto dal colonnello Edoardo Medaglia, a cui succedettero i generali di brigata aerea Giulio Cesare Graziani (dall'8 febbraio 1961) e Oreste Genta.
Il vicecomandante era un colonnello dell'U.S. Air Force. Lo stato giuridico dei missili era piuttosto complesso, in quanto le armi restavano di proprietà dello Strategic Air Command (secondo i programmi MPA/PDAP della NATO) ma erano gestiti dall'Aeronautica Militare, della quale portavano le insegne. La responsabilità del lancio dei missili era complessa, secondo la cosiddetta politica della doppia chiave. Infatti, il quadro di lancio era attivato congiuntamente da un ufficiale dell'USAF che stabiliva il bersaglio (ne erano programmati due, uno primario ed uno alternativo) e da un ufficiale dell'A.M.I. che effettuava il lancio vero e proprio. L'ordine di fuoco sarebbe arrivato dal comando del Supreme Headquarters Allied Powers Europe (SHAPE) di Wiesbaden (Germania) ed assoggettato in Italia a decrittazione e procedure di verifica dell'autenticità. In caso di distruzione del comando SHAPE l'ordine di lancio poteva venire dal Comando delle Forze Alleate del Sud Europa (AFSOUTH) di Napoli. Per tutti il periodo che i PGM-19A Jupiter rimasero operativi non venne stabilito, invece, da chi dovesse venire la conferma del comando di fuoco da parte italiana. Questo ruolo fu attribuito, di volta in volta, al Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare gen. Silvio Napoli, al sottocapo facente funzioni gen. Mario Bucchi, al Capo di Stato Maggiore della Difesa gen. Claudio Rossi, al Ministro della difesa on. Giulio Andreotti, al presidente del consiglio on. Amintore Fanfani ed al presidente della repubblica Giovanni Gronchi[6]. Il 5 gennaio 1963 gli Stati Uniti comunicarono la loro decisione di smantellare gli Jupiter italiani, approvata dal Consiglio dei Ministri, e l'Aerobrigata fu disattivata il 1º aprile 1963 e sciolta ufficialmente il 21 giugno dello stesso anno.
Il comando dell'Aerobrigata venne assunto dal colonnello Edoardo Medaglia, a cui succedettero i generali di brigata aerea Giulio Cesare Graziani (dall'8 febbraio 1961) e Oreste Genta.
Il vicecomandante era un colonnello dell'U.S. Air Force. Lo stato giuridico dei missili era piuttosto complesso, in quanto le armi restavano di proprietà dello Strategic Air Command (secondo i programmi MPA/PDAP della NATO) ma erano gestiti dall'Aeronautica Militare, della quale portavano le insegne. La responsabilità del lancio dei missili era complessa, secondo la cosiddetta politica della doppia chiave. Infatti, il quadro di lancio era attivato congiuntamente da un ufficiale dell'USAF che stabiliva il bersaglio (ne erano programmati due, uno primario ed uno alternativo) e da un ufficiale dell'A.M.I. che effettuava il lancio vero e proprio. L'ordine di fuoco sarebbe arrivato dal comando del Supreme Headquarters Allied Powers Europe (SHAPE) di Wiesbaden (Germania) ed assoggettato in Italia a decrittazione e procedure di verifica dell'autenticità. In caso di distruzione del comando SHAPE l'ordine di lancio poteva venire dal Comando delle Forze Alleate del Sud Europa (AFSOUTH) di Napoli. Per tutti il periodo che i PGM-19A Jupiter rimasero operativi non venne stabilito, invece, da chi dovesse venire la conferma del comando di fuoco da parte italiana. Questo ruolo fu attribuito, di volta in volta, al Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare gen. Silvio Napoli, al sottocapo facente funzioni gen. Mario Bucchi, al Capo di Stato Maggiore della Difesa gen. Claudio Rossi, al Ministro della difesa on. Giulio Andreotti, al presidente del consiglio on. Amintore Fanfani ed al presidente della repubblica Giovanni Gronchi[6]. Il 5 gennaio 1963 gli Stati Uniti comunicarono la loro decisione di smantellare gli Jupiter italiani, approvata dal Consiglio dei Ministri, e l'Aerobrigata fu disattivata il 1º aprile 1963 e sciolta ufficialmente il 21 giugno dello stesso anno.
In quattro occasioni, tra metà dell'ottobre 1961 e l'agosto del 1962, missili Jupiter equipaggiati con testate nucleari della potenza di 1,4 megatoni di TNT (5,9 Milioni di miliardi di Joule di energia) vennero colpiti da fulmini nelle loro basi in Italia.
In tutti i casi le batterie termiche vennero attivate, e solo in due occasioni il gas propulsivo al trizio-deuterio venne iniettato nell'alloggiamento della testata, causandone la parziale attivazione.
Dopo che il 4° fulmine colpì un missile Jupiter, l'U.S. Air Force installò parafulmini in tutti i siti missilistici Jupiter in Italia ed in Turchia.
In tutti i casi le batterie termiche vennero attivate, e solo in due occasioni il gas propulsivo al trizio-deuterio venne iniettato nell'alloggiamento della testata, causandone la parziale attivazione.
Dopo che il 4° fulmine colpì un missile Jupiter, l'U.S. Air Force installò parafulmini in tutti i siti missilistici Jupiter in Italia ed in Turchia.
LE ORIGINI DELLA VICENDA - Tutto ebbe iniziò il 27 agosto 1957: io avevo 5 mesi!
L'agenzia sovietica TASS diramava al mondo la notizia che era avvenuto il lancio del primo missile ICBM del mondo.
La minaccia era fortissima!
Si trattava infatti di un missile che non poteva essere intercettato e che era in grado di colpire il territorio statunitense ed europeo.
Nello stesso anno gli Usa svilupparono la loro prima famiglia di missili tattici IRBM, e già il 19 dicembre, il Consiglio Atlantico decise per l'installazione di tali missili nel territorio dei paesi alleati disposti ad accettarli.
Il controllo del loro impiego sarebbe stato concordato con il paese ospitante ma le chiavi erano in mano Usa.
La Gran Bretagna, la Turchia e l’Italia accettarono di ospitare le basi miissilistiche per i missili Jupiter e Thor.
Il 4 novembre 1959, gli americani effettuano il loro primo lancio dell'ICBM Atlas dal poligono di Cape Canaveral.
A questo punto inizia, da parte di ambedue i blocchi (Usa - Urss/Nato - Patto di Varsavia) la corsa agli armamenti nucleari e la ricerca dell'equilibrio/supremazia..
La cosiddetta “Guerra fredda”, nel 1962, arrivò ad un punto cruciale quando Kruscev tentò la mossa della dislocazione dei missili nucleari a Cuba, per minacciare direttamente il territorio americano.
Tale minaccia non venne messa in atto per il blocco navale statunitense e le navi che trasportavano a Cuba i missili fecero dietro-front.
Ma tutto questo ebbe un prezzo. La Nato fu obbligata dagli Usa a rinunciare ai missili IRBM stanziati in Italia, in Gran Bretagna e in Turchia.
Finiva così la storia (seppur breve) dei missili nucleari in Italia.
Le basi dei missili Jupiter erano gestite dalla 36ª Aerobrigata Interdizione Strategica dislocata presso l'aeroporto militare "Antonio Ramirez" di Gioia del Colle (BA). Fu costituita il 23 aprile 1960 e rimase attiva fino al 1° luglio del 1963. I gruppi che formavano la Aerobrigata erano dieci, a loro volta facenti parte di due reparti: al Primo Reparto appartenevano il 56°, il 57°, il 58°, il 59° ed il 60° Gruppo IS; al Secondo Reparto appartenevano il 108°, il 109°, il 110°, il 111° ed il 112° Gruppo IS.
Ognuno di questi gruppi aveva il controllo di una base missilistica. Il controllo era effettuato in simbiosi con ufficiali americani.
Le basi erano collocate in zone poco abitate e la gente del posto non fu informata sulle armi collocate.
La storia degli “Jupiter” sulla Murgia, i missili a testata nucleare cento volte più potenti della bomba sganciata su Hiroshima e Nagasaki, puntati all’inizio degli anni Sessanta dagli americani contro i Paesi del blocco sovietico, è ora racchiusa in un film documentario della Zenit Arti Audiovisive di Torino: «Murge il fronte della guerra», regia di Fabrizio Galatea. La vicenda del tutto ignorata dalle nuove generazioni, ripercorre i momenti di quando quegli strumenti di offesa incalcolabile furono posti pronti in massimo approntamento operativo.
Come già detto, nel I962 con la crisi di Cuba il mondo vive il più drammatico momento della storia recente: l’incubo di una guerra atomica. Inaspettatamente il fronte della guerra fredda si sposta sulle Murge baresi. Sulle aspre colline argillose di Puglia e Basilicata, i profili dei missili nucleari Jupiter minacciano un paesaggio popolato da inconsapevoli pastori e braccianti. Questa terra dimenticata diventa teatro degli scontri tra Stati Uniti e Unione Sovietica.
«Murge, il fronte della guerra fredda», racconta questo straordinario incontro: da una parte la Murgia, terra arida popolata da braccianti poveri e rassegnati, dall’altra lo scenario della grande politica internazionale, teatro della guerra fredda, nella quale l’Italia cercò di ritagliarsi un ruolo da protagonista. Ed ancora: «vettori di questo incontro i giovani militari italiani inviati nelle basi per i quali i sentimenti si mescolano in una soluzione catartica: il sogno americano accarezzato durante il corso di formazione in Nevada, l’orgoglio per essere i custodi dello scudo contro la minaccia sovietica, la coscienza di essere i potenziali esecutori materiali di una catastrofe planetaria.
Fanfani - all’epoca nostro primo ministro - con una lettera fece una proposta: gli Stati Uniti si impegnavano a ritirare dalla Puglia i missili con testata atomica, l’Unione Sovietica smantellava le postazioni missilistiche che a Cuba l’Unione Sovietica aveva messo contro gli Stati Uniti. Se il presidente Kennedy avesse accettato questa proposta probabilmente c'era la possibilità di evitare il peggio.
RAPPORTO SEGRETO STATUNITENSE DECLASSIFICATO
Ecco la traduzione di un rapporto segreto declassificato redatto nel 1961 dopo una visita alla base, che descrive nel dettaglio missili, impianti e situazione. "Report on Visit to Jupiter Sites in Italy", 18 September 1961, by Alan James, Bureau of European Affairs, U.S. Department of State. Original classification: secret.
“””Ho passato il giorno 15 Settembre a Gioia del Colle, la base principale dei due squadroni italiani degli Jupiter, che dista 40 minuti di macchina da Bari. Gioia è il centro del complesso Jupiter. A Gioia, un ex piccolo aeroporto della NATO, c'è il quartier generale del Comandante, Generale di Brigata Grazziani, e il Vice Comandante, un Colonnello dell’US Air Force. Qui i missili ricevono la manutenzione, armi e missili arrivano e partono via mare. Qui c'è anche il Posto di Comando. C'è una lunga ma stretta pista d'atterraggio usata regolarmente ma non frequentemente. Alla base di Gioia ci sono anche le strutture amministrative statunitensi e italiane, gli alloggi italiani, le strutture di supporto (di nuova costruzione) statunitensi, commissario e cose del genere. Le strutture di supporto degli Stati Uniti non sono attualmente utilizzate, per richiesta del Governo Italiano; fino alla riduzione graduale della presenza statunitense, il nostro personale continuerà ad usare le strutture di supporto a Taranto. Dopo, quando il personale statunitense sarà stato ridotto, saranno usate le strutture di supporto a Gioia. Il personale statunitense è acquartierato per la maggior parte a Taranto circa 50 minuti di guida da Gioia. Come attestato da Home, la Forza Aerea desidera costruire gli alloggi per gli americani e le loro famiglie a Gioia per alleggerire un po’ la fatica del viaggio di un paio di ore ogni giorno e per consolidare il personale statunitense così da poterlo raggiungere e radunare in breve tempo in caso d'emergenza.
In un raggio da Gioia con distanze che vanno da 10 a 30 miglia ci sono 10 postazioni in ognuna delle quali stanno tre Jupiter. Ogni postazione ad eccezione della 1, che è vicino a Gioia, ha un proprio sito logistico di supporto. Ho visitato solo la postazione 9, ma suppongo che sia tipica delle altre. Alcune postazioni sono localizzate su piccole colline, altre in campo aperto, una è molto vicina alla linea ferroviaria, molte vicinissime e visibili dalla strada. Crescono diversi alberi vicino alla maggior parte delle postazioni, benché ci siano stati dei tagli dalla scorsa stagione. I Carabinieri perlustrano sporadicamente i boschi e i campi circostanti ma non esiste un pattugliamento regolare oltre la doppia recinzione. Di notte il luogo è [illeggibile] con luci e dall’alto ogni posizione può essere chiaramente individuata ed identificata.
Nessuna testata è attualmente stoccata a Gioia; tutte le testate sono attualmente sui 30 missili e non ce ne sono di riserva per quanto ne sappia. Ci sono, comunque, strutture per lo stoccaggio di testate a Gioia. Ho visto la costruzione che non è a forma di igloo ma una struttura quadrata, a non più di 200 yarde dalla pista di atterraggio. Mi sono detto che corrisponde ai criteri della NATO come locazione, ma ho pensato che per sicurezza dovrebbe essere più lontano dall'area di atterraggio. Mentre eravamo a Gioia 3 missili non erano operativi a causa di necessità di riparazioni e uno per la manutenzione ordinaria. Presumo (benché non sappia perché che il sito che ho visitato li aveva tutti e tre operativi) che quando un missile deve essere rimosso dal sito, la testata debba essere rimossa e immagazzinata temporaneamente in un edificio in cemento più o meno al centro di ogni postazione. In ogni postazione si trovano due ufficiali della US Air Force e due avieri americani. Loro prestano servizio per 48 ore di continuo e poi messi in libertà. Gli Ufficiali sono Ufficiali di Autenticazione del Lancio (LAO) e i soldati semplici sono custodi delle testate. I custodi (solo uno alla volta è di servizio) stazionano in un punto dove si può osservare tutto il tempo che le testate siano sui tre missili. E' tutto quello che facciamo quando le testate sono montate; quando le testate sono rimosse bisogna naturalmente essere presenti all’operazione. Le unità italiane in ogni posizione devono fare un giro di 8 ore ogni 24. Questo permette poca flessibilità per malattie o permessi, e gli statunitensi hanno provato a persuaderli a fare in modo che le loro squadre siano 4 piuttosto che 3. Un ufficiale italiano di grado Tenente Colonnello o Maggiore è al comando di ogni postazione.
Le 10 postazioni sono collegate a Gioia da linee di terra e microonde. A tutte le postazioni possono essere date istruzioni contemporaneamente, Gioia è connessa allo SHAPE (comando centrale delle forze NATO, all'epoca a Parigi, ndr) da circuiti di terra come con la radio. Secondo ufficiali statunitensi, la comunicazione non è un problema serio, per lo meno sulla loro linea. Ricevono le istruzioni di lancio dallo SHAPE, naturalmente, ma se lo SHAPE fosse eliminato l'AFSOUTH (all'epoca comando delle forze NATO in sud Europa, a Napoli, ndr) potrebbe trasmettere ordini. Un minuto e mezzo dopo che l’ordine di lancio è stato ricevuto al Quartier Generale di Gioia, le istruzioni per l'inizio del conto alla rovescia possono essere trasmesse alle postazioni. Tutti i missili operativi devono essere pronti al lancio dopo un conto alla rovescia di 15 minuti. In ogni caso il vicecomandante statunitense stimava che solo il 60 % di questi missili poteva essere lanciato entro il conto alla rovescia dei 15 minuti; il 20% entro altri 15 minuti e il resto, chi lo sa?
Quando l'ordine di lancio viene trasmesso alle postazioni, l’Ufficiale di Autenticazione del Lancio italiano inserisce una chiave e avvia la procedura di lancio. Appena prima del completamento del conto alla rovescia, l’ufficiale statunitense inserisce e gira una chiave. La chiave non è portata al collo ma è custodita nella Postazione mobile trainata di Controllo del Lancio. Gli ufficiali statunitensi hanno messo ben in chiaro che la chiave di lancio statunitense non è il solo modo che abbiamo per controllare lanci non autorizzati. Anche nel caso che il LAO statunitense fosse sopraffatto e gli fosse presa la chiave, ci sono molte cose che si possono fare al di fuori della postazione mobile trainata per impedire il lancio del missile -- taglio dell'ossigeno liquido, del carburante, energia ecc. Per il supporto tecnico gli italiani sono molto dipendenti da noi. I dati di bersaglio tenuti nel Posto di Comando a Gioia possono essere tenuti riservati. Inoltre, gli italiani non sono, nell'opinione degli ufficiali statunitensi a Gioia, capaci di disporre il lancio di un missile, anche se forse più avanti potrebbero sviluppare questa capacità.
Varie
La produzione di sufficiente quantità di ossigeno liquido da mantenere il rifornimento di carburante di ogni missile abbastanza elevato da permettere il lancio del missile entro 15 minuti è il maggiore problema operativo. Gli ufficiali statunitensi pensano di aver sistemato il problema, comunque, rendendo operativo un impianto da 25 tonnellate di LOX (ossigeno liquido) proprio la scorsa settimana.
Gli alloggi, come ho detto in precedenza, sono di critica importanza. Il personale statunitense è disperso in tutto il circondario, benché in genere concentrato a Taranto. Solo un ufficiale all'infuori del Vice Comandante statunitense può essere raggiunto telefonicamente a Taranto cosicché si è escogitato un sistema di staffette. Raggruppare un numero sufficiente di personale statunitense per affrontare un’emergenza o un allarme richiederebbe qualche ora. Quindi è molto importante avere alloggi per gli ufficiali e i soldati e loro famiglie nella base di Gioia. Come evidenzia l’Ambasciata in un dispaccio recente, è essenziale che se l'USAF costruisce alloggi per il nostro personale a Gioia adempia all’obbligo che gli italiani ritengono abbiamo assunto due anni fa e costruire alloggi anche per loro. Certo, ma solo circa metà degli alloggi necessari per le famiglie italiane, è attualmente disponibile alla base.
La carenza di personale italiano tra gli ufficiali inferiori e nei soldati semplici è un problema serio. Il comandante, Graziani, ha ottenuto i pieni voti dagli ufficiali statunitensi. All'apparenza ha grinta e motivazione e sta facendo un buon lavoro, E' anche assistito da abili ufficiali. Gli istruttori italiani sono considerati competenti e alcuni proprio al nostro livello. Tuttavia, la missilistica non sembra molto appetibile a moltissimi ufficiali italiani, che sentono l'andare a Gioia come un esilio. Considerazioni personali e di carriera hanno giocato un certo ruolo nel portare alcuni ufficiali della IAF (forza aerea italiana) ed EM (?) alla conclusione di non voler restare nel campo della missilistica. Perciò c’è una forte carenza di personale che abbia capacità d'imparare. Come mi è stato fatto notare, le IAF si sono molto assottigliate con la partecipazione ai programmi per lo Jupiter, dei NIKE (missili superficie-aria) e degli F-104.
144-b - Mi è stato detto che nessun RD (?) è stato passato agli italiani, né il distaccamento statunitense ha dato istruzioni di comunicarne. Per quanto concerne la parte americana, l’accordo 144b farebbe molto poca differenza per le capacità operative degli italiani. Sarebbe un po’ più conveniente se gli italiani fossero capaci di assistere nel montaggio e smontaggio delle testate e sarebbe utile averli in posizione tale da assolvere a qualcuna delle funzioni degli statunitensi in caso di emergenze o incidenti. In assenza dell'autorità per trasmettere RD, gli [illeggibile] statunitensi non hanno potuto confermare o negare agli italiani la presenza di testate nucleari statunitensi a Gioia. Questa è naturalmente una situazione anomala perché gli italiani sanno chiaramente che ci sono – si capisce dai nostri [illeggibile] movimenti, in caso di incidenti, o preparazione per la gestione di incidenti nucleari. Non ho idea se negare questa informazione bruci agli italiani; non ne hanno parlato con gli ufficiali dell'USAF.
Segretezza - Non ha chiaramente nessun senso continuare a classificare l'esistenza degli Jupiter e il loro posizionamento, ma il Governo Italiano sembra voglia così, per ragioni politiche. Quando il Ministero degli Esteri ha dato a me, al Senatore Pastore e al membro del Congresso Price il permesso di visitare Gioia, ci fu sottolineato che il permesso era accordato a condizione che non venisse fatta pubblicità.
Sicurezza - La guardia italiana prende le sue responsabilità molto seriamente, direi che il mero atto della guardia è ben fatto. Comunque i missili rimangono vulnerabili al sabotaggio. E’ possibile, benchè non proprio realistico se si tiene conto dell’intensa attività dei Carabinieri nelle aree adiacenti, che un sabotatore possa rovinare la pelle di uno degli uccelli con un fucile. Un piccolo aereo veloce potrebbe entrare e fare qualche danno. Non ci sono né NIKE né altre difese aeree nelle immediate vicinanze (comunque sembra che ci sia qualcosa sulla costa.) Non ho idea di che grado di probabilità ci sia che questo possa avvenire. La dispersione delle postazioni rende certamente meno probabile che possano essere arrecati danni critici a molti degli uccelli per mezzo di sabotaggio tanto da colpire seriamente la capacità della brigata di portare a termine la sua missione. Per colpire tutte le dieci postazioni sarebbe richiesta l’attività di un numero di persone elevato che i Carabinieri potrebbero facilmente intercettare. Inoltre, un sabotaggio è più probabile che accada, presumo, in un momento di tensione elevata quando il nemico ha la paura o il sospetto di un nostro lancio degli uccelli. Durante questi periodi, i Carabinieri sarebbero sicuramente incrementati, l’area ben pattugliata e fornita la protezione aerea. In breve, noi e gli italiani stiamo assumendo qualche rischio dall'aver stabilito le postazioni dove sono ora, ma è una cosa calcolata e non può essere così seria da danneggiare l’essenziale utilità degli Jupiter così come l’abbiamo immaginata.
Jupiter come sistema - Credo che siano meglio di niente su questo fronte. Come qualcuno ha già specificato, fanno ridislocare parte della forza missilistica sovietica che deve coprirli. Quanto sia sostanziale quella forza non ho idea, ma i 30 Jupiter sono largamente sparpagliati e direi che una simile quantità di missili russi sarebbe abbattuta dagli Jupiter a Gioia. L’Ambasciata ha ancora la tremarella per il telegramma del Dipartimento che ha sollevato la possibilità di cancellare il programma Jupiter in Italia. Gli italiani hanno preso una difficile decisione e dobbiamo essere molto attenti su come o quando ritirarci dal programma Jupiter.”””””.
LA VICENDA DEL RICOGNITORE FOTOGRAFICO MIG 17 BULGARO precipitato tra le campagne di Acquaviva delle Fonti e Sannicandro di Bari.
Il pieno coinvolgimento della Puglia nella Guerra Fredda nella corsa agli armamenti nucleari balzò all’attenzione internazionale in conseguenza della caduta, nella tarda mattinata del20 gennaio 1962, di un Mig 17 bulgaro nelle campagne di Acquaviva delle Fonti (Bari), precisamente in località Lamone, sulla strada per Sannicandro di Bari.
L’aereo fu ritrovato fermo al suolo su di un muretto a secco in pietra, il pilota si era salvato; il Mig era precipitato a pochi chilometri di distanza dal luogo in cui erano installati gli Jupiter, i noti missili strategici con testate nucleari: gli ordigni erano stati piazzati dagli Stati Uniti attorno alla base di Nato di Gioia del Colle circa un anno e mezzo prima.
Le basi missilistiche a medio raggio, installate in Italia e anche in Turchia, lungo il confine caucasico venivano considerate rischiose per l’Unione Sovietica e per i Paesi che aderivano al Patto di Varsavia; per questo erano alla base di un’intensa azione politico-diplomatica e strategica tra Mosca e Washington; infatti Chruscev, appunto nell’autunno di quello stesso anno, tentò un’operazione analoga e contrapposta a Cuba.
La diffusione della notizia relativa all’aereo “spia”, precipitato a pochi metri dalle basi dei missili Jupiter, nel cuore di una delle regioni italiane più vicine all’Est europeo, non mancò dunque di allarmare la diplomazia internazionale ed ebbe immediate ripercussioni sulla vita politica italiana.
La «Gazzetta del Mezzogiorno» fu uno dei primi quotidiani nazionali a diffondere le notizie relative al ricognitore fotografico Mig 17 precipitato, nel corso di una ricognizione, fornendo in dettaglio una serie di particolari sull’incidente.
Il Mig, riferì il quotidiano pugliese, fu intercettato dai radar del vicino aeroporto di Gioia del Colle, consentendo l’immeditata localizzazione e cattura del pilota bulgaro, il giovane sottotenente Milliusc Solakof, che venne immediatamente ricoverato e piantonato nell’Ospedale del centro murgiano per le lievi ferite riportate.
Sulla sorte dell’ufficiale (che si presume sia rientrato in patria) circolarono in seguito notizie contraddittorie che non ci è stato possibile verificare con certezza.
Per diversi giorni Bari, Acquaviva delle Fonti e Sannicandro furono il centro dell’attenzione internazionale e di una vera e propria guerra di informazione sulla carta stampata che coinvolse diverse testate nazionali, in particolare «l’Unità», organo ufficiale del Partito comunista italiano.
Un inviato speciale del quotidiano comunista, Aldo De Jaco, con un articolo dal titolo significativo «I missili in Puglia si vedono dal treno», tentò di gettare acqua sul fuoco, ridimensionando l’operazione di spionaggio messa in atto dalla Bulgaria. L’inviato del giornale di sinistra descriveva con dovizia di particolari anche le altre postazioni dei missili Jupiter dislocate nell’Alta Murgia tra Altamura, Gravina ed Irsina nel materano.
«l’Unità», inoltre, mise in risalto le dichiarazioni del console e dell’addetto militare della Bulgaria che smentirono la notizia di una richiesta di asilo e di una «scelta per la libertà» del pilota bulgaro.
Nella realtà politica nazionale Amintore Fanfani che si apprestava a varare un nuovo governo, aperto ai socialisti, riuscì con un’abile azione diplomatica, a creare un clima di distensione, evitando ripercussioni soprattutto sulla politica interna e su quella del partito di maggioranza relativa, la Democrazia cristiana. Era infatti imminente a Napoli lo svolgimento del Congresso democristiano che doveva assumere una importante decisione, quella dell’apertura a sinistra. In questa direzione Aldo Moro, segretario della Democrazia cristiana riuscì con grande abilità, nel discorso iniziale che durò più di cinque ore, ad indicare nuove politiche anche internazionali, confermando la scelta di campo occidentale e la fedeltà alla Nato, in un contesto in cui la politica di centro-sinistra veniva presentata all’insegna di una marcata distanza ideologica dal comunismo.
Nel giro di una settimana, alla fine di gennaio del 1962, l’attenzione dell’informazione fu dirottata dalle questioni internazionali a quelle della politica interna.
La vicenda del Mig bulgaro, caduto tra i missili Nato, scomparve anche «dai radar» dell’informazione.
Subito un missile venne colpito da un fulmine nella base di Gravina, scongiurando per poco una esplosione nucleare.
IMPIEGO IN TURCHIA
Il 28 ottobre 1959, durante l'amministrazione del presidente Dwight D. Eisenhower, il governo turco e quello degli Stati Uniti, al fine di potenziare il fianco del sud della NATO, firmarono un accordo per l'installazione di missili IRBM PGM-19 Jupiter a testata nucleare sulle basi militari della NATO posizionate in territorio turco, nel Sud Europa. Dopo il deposito dell'accordo tra i governi di USA e Turchia iniziò lo schieramento dello Squadron sul territorio turco. Quindici missili furono dispiegati in cinque siti vicino a Smirne in Turchia, rimanendovi tra il 1961 e il 1963. I missili rimasero sempre sotto controllo dal personale dell'Aeronautica Militare degli Stati Uniti. I primi tre missili furono consegnati alla Türk Hava Kuvvetleri (l'aeronautica militare turca), nell'ottobre 1962, proprio durante la crisi dei missili a Cuba. Tuttavia il personale della U.S. Air Force comandava ed armava le testate nucleari, sebbene la procedura di lancio prevista fosse uguale a quella per i missili installati in Italia. Le reali posizioni di schieramento dei missili MRBM Jupiter in Turchia sono coperte da un impenetrabile segreto di stato. Secondo alcune fonti, non confermate, sembra che uno dei cinque siti di lancio fosse posizionato sulle montagne vicino a Manisa e un altro sulle montagne vicino ad Akhisar. Il comando centrale venne installato presso la base aerea di Cigli, nelle vicinanze di Smirne.
Molto prima che fossero installati in Turchia missili in grado di raggiungere il territorio sovietico, questi ultimi erano già in gran parte obsoleti e sempre più vulnerabili ai possibili attacchi sovietici. Già nel 1961 il presidente John F.Kennedy aveva ordinato lo smantellamento di tutti gli IRBM Jupiter posizionati in Europa. L'U.S. Air Force, tuttavia, iniziò con molto ritardo le operazioni di ritiro, e ciò fece infuriare il presidente Kennedy quando venne a sapere che a più di un anno dall'emissione dell'ordine i missili non erano ancora stati rimossi. Questa decisione contribuì a disinnescare la crisi dei missili di Cuba del mese di ottobre 1962. In effetti, nel quadro degli accordi segreti tra i sovietici e gli americani, la rimozione dei missili Jupiter dall'Europa era una delle condizioni per rimuovere i missili balistici installati a Cuba da parte dell'Unione Sovietica.
IMPIEGO DEL MISSILE JUPITER IN CAMPO CIVILE
Alcuni missili Jupiter vennero lanciati durante voli di test suborbitali con a bordo animali: il primo di questi test avvenne il 13 dicembre 1958, quando lo Jupiter AM-13 venne lanciato da Cape Canaveral (Florida) con a bordo una scimmia scoiattolo sudamericana appositamente addestrata dall'US Navy di nome Gordo. Purtroppo il paracadute di rientro della capsula non funzionò, e la scimmia rimase uccisa. I dati telemetrici ricevuti dimostrarono che l'animale era sopravvissuto ai 10 g (100 m/s2) del lancio, ad otto minuti in microgravità ed ai 40 g (390 m/s2) della fase di rientro. La capsula si inabissò nelle profondità dall'Oceano Atlantico a circa 410 km (302 miglia) da Cape Canaveral, e non poté mai essere recuperata. Un altro lancio con animali a bordo avvenne il 28 maggio 1959, quando fu lanciato lo Jupiter AM-18 con, stavolta, due scimmie a bordo: un macaco rhesus americano chiamato Able, del peso di 3,2 kg, e l'altra, una scimmia scoiattolo del Sud-America di nome Miss Baker del peso di 310 grammi. La capsula raggiunse un'altitudine di 96 km e volò per circa 2.400 km (1.500 miglia) decollando dall'Atlantic Missile Range, ancora a Cape Canaveral; durante il volo gli animali sopportarono un'accelerazione di 38 g oltre all'assenza di gravità per una durata di 9 minuti. La capsula raggiunse una velocità massima di circa 16.000 km/h durante il volo, che durò complessivamente 16 minuti. Dopo l'ammaraggio la capsula con a bordo i due animali fu raggiunta e recuperata dal rimorchiatore dell'USS Navy ATF-72 "Kiowa"; gli animali risultarono in buone condizioni, ma purtroppo Able morì quattro giorni dopo il volo per una reazione all'anestesia somministratagli durante un intervento per l'asportazione di un elettrodo che si era infettato. Miss Baker al contrario visse ancora per molti anni dopo il volo, e morì per insufficienza renale il 29 novembre 1984 presso l'United States Space and Rocket Center di Huntsville, in Alabama.
UTILIZZATORI DEI MISSILI JUPITER:
- Italia - Aeronautica Militare;
- Stati Uniti - United States Air Force;
- Turchia - Türk Hava Kuvvetleri.
ESEMPLARI ATTUALMENTE CONSERVATI:
Il Marshall Space Flight Center di Huntsville, Alabama espone un missile Jupiter presso il suo Rocket Garden.
L'US Space & Rocket Center di Huntsville, Alabama espone due Jupiter, di cui uno in configurazione lanciatore Juno II, presso il suo Rocket Park.
Un SM-78/PMG-19 è in mostra presso la Space Air Force Museum & Missile di Cape Canaveral, in Florida. Il missile era stato esposto in Rocket Garden per molti anni fino al 2009, quando è stato portato via e sottoposto ad un completo restauro.
Uno Jupiter (in configurazione Juno II) viene esposto presso il Rocket Garden del Kennedy Space Center, in Florida. Rimasto danneggiato dall'uragano Frances nel 2004, è stato riparato e successivamente riesposto presso la mostra.
Un PGM-19 è in mostra presso il National Museum of the United States Air Force di Dayton, Ohio. Il missile era stato ottenuto dalla Chrysler Corporation nel 1963. Per decenni è rimasto esposto all'esterno del museo, prima di essere rimosso nel 1998. Il missile è stato restaurato dal personale del museo ed esibito nuovamente presso la Missile Silo Gallery nel 2007.
Un PGM-19 è in mostra presso il South Carolina State Fairgrounds di Columbia, Carolina del Sud. Il missile, designato Columbia, è stato prestato alla città nel 1960 dalla US Air Force. Fu posizionato presso il quartiere fieristico della città nel 1969, ad un costo di $ 10.000.
L'Air Power Park di Hampton, Virginia espone un SM-78.
Il Virginia Museum of Transportation, collocato nel centro di Roanoke, Virginia, espone un PGM-19 Jupiter.
(FONTI: Web, Google, Wikipedia, fortificazioni.net, Gazzetta del Mezzogiorno, Sulatestagiannilannes, Acquavivalive, briganterocco, You Tube)
Quella del Mig caduto qui vicino mi era sconosciuta.
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