domenica 22 marzo 2020

Lo studio del Nobel per la Medicina Montagnier, il TG3 LEONARDO del 2015, REPORT del 30 marzo 2020: emerge una immensa imbecillità dei cinesi!



La diffusione del coronavirus ha avuto origine da Wuhan, dove è ubicato un laboratorio cinese che studia patogeni pericolosi: di recente il Nobel per la Medicina Montagnier: "Il genoma lo conferma, creato in laboratorio e sfuggito"...

Il coronavirus è un virus manipolato ed è uscito accidentalmente da un laboratorio cinese di Wuhan, dove si studiava un vaccino per l’Aids. È la teoria che Luc Montagnier, premio Nobel per la medicina nel 2008, ha spiegato in un podcast francese specializzato in medicina e salute. Secondo il professore, che nel 1983 ha scoperto l’Hiv come causa dell’epidemia di Aids, la Sars-CoV-2 è un virus è che stato lavorato e rilasciato accidentalmente da un laboratorio di Wuhan, specializzato nella ricerca sui coronavirus, nell’ultimo trimestre del 2019.

“Con il mio collega, il biomatematico Jean-Claude Perez, abbiamo analizzato attentamente la descrizione del genoma di questo virus Rna”, ha spiegato Montagnier. “Non siamo stati i primi - ha specificato - un gruppo di ricercatori indiani ha cercato di pubblicare uno studio che mostra che il genoma completo di questo virus ha all’interno delle sequenze di un altro virus, che è quello dell’Aids. Il gruppo indiano ha ritrattato dopo la pubblicazione, ma la verità scientifica emerge sempre. La sequenza dell’Aids - ha concluso il Nobel - è stata inserita nel genoma del coronavirus per tentare di fare il vaccino”. 















La guerra segreta contro i falsari da laboratorio

La Cina è un mercato redditizio per reagenti contraffatti, un problema serio sia per gli scienziati cinesi sia per la comunità scientifica globale, poiché questi falsi prodotti destinati ai laboratori hanno contribuito al fallimento di esperimenti. Alcuni ricercatori però sono passati al contrattacco.
Nel 2013 Huang Song è entrato in una stamperia in un quartiere a nord-ovest di Pechino e per caso ha scoperto le prove di un'impresa criminale sfacciata e diffusa. Huang era a soli 15 chilometri dall'Istituto nazionale di scienze biologiche di Pechino, dove fa ricerca nel campo della biologia sintetica. Cercava una piccola macchina da tavolo per produrre le centinaia di etichette necessarie ai suoi esperimenti, e aveva chiesto se un determinato modello poteva stampare su carta resistente al calore. Il proprietario del negozio orgogliosamente aveva tirato fuori alcuni campioni che aveva fatto per i clienti che usavano quella stessa macchina.
Huang era rimasto sconvolto nel vedere nomi come Abcam e Cell Signaling Technology sulle etichette che sembravano proprio come quelle delle fiale di costosi anticorpi prodotti dalle aziende occidentali. Anche se la scritta non significava nulla per l'amichevole proprietario del negozio, per Huang ciò confermava quello che lui e un certo numero di suoi colleghi sospettavano da tempo: molti degli anticorpi venduti dai distributori cinesi non erano quello che avrebbero dovuto essere. I falsari stavano mettendo sul mercato reagenti di ricerca contraffatti e diluiti, e questo negozio a Zhongguancun, il più importante parco tecnologico di Pechino, era uno dei luoghi in cui acquistavano macchine per le loro etichette. "Avevo dei sospetti, e quella era la conferma", racconta Huang.
La Cina è famosa per DVD, borse Louis Vuitton e orologi Rolex falsi. Ma i reagenti contraffatti non sono in vendita negli affollati mercati pubblici. Sono venduti tramite sofisticati siti web, mescolati a forniture legittime, acquistate e vendute usando una rete di partner inconsapevoli, come il negoziante di Zhongguancun. Addirittura il personale addetto alle pulizie dell'università è stato implicato nel processo clandestino che crea prodotti di laboratorio contraffatti,
inclusi reagenti chimici di base, siero per colture cellulari e kit standard di laboratorio. Anche se è difficile quantificare gli effetti di questo commercio illegale, gli scienziati cinesi e alcuni in Europa e in Nord America affermano che i prodotti falsi li hanno portati fuori strada, con perdita di tempo e materiali.
Qualcuno in Cina teme che il problema possa minare gli sforzi del paese per diventare uno dei leader mondiali in campo scientifico. Le opzioni per combattere i falsari sono limitate. Le aziende che producono i reagenti i cui marchi sono stati contraffatti – e gli scienziati ingannati dai falsi – hanno desistito dall'intraprendere azioni legali, in parte perché sono in imbarazzo e in parte perché hanno poca fiducia nel fatto che le autorità di contrasto del fenomeno possano scalfire questo commercio. "Non si possono fermare dal provarci: il margine di profitto è troppo alto", afferma Huang.
Scienziati e fornitori stanno ora ideando strategie che potrebbero aiutare a cambiare l'equazione. I principali produttori di reagenti hanno lanciato campagne educative. Gli scienziati stanno condividendo i racconti delle loro disavventure, insieme con suggerimenti per evitare forniture fraudolente. E Huang ha contribuito a creare un'impresa a partecipazione statale che importa reagenti e sfrutta nuove procedure doganali e di quarantena, il che potrebbe contribuire a ridurre il mercato dei falsi. Ma queste misure non aiuteranno tutti. I ricercatori delle università e degli istituti fuori dei grandi centri come Pechino e Shanghai sono particolarmente a rischio. "Conosco tanti laboratori che ancora acquistano e usano falsi reagenti chimici importati", spiega Can Xie, biofisico dell'Università di Pechino. "Mi dispiace per loro".

La catena dei fornitori

La Cina è un bersaglio attraente per questa forma specializzata di contraffazione. Gli investimenti nella ricerca sono aumentati rapidamente: negli ultimi dieci anni il budget della scienza biomedica per la National Science Foundation cinese è quadruplicato. E l'enorme dimensione del paese fa sì che le aziende straniere, incapaci di tenere il passo con la domanda e riluttanti a barcamenarsi nel complicato sistema di distribuzione della Cina, sono diventati dipendenti dai distributori locali. "Il paese pone molti problemi di distribuzione e le spedizioni sono difficili dal punto di vista logistico", afferma Jay Dong, vicepresidente globale e direttore generale dell'area Asia-Pacifico di Cell Signaling Technology, produttore di anticorpi con sede a Danvers, in Massachusetts.
Quindi le aziende locali spesso svolgono un ruolo di distribuzione molto importante. Alcune sono autorizzate dai produttori. Molte altre tuttavia non lo sono, e spesso è difficile per gli scienziati capire la differenza, dice Jack Leng, amministratore delegato di Shanghai Universal Biotech, uno dei maggiori distributori di anticorpi in Cina. I commercianti poco raccomandabili possono trarre vantaggio dai prezzi gonfiati e dalle lunghe attese create dalle ostiche dogane della Cina e dalle misure di controllo della qualità. Offrono prezzi bassi e un servizio veloce per quelli che sembrano gli stessi prodotti, a volte affermando che le merci sono state introdotte di contrabbando nel paese. "La contraffazione è evidente in Cina più che in altri paesi", dice Dong.
Xie, che ha lavorato negli Stati Uniti come postdoc, dice che ci sono voluti pochi anni dopo il suo ritorno in Cina nel 2009 per rendersi conto che alcuni reagenti chimici che stava acquistando erano scadenti. I distributori, racconta, affermavano di rappresentare aziende straniere con prodotti di prima qualità, mentre in effetti stavano vendendo versioni a basso costo prodotte a livello nazionale. Non è in grado di affermare con certezza che i reagenti impuri e di scarsa qualità siano stati responsabili del fallimento degli esperimenti, ma aggiunge che "qualche misteriosa sostanza insolubile" trovata in alcune soluzioni avrebbe dovuto far scattare un segnale di allarme. Ora acquista solo da aziende note con filiali in Cina.
Huang, che è vicedirettore dell'amministrazione presso il suo istituto, è stato testimone di disavventure simili capitate a un collega nel 2012, quando, sei mesi dopo aver pubblicato un articolo, ha scoperto di non poter ripetere i risultati di alcuni esperimenti. Il ricercatore ha effettuato tutti i controlli standard per questo tipo di problemi e ha chiesto aiuto ai suoi colleghi. Alla fine ha scoperto che un reagente usato per introdurre il DNA nelle cellule stava ostacolando i suoi sforzi di replicazione dei risultati. Ora Huang attribuisce i problemi a una contraffazione. "L'ultima cosa a cui pensi è il reagente", dice. "Questo è il tipo di stress che può costarti parecchio".
Gli anticorpi contraffatti sono una fonte di ostacoli particolarmente diffusa. Gli anticorpi sono fondamentali in una serie di esperimenti biologici, perché offrono la possibilità di marcare e tracciare le proteine in un'ampia gamma di sistemi viventi. Ma anche quelli incontaminati presentano alcune difficoltà: ci possono essere variazioni naturali da lotto a lotto, e potrebbero marcare le proteine sbagliate.
Queste incertezze rendono i falsi difficili da scovare. "Le ragioni di un risultato negativo possono essere diverse", dice Zhu Weimin, vicepresidente senior della divisione di tecnologia anticorpale di Abcam, con sede a Cambridge, in Regno Unito, che ha una filiale regionale a Shanghai. "Il problema è serio".
Gli effetti di questa combinazione di confusione e di incertezza non sono limitati alla Cina. Nel 2012, per esempio, i ricercatori di Londra e Bialystok, in Polonia, hanno riferito di aver usato un kit basato su anticorpi, chiamato ELISA, per rilevare una certa proteina nel sangue delle persone con malattia renale cronica. Ma quando lo specialista Herbert Lin, del Massachusetts General Hospital di Boston, ha acquistato lo stesso kit – marcato come prodotto della USCN Life Science di Wuhan, in Cina – e lo ha sottoposto a prove rigorose, ha scoperto che il kit marcava una proteina diversa. Gli autori dello studio originale hanno convenuto che ormai era chiaro che l'anticorpo puntava la proteina errata. "Il fatto che non abbiamo ricevuto risposte dai produttori a un paio di e-mail riguardo al loro saggio avrebbe forse dovuto allertarci che c'era qualcosa di sbagliato", hanno scritto.
L'oncologo ricercatore Ioannis Prassas, del Mount Sinai Hospital di Toronto, in Canada, ha avuto un'esperienza simile con i kit ELISA con marchio USCN. Prassas dice che il suo gruppo ha impiegato due anni e circa 500.000 dollari per cercare d'identificare il problema.
Chris Sun, responsabile dello sviluppo tecnologico di Cloud-Clone Corporation, azienda di Wuhan che vende prodotti USCN, dice che la società ha esaminato il kit acquistato da Prassas, ma non ha mai identificato il problema. Ha rimborsato parzialmente Prassas. Sun nega che l'azienda vendesse intenzionalmente cattivi anticorpi. "Abbiamo migliaia di anticorpi che produciamo noi stessi. Non abbiamo motivo di usare anticorpi falsi quando abbiamo quelli autentici", dice, aggiungendo che non risulta alcuna registrazione di un reclamo sul kit con cui Lin ha trovato problemi.
La maggior parte dei kit USCN sono venduti tramite distributori, aggiunge Sun, e a volte l'azienda ha trovato prodotti contraffatti spacciati per prodotti USCN.
Stimare le dimensioni del problema è difficile, anche se alcune aziende ci stanno provando. Alla fine dell'anno scorso, Abcam ha tirato le somme di circa un anno di segnalazioni ricevute dagli scienziati cinesi preoccupati dell'autenticità dei prodotti con marchio Abcam. Dopo aver controllato codici a barre, numeri di lotto e periodi di acquisto, l'azienda ha stabilito che i prodotti falsi erano responsabili del 42 per cento delle centinaia di casi segnalati.

Ingredienti segreti

Ciò che gli scienziati stanno trovando nei flaconi è molto variabile. A volte, gli anticorpi comuni e a basso costo sono ri-etichettati e venduti come anticorpi rari e costosi, dice Jade Zhang, direttore generale della filiale di Shanghai di Abcam. I falsari cercheranno di trovare un anticorpo di peso molecolare simile in modo che gli scienziati che eseguono un test rapido per verificare i reagenti non si allarmino. Ma negli esperimenti, gli anticorpi mancheranno i loro obiettivi.
Più comune rispetto alla sostituzione dell'anticorpo è la diluizione. I falsari acquistano prodotti autentici da distributori cinesi o di oltremare, e poi diluiscono una confezione per ottenerne cinque, dice Leng. "I clienti hanno quindi versioni molto più deboli. A volte possono usarli, a volte no".
I falsari "si sforzano molto per replicare il nostro imballaggio, creando provette ed etichette così simili alle nostre che può essere difficile accorgersi della differenza", dice Dong. "Il problema della contraffazione sembra provenire da un segmento di mercato piccolo ma attivo".
E molti dei soggetti coinvolti non si rendono conto di esserlo. Il proprietario del negozio di Zhongguancun non aveva idea di essere invischiato in attività illegali. "Sono tutti parte di una catena, ma non sono malvagi", dice Huang.
Nel 2015, Huang aveva notato nel suo laboratorio un'addetta alle pulizie che tirava fuori i flaconi dalla spazzatura e li metteva da parte. Stupito, le aveva chiesto perché. "L'avevo avvertita che non doveva bere da quei flaconi", dice. La donna aveva risposto che qualcuno era disposto a comprarli per 40 yuan (circa cinque dollari) al pezzo. È stato un altro momento illuminante.
In origine le bottiglie contenevano siero fetale bovino (FBS), un prodotto molto usato per le colture cellulari, derivato dal sangue raccolto nei macelli. Ma un divieto per le importazioni di prodotti bovini da Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda, a causa di malattie infettive, aveva messo a dura prova le forniture di FBS di alta qualità.
Il prezzo per le riserve di siero da luoghi vietati è raddoppiato negli ultimi anni, arrivando a circa 10.000 yuan a flacone. Siero fetale bovino di bassa qualità di altra origine costa circa un quarto rispetto alle importazioni vietate, ma è un cattivo sostituto. Thermo Fisher Scientific di Waltham, nel Massachusetts, che produce una delle marche di siero più diffuse, consapevole del problema, ha creato etichette e flaconi difficili da duplicare. È così che sono iniziati i tentativo di riciclaggio degli addetti alle pulizie. I falsari possono semplicemente ricaricare i flaconi con FBS di bassa qualità e venderli a prezzo più alto.
È difficile sapere quanto sia diffuso il problema, ma Huang azzarda una stima di massima: dato il numero di flaconi consumati e scartati dai grandi laboratori, nella sola Pechino il potenziale mercato dei falsari di FBS potrebbe essere di decine di milioni di yuan all'anno.

Alcuni si chiedono se il virus sia stato “accidentalmente” rilasciato.

Un laboratorio di biosicurezza di livello 4 che studia i “patogeni più pericolosi al mondo” ha sede a Wuhan, epicentro dell’epidemia di coronavirus che ha colpito la Cina, portando alcuni a sostenere che il virus sarebbe stato accidentalmente rilasciato.
In un articolo del 2017, Nature ha fatto riferimento all’Istituto di ricerca medica dell’Università di Wuhan, che ospita il laboratorio di biosicurezza livello 4 (BSL-4), che è costato 300 milioni di yuan (44 milioni di dollari USA).
Tra gli scopi del laboratorio vi era anche un piano per studiare “l’agente patogeno che causa la SARS”, spingendo la rivista Nature a riportare le preoccupazioni sulla sicurezza del laboratorio.
“Il virus SARS è fuggito dalle strutture di contenimento di alto livello a Pechino più volte”, osserva l’articolo, facendo riferimento a Richard Ebright, un biologo molecolare della Rutgers University.
Sul sito di Zero Hedge ci si chiede se il laboratorio di Wuhan sia “la versione cinese dell’Umbrella Corp”, un riferimento alla società farmaceutica dell’universo di Resident Evil che ha segretamente sviluppato armi biologiche.
Secondo il loro articolo, l’ubicazione del centro di ricerca di Wuhan “pone la domanda immediata se l’epidemia di coronavirus non sia un virus armato che è appena sfuggito al controllo del laboratorio”.

Il «laboratorio militare» di Wuhan e «i piani segreti per le armi chimiche» - Cosa scriveva Nature nel 2017


Il nuovo coronavirus spaventa il mondo. Mentre crescono vittime e contagi, con migliaia di casi accertati e purtroppo di deceduti anche in Italia.
Tutti ci interrogiamo sulle origini del virus 2019-nCoV. 
Molti ricercatori sembrano escluderne la genesi nell'ambito di un mercato di Wuhan, la megalopoli che è l'epicentro dell'epidemia. Tra le ipotesi in campo quella della contaminazione partita per errore dal laboratorio di biosicurezza di livello 4 (BSL-4) di Wuhan. Due anni fa la prestigiosa rivista scientifica Nature aveva parlato del "piano per costruire tra i cinque e i sette laboratori di biosicurezza di livello 4 (BSL-4) in tutto il continente cinese entro il 2025" che "ha generato molta eccitazione, ma anche innumerevoli perplessità". 
"Fuori della Cina, alcuni scienziati si preoccupano infatti che gli agenti patogeni possano essere fuoriusciti per errore umano dall'impianto, aggiungendo una dimensione biologica alle tensioni geopolitiche tra la Cina e altre nazioni", si legge nell'articolo pubblicato il 23 febbraio 2017 e rilanciato in Italia da Le Scienze, versione italiana di Scientific American. "BSL-4 è il massimo livello di biocontenimento", spiega l'articolo, ma "queste strutture sono spesso controverse. Il primo laboratorio BSL-4 in Giappone è stato costruito nel 1981, ma ha lavorato su agenti patogeni a basso rischio fino al 2015, quando le preoccupazioni relative alla sicurezza sono state finalmente superate". 

Ipotizzare che l’origine dell’epidemia a Wuhan si trovi in un laboratorio biologico vicino non è sbagliato, bisogna però valutare quali sono le fonti e cosa dicono esattamente

Paolo Liguori parla in diretta al TgCom24 di una fonte anonima affidabile, la quale avrebbe riferito che il focolaio del nuovo coronavirus cinese avrebbe origine «dal laboratorio di Wuhan, di cui le riviste occidentali si erano già interessate». Il Direttore mostra così la copertina di Nature del 2017, con l’articolo di David Cyranoski, da noi già trattato in un precedente articolo, dove si sollevarono dubbi sulla sicurezza di un laboratorio del genere.
Come avevamo già evidenziato, chi si è occupato di studiare le origini del virus – compreso Cyranoski, in una recente critica sull’origine dai serpenti – non ha sostenuto la tesi di una origine “artificiale”.La notizia è stata rilanciata in questi giorni nel web, senza ausilio di una “Gola profonda”. Forse non è stata letta con attenzione, prima di ascoltare altre fonti. Cerchiamo allora di fare chiarezza, premesso che fare ipotesi del genere è legittimo, ma occorrono prove solide.

Un laboratorio militare in cui si studiano «armi chimiche»?

Sul TgCom24 la narrazione prosegue, parlando di «laboratorio militare» nel centro di Wuhan, e di un «programma segreto sulle armi chimiche». Il National Bio-safety Laboratory è un centro di ricerca, progettato per studiare la prevenzione e il controllo delle malattie infettive emergenti.
«Certificato come conforme agli standard e ai criteri di BSL-4 – continua Cyranoski su Nature – dal China National Accreditation Service for Conformity Assessment (CNAS)», con approvazione del Ministero della salute cinese.
Tra i criteri di sicurezza, oltre al filtraggio dell’aria, è previsto  il trattamento di acqua e rifiuti, mentre i ricercatori si cambiano i vestiti e fanno una doccia – prima e dopo l’utilizzo delle strutture – tutto nell’ambito di una collaborazione coi ricercatori francesi. Esiste una rete di laboratori di questo tipo nel Mondo. Cyranoski riporta che erano una dozzina, sparsi in Giappone, negli Stati Uniti e in Europa. Alla faccia del piano segreto per sviluppare armi chimiche.

Qual è lo scopo del Bio-safety Laboratory di Wuhan?

Laboratori di questo tipo: Bsl (Bio-safety Laboratory), sono attrezzati allo scopo di studiare le «malattie emergenti – continua Cyranoski – memorizzerà i virus purificati e fungerà da “laboratorio di riferimento” dell’Organizzazione mondiale della sanità collegato a laboratori simili in tutto il mondo».
Difficile definirlo un laboratorio militare in cui vengono portati avanti piani segreti.
«Il laboratorio è stato progettato e costruito con l’assistenza francese – spiega Cyranoski – nell’ambito di un accordo cooperativo del 2004 sulla prevenzione e il controllo delle malattie infettive emergenti. 

Ma la complessità del progetto, la mancanza di esperienza della Cina, la difficoltà di mantenere i finanziamenti e le lunghe procedure di approvazione del governo hanno comportato che la costruzione non fosse terminata fino alla fine del 2014».
Il Wuahn Institute of Virology – non proprio una caserma – che ospita il laboratorio, non sembra nemmeno nel centro della città, stando a quanto possiamo vedere con Google maps.

La “Gola profonda” del Washington Times

Si citano quindi le dichiarazioni al Washington Times (da non confondere col Washington Post), di un presunto ex ufficiale dei servizi israeliani, Dany Shoham, esperto di guerra batteriologica, secondo il quale il laboratorio farebbe parte di un più vasto progetto segreto sulle «armi chimiche» (ma il Washington Times parla di «bio-warfare», ovvero “guerra biologica“), sfuggito evidentemente ai colleghi di tutto il mondo dal 2017 a oggi.
Ovviamente, per stessa ammissione del TgCom24, non ci sono prove, ragione per cui, risulta di difficile comprensione l’esigenza di far circolare narrazioni simili.
Il 27 gennaio i debunker del circuito di Poynter hanno contattato Dany Shoham, il quale smentisce di aver affermato che il coronavirus possa essere originato dal laboratorio di Wuhan.
«Ho suggerito un possibile collegamento al programma di guerra biologica cinese – afferma Shoham – sotto forma di fuga del virus, ma ho aggiunto che: “finora non ci sono prove o indicazioni per tale incidente”.

L’intero evento potrebbe ovviamente essere del tutto naturale, ed è così che sembra essere in questo momento. Sono necessarie ulteriori informazioni sull’origine del virus».

La smentita di Nature

Nature aggiorna con una nota editoriale l’articolo di Cyranoski sul laboratorio di Wuhan, spiegando che le tesi di complotto attorno al suo contenuto sono infondate. Ribadendo che chi ha studiato il virus ritiene più probabile come origine il mercato locale.

La guerra della Cina contro il virus e la verità   

Laboratori chiusi, medici silenziati, professori arrestati, social network censurati e attacchi ai “nemici del popolo”. Così il Partito comunista ha messo in pericolo la salute internazionale e ora usa l’epidemia per fare propaganda.

Duemilaventi. La Cina combatte il Coronavirus”. 

E’ il titolo del libro appena pubblicato dal Partito comunista cinese per celebrare la vittoria sull’epidemia e su come “il compagno Xi Jinping si è preso cura del popolo”. Fa parte della sua impressionante macchina della propaganda. Il ministero degli Affari esteri cinese in conferenza stampa intanto dichiarava che è una diffamazione parlare di “virus cinese” e che la sua origine è “ignota”. Origine ignota… 
Il regime ha arruolato anche il dottor Zhong Nanshan,…
….Il laboratorio delle bio-armi: nel 1981  “Leigh Nichols” ci informava che:
“Chiamano la sostanza  Gorki -400 “perché è stato sviluppato nei loro laboratori RDNA fuori dalla città di Gorki , ed è stato il quattrocentesimo ceppo vitale di organismi artificiali creati in quel centro di ricerca.”
Di fatto,  Gorki era in epoca sovietica una “città chiusa”, irraggiungibile ai comuni cittadini  senza speciali autorizzazioni:i suoi abitanti erano  essenzialmente  scienziati e famiglie che lavoravano alle invenzioni belliche più segrete.
Nel 1989, collassata l’Unione Sovietica e il comunismo, Koontz, o più probabilmente l’editore, hanno attualizzato il romanzo indicando  il nuovo “nemico”;perché  quello vecchio non faceva più paura.
L’ edizione 1989, dove Gorki diventa Wuhan. Preternaturale preveggenza? Non lo escludo. 
Ma agli addetti ai lavori è abbastanza noto che (come ha scritto GlobalResearc) fin dal 1948, gli Stati Uniti “hanno condotto per molti decenni un’intensa ricerca sulla guerra biologica, in molti casi fortemente focalizzata su agenti patogeni specifici per razza.
In un rapporto al Congresso degli Stati Uniti, il Dipartimento della Difesa ha rivelato che il suo programma di creazione di agenti biologici artificiali includeva la modifica di virus non fatali per renderli letali e l’ingegneria genetica per alterare l’immunologia degli agenti biologici per rendere impossibile il trattamento e le vaccinazioni. Il rapporto militare ha ammesso che all’epoca operava circa 130 strutture di ricerca sulle bio-armi, dozzine nelle università statunitensi e altre in molti siti internazionali al di fuori del Congresso degli Stati Uniti e della giurisdizione dei tribunali.
Un rapporto riservato del 1948 si leggeva:
Una cannonata  o una bomba non lascia dubbi sul fatto che si sia verificato un attacco deliberato. Ma se … un’epidemia si abbatte su una città affollata, non c’è modo di sapere se qualcuno ha attaccato, tanto meno chi “, aggiungendo con speranza che” Una parte significativa della popolazione umana all’interno di aree bersaglio selezionate potrebbe essere uccisa o inabilitata “solo con piccole quantità di un agente patogeno.

L’Istituto di ricerca medica delle malattie infettive dell’esercito americano ha sede in una base mlitare,  Fort Detrick nel Maryland. 

Praticamente è la Gorki-città -chiusa  americana. Quindi opera per la democrazia.
E “un manuale operativo dell’esercito americano del 1956 affermava esplicitamente che la guerra biologica e chimica era una parte operativa integrale della strategia militare degli Stati Uniti, non era limitata in alcun modo dato che  il Congresso aveva dato  ai vertici militari  l’autorità   “First Strike”, primo colpo, a loro giudizio tattico.  Nel 1959,  il   Congresso  tentò  di  sottrarre ai generali  questa autorità di primo colpo;  fu sconfitto dalla Casa Bianca e le spese per armi biochimiche aumentarono da $ 75 milioni a quasi $ 350 milioni. Questa era un’enorme quantità di denaro nei primi anni ’60.
Nel 2000,  The Project for the New American Century ha prodotto un rapporto intitolato “Ricostruire le difese americane”, che conteneva un’ambizione politica radicale e bellicosa di destra per l’America. Il loro rapporto si definiva un “progetto per mantenere la preminenza globale degli Stati Uniti … e modellare l’ordine di sicurezza internazionale in linea con i principi e gli interessi americani”. 
Gli autori, ovvia la loro mentalità genocida, affermarono:
“Le forme avanzate di guerra biologica che possono” colpire “genotipi specifici possono trasformare la guerra biologica … in uno strumento politicamente “utile.”

Dalla rivista statunitense “NATURE”: “‘Alcune delle scelte più importanti sulla salute fisica di una nazione sono fatte, o non fatte, da una manciata di uomini, in segreto’.””” 

.....Sessant’anni fa, il chimico, scrittore e funzionario pubblico Charles Percy Snow rivelò nel suo libro Science and Government (Scienza e governo) che tutti i consigli scientifici dati ai governi durante la Seconda Guerra Mondiale erano privi di prove. E mentre il mondo si trova ora sull’orlo di una delle peggiori epidemie infettive da un secolo a questa parte, le sue osservazioni sono altrettanto rilevanti oggi – si legge su Nature -. In tutto il mondo, i paesi stanno rispondendo alla pandemia di coronavirus con misure adottate solo in tempo di guerra. Le frontiere si stanno chiudendo. Le comunità sono in quarantena, gli incontri sono stati cancellati, i ristoranti sono stati chiusi, le fabbriche e le camere d’albergo sono state requisite. Eppure in molti Paesi, compresi gli Stati Uniti e il Regno Unito, i governi hanno preso decisioni cruciali in segreto e fatto annunci prima di pubblicare le prove su cui si basano le loro decisioni. Non è così che i governi dovrebbero lavorare. La segretezza deve finire”.

LA LEZIONE DELL’OMS È DA SEGUIRE

“Mentre l’Europa diventa il nuovo epicentro dell’epidemia e i casi continuano ad aumentare in quasi tutti i paesi colpiti, tre cose devono accadere con urgenza”, sostiene Nature e cioè seguire i consigli dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
“Né gli Stati Uniti né il Regno Unito hanno detto perché non hanno seguito il consiglio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che è quello di testare, tracciare e isolare il maggior numero possibile di casi di COVID-19 in modo aggressivo. Questi paesi sostengono di essere stati consigliati da alcuni dei migliori virologi ed epidemiologi di malattie infettive del mondo. Questo è vero. Ma allo stesso tempo, nessun governo può eguagliare l’esperienza cumulativa sul campo dell’OMS – e le lezioni apprese – nell’affrontare le epidemie, dalla sindrome respiratoria acuta grave (SARS) all’Ebola. L’agenzia sottolinea che le misure note come ‘contenimento’ sono essenziali, insieme al distanziamento sociale e alla rapida assistenza clinica, nei luoghi in cui la trasmissione è in corso”.

CINA E COREA DEL SUD HANNO CONTENUTO L’EPIDEMIA

Infatti, evidenzia Nature, “la sperimentazione aggressiva dei casi e la messa in quarantena dei contatti non è ancora una priorità politica dichiarata per gli Stati Uniti, dove gli sforzi sono ostacolati dalla carenza di test diagnostici di coronavirus COVID-19 e dall’assenza di un sistema sanitario pubblico unificato. Anche il Regno Unito, dove la sanità pubblica è gestita in modo più centralizzato, ha implementato test limitati, anche se ora li sta incrementando, come altri Paesi. Al contrario, sebbene le rispettive misure di mitigazione siano state diverse, la Cina e la Corea del Sud hanno utilizzato fin dall’inizio un contenimento molto più aggressivo, e continuano a farlo. Entrambi i Paesi hanno ora meno nuovi casi al giorno rispetto a quando il virus era al suo apice”.

LA CRITICA DELL’OMS E COSA BISOGNA FARE: TROVARE, ISOLARE, TESTARE E TRATTARE OGNI CASO

È raro che l’OMS critichi i Paesi membri che sono tra i suoi maggiori donatori, ma il direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus è stato inequivocabile quando ha detto la scorsa settimana: ‘L’idea che i paesi debbano passare dal contenimento alla mitigazione è sbagliata e pericolosa’. E ha aggiunto: ‘Non puoi combattere un virus se non sai dove si trova. Ciò significa una solida sorveglianza per trovare, isolare, testare e trattare ogni caso, per spezzare le catene di trasmissione’”.
Questa settimana ha ribadito il punto: “Il modo più efficace per prevenire le infezioni e salvare vite umane è spezzare le catene di trasmissione. E per farlo, è necessario testare e isolare. Non si può combattere il fuoco con gli occhi bendati. E non possiamo fermare questa pandemia se non sappiamo chi è infetto” da coronavirus.

ABBRACCIARE UNA RICERCA ‘APERTA’ SUL CORONAVIRUS

Fin dall’inizio dell’epidemia, i ricercatori di tutto il mondo hanno aperto la strada alla condivisione di ricerche e dati. Anche Nature – insieme ai colleghi di tutta l’editoria di ricerca internazionale – “si è impegnata a rendere aperte tutte le ricerche e i dati relativi ai coronavirus. La condivisione dei dati – che vanno dalle sequenze di geni virali agli studi epidemiologici – è necessaria per tracciare come il virus si sta diffondendo e come potrebbe essere arginato”.
“I leader della ricerca che lavorano per – e consigliano – i governi devono fare lo stesso. Una ricerca aperta e condivisa è una ricerca migliore, perché consente a un gruppo più ampio di esperti di verificare le ipotesi, verificare i calcoli, interrogare le conclusioni e individuare e contestare gli errori. Purtroppo, quando si tratta delle prove che stanno alla base dei consigli scientifici dei governi, questo non accade abbastanza”, ammonisce Nature.
E le conseguenze della mancata pubblicazione delle prove sono evidenti come nel caso della decisione del Regno Unito di ritardare la chiusura della scuola dell’obbligo e del posto di lavoro che altri paesi stanno attuando. “Parte del ragionamento iniziale, come spiegato dal capo consulente scientifico Patrick Vallance, includeva la premessa che, per le persone sane, l’insorgenza di una malattia lieve contribuirebbe a rafforzare la loro immunità – e che, se più persone diventano immuni, si riduce la trasmissione del virus. Secondo questo ragionamento, una tale mossa ritarderebbe – e ridurrebbe – il picco delle infezioni. Ma le prove alla base di questo approccio non sono state rivelate. Non inaspettatamente, l’approccio è stato messo in discussione dagli scienziati, compresi gli epidemiologi e altri specialisti in malattie infettive, e non fa più parte della politica del Regno Unito”, ha ricordato il magazine scientifico.
“I ricercatori comprendono che saranno necessari cambiamenti improvvisi nella politica in una situazione in rapida evoluzione in cui ci sono molte incognite. Ma i governi rischiano di perdere la loro fiducia annunciando queste politiche prima che i dati, i modelli e le ipotesi sottostanti siano stati resi noti – ammette Nature -. I ministri e i loro consulenti scientifici sembrano essere tornati al modello della seconda guerra mondiale di prendere decisioni in gruppi relativamente piccoli e poi rilasciare documenti e dichiarazioni, rilasciare interviste o scrivere articoli. I politici e i loro consulenti scientifici devono stare al passo con i tempi e abbracciare la ricerca aperta. Dovrebbero sfruttare le competenze collettive – ora accessibili anche attraverso i social media – di virologi, epidemiologi, ricercatori comportamentali e altri che possono aiutarli a interrogare meglio i loro modelli, e quindi a migliorare le loro decisioni. Questo è imperativo ora, quando prendono decisioni da cui dipende il futuro della vita e dell’economia”.

LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE SALVERÀ DELLE VITE

“È difficile per i consulenti scientifici e medici del governo sostenere un approccio più collettivo e trasparente quando alcuni dei loro leader – in particolare il presidente americano Donald Trump e la sua amministrazione – sono scettici sul valore della cooperazione internazionale e prendono invece decisioni unilaterali. La decisione degli Stati Uniti di vietare i voli dalla Cina e dall’Iran, e successivamente dai Paesi europei, è stata presa senza consultare la maggioranza di questi paesi – e senza pubblicare le prove di come i divieti di volo possano rallentare la diffusione di un virus che già circola all’interno di un Paese”, evidenzia il magazine.
“Ma i consiglieri devono perseverare. Devono convincere i loro leader che un’azione collettiva coordinata è nell’interesse di tutti. Se, per esempio, non sono d’accordo con l’analisi dell’Oms, allora dovrebbero spiegarne il motivo. Per sconfiggere una pandemia in un mondo interconnesso, i paesi devono fornire prove complete e trasparenti a sostegno delle loro decisioni, ed essere disposti a condividere tali prove in modo da poter sconfiggere insieme il virus”, ha concluso Nature.

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Coronavirus, the Nobel Prize in Medicine Montagnier: "The genome confirms it, created in the laboratory and escaped."

The coronavirus is a manipulated virus and accidentally came out of a Chinese laboratory in Wuhan, where an AIDS vaccine was being studied. This is the theory that Luc Montagnier, Nobel Prize winner for medicine in 2008, explained in a French podcast specializing in medicine and health. According to the professor, who discovered HIV as the cause of the AIDS epidemic in 1983, Sars-CoV-2 is a virus that was accidentally processed and released by a laboratory in Wuhan, specializing in coronavirus research, in the last quarter of 2019.
"With my colleague, the biomathematician Jean-Claude Perez, we carefully analyzed the description of the genome of this Rna virus," explained Montagnier. "We were not the first - he specified - a group of Indian researchers tried to publish a study that shows that the complete genome of this virus has within the sequences of another virus, which is that of AIDS. The Indian group retracted after the publication, but the scientific truth always emerges. The AIDS sequence - concluded the Nobel Prize winner - was inserted in the genome of the coronavirus to try to make the vaccine". 

(Web, Google, Wikipedia, TGCOM24, Nature, Whashington Times, Libero, Il Foglio, Maurizioblondet, whitewolfrevolution, Le Scienze, Nature, You Tube)


Coronavirus, the Nobel Prize in Medicine Montagnier










2 commenti:

  1. È piu probabile che sia opera degli americani !

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  2. NON CREDO PROPRO, VISTI GLI ULTIMI RISVOLTI. CI SONO TROPPI SCIENZIATI NEI PAESI EMERGENTI CHE FANNO TROPPE CA.......ATE!

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