La USS Indianapolis (CA-35) è stato un incrociatore pesante della classe Portland, della United States Navy, che ha guadagnato un posto nella storia in seguito alle vicende legate al suo affondamento. In quella circostanza si registrò la seconda maggior perdita di vite umane in un unico evento della storia della marina degli Stati Uniti, con 880 vittime, inferiore solo a quello occorso nell'affondamento della USS Arizona (BB-39) durante l'attacco a Pearl Harbor. Dopo aver consegnato il 26 luglio 1945 alla base di Tinian parti critiche per l'assemblaggio del primo ordigno atomico poi lanciato su Hiroshima, si trovava nel Mare delle Filippine quando il 30 luglio 1945 alle ore 00:14 fu attaccata e affondata da un sommergibile giapponese. Durante i quattro giorni di attesa dei soccorsi dopo l'affondamento, la maggior parte dell'equipaggio perse la vita per una combinazione letale di esposizione al sole, disidratazione e attacchi di squalo. La Indianapolis è stata una delle ultime unità statunitensi affondate durante la seconda guerra mondiale, precedendo di pochi giorni la perdita del sommergibile USS Bullhead (SS-332) affondato dai giapponesi il 6 agosto 1945.
Era la seconda nave da guerra statunitense a portare il nome della città di Indianapolis, ed era stata costruita dalla New York Shipbuilding a Camden (New Jersey) il 31 marzo 1930. Madrina del varo, il 7 novembre 1931, fu Lucy Taggart, figlia del senatore Thomas Taggart, ex sindaco di Indianapolis. Entrò in servizio al Philadelphia Navy Yard il 15 novembre 1932, al comando del capitano John M. Smeallie.
Sviluppo
La costruzione dei nuovi incrociatori classe Portland per l'US Navy fu intrapresa all'inizio degli anni trenta. Il disegno era largamente basato su quelli immediatamente precedenti classe Northampton, entrati in servizio tra il 1928 e il 1931 anche se la costruzione fu affidata a cantieri privati e non agli arsenali della marina. Come i Northampton, anche gli incrociatori Portland risentivano delle limitazioni imposte dal Trattato di Washington alla produzione di armamenti, ma presentavano sovrastrutture di diverso disegno e un potenziamento dell'armamento secondario, basato su cannoni da 127 mm. Apparato motore e protezione erano invece immutati.
In origine era prevista la costruzione di cinque navi, con gli hull classification symbol compresi tra CA-32 e CA-36, ma nel frattempo era già stato avviato il progetto delle unità successive (con lo hull symbol tra CA-37 e CA-41), che presentavano caratteristiche talmente superiori da indurre i vertici della marina a una riclassificazione per integrare nuove specifiche costruttive. Dato che la costruzione dei primi due esemplari era stata appaltata a cantieri privati, il cambiamento delle specifiche sarebbe stato eccessivamente oneroso per cui si decise di completare i primi due incrociatori secondo il progetto originale, e introdurre le modifiche a partire dalla terza unità. Soltanto le prime due navi, Portland e Indianapolis, quindi formarono la classe Portland. Le due navi disponevano di una corazzatura carente, che proteggeva solo le aree vitali, secondo lo schema che caratterizzava gli incrociatori protetti, a differenza dei veri incrociatori pesanti. Il risultato fu che le due navi erano molto veloci grazie al potente apparato motore e al profilo insellato dello scafo, ma avevano una vulnerabilità elevata e una scarsa galleggiabilità, al punto che l'ammiraglio Raymond Spruance ebbe a dire che le unità "non avrebbero resistito neppure a un siluro”.
Servizio
Tra le due guerre
Dopo un periodo di collaudo nell'Oceano Atlantico e nella Baia di Guantánamo fino al 23 febbraio 1932, la Indianapolis eseguì le prime manovre di addestramento nella Zona del Canale di Panama e nel Pacifico al largo del Cile. In seguito a una revisione presso il Philadelphia Navy Yard, l'incrociatore fece rotta verso il Maine per imbarcare il Presidente Roosevelt, che si trovava a Campobello Island, nella provincia canadese di Nuovo Brunswick, il 1º luglio 1933. Una volta sbarcato il presidente ad Annapolis, l'incrociatore il 4 luglio 1933 tornò al Philadelphia Navy Yard.
La nave operò come ammiraglia per tutto il resto della sua carriera di pace, e accolse nuovamente a bordo Roosevelt a Charleston in Carolina del Sud il 18 novembre 1936, per fare rotta verso il Sudamerica. Dopo aver trasportato il Presidente a Rio de Janeiro, Buenos Aires e Montevideo in visita di stato, tornò a Charleston dove attraccò il 15 dicembre, permettendo alla squadra presidenziale di scendere a terra.
Pearl Harbor e l'ingresso nella Seconda guerra mondiale
La Indianapolis scampò all'attacco giapponese di Pearl Harbor, perché il 7 dicembre 1941 stava simulando un bombardamento di Johnston Island a capo della task force 3 (TF 3). In seguito, si unì alla task force 12 (TF 12) e diede la caccia ai mezzi giapponesi che secondo i rapporti si trovavano ancora nelle vicinanze.
1942
La prima missione nel Sud del Pacifico ebbe luogo in acque dominate dai Giapponesi, 563 km a sud di Rabaul, in Nuova Britannia. Nella tarda serata del 20 febbraio 1942 le navi americane furono attaccate da due ondate di 18 bombardieri bimotore. Nella battaglia 16 velivoli furono abbattuti dalle batterie antiaeree americane o dagli aerei decollati dalla portaerei USS Lexington (CV-2). Le navi evitarono danni e riuscirono ad abbattere due idrovolanti giapponesi che le stavano tallonando. Il 10 marzo la Task Force 11, con ammiraglia la Indianapolis e altri 7 incrociatori più 14 cacciatorpediniere, rinforzata dalla Task Force 17 della portaerei USS Yorktown (CV-5) attaccò due porti controllati dal nemico a Lae e Salamaua, in Nuova Guinea, dove l'Esercito imperiale giapponese stava mobilitando forze anfibie. I 104 aerei americani decollati alle 08:00 circa dalle due portaerei nel golfo di Papua, al comando del vice ammiraglio Brown, sfruttarono a pieno il fattore sorpresa raggiungendo i porti da sud, attraversando l'alta catena montuosa dei monti Owen Stanley e dividendosi in due gruppi; un primo gruppo formato dai velivoli da ricognizione e bombardamento a tuffo SBD Dauntless appartenenti alla VS-2 della Lexington colpì il porto di Lae, mentre i bombardieri e gli aerosiluranti (squadriglie VT-2 e VB-2 della Lexington seguite dalle squadriglie VB-5 e VT-5 della Yorktown), non contrastati da alcuna CAP giapponese, eccettuati alcuni idrovolanti, si divisero nelle rispettive squadriglie e in due ondate intervallate da 15 minuti attaccarono alle 09:38 le imbarcazioni nemiche all'ancora. Tre navi da trasporto furono affondate e le altre gravemente danneggiate; i caccia F4F Wildcat del VF-42 di scorta abbatterono anche svariati velivoli giapponesi decollati per impedire l'attacco. Un solo SBD-2 fu abbattuto dalla contraerea nipponica e subito dopo il rientro dei velivoli le due Task Force fecero rotta a 20 nodi verso sud-est lasciando l'area.
La Indianapolis tornò negli USA per riparazioni e modifiche presso il Mare Island Navy Yard. Dopo i lavori, la nave scortò un convoglio per l'Australia, quindi si diresse verso il Pacifico settentrionale dove i Giapponesi nella Battaglia delle Isole Aleutine avevano messo in difficoltà gli Americani. I marinai furono costretti a combattere in condizioni precarie, per il freddo, per la nebbia persistente e imprevedibile, per la pioggia e l'acquaneve continue e infine per le tempeste improvvise con vento violento e mareggiate.
Il 7 agosto, il gruppo di navi a cui la Indianapolis era aggregata trovò una breccia nella nebbia che proteggeva i giapponesi a Kiska e metteva in pericolo le navi sulle coste frastagliate e non del tutto mappate. I cannoni da 203 mm della Indianapolis aprirono il fuoco insieme con quelli delle altre navi. Anche se la nebbia riduceva la visuale, i ricognitori decollati dalle portaerei riferirono di aver visto navi in affondamento nel porto e incendi sulle installazioni di terra. L'attacco americano fu così improvviso che passarono 15 minuti prima che le batterie nemiche rispondessero al fuoco e alcune di esse spararono verso il cielo credendo a un bombardamento aereo. La maggior parte delle batterie fu neutralizzata dalle navi. A questo punto intervennero alcuni sommergibili giapponesi, subito attaccati con bombe di profondità dai cacciatorpediniere statunitensi. Un successivo attacco da parte di idrovolanti nipponici fu altrettanto inefficace. L'operazione fu considerata un successo nonostante vi fossero poche informazioni sui risultati a causa della nebbia. Essa dimostrò tra l'altro la necessità di tenere basi più vicine alle isole controllate dal nemico. Di conseguenza quello stesso mese la marina americana conquistò l'isola di Adak mettendo a disposizione degli Alleati un punto di appoggio per i mezzi di terra e per gli aerei molto più in là della catena che va da Dutch Harbor a Unalaska.
1943
In gennaio, la Indianapolis fornì supporto all'occupazione di Amchitka, che si sarebbe rivelata per gli Alleati un'altra utile base nelle Isole Aleutine. La notte del 19 febbraio, mentre stava pattugliando assieme a due cacciatorpediniere la zona a sudovest di Attu nella speranza di incrociare navi nemiche che trasportavano rinforzi e approvvigionamenti a Kiska e alla stessa Attu, la Indianapolis intercettò il cargo giapponese Akagane Maru. Quest'ultimo tentò di rispondere al fuoco, ma fu affondato dal ben più potente avversario. La Akagane Maru esplose con un enorme boato (probabilmente trasportava tonnellate di munizioni) e non lasciò sopravvissuti. Durante la primavera e l'estate l'incrociatore operò nelle acque delle Aleutine scortando i convogli americani e coprendo gli attacchi anfibi. Nel mese di maggio gli alleati riuscirono a riconquistare Attu, che fu il primo territorio statunitense occupato dai giapponesi a essere recuperato. Una volta messa al sicuro Attu, le forze statunitensi si concentrarono su Kiska, l'ultima roccaforte nemica nelle Aleutine. Non ci fu bisogno di spargimenti di sangue in quanto i Giapponesi riuscirono a evacuare l'intera guarnigione sotto una spessa cappa di nebbia prima dello sbarco alleato del 15 agosto.
Dopo essere stata rifornita a Mare Island, la Indianapolis fece rotta per le Hawaii dove divenne la nave di bandiera del vice ammiraglio Raymond Spruance, comandante in capo della Quinta Flotta. Prese il largo da Pearl Harbor con il corpo di spedizione principale della Southern Attack Force per realizzare l'Operazione Galvanic, cioè l'invasione delle Isole Gilbert. Il 19 novembre ebbe inizio il bombardamento dell'atollo di Tarawa e il giorno successivo puntò verso le Isole Makin (vedi Battaglia di Makin). Poi ritornò a Tarawa dove fornì fuoco di copertura alle truppe per lo sbarco. Quel giorno la Indianapolis abbatté un aereo nemico e distrusse diversi capisaldi giapponesi mentre la fanteria faticava non poco a vincere la sanguinosa e costosa battaglia di Tarawa. Continuò a bombardare finché l'isola, che ormai era stata praticamente rasa al suolo, non fu dichiarata sicura tre giorni dopo. La successiva conquista delle Isole Marshall, durante la quale l'incrociatore era ancora la nave ammiraglia della Quinta Flotta, deve molto al vantaggio strategico scaturito dalle vittorie presso le Isole Gilbert.
1944
In quest'anno l'incrociatore si riaggregò alla sua Task Force a Tarawa, e alla vigilia del D-Day, il 31 gennaio 1944, faceva parte del gruppo che bombardò l'Atollo di Kwajalein. Il 1º febbraio successivo l'attacco continuò, e la Indianapolis neutralizzò due batterie nemiche a terra. Il giorno successivo la nave riuscì a distruggere un fortino e altre installazioni, e in seguito supportò l'avanzare delle truppe di terra con del fuoco di copertura. Dopo essere entrata nella baia il 4 febbraio, la Indianapolis vi rimase fino a quando la resistenza nemica non fu fiaccata.
Nel periodo di marzo e aprile, l'incrociatore, che era ancora ammiraglia della Quinta Flotta, attaccò le Caroline Occidentali. Gli aerei bombardarono Palau gli ultimi due giorni di marzo, avendo come primo obiettivo la distruzione delle molte imbarcazioni presenti. Affondarono 3 cacciatorpediniere, 17 cargo, 5 petroliere e danneggiarono altre 17 navi. In più, gli aeroporti delle isole furono bombardati, e le acque circostanti furono minate per impedire la fuga alle navi nemiche. Yap e Ulithi furono colpite il 31 e Woleai il 1º aprile. Durante i 3 giorni di attacco, gli aerei giapponesi attaccarono la flotta statunitense, ma furono abbattuti senza riportare danni. In particolare la Indianapolis abbatté il suo secondo aereo, un aerosilurante, e i nipponici persero in tutto 160 velivoli, compresi i 46 distrutti a terra. L'insieme degli attacchi riuscì nell'obiettivo di impedire alle consistenti forze giapponesi alle Caroline di interferire con gli sbarchi statunitensi in Nuova Guinea.
In giugno, la Quinta Flotta fu impegnata nell'assalto alle Isole Marianne. I raid su Saipan (vedi Battaglia di Saipan) incominciarono attraverso i caccia delle portaerei l'11 giugno, e in seguito, a partire dal 13, vi furono i bombardamenti dalle navi, nei quali il ruolo della Indianapolis fu fondamentale. Il giorno del D-Day, il 15 giugno, l'ammiraglio Spruance ricevette informazioni su una grande flotta dell'Impero Giapponese composta da corazzate, portaerei, incrociatori e cacciatorpediniere che stava puntando a sud per proteggere la guarnigione delle Marianne sotto attacco. Dato che le operazioni anfibie a Saipan andavano protette a tutti i costi, l'ammiraglio non poteva distogliere i suoi cannoni più pesanti dalla scena. Di conseguenza un gruppo di portaerei veloci fu inviato a nord per intercettare l'avanzata nipponica, un altro incominciò a bombardare Iwo Jima e Chichi Jima nelle Isole Ogasawara, che costituivano delle basi per potenziali attacchi aerei nemici.
Il 19 giugno ebbe inizio la Battaglia del mare delle Filippine. Le portaerei giapponesi, che speravano di riuscire a rifornirsi di carburante e munizioni a Guam e Tinian per poi attaccare gli americani in mare aperto, furono intercettate dagli aerei e dai cannoni degli Alleati. Quel giorno la marina americana riuscì a neutralizzare 400 aerei nipponici perdendone soltanto 17. La Indianapolis riuscì ad abbattere un aerosilurante. La serie di combattimenti aerei di quei giorni divenne nota tra gli equipaggi come Marianas Turkey Shoot (il tiro al tacchino delle Marianne), a indicare una situazione (in questo caso alle Marianne) in cui si può stangare quasi impunemente il nemico. Con la distruzione della resistenza aerea giapponese, i caccia americani silurarono la portaerei Hiyō, due cacciatorpediniere e una petroliera e danneggiarono gravemente altre unità navali. Altre due portaerei nipponiche, la Shōkaku e la Taihō, furono invece silurate da sommergibili.
La Indianapolis fece ritorno a Saipan il 23 giugno per riprendere a coprire le truppe e 6 giorni dopo si spostò a Tinian per distruggere le installazioni di terra dell'isola. Nel frattempo, anche Guam era stata catturata, e la Indianapolis fu la prima nave americana a entrare ad Apra Harbor dopo la sua occupazione all'inizio della guerra. Nelle successive settimane la nave operò alle Marianne, si spostò presso le Caroline Occidentali dove erano previsti nuovi sbarchi, dal 12 al 29 settembre bombardò l'isola di Peleliu nelle Palau, sia prima sia dopo lo sbarco. Fece poi rotta verso Manus nelle Isole dell'Ammiragliato, dove fu sottoposta a lavori per 10 giorni prima di fare ritorno al Mare Island Navy Yard, il cantiere navale californiano.
1945
Dopo essere stata revisionata, la Indianapolis si unì alla task force 58, composta di portaerei veloci, corazzate e incrociatori, del vice ammiraglio Marc Mitscher il 14 febbraio 1945, due giorni prima di compiere il primo attacco su Tokyo dopo il Doolittle Raid. L'operazione coprì lo sbarco americano a Iwo Jima, previsto per il 19 febbraio, distruggendo le basi aeree e altre installazioni giapponesi in madrepatria. Il fattore sorpresa fu sfruttato avvicinandosi alle coste nipponiche durante una mareggiata, e gli attacchi misero sotto pressione i nemici per due giorni. Nei due giorni tra il 16 e il 17 febbraio, la US Navy perse 49 aerei e abbatté 499 velivoli nemici, a terra o in volo. Questo fattore 10 a 1 di vittorie fu accompagnato dall'affondamento da parte della task force di Mitscher di una portaerei, nove navi da difesa costiera, un cacciatorpediniere, due cacciatorpediniere di scorta e una nave cargo. In più, gli Americani riuscirono a distruggere molti hangar, magazzini, installazioni aeree, fabbriche e altri obiettivi legati all'industria giapponese. La Indianapolis giocò un fondamentale ruolo di supporto in queste azioni.
Portato a compimento l'attacco su Tokyo, la Task Force si mosse verso Bonin per partecipare alla battaglia di Iwo Jima; la Indianapolis era l'ammiraglia della Task Force 50, e raggiunse l'area il giorno dello sbarco, insieme con le corazzate North Carolina e Washington, e i due incrociatori leggeri Sante Fe e Biloxi. L'incrociatore mantenne la posizione fino al 1º marzo, a protezione dei mezzi anfibi e bombardando ogni oggetto sulla spiaggia. Poi si riunì alla task force dell'ammiraglio Mitscher in tempo per ritornare a bombardare Tokyo il 25 febbraio e Hachijō (al largo della costa meridionale di Honshū) il giorno successivo. Nonostante le pessime condizioni meteo, le forze americane riuscirono a distruggere altri 158 aerei, ad affondare cinque piccole navi e a danneggiare diverse infrastrutture e molti treni.
A questo punto agli Alleati necessitavano di una base vicino alle isole giapponesi per tenere i nipponici sotto pressione, e Okinawa nelle Ryūkyū sembrava l'ideale. Per catturarla con le minime perdite possibili, gli aeroporti nel sud del paese del Sol Levante dovevano essere resi inabili a lanciare una reazione. In questa logica, la Indianapolis con il resto della Task Force partì da Ulithi il 14 marzo e procedette lungo le coste giapponesi. Il 18 dello stesso mese, da una posizione 100 miglia a sudest di Kyūshū, i cannoni incominciarono gli attacchi contro i campi aerei dell'isola, contro le navi giapponesi nei porti di Kōbe e Kure, e contro la parte sud di Honshū. Dopo aver localizzato il nemico, lo Stato Maggiore imperiale inviò uno stormo di 48 aerei per cercare di neutralizzare le navi, ma la metà di essi fu abbattuta quando mancavano ancora 60 miglia di viaggio per raggiungerle. Prima della fine della battaglia, anche il resto degli attaccanti era stato abbattuto.
I bombardamenti su Okinawa incominciarono il 24 marzo, e per sette giorni la Indianapolis scaricò i suoi pezzi da 203 mm sulle strutture di difesa costiere. Nel frattempo, i caccia nipponici tentarono di attaccare le navi americane, ma l'equipaggio dell'incrociatore riuscì ad abbatterne sei e danneggiarne gravemente altri due. Il 31 marzo, all'alba le vedette individuarono improvvisamente un velivolo nemico in volo verticale nei pressi dell'Indianapolis. I cannoni da 20 mm aprirono il fuoco, ma solo 15 secondi dopo la segnalazione il caccia era sopra la nave. I traccianti lo colpirono, ma anche mentre sbandava l'abile pilota nipponico riuscì a sganciare la sua bomba da un'altezza di soli 7-8 metri, e riuscì a schiantarsi nei pressi del portello di poppa. Il velivolo affondò poi innocuo nelle acque del Pacifico, ma la bomba penetrò attraverso il soffitto e la sala mensa dell'equipaggio, cadde passando per il compartimento di ormeggio e vicino ai serbatoi di carburante, finché non sfondò la chiglia, precipitò ed esplose nel mare sottostante. Nella chiglia la bomba provocò due falle e allagò i due compartimenti vicini uccidendo nove uomini. Anche se la nave si inclinò leggermente verso poppa e verso il portello, non ci furono ulteriori allagamenti e l'incrociatore si mosse verso una nave di supporto per le riparazioni di emergenza. Un'ispezione più approfondita rivelò che gli assi delle eliche e i serbatoi del carburante erano danneggiati, così come l'impianto per la distillazione dell'acqua. Nonostante tutto, l'incrociatore riuscì a compiere il lungo viaggio attraverso il Pacifico in direzione di Mare Island con le proprie forze.
Affondamento
La nave, comandata dal capitano Charles Butler McVay III aveva trasportato da Pearl Harbor a Tinian l'involucro e la carica di uranio della prima bomba atomica, insieme con due scienziati impersonanti dei tecnici dell'esercito, in quella che era stata definita Operazione Bronx Shipment; il meccanismo di innesco era stato immerso in un contenitore foderato di piombo e imbullonato all'hangar dell'idrovolante, mentre l'uranio 235 era stato posto in un analogo contenitore e conservato nella cabina normalmente riservata a un eventuale ammiraglio a bordo; la nave traversò da San Francisco a Pearl Harbor a una velocità media molto elevata di 29 nodi in un tempo record di 74,5 ore, proseguendo poi per Tinian.
Consegnata la bomba ripartì dal porto in direzione di Leyte nelle Filippine per unirsi alla task force 95.7 dell'ammiraglio McCormick, senza alcuna scorta nonostante il rischio di un attacco subacqueo fosse riportato ancora come non lieve.
Lungo la rotta prescelta tra le tre possibili, chiamata in codice "Peddie", era in agguato il sommergibile giapponese I-58, con a bordo anche dei siluri umani Kaiten (siluri con un membro di equipaggio che doveva compiere un attacco suicida). La nave procedeva alla velocità di 17 nodi e senza zigzagare, in quanto gli ordini erano di "zigzagare a discrezione in base anche alle condizioni meteo", e non veniva richiesto di mantenere una elevata velocità. Il comandante giapponese Mochitsura Hashimoto non era entusiasta dei Kaiten e scelse siluri convenzionali, lanciandone una salva. Due centrarono la fiancata dell'Indianapolis causando l'interruzione dell'energia elettrica e l'allagamento della nave che incominciò a sbandare. Nonostante tutto, il segnale di soccorso fu inviato, ma tre stazioni riceventi lo ignorarono, una perché il capostazione era ubriaco, un'altra perché il comandante aveva ordinato ai suoi uomini di non disturbarlo e la terza perché il segnale fu classificato come un falso inviato dai giapponesi.
Il mancato arrivo dell'unità al 31 luglio fu ignorato per due giorni dal controllo traffico di Leyte. Nel frattempo i circa 900 che erano riusciti ad abbandonare la nave, su 1.196 uomini di equipaggio, avevano incominciato la loro lotta per la sopravvivenza contro la mancanza di giubbetti di salvataggio, la disidratazione, che ne fece impazzire molti e gli attacchi degli squali. Nelle prime ore del 31 luglio furono lanciati razzi di segnalazione, visti da un C-54 da trasporto dell'Army Air Corps in rotta da Manila a Guam, e classificati dal comandante Richard G. Le Francis come una "battaglia navale", ma la segnalazione fu ignorata dai suoi superiori che gli risposero di "non preoccuparsi perché era un problema della marina".
Dopo l'abbandono della nave, molti membri dell'equipaggio sotto la guida degli ufficiali e dei sottufficiali presenti avevano organizzato in più gruppi i battellini di salvataggio e i relitti galleggianti per darsi aiuto reciproco, e molti feriti vennero raccolti. Le razioni di emergenza e le riserve d'acqua, dove presenti, vennero distribuite all'inizio in modo controllato e razionato. Gli effetti della disidratazione portarono molti uomini a impazzire e ad allontanarsi a nuoto dai battelli, verso la morte per annegamento o per gli attacchi degli squali. Alcuni di un gruppo si immersero vaneggiando di aver trovato una cisterna di acqua potabile e contagiando altri con una isteria collettiva e molti trovarono la morte immergendosi in seguito a questa situazione.
A rendere ancora più tragica la vicenda si deve aggiungere il fatto che, nel disperato tentativo di rallentare l'affondamento dell'unità, si decise di chiudere alcuni boccaporti interni alla nave per rallentare il flusso dell'acqua da un compartimento all'altro; dato che non c'era molto tempo a disposizione non tutti i marinai fecero in tempo a evacuare i locali che furono sigillati e vennero così sacrificati volontariamente dai loro compagni che chiusero i boccaporti.
I naufraghi vennero ignorati fin quando un velivolo Lockheed B-34 Ventura della squadriglia VPB-152 della US Navy, comandato dal tenente Wilbur C. Gwinn, in normale volo di pattugliamento alle ore 10:25 del 2 agosto notò delle chiazze di nafta e, mentre si accingeva a un attacco con bombe di profondità verso un presunto sottomarino, vide i superstiti. A quel punto abortì l'attacco e lanciò delle zattere gonfiabili dotate di boe sonar, che i naufraghi non furono però in grado di azionare, e trasmettendo subito alla base di Peleliu un rapporto di avvistamento.
Un idrovolante PBY Catalina del VPB-23 del comandante Adrian Marks, con nominativo di chiamata Playmate 2, venne caricato di materiale di soccorso e inviato alla ricerca dei superstiti, poiché si riteneva che i circa trenta uomini che erano stati avvistati inizialmente potessero appartenere all'equipaggio di una nave affondata. Nel frattempo le stime del comandante Gwinn a seguito di una ricerca più accurata erano salite a 150 naufraghi. A questo punto la segnalazione aveva raggiunto anche il comando avanzato delle Filippine, che chiese informazioni sulle eventuali unità disperse al centro di controllo traffico a Leyte; la risposta fu che tre navi erano in ritardo, e una di esse era l'Indianapolis. Anche l'ammiraglio McCormick rispose che la nave non aveva raggiunto direttamente il suo task group. Pur non essendoci ancora la certezza dell'identificazione della nave, vennero ordinate ricerche a vasto raggio e sette unità navali incominciarono a pattugliare l'area.
L'idrovolante comandato da Marks sorvolò lungo il percorso il cacciatorpediniere Cecil J. Doyle (DE-368), che venne allertato e si diresse autonomamente per decisione del proprio comandante verso il luogo del rilevamento; Marks, dopo aver lanciato le zattere di salvataggio, decise di ammarare per fornire rifugio al maggior numero possibile di naufraghi (alla fine saranno 56). In questo modo danneggiò irreparabilmente il velivolo, ma riuscì a far salire diverse decine di uomini nella carlinga e sulle ali, oltre che a raccogliere i battelli attorno all'aereo. Quando la USS Doyle raggiunse in piena notte il luogo del rilevamento, si fermò a distanza di sicurezza per non rischiare la vita degli uomini in mare e accese il proprio proiettore, rendendosi identificabile e mettendosi in pericolo per poter dare un riferimento ai naufraghi, molti dei quali si resero conto in questo modo dell'arrivo dei soccorsi. Un gruppo di altre unità venne immediatamente inviato da Ulithi sul luogo, tra cui i cacciatorpediniere Ralph Talbot (DD-390) veterano della battaglia di Guadalcanal, Helm (DD-388) e Madison (DD-425), cui poi si aggiunsero il caccia di scorta USS Dufilho (DE-423), i trasporti veloci (ex cacciatorpediniere di scorta riclassificati) USS Bassett (APD-73) e (il 3 agosto) USS Ringness (APD-100) dalle Filippine.
La ricerca proseguì fino all'8 agosto, ma dei marinai che avevano abbandonato la nave, solo 316 su 1.196 vennero recuperati; 154 dalla USS Bassett in quattro ore di ricerca e 39 dalla Ringness, 24 dalla Ralph Talbot, mentre la Dufilho dopo aver recuperato un superstite rilevò un forte contatto sonar a circa 800 m e si dedicò alla caccia antisommergibile e poi alla vigilanza mentre le altre navi procedevano col recupero. Tra i superstiti vi fu anche il comandante Charles Butler Mc Vay III, figlio dell'ammiraglio McVay; quest'ultimo aveva un pessimo rapporto col figlio e non lo supportò mai, né durante le differenti fasi del processo, né dopo. Nel novembre del 1945, McVay venne sottoposto a corte marziale, unico tra i 700 comandanti di navi statunitensi affondate durante il conflitto, e giudicato colpevole di aver "messo a rischio la nave rinunciando a zigzagare". In realtà, il comandante giapponese testimoniò dopo la guerra che la cosa non avrebbe fatto alcuna differenza. Inoltre, fatto che venne tenuto segreto fino al 1990, le intercettazioni Ultra avevano rivelato la presenza di un sottomarino operante con certezza nell'area.
Altre prove esistevano comunque a discarico del capitano:
L'Indianapolis fu l'unica unità maggiore inviata da Guam alle Filippine senza una scorta, sebbene il capitano avesse fatto esplicita richiesta in tal senso.
Benché il caccia di scorta Underhill fosse stato affondato 24 ore prima della partenza da Guam, il comandante McVay non venne informato.
L'ufficiale addetto al traffico a Guam, pur cosciente dei rischi lungo la rotta, stabilì che una scorta non era necessaria, e successivamente al processo testimoniò che il rischio di attacchi da parte di sottomarini per la nave era "molto piccolo".
Alla fine, l'ammiraglio Chester Nimitz annullò la sentenza e prosciolse McVay rimettendolo in servizio attivo. Sebbene molti superstiti non attribuissero alcuna responsabilità al capitano, molti dei familiari lo fecero, montando un clima di linciaggio morale che alla fine portò al suicidio di McVay col revolver di ordinanza nel novembre 1968.
Nell'ottobre 2000 il Congresso degli Stati Uniti pose fine alla questione approvando una risoluzione secondo la quale sullo stato di servizio del capitano McVay dovesse essere riportato che "egli era prosciolto dalle accuse per la perdita dell'Indianapolis". Il presidente Bill Clinton stesso firmò la risoluzione.
Riconoscimenti
All'Indianapolis furono conferite 10 Battle Star al merito per il servizio svolto.
Il relitto
L'esatta posizione del relitto era precedentemente sconosciuta. Nel periodo di luglio-agosto 2001, una spedizione scientifica ha cercato di trovarlo tramite l'uso di sonar a visione laterale e videocamere subacquee montate su un ROV.
Quattro sopravvissuti hanno accompagnato questa spedizione, che non ha avuto successo. Una seconda spedizione è stata organizzata nel giugno del 2005. Essa è stata seguita da National Geographic che ha messo in onda il materiale raccolto in luglio. Nell'ambito della seconda missione, sono stati lanciati dei sommergibili alla ricerca di tracce del relitto. Gli unici ritrovamenti attribuibili con certezza alla Indianapolis comunque, consistevano di diversi grossi pezzi di metallo rinvenuti nella posizione in cui dovrebbe essere affondato l'incrociatore. Il programma di National Geographic al riguardo è stato chiamato Finding of the USS Indianapolis.
Molti ritengono e hanno dichiarato che il ritrovamento del relitto sarebbe stato impossibile. La nave trasportava discreti quantitativi di esplosivo e i rapporti dichiarano che durante l'affondamento si era incendiata. Molti ipotizzano che sia esplosa non appena discesa al di sotto della superficie dell'oceano. Oltretutto, il braccio di mare della battaglia è uno dei più profondi del mondo. La spedizione del 2005 non ha rinvenuto alcun pezzo considerevole della nave, nessuna parte della tuga, delle torrette, o dello scafo. Tutto ciò non ha comunque scoraggiato i cacciatori di relitti che progettano ancora la ricerca di una delle navi più famose della seconda guerra mondiale.
Il 20 agosto 2017 il cofondatore di Microsoft Paul Allen, facente parte con la sua nave Petrel di una spedizione atta alla ricerca dell'USS Indianapolis, ha dichiarato di aver localizzato la nave nel Nord dell'Oceano Pacifico a 5500 metri di profondità. Ma come ha dichiarato il capitano William J. Toti il punto esatto rimarrà segreto.
Il memoriale
L'USS Indianapolis National Memorial è stato dedicato all'incrociatore il 2 agosto 1995, ed è stato posto su Canal Walk a Indianapolis. La campana di bordo e una bandiera dell'inaugurazione sono conservate nell'Heslar Naval Armory, già Indianapolis Naval Reserve Armory, attualmente sede di diverse istituzioni militari della US Navy, tra le quali la United States Naval Sea Cadet Corps Cruiser Indianapolis (CA 35) Division, scuola militare intitolata all'incrociatore.
Materiale legato alla Indianapolis è conservato anche dall'Indiana State Museum.
Lo Swim Training Center presso lo United States Navy Recruit Training Command si chiama USS Indianapolis.
Museo
Lo USS Indianapolis Museum è stato inaugurato il 7 luglio 2007 con una galleria presso l'Indiana World War Memorial Plaza a Indianapolis.
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USS Indianapolis (CL/CA-35) was a Portland-class heavy cruiser of the United States Navy, named for the city of Indianapolis, Indiana. Launched in 1931, the vessel served as the flagship for the commander of Scouting Force 1 for eight years, then as flagship for Admiral Raymond Spruance in 1943 and 1944 while he commanded the Fifth Fleet in battles across the Central Pacific during World War II.
In July 1945, Indianapolis completed a top-secret high-speed trip to deliver parts of Little Boy, the first nuclear weapon ever used in combat, to the United States Army Air Force Base on the island of Tinian, and subsequently departed for the Philippines on training duty. At 0015 on 30 July, the ship was torpedoed by the Imperial Japanese Navy submarine I-58, and sank in 12 minutes. Of 1,195 crewmen aboard, approximately 300 went down with the ship. The remaining 890 faced exposure, dehydration, saltwater poisoning, and shark attacks while stranded in the open ocean with few lifeboats and almost no food or water. The Navy only learned of the sinking four days later, when survivors were spotted by the crew of a PV-1 Ventura on routine patrol. Only 316 survived. The sinking of Indianapolis resulted in the greatest single loss of life at sea, from a single ship, in the history of the US Navy.
On 19 August 2017, a search team financed by Paul Allen located the wreckage of the sunken cruiser in the Philippine Sea lying at a depth of approximately 18,000 ft (5,500 m). On 20 December 2018, the crew of the Indianapolis was collectively awarded a Congressional Gold Medal.
Construction
Indianapolis was the second of two ships in the Portland class, the third class of "treaty cruisers" constructed by the United States Navy following the Washington Naval Treaty of 1922, after the two vessels of the Pensacola class, ordered in 1926, and the six of the Northampton class, ordered in 1927. Ordered for the US Navy in fiscal year 1930, Indianapolis was originally designated as a light cruiser because of her thin armor and given the hull classification symbol CL-35. She was reclassified a heavy cruiser, because of her 8-inch (203 mm) guns, with the symbol CA-35 on 1 July 1931, in accordance with the London Naval Treaty.
As built, the Portland-class cruisers were designed for a standard displacement of 10,258 long tons (10,423 t), and a full-load displacement of 12,755 long tons (12,960 t). However, when completed, Indianapolis did not reach this weight, displacing 9,950 long tons (10,110 t). The ship had two distinctive raked funnels, a tripod foremast, and a small tower and pole mast aft. In 1943, light tripods were added forward of the second funnel on each ship, and a prominent Naval director was installed aft.
The ship had four propeller shafts and four Parsons GT geared turbines and eight White-Forster boilers. The 107,000 shp (80,000 kW) gave a design speed of 32.7 kn (60.6 km/h; 37.6 mph). She was designed for a range of 10,000 nmi (19,000 km; 12,000 mi) at 15 kn (28 km/h; 17 mph). She rolled badly until fitted with a bilge keel.
The cruiser had nine 8-inch/55 caliber Mark 9 guns in three triple mounts, a superfiring pair fore and one aft. For anti-aircraft defense, she had eight 5-inch/25 caliber guns and two QF 3 pounder Hotchkiss guns. In 1945, she received 24 40 mm (1.57 in) Bofors guns, arrayed in six quad mounts. Both ships were upgraded with 19 20 mm (0.79 in) Oerlikon cannons. No torpedo tubes were fitted on her.
The Portland-class cruisers originally had 1-inch (25 mm) armor for deck and side protection, but in construction they were given belt armor between 5 in (127 mm) (around the magazines) and 3.25 in (83 mm) in thickness. Armor on the bulkheads was between 2 in (51 mm) and 5.75 in (146 mm); that on the deck was 2.5 in (64 mm), the barbettes 1.5 in (38 mm), the gunhouses 2.5 in, and the conning tower 1.25 in (32 mm).
Portland-class cruisers were outfitted as fleet flagships, with space for a flag officer and his staff. The class also had two aircraft catapults amidships. They could carry four aircraft. The total crew varied, with a regular designed complement of 807 and a wartime complement of 952, which could increase to 1,229 when the cruiser was a fleet flagship.
Indianapolis was laid down by New York Shipbuilding Corporation on 31 March 1930. The hull and machinery were provided by the builder. Indianapolis was launched on 7 November 1931, and commissioned on 15 November 1932. She was the second ship named for the city of Indianapolis, following the cargo ship of the same name in 1918. She was sponsored by Lucy M. Taggart, daughter of former Mayor of Indianapolis Thomas Taggart.
Interwar period
Under Captain John M. Smeallie, Indianapolis undertook her shakedown cruise through the Atlantic and into Guantánamo Bay, until 23 February 1932. Indianapolis then transited the Panama Canal for training off the Chilean coast. After overhaul at the Philadelphia Navy Yard, she sailed to Maine to embark President Franklin Delano Roosevelt at Campobello Island, New Brunswick, on 1 July 1933. Getting underway the same day, Indianapolis arrived at Annapolis, Maryland, on 3 July. She hosted six members of the Cabinet, along with Roosevelt, during her stay there. After disembarking Roosevelt, she departed Annapolis on 4 July, and steamed for Philadelphia Navy Yard.
On 6 September, she embarked Secretary of the Navy Claude A. Swanson, for an inspection of the Navy in the Pacific. Indianapolis toured the Canal Zone, Hawaii, and installations in San Pedro and San Diego. Swanson disembarked on 27 October. On 1 November 1933, she became flagship of Scouting Force 1, and maneuvered with the force off Long Beach, California. She departed on 9 April 1934, and arrived at New York City, embarking Roosevelt, a second time, for a naval review. She returned to Long Beach on 9 November 1934 for more training with the Scouting Force. She remained flagship of Scouting Force 1 until 1941. On 18 November 1936, she embarked Roosevelt a third time at Charleston, South Carolina, and conducted a goodwill cruise to South America with him. She visited Rio de Janeiro, Brazil, Buenos Aires, Argentina, and Montevideo, Uruguay, for state visits before returning to Charleston and disembarking Roosevelt's party on 15 December. President Roosevelt underwent his crossing the line ceremony on this cruise on 26 November: an "intensive initiation lasting two days, but we have all survived and are now full-fledged Shellbacks".
World War II
On 7 December 1941, Indianapolis was conducting a mock bombardment at Johnston Atoll during the Japanese attack on Pearl Harbor. Indianapolis was absorbed into Task Force 12 and searched for the Japanese carriers responsible for the attack, though the force did not locate them. She returned to Pearl Harbor on 13 December and joined Task Force 11.
New Guinea campaign
With the task force, she steamed to the South Pacific, to 350 mi (560 km) south of Rabaul, New Britain, escorting the aircraft carrier Lexington. Late in the afternoon of 20 February 1942, the American ships were attacked by 18 Japanese aircraft. Of these, 16 were shot down by aircraft from Lexington and the other two were destroyed by anti-aircraft fire from the ships.
On 10 March, the task force, reinforced by another force centered on the carrier Yorktown, attacked Lae and Salamaua, New Guinea, where the Japanese were marshaling amphibious forces. Attacking from the south through the Owen Stanley mountain range, the US air forces surprised and inflicted heavy damage on Japanese warships and transports, losing few aircraft. Indianapolis returned to the Mare Island Naval Shipyard for a refit before escorting a convoy to Australia.
Aleutian Islands campaign
Indianapolis then headed for the North Pacific to support American units in the Battle of the Aleutian Islands. On 7 August, Indianapolis and the task force attacked Kiska Island, a Japanese staging area. Although fog hindered observation, Indianapolis and other ships fired their main guns into the bay. Floatplanes from the cruisers reported Japanese ships sunk in the harbor and damage to shore installations. After 15 minutes, Japanese shore batteries returned fire before being destroyed by the ships' main guns. Japanese submarines approaching the force were depth-charged by American destroyers and Japanese seaplanes made an ineffective bombing attack. In spite of a lack of information on the Japanese forces, the operation was considered a success. US forces later occupied Adak Island, providing a naval base farther from Dutch Harbor on Unalaska Island.
1943 operations
In January 1943, Indianapolis supported a landing and occupation on Amchitka, part of an Allied island hopping strategy in the Aleutian Islands.
On the evening of 19 February, Indianapolis led two destroyers on a patrol southwest of Attu Island, searching for Japanese ships trying to reinforce Kiska and Attu. She intercepted the Japanese 3,100-long-ton (3,150 t) cargo ship, Akagane Maru laden with troops, munitions, and supplies. The cargo ship tried to reply to the radio challenge but was shelled by Indianapolis. Akagane Maru exploded and sank with all hands. Through mid-1943, Indianapolis remained near the Aleutian Islands, escorting American convoys and providing shore bombardments supporting amphibious assaults. In May, the Allies captured Attu, then turned on Kiska, thought to be the final Japanese holdout in the Aleutians. Allied landings there began on 15 August, but the Japanese had already abandoned the Aleutian Islands, unbeknownst to the Allies.
After refitting at Mare Island, Indianapolis moved to Hawaii as flagship of Vice Admiral Raymond A. Spruance, commanding the 5th Fleet. She sortied from Pearl Harbor on 10 November, with the main body of the Southern Attack Force for Operation Galvanic, the invasion of the Gilbert Islands. On 19 November, Indianapolis bombarded Tarawa Atoll, and next day pounded Makin (see Battle of Makin). The ship then returned to Tarawa as fire-support for the landings. Her guns shot down an enemy plane and shelled enemy strongpoints as landing parties fought Japanese defenders in the Battle of Tarawa. She continued this role until the island was secure three days later. The conquest of the Marshall Islands followed victory in the Gilberts. Indianapolis was again 5th Fleet flagship.
1944
The cruiser met other ships of her task force at Tarawa, and on D-Day minus 1, 31 January 1944, she was one of the cruisers that bombarded the islands of Kwajalein Atoll. The shelling continued on D-Day, with Indianapolis suppressing two enemy shore batteries. Next day, she destroyed a blockhouse and other shore installations and supported advancing troops with a creeping barrage. The ship entered Kwajalein Lagoon, on 4 February, and remained until resistance disappeared (see Battle of Kwajalein).
In March and April, Indianapolis, still flagship of the 5th Fleet, attacked the Western Carolines. Carrier planes at the Palau Islands on 30–31 March, sank three destroyers, 17 freighters, five oilers and damaged 17 other ships. Airfields were bombed and surrounding water mined. Yap and Ulithi were struck on 31 March, and Woleai on 1 April. Japanese planes attacked but were driven off without damaging the American ships. Indianapolis shot down her second plane, a torpedo bomber, and the Japanese lost 160 planes, including 46 on the ground. These attacks prevented Japanese forces stationed in the Carolines from interfering with the US landings on New Guinea.
In June, the 5th Fleet was busy with the assault on the Mariana Islands. Raids on Saipan began with carrier-based planes on 11 June, followed by surface bombardment, in which Indianapolis had a major role, from 13 June (see Battle of Saipan). On D-Day, 15 June, Admiral Spruance heard that battleships, carriers, cruisers, and destroyers were headed south to relieve threatened garrisons in the Marianas. Since amphibious operations at Saipan had to be protected, Spruance could not withdraw too far. Consequently, a fast carrier force was sent to meet this threat while another force attacked Japanese air bases on Iwo Jima and Chichi Jima, in the Bonin and Volcano Islands, bases for potential enemy air attacks.
A combined US fleet fought the Japanese on 19 June in the Battle of the Philippine Sea. Japanese carrier planes, which planned to use the airfields of Guam and Tinian to refuel and rearm, were met by carrier planes and the guns of the Allied escorting ships. That day, the US Navy destroyed a reported 426 Japanese planes while losing 29.[15] Indianapolis shot down one torpedo plane. This day of aerial combat became known as the "Marianas Turkey Shoot". With Japanese air opposition wiped out, the US carrier planes sank Hiyō, two destroyers, and one tanker and damaged others. Two other carriers, Taihō and Shōkaku, were sunk by submarines.
Indianapolis returned to Saipan on 23 June to resume fire support and six days later moved to Tinian to attack shore installations (see Battle of Tinian). Meanwhile, Guam had been taken, and Indianapolis became the first ship to enter Apra Harbor since early in the war. The ship operated in the Marianas for the next few weeks, then moved to the Western Carolines, where further landings were planned. From 12 to 29 September, she bombarded Peleliu, in the Palau Group, before and after the landings (see Battle of Peleliu). She then sailed to Manus Island, in the Admiralty Islands, where she operated for 10 days before returning to the Mare Island Naval Shipyard in California for refitting.
1945
Overhauled, Indianapolis joined Vice Admiral Marc A. Mitscher's fast carrier task force on 14 February 1945. Two days later, the task force launched an attack on Tokyo to cover the landings on Iwo Jima, scheduled for 19 February. This was the first carrier attack on mainland Japan since the Doolittle Raid. The mission was to destroy Japanese air facilities and other installations in the Home Islands. The fleet achieved complete tactical surprise by approaching the Japanese coast under cover of bad weather. The attacks were pressed home for two days. The US Navy lost 49 carrier planes while claiming 499 enemy planes, a 10-to-1 kill/loss ratio. The task force also sank a carrier, nine coastal ships, a destroyer, two destroyer escorts, and a cargo ship. They destroyed hangars, shops, aircraft installations, factories, and other industrial targets.
Immediately after the strikes, the task force raced to the Bonin Islands to support the landings on Iwo Jima. The ship remained there until 1 March, protecting the invasion ships and bombarding targets in support of the landings. Indianapolis returned to VADM Mitscher's task force in time to strike Tokyo, again on 25 February, and Hachijō, off the southern coast of Honshū, the following day. Although weather was extremely bad, the American force destroyed 158 planes and sank five small ships while pounding ground installations and destroying trains.
The next target for the US forces was Okinawa, in the Ryukyu Islands, which were in range of aircraft from the Japanese mainland. The fast carrier force was tasked with attacking airfields in southern Japan until they were incapable of launching effective airborne opposition to the impending invasion. The fast carrier force departed for Japan from Ulithi on 14 March. On 18 March, she launched an attack from a position 100 mi (160 km) southeast of the island of Kyūshū. The attack targeted airfields on Kyūshū, as well as ships of the Japanese fleet in the harbors of Kobe and Kure, on southern Honshū. The Japanese located the American task force on 21 March, sending 48 planes to attack the ships. Twenty-four fighters from the task force intercepted and shot down all the Japanese aircraft.
Pre-invasion bombardment of Okinawa began on 24 March. Indianapolis spent 7 days pouring 8-inch shells into the beach defenses. During this time, enemy aircraft repeatedly attacked the American ships. Indianapolis shot down six planes and damaged two others. On 31 March, the ship's lookouts spotted a Japanese Nakajima Ki-43 "Oscar" fighter as it emerged from the morning twilight and roared at the bridge in a vertical dive. The ship's 20 mm guns opened fire, but within 15 seconds, the plane was over the ship. Tracers converged on it, causing it to swerve, but the enemy pilot managed to release his bomb from a height of 25 ft (7.6 m), crashing his plane into the sea near the port stern. The bomb plummeted through the deck, into the crew's mess hall, down through the berthing compartment, and through the fuel tanks before crashing through the keel and exploding in the water underneath. The concussion blew two gaping holes in the keel which flooded nearby compartments, killing nine crewmen. The ship's bulkheads prevented any progressive flooding. Indianapolis, settling slightly by the stern and listing to port, steamed to a salvage ship for emergency repairs. Here, inspection revealed that her propeller shafts were damaged, her fuel tanks ruptured, and her water-distilling equipment ruined. But Indianapolis commenced the long trip across the Pacific, under her own power, to the Mare Island Navy Yard for repairs.
Secret mission
After major repairs and an overhaul, Indianapolis received orders to undertake a top-secret mission of the utmost significance to national security: to proceed to Tinian island carrying the enriched uranium (about half of the world's supply of uranium-235 at the time) and other parts required for the assembly of the atomic bomb codenamed "Little Boy", which would be dropped on Hiroshima just a few weeks later.
Indianapolis departed San Francisco's Hunters Point Naval Shipyard with its valuable cargo on 16 July 1945, within hours of the Trinity test. She set a speed record of 74
1⁄2 hours from San Francisco to Pearl Harbor, an average speed of 29 kn (54 km/h; 33 mph). Arriving at Pearl Harbor on 19 July, she raced on unaccompanied, delivering the atomic bomb components to Tinian on 26 July.
Indianapolis was then sent to Guam, where a number of the crew who had completed their tours of duty were replaced by other sailors. Leaving Guam on 28 July, she began sailing toward Leyte, where her crew was to receive training before continuing on to Okinawa to join Vice Admiral Jesse B. Oldendorf's Task Force 95.
Sinking
At 00:15 on 30 July, Indianapolis was struck on her starboard side by two Type 95 torpedoes, one in the bow and one amidships, from the Japanese submarine I-58, captained by Commander Mochitsura Hashimoto, who initially thought he had spotted the New Mexico-class battleship Idaho. The explosions caused massive damage. Indianapolis took on a heavy list (the ship had had a great deal of armament and gun-firing directors added as the war went on, and was therefore top-heavy) and settled by the bow. Twelve minutes later, she rolled completely over, then her stern rose into the air, and she plunged down. Some 300 of the 1,195 crewmen aboard went down with the ship.[4] With few lifeboats and many without life jackets, the remainder of the crew was set adrift.
Rescue
Navy command did not know of the ship's sinking until survivors were spotted in the open ocean three and a half days later. At 10:25 on 2 August, a PV-1 Ventura flown by Lieutenant Wilbur "Chuck" Gwinn and his copilot, Lieutenant Warren Colwell, as well as a PBY 2 piloted by Bill Kitchen, spotted the men adrift while on a routine patrol flight. Gwinn immediately dropped a life raft and radio transmitter. All air and surface units capable of rescue operations were dispatched to the scene at once.
First to arrive was an amphibious PBY-5A Catalina patrol plane flown by Lieutenant Commander (USN) Robert Adrian Marks. Marks and his flight crew spotted the survivors and dropped life rafts; one raft was destroyed by the drop while others were too far away from the exhausted crew. Against standing orders not to land in open ocean, Marks took a vote of his crew and decided to land the aircraft in twelve-foot (3.7 m) swells. He was able to maneuver his craft to pick up 56 survivors. Space in the plane was limited, so Marks had men lashed to the wing with parachute cord. His actions rendered the aircraft unflyable. After nightfall, the destroyer escort USS Cecil J. Doyle (DE-368), the first of seven rescue ships, used its search light as a beacon and instilled hope in those still in the water. Cecil J. Doyle and six other ships picked up the remaining survivors. After the rescue, Marks' plane was sunk by Cecil J. Doyle as it was not able to be recovered.
Many of the survivors were injured and all suffered from lack of food and water (leading to dehydration and hypernatremia; some found rations, such as Spam and crackers, among the debris of the Indianapolis), exposure to the elements (dehydration from the hot sun during the day and hypothermia at night, as well as severe desquamation due to continued exposure to salt water and bunker oil), and shark attacks, while some killed themselves or other survivors in various states of delirium and hallucinations. Only 316 of the nearly 900 men set adrift after the sinking survived. Two of the rescued survivors, Robert Lee Shipman and Frederick Harrison, died in August 1945.
"Ocean of Fear", a 2007 episode of the Discovery Channel TV documentary series Shark Week, states that the sinking of Indianapolis resulted in the most shark attacks on humans in history, and attributes the attacks to the oceanic whitetip shark species. Tiger sharks may also have killed some sailors. The same show attributed most of the deaths on Indianapolis to exposure, salt poisoning, and thirst, with the dead being dragged off by sharks.
Navy failure to learn of the sinking
The Headquarters of Commander Marianas on Guam and of the Commander Philippine Sea Frontier on Leyte kept Operations plotting boards on which were plotted the positions of all vessels with which the headquarters were concerned. However, it was assumed that ships as large as Indianapolis would reach their destinations on time, unless reported otherwise. Therefore, their positions were based on predictions and not on reports. On 31 July, when she should have arrived at Leyte, Indianapolis was removed from the board in the headquarters of Commander Marianas. She was also recorded as having arrived at Leyte by the headquarters of Commander Philippine Sea Frontier. Lieutenant Stuart B. Gibson, the operations officer under the Port Director, Tacloban, was the officer responsible for tracking the movements of Indianapolis. The vessel's failure to arrive on schedule was known at once to Gibson, who failed to investigate the matter and made no immediate report of the fact to his superiors. Gibson received a letter of reprimand in connection with the incident. The acting commander and operations officer of the Philippine Sea Frontier also received reprimands, while Gibson's immediate superior received a letter of admonition.
In the first official statement, the Navy said that distress calls "were keyed by radio operators and possibly were actually transmitted" but that "no evidence has been developed that any distress message from the ship was received by any ship, aircraft or shore station". Declassified records later showed that three stations received the signals but none acted upon the call. One commander was drunk, another had ordered his men not to disturb him, and a third thought it was a Japanese trap.
Immediately prior to the attack, the seas had been moderate, the visibility fluctuating but poor in general, and Indianapolis had been steaming at 17 kn (20 mph; 31 km/h). When the ship failed to reach Leyte on 31 July, as scheduled, no report was made that she was overdue. This omission was due to a misunderstanding of the Movement Report System.
Court-martial of Captain McVay
Captain Charles B. McVay III, who had commanded Indianapolis since November 1944 through several battles, survived the sinking, though he was one of the last to abandon ship, and was among those rescued days later. In November 1945, he was court-martialed on two charges: failing to order his men to abandon ship and hazarding the ship. Cleared of the charge of failing to order abandon ship, McVay was convicted of "hazarding his ship by failing to zigzag". Several aspects of the court-martial were controversial. There was evidence that the Navy itself had placed the ship in harm's way. McVay's orders were to "zigzag at his discretion, weather permitting"; however, McVay was not informed that a Japanese submarine was operating in the vicinity of his route from Guam to Leyte. Further, Mochitsura Hashimoto, commander of I-58, testified that zigzagging would have made no difference. Fleet Admiral Chester Nimitz remitted McVay's sentence and restored him to active duty. McVay retired in 1949 as a rear admiral.
While many of Indianapolis's survivors said McVay was not to blame for the sinking, the families of some of the men who died thought otherwise: "Merry Christmas! Our family's holiday would be a lot merrier if you hadn't killed my son", read one piece of mail. The guilt that was placed on his shoulders mounted until he committed suicide in 1968, using his Navy-issued revolver. McVay was discovered on his front lawn by his gardener with a toy sailor in one hand, revolver in the other. He was 70 years old.
McVay's record cleared
In 1996, sixth-grade student Hunter Scott began his research on the sinking of Indianapolis for a class history project, an assignment which eventually led to a United States Congressional investigation. In October 2000, the United States Congress passed a resolution that Captain McVay's record should state that "he is exonerated for the loss of Indianapolis"; President Bill Clinton signed the resolution. The resolution noted that, although several hundred ships of the US Navy were lost in combat during World War II, McVay was the only captain to be court-martialed for the sinking of his ship. In July 2001, the United States Secretary of the Navy ordered McVay's official Navy record cleared of all wrongdoing.
Awards
- American Defense Service Medal
- Asiatic-Pacific Campaign Medal with ten battle stars
- World War II Victory Medal
Discovery of the wreck
The wreck of Indianapolis is in the Philippine Sea. In July–August 2001, an expedition sought to find the wreckage through the use of side-scan sonar and underwater cameras mounted on a remotely operated vehicle. Four Indianapolis survivors accompanied the expedition, which was not successful. In June 2005, a second expedition was mounted to find the wreck. National Geographic covered the story and released it in July. Submersibles were launched to find any sign of wreckage. The only objects ever found, which have not been confirmed to have belonged to Indianapolis, were numerous pieces of metal of varying size found in the area of the reported sinking position (this was included in the National Geographic program "Finding of the USS Indianapolis").
In July 2016, new information came out regarding the possible location of Indianapolis when naval records were discovered indicating that LST-779 recorded passing by the Indianapolis 11 hours before the torpedoes struck. This information allowed researchers to determine that the Indianapolis had been moving faster and was therefore further west than previously assumed, as well as slightly off the route taken. Using this information, National Geographic planned to mount an expedition to search for the wreck in the summer of 2017. Reports estimated that Indianapolis was actually 25 mi (40 km) west of the reported sinking position, in water over three mi (4,800 m) deep, and likely on the side of an underwater mountain.
A year after the discovery of the records, the wreck was located by Paul Allen’s "USS Indianapolis Project" aboard Research Vessel Petrel on 19 August 2017, at a depth of 18,044 feet (5,500 m). The wreck is well-preserved due to the great depth at which Indianapolis rests, among the rocky mountain ranges of the North Philippine Sea.
In September 2017, a map detailing the wreckage was released. The main part of the wreck lies in an enormous impact crater; her bow, which broke off before the ship sank, lies 1.5 miles (2.4 km) east. The two forward 8-inch guns, which also broke off on the surface and mark the ship's last position on the surface, lie 0.5 miles (0.80 km) east of the main wreck. The bridge, which broke off the ship due to the torpedoes, lies in a debris field near the forward guns. The single 8-inch gun turret on the stern remains in place, though the stern's roof collapsed over itself. Airplane wreckage from the ship lies about 0.6 miles (0.97 km) north of the main part of the wreck.
Reunions
Since 1960, surviving crew members have been meeting for reunions in Indianapolis. For the 70th reunion, held 23–26 July 2015, 14 of the 32 remaining survivors attended. The reunions are open to anyone interested, and have more attendees each year, even as the number of survivors decreases from death. Held only periodically at first, biannually later on, the reunions have been held annually for the past several years. Every year, the survivors, most of them in their nineties, vote whether to continue. Seven out of twenty living survivors attended the 2017 reunion.
Memorials
The USS Indianapolis Museum had its grand opening on 7 July 2007, with its gallery in the Indiana War Memorial Museum at the Indiana World War Memorial Plaza.
The USS Indianapolis National Memorial was dedicated on 2 August 1995. It is located on the Canal Walk in Indianapolis. The heavy cruiser is depicted in limestone and granite and sits adjacent to the downtown canal. The crewmembers' names are listed on the monument, with special notations for those who lost their lives.
In May 2011, highway I-465 around Indianapolis was named the USS Indianapolis Memorial Highway.
Some material relating to Indianapolis is held by the Indiana State Museum. Her bell and a commissioning pennant were formerly located at Heslar Naval Armory but currently reside at the Indiana War Memorial Museum.
(Web, Google, Wikipedia, You Tube)
USS INDIANAPOLIS: il film interpretato da Nicolas Cage.
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