Le operazioni su Malta e nel Mediterraneo: l’SM 79 protagonista del primo tentativo italiano di attacco con aereo senza pilota
L'isola di Malta rappresentava un punto strategico fondamentale nello scacchiere del Mediterraneo. Infatti si trovava sulle rotte che per gli Italiani conducevano alla Libia e per i britannici all'Egitto. Fu proprio sull'isola-fortezza che l'SM.79 iniziò a perdere la sua fama di invulnerabilità guadagnata in Spagna, nel giugno 1940, ad opera dei Gloster Gladiator e degli Hawker Hurricane. Il primo di una serie di Sparviero abbattuti su Malta cadde il 22 giugno 1940. Quel giorno, un Savoia Marchetti ricognitore decollò alle 18.15 per individuare eventuali obiettivi sull'isola. Era l'S.M.79 M.M.22068 della 216ª Squadriglia pilotato dal Tenente Francesco Solimene. Due Gladiator decollarono, uno pilotato dal Flt Lt George Burges. Nel cielo di Sliema e La Valletta, in piena vista di una grande folla, Burges attaccò lo Sparviero da un'altezza superiore, colpendo uno dei motori. L'aereo prese fuoco e si schiantò in mare, al largo di Kalafrana. Il pilota, Solimene, e il 1º Aviere Armiere Torrisi, furono salvati dal mare, ma gli altri quattro membri dell'equipaggio non vennero ritrovati. E fu sempre uno "Sparviero" il primo aereo a precipitare sul suolo maltese durante la seconda guerra mondiale. Il 10 luglio 1940, circa venti S.79, senza scorta, arrivarono per bombardare il Dockyard, Manoel Island, Tarscen e Zabbar. Ma furono attaccati dai Gloster Gladiator e il Savoia Marchetti pilotato dal Sottotenente Felice Filippi della 195 Squadriglia, 90º Gruppo, 30º Stormo Bombardamento terrestre, precipitò in fiamme proprio dietro la torre di guardia dei Cavalieri di Fort San Leonardo. La vittoria aerea fu attribuita al Flying Officer Frederick Taylor. Almeno un italiano fu visto lanciarsi con il paracadute in fiamme, ma non sopravvisse.
L'errore tattico dell'Asse fu la mancata invasione dell'isola, mentre le incursioni aeree, sia terrestri che ai convogli navali, furono pesantissime.
In queste quotidiane missioni, ad iniziare dal 1941, l'S.M.79 trovò il suo più largo impiego, come bombardiere, come ricognitore e come silurante. In particolare fu attivo il 30º Stormo, con l'87º Gruppo, di base a Sciacca, con la 192ª e 193ª Squadriglia, oltre al 90º con la 194ª e 195ª Squadriglia, e il 108º 109º Gruppo dalla base di Castelvetrano per le missioni notturne.
La base militare di Sciacca era così ben mimetizzata tra gli alberi d'ulivo, che difficilmente poteva essere localizzata dagli aerei nemici. Infatti non fu mai bombardata.
Nell'agosto 1942 scatta l'operazione navale alleata "Pedestal", che vede impegnati anche gli S.M.79 in una grande offensiva ai convogli inglesi diretti verso l'isola, con i Gruppi 30º e 32º dalla Sicilia e i siluranti del 132º Gruppo dall'isola di Pantelleria e 105º e 130º dalla Sardegna.
Contro le navi inglesi del convoglio Pedestal un S.M.79 si rende protagonista del primo tentativo italiano di attacco con aereo senza pilota, l'Aereo Radio Pilotato: Il 12 agosto del 1942 un S.M.79 radiocomandato e carico di 1 000 kg di esplosivo decolla regolarmente dall'aeroporto di Villacidro in Sardegna. Una volta raggiunta la quota stabilita il pilota, l'allora Maresciallo Mario Francesco Badii, si lancia con il paracadute e i comandi vengono presi dal Col. Ferdinando Raffaelli, ideatore del sistema, il quale si trova su di un CANT Z.1007 che lo segue a debita distanza; per essere meglio visibile il "79" era stato colorato di giallo, da cui il nome dell'operazione, detta "canarino". Fino a buon punto del volo tutto funziona perfettamente, ma improvvisamente, a causa di un banale guasto della trasmittente, il 79 non risponde più ai comandi e, invece che colpire le navi inglesi, pur rimanendo in assetto e in quota e dopo una lunga e ampia deviazione verso sud-ovest, si va a schiantare a 1 800 m sulle montagne dell’Algeria.
Aereo Radio Pilotato
L'Aereo Radio Pilotato (ARP) fu un velivolo da bombardamento radioguidato concepito da Ferdinando Raffaelli, ingegnere ed ufficiale della Regia Aeronautica, sviluppato a partire dal 1940, poco dopo l'ingresso dell'Italia nella seconda guerra mondiale e rimasto a livello di prototipo. Fu impiegato senza successo durante la battaglia di mezzo agosto.
Successivi prototipi, anche nella versione denominata AR 4 ("Assalto Radioguidato"), stavano per entrare in azione l'8 settembre del 1943 contro la flotta angloamericana impegnata nello sbarco a Salerno quando il loro impiego fu annullato per il sopravvenuto annuncio dell'armistizio tra Regno d'Italia ed Alleati.
Il concetto
Il concetto di un velivolo senza pilota fu sviluppato nel quadro della pianificazione dell'offesa aeronautica in vista delle "operazioni antinave" nell'area mediterranea. L'insufficiente numero di aerei d'assalto a disposizione della Regia Aeronautica e le loro caratteristiche, infatti, non consentivano aspettative di grandi risultati dal semplice utilizzo dell'armamento di caduta, che poteva essere impiegato dai bombardieri italiani contro i ponti corazzati delle grandi navi della Mediterranean Fleet (la flotta della britannica Royal Navy assegnata al controllo del mar Mediterraneo).
L'idea di base fu quella di utilizzare quei bombardieri trimotori Savoia-Marchetti S.M.79 che fossero ormai a fine servizio ed in procinto di essere radiati dalla linea di volo, e di trasformarli in vere e proprie "bombe volanti" da teleguidare contro l'obiettivo, aumentandone in tal modo il carico bellico e la precisione, oltre a salvaguardare i piloti dal grave rischio dovuto alla potenza del fuoco contraereo delle navi da guerra.
Nella progettazione e realizzazione del sistema d'arma Raffaelli si avvalse della collaborazione dell'ingegnere capitano Emilio Montuschi per lo sviluppo del complesso di radio guida, del pilota ed asso Mario De Bernardi, che aveva già concepito un sistema di "comandi riuniti" per la guida del velivolo (ridotti a due), dell'ingegnere capitano Cesare Cremona per lo studio ed il calcolo delle traiettorie e di ulteriori tecnici militari per l'implementazione di un sistema di autopilota per S.M.79 realizzato dall'ingegnere Leandro Cerini.
Caratteristiche
Il sistema di radio guida fu creato sotto la guida di Montuschi trasformando gli apparati radiotelegrafici ad onde corte allora in dotazione, il ricevitore RA-18 a bordo dell'ARP ed il trasmettitore 320-ter a bordo dell'aereo P. Venivano impiegati due canali in trasmissione, ognuno destinato ad agire su ciascuno dei due comandi aerodinamici sviluppati dal de Bernardi. In tal modo era possibile teleguidare l'ARP contemporaneamente sia in quota che in direzione. Per il decollo, al fine di semplificare il sistema, non era previsto un congegno automatico radioassistito: l'ARP veniva portato in volo da un pilota che, una volta giunto in quota di crociera ed attivati l'autopilota ed il sistema ricevente e di teleguida, abbandonava l'aereo lanciandosi con il paracadute. A quel punto il controllo passava all'aereo "P" che, tenendosi costantemente a circa 4000 metri in coda, seguiva il velivolo sino all'obiettivo.
L'aereo radioguidato fu soprannominato "canarino" perché il prototipo era dipinto di giallo, al fine di renderlo meglio visibile dall'aereo "P", specialmente quando si trovasse alla massima distanza. Lo sviluppo del sistema di radioguida - del tutto inedito ed all'avanguardia per l'epoca - richiese circa due anni, necessari a superare notevoli problemi pratici, dettati anche dall'esiguità dei mezzi a disposizione e dall'utilizzo di apparati riadattati, piuttosto che sviluppati all'uopo.
All'ARP era assicurata, con uno speciale sistema di aggancio, una bomba da 1000 kg.
Secondo il profilo ideale d'attacco, l'ARP non avrebbe dovuto schiantarsi direttamente contro la nave avversaria, ma avrebbe dovuto approssimarvisi quanto più possibile e planare sulla superficie marina ove, all'impatto, il sistema di aggancio avrebbe liberato automaticamente la bomba; questa, per inerzia, avrebbe raggiunto lo scafo in prossimità della linea di galleggiamento, causando pertanto i maggiori danni possibili. Sulla bomba erano previste sia una spoletta d'urto, qualora il velivolo avesse raggiunto comunque la nave, sia una inerziale, che avrebbe "registrato" il brusco rallentamento impartito dall'acqua alla bomba una volta sganciata.
La battaglia di mezzo agosto
I lunghi tempi di sviluppo del sistema d'arma - per altro neanche troppo estesi, visti lo sviluppo di fatto artigianale del mezzo e le sfide tecniche poste da un sistema per l'epoca avveniristico - non resero possibile l'entrata in linea dell'ARP, neanche come prototipo operativo, prima della metà del 1942.
Nel bel mezzo della battaglia di mezzo agosto, il 12 agosto 1942, il primo ARP destinato ad un obiettivo bellico si levò in volo dall'aeroporto di Villacidro (Sardegna meridionale) ai comandi del maresciallo pilota Mario Badii, diretto alla volta di una grande formazione navale britannica di scorta a un convoglio.
Tuttavia l'ARP, dopo aver volato regolarmente rispondendo ai comandi per qualche tempo, non giunse a mai in vista dell'obiettivo designato. L'aereo rimase infatti senza guida per un'avaria al sistema trasmittente dell'aereo P e, esaurito il carburante, andò a schiantarsi contro i monti dell'Algeria. Secondo quanto riferito dal generale Raffaelli, il fallimento della missione fu causato dalla bruciatura di un dielettrico di un condensatore del sistema trasmittente, che non fu possibile sostituire a bordo dell'aereo P. Si trattò di un guasto che mai si era verificato durante i precedenti voli di prova, ascrivibile, sempre secondo Raffaelli, allo stress cui era sottoposto il materiale, sempre in trasmissione, ed alla cattiva qualità dei componenti "autarchici".
Gli sviluppi successivi
Il fallimento della missione nella battaglia di mezzo agosto non scoraggiò il gruppo di sviluppo del progetto ARP. L'ingegnere e tenente colonnello Sergio Stefanutti propose di abbandonare il trimotore S.M.79 e di passare alla produzione in piccola serie di un velivolo monomotore teleguidabile estremamente semplice, dotandolo dei motori aeronautici appartenenti ad una partita che non aveva superato i controlli di qualità necessari all'uso su velivoli di linea. Anche in questo caso il decollo sarebbe stato affidato ad un pilota che avrebbe poi dovuto abbandonare l'aereo e lanciarsi con il paracadute.
Il nuovo progetto, ala quale venne assegnata la designazione AR ("Assalto Radioguidato"), che prevedeva la produzione di sei velivoli, fu preso in carico da un'azienda con base a Cantù, la "Aeronautica Lombarda", con la collaborazione dei propri tecnici e la benedizione degli ingegneri Frati e Preti.
L'AR 4 effettuò i primi voli di prova all'inizio del 1943, mentre veniva completata la messa a punto, sotto la direzione di Raffaelli, di un sistema di trasmissione migliorato, che avrebbe dovuto essere montato a bordo di un Macchi M.C.202, un caccia veloce che doveva assumere il ruolo di aereo "P".
Entro i primi di agosto del 1943 erano disponibili e pronti all'impiego un aereo P, due ARP basati su S.M.79 e due AR 4.
Nella giornata dell'8 settembre 1943 Raffelli stava disponendo l'impiego di tali mezzi al fine di attaccare la flotta angloamericana che si dirigeva verso Salerno nell'ambito dell'Sbarco a Salerno, ma l'annuncio dell'armistizio tra Italia ed Alleati, fece annullare anche questa missione.
Al piccolo ma tenace gruppo che caparbiamente aveva perseguito il primo progetto di aereo militare teleguidato per tutta la durata del conflitto non rimase che il compito di provvedere alla distruzione degli apparecchi esistenti e della documentazione relativa allo sfortunato sistema.
Dal sito “il-galileo.eu":
“”””Mentre tutti si lambiccavano il cervello per trovare il modo di bloccare il flusso di rifornimenti alle basi inglesi, il 18 luglio 1940, l’allora colonnello dell’aeronautica Ferdinando Raffaelli (foto a destra) propose allo stato maggiore di realizzare un velivolo radiocomandato da far schiantare sulle navi nemiche facendo esplodere una o due bombe di grande potenza.
Quali i vantaggi di un simile sistema? Il primo era quello di infliggere notevoli danni al nemico; il secondo era quello di aumentare il raggio d’azione di un velivolo perché, non essendo previsto il viaggio di ritorno, avrebbe potuto impiegare tutto il carburante per raggiungere anche un obiettivo lontano. Inoltre, non si sarebbe messa a rischio la vita dei piloti e si sarebbero potuto impiegare aerei ormai dismessi o in via di dismissione.
Accettata la proposta, iniziarono a breve le sperimentazioni dell’ ARP (aereo radio pilotato) presso il centro sperimentale di Guidonia, vicino Roma.
Per semplicità, fu deciso di far decollare l’aereo con un pilota a bordo che poi si sarebbe lanciato con il paracadute. A questo scopo, nel ventre della carlinga fu realizzata una botola di uscita che, dopo il lancio, si richiudeva per effetto di due grossi elastici. Dopo il lancio, l’ARP veniva preso in carico da un altro S 79 munito delle apparecchiature trasmittenti, il cosiddetto aereo P, che si manteneva a distanza e in quota di sicurezza.
Per gli esperimenti, furono messi a disposizione due Savoia Marchetti S 79, denominato “Sparviero”, più noto come il “Gobbo maledetto” (foto a sinistra). Si trattava di un trimotore ad ala bassa, inizialmente progettato come aereo da trasporto civile. Negli anni ’37-’39 stabilì 26 record mondiali e fu, per un certo periodo, il più veloce medio bombardiere del mondo. Era realizzato in legno, tela e metallo. Il suo primo impiego bellico risale alla guerra di Spagna. Aveva una lunghezza di 15,625 metri, un’altezza di 4,60 metri ed un’apertura alare di 21,20 metri, mentre la superficie alare era di 61,70 m2. Pesava a vuoto 6.945 kg, a pieno carico 10.725 kg. Era dotato di tre motori radiali Alfa Romeo della potenza di 78° CV ciascuno. La velocità massima era di 430 km/h, l’autonomia da 1.900 a 2.300 km, la tangenza era di 6.300 m.
Si è ironizzato molto, a guerra finita, su quelle ali di tela, del resto abbastanza diffuse sugli aerei degli anni 30. Tutti ricorderanno la gag di Paolo Villaggio con il personaggio di Fantozzi in ferie sul Savoia Marchetti con le ali di tela.
“Per fortuna che le ali erano di tela, - mi disse un giorno il generale di squadra aerea Giulio Cesare Graziani, già comandante di S79, incontrato casualmente ad un convegno (nella foto sotto a destra).
“In volo su Alessandria d’Egitto con un S79, ho preso una cannonata da una corazzata inglese: il proiettile ha fatto uno buco di un metro quadrato in un’ala ed è passato da parte a parte senza esplodere. Se l’ala fosse stata di lamierino, non sarei qui a raccontarla!”
Sull’aereo di comando, il cosiddetto aereo P, fu installata una seconda cloche – una sorta di joistik – manovrando la quale si inviavano impulsi radio all’ARP che venivano captati da un ricevitore radio a bordo dell’ARP.
Il trasmettitore era un 320/Ter, il ricevitore un RA-18, entrambi modificati per poter lavorare su frequenze comprese fra i 300 e i 2000 mHz. Per quante ricerche abbiamo fatto, non siamo riusciti a trovare traccia del trasmettitore 320/Ter. Quanto al ricevitore, da tutti indicato come un RA-18, pensiamo ad un errore iniziale, poi ripetuto dagli autori successivi. Non c’è traccia di un ricevitore RA-18, bensì di una radio militare AR-18, realizzata dalla Ducati di Bologna. Aveva due gamme di onda media con copertura da 200 a 520 kHz e sei di onda corta con copertura da 0,7 a 22 MHz. Per quei tempi, era un gioiellino di tecnologia. Il cambio di gamma era affidato ad un tamburo rotante. Purtroppo, non era molto selettivo: la mancanza di uno stadio di amplificazione ad alta frequenza, rendeva praticamente nulla la reiezione alla frequenza immagine. Quest’apparato, opportunamente modificato, è stato il cavallo di battaglia di gran parte dei radioamatori italiani nel dopoguerra. (Nella foto sotto, a sinistra). alcuni componenti del progetto ARP)
Anche il ricevitore dell’ARP era stato modificato e schermato per evitare che segnali estranei dessero informazioni errate ai servocomandi.
Finalmente, nel maggio 1942, il debutto. ARP e P furono trasferiti all’aeroporto di Trunconi, presso Villacidro, vicino Cagliari. Il 12 agosto, il decollo. L’ARP era stato dipinto di giallo perché fosse sempre ben visibile da P, da qui la denominazione di “operazione canarino”.
Ma qui conviene riprodurre quanto scrisse, in un suo libro, l’allora colonnello Raffaelli: "La partenza avvenne poco dopo le 13 del 12 agosto: raggiunta la quota stabilita di 2000 metri, il pilota dell'S. 79, mar. Mario Badii, si lanciava regolarmente sul campo stesso di Villacidro; il Cant Z 1007 Bis (equipaggio: gen. Faffaelli, ten. Rospigliosi, mar. Palmieri, 1° av.mot.. Monticelli) che ormai aveva assunto l'A.R.P. in teleguida, lo seguiva a breve distanza mentre i G. 50 della scorta decollavano. Dopo il lancio la piccola formazione si dirigeva su Elmas, sulla cui verticale dovevano aggregarsi i due RE 2001 con bombe: ma questi si erano già diretti verso l'obbiettivo. ...
Lasciato il cielo di Elmas, fu raggiunto Capo Pula, punto prestabilito d'inizio della navigazione, cercando ancora, con un ampio giro, sempre alla quota di 2000 m, di raccogliere vari cacciatori.
Riuscito vano anche questo tentativo - e tenuto conto anche della limitata autonomia di cui disponevano ormai i due G. 50 aggregatisi - la strana e minuscola formazione si poneva in rotta verso l'obiettivo; tanto viva era, malgrado tutto, la speranza di poter violare la cintura di protezione della caccia nemica. L'attacco era stato previsto con direttrice da S a N dopo un avvicinamento che, contornando da Est l'isoletta della Galite, avrebbe condotto gli aerei a Sud del convoglio, la cui posizione, segnalata dalla ricognizione, risultava a 10 miglia a Ovest del meridiano dell'isoletta. Tale direttrice (vedi cartina qui sotto, a destra) era consigliata da ragioni di visibilità e da considerazioni relative agli altri attacchi concomitanti. Fino alla vicinanza della Galite, il telecomando funzionò egregiamente; ma quando già i contorni dell'isola cominciavano a stagliarsi nitidamente all'orizzonte, improvvisamente l'aereo telecomandato cessò di eseguire i comandi trasmessigli, sia nel piano orizzontale che in quello verticale; il volo proseguiva stabilissimo - salvo una lieve precessione verso destra - rivelando con ciò l'efficienza di tutti gli organi del velivolo, compreso l'autopilota, ma i ripetuti vani tentativi di comandare sia la rotta che la quota denunciarono ben presto una avaria nel complesso trasmittente, ove il dielettrico di un condensatore si era bruciato senza possibilità di sostituzione in volo. Avaria mai verificatasi nel corso delle precedenti numerose prove ed ascrivibile a due cause: il materiale autarchico comparso negli apparati recentemente sostituiti ed il prolungato funzionamento continuativo richiesto al trasmettitore durante i vari, quanto vani, giri di attesa della caccia di cui sopra. Non rimase che seguire per un certo tratto l'S.79, mentre ogni provvedimento veniva tentato per riattivare il trasmettitore: appena superata la Galite i due G. 50 di scorta venivano intanto posti in libertà col segnale convenuto, per non farli trovare in difficoltà di carburante in pieno mare. Superata la fascia costiera algerina ed accertata dal marconista l'impossibilità di porre riparo all'avaria, l'S 79 fu abbandonato alla sua sorte, lasciandolo proseguire - ormai autonomo - verso la zona desertica dell'interno. Il ritorno del Cant Z 1000 bis, a volo radente, ebbe luogo senza avvenimenti degni di nota”. Fu ipotizzato il guasto di un condensatore fisso con dielettrico di carta. Perché, in quel tempo, le forze armate italiane, oltre alle scarpe di cartone, avevano anche apparati radio con condensatori a carta! L’S 79, continuò il suo volo fino schiantarsi su monti a Sud Ovest di Khenchela, in Algeria. Le autorità locali, furono impressionate dal fatto che non fu trovato alcuni resto dell’equipaggio. Circostanza che fu attribuita all’esplosione e all’incendio. L’équipe di Raffaelli non si arrese e proseguì studi, ricerche e prove che si orientarono verso aerei più piccoli, ovviamente di legno e tela, commissionata all’ “Aeronautica Lombarda” di Cantù. I primi velivoli furono pronti nell’agosto del 1943. Ma il successivo 8 settembre, quando si stavano preparando i piani per un attacco alle navi alleate avvistate tra Salerno e Ischia, arrivò la notizia dell’armistizio. Al padre del Drone italiano, non restò che distruggere apparecchiature e documentazione. Dopo la guerra, Ferdinando Raffaelli (foto sopra a sinistra, tratta dal portale dell'Aeronautica Militare) percorse tutti i gradi della carriera fino a divenire capo di stato maggiore dell'Aeronautica Militare. Fu decorato con due medaglie d'argento ed una di bronzo al valor militare, nonché di una medaglia d'argento al valore aeronautico.
E' deceduto nel gennaio 1981”””.
Purtroppo!
(Web, Google, Wikipedia, il-galileo.eu, You Tube)
Buon Giorno, mi trovo a ricerca del S.M. 79 "Canarino" per un progetto speciale, solo quel che mi manca sono magari un paio di fotografie e la matricola militare. Se tutto e possibile o no, la ringrazio in anticipo a farmi sapere. tricci57@gmail.com grazie
RispondiElimina